produzione immateriale – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 17 Aug 2025 20:00:38 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Dal situazionismo di Agaragar alla teoria della complessità. Intervista a Mario De Paoli https://www.carmillaonline.com/2023/05/30/dal-situazionismo-di-agaragar-alla-teoria-della-complessita-intervista-a-mario-de-paoli/ Tue, 30 May 2023 20:00:45 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=77233 di Marc Tibaldi

Della rivista Agaragar, diretta dal filosofo Mario Perniola, dal 1970 al 1972, uscirono 5 numeri, 3 per Silva Editore e 2 per Arcana Editrice (nel 2020 sono stati ripubblicati da PGreco). Agaragar è stata una rivista nata dall’incontro, con il movimento situazionista, in particolare con Guy Debord, con cui Perniola aveva instaurato un rapporto di amicizia e un confronto. Negli anni ’60, Perniola era entrato in contatto in Francia con il movimento studentesco e con le ultime propaggini del surrealismo, diventando uno dei primi a far approdare in Italia [...]]]> di Marc Tibaldi

Della rivista Agaragar, diretta dal filosofo Mario Perniola, dal 1970 al 1972, uscirono 5 numeri, 3 per Silva Editore e 2 per Arcana Editrice (nel 2020 sono stati ripubblicati da PGreco). Agaragar è stata una rivista nata dall’incontro, con il movimento situazionista, in particolare con Guy Debord, con cui Perniola aveva instaurato un rapporto di amicizia e un confronto. Negli anni ’60, Perniola era entrato in contatto in Francia con il movimento studentesco e con le ultime propaggini del surrealismo, diventando uno dei primi a far approdare in Italia le tesi del movimento situazionista proprio su Agaragar. Il pensiero che Perniola elabora in quegli anni resterà nelle sue riflessioni con l’attenzione a rilevare le contraddizioni e la complessità della società dello spettacolo. Co-fondatore di Agaragar, assieme a Perniola, fu Mario De Paoli che, dopo la fine della rivista, ha continuato la sua ricerca sviluppando – in una serie di pubblicazioni – una originale teoria della complessità che tiene assieme l’analisi dell’evoluzione dei processi sociali e l’analisi della dinamica dei processi psichici. La sua ricerca merita di essere conosciuta, per questo siamo andati a intervistarlo. De Paoli, nato a Dolo, Venezia, nel 1940, vive a Padova, città dove si è laureato prima in chimica e poi in fisica e dove ha insegnato al liceo scientifico Eugenio Curiel.

Ci racconta innanzitutto come ha conosciuto Mario Perniola e come è nata la rivista Agaragar?
Ci conoscemmo durante il servizio militare, a Padova, fine anni ’60. Avevamo da poco terminato gli studi universitari, scientifici io e filosofici lui, nonostante le diverse formazioni c’era una sensibilità culturale in comune e dopo aver letto un mio studio (che sarà pubblicato sul terzo numero della rivista con il titolo: “Economia commerciale e linguaggio razionale: denaro e logos”), mi propose di partecipare all’elaborazione di Agaragar. Lui in quegli anni stava elaborando gli studi che confluiranno poi in L’alienazione artistica, che ritengo sia ancora uno dei suoi libri migliori. Nel primo anno eravamo solo noi due in redazione, lui si occupava anche dei rapporti con l’editore Silva. Con Perniola avevo punti in comune e alcune diversità. Lui partiva dalla questione dell’alienazione artistica, in cui considera la separazione di una realtà senza significato nell’economia politica e di un significato senza realtà nell’arte. Questa separazione si è accentuata nel Rinascimento con la separazione tra arte e artigianato. Separazione che è significativa per l’inizio della frattura tra produzione materiale e produzione immateriale. Separazione decisiva per capire che il capitalismo ha agito non solo a livello della produzione materiale, ma anche a livello linguistico/immateriale. Era importante considerare lo sviluppo del capitalismo a livello di controllo della produzione materiale ma anche nella produzione immateriale: nella letteratura, nei processi psichici, nella scienza. Bisogna ricordare che Perniola su Agaragar porta anche una critica al situazionismo. I situazionisti consideravano solo un lato della separazione tra realtà e significato, non riconducevano alla realtà il significato dei processi linguistici, bisognava invece ricomporre questi due aspetti.

Perniola, in Del terrorismo come una delle belle arti (Mimesis, 2014), uno dei suoi ultimi libri, dedica un capitolo all’avventura di Agaragar, e racconta anche di un vostro incontro con Debord. Aveva già letto i situazionisti prima di conoscere Perniola?
No. Conoscevo bene il pensiero della Scuola di Francoforte. Nelle mie riflessioni sul nesso fra capitalismo commerciale e linguaggio razionale avevo in mente Adorno e Horkheimer che, in Dialettica dell’illuminismo, descrivono Ulisse come il primo ‘Illuminista’ che usa il linguaggio per avere un vantaggio.
Andammo a Bruxelles a conoscere Guy Debord e Raoul Vaneigem. Debord non ci accolse in modo molto affabile. Ci portò a giocare a calcetto. Graziella, la simpaticissima moglie di Perniola, di nascosto continuava a fare degli sberleffi a Debord, sostenendo che era antipatico e borioso. Molto meglio andarono le cose con Vaneigem, molto simpatico. Ricordo in particolare una discussione in una birreria in cui gli feci notare che “l’immaginazione al potere” era quella del capitalismo che controllava la produzione di informazione.

Negli anni in cui progettavate la rivista, c’erano almeno altre due persone in Italia che seguivano da vicino il situazionismo, si tratta di Giorgio Agamben e Gianni-Emilio Simonetti. Avevate rapporti con loro?
Simonetti non l’ho mai conosciuto. Agamben era amico di Perniola, ricordo che andammo a fargli visita in una sua tenuta, vicino a Roma. Agamben insistette perché provassi a montare un cavallo che diceva mansueto e che invece mi coinvolse in un galoppo sfrenato. Durante il mio soggiorno nella casa romana dei Perniola, in occasione del mio scritto L’educazione come processo produttivo, appesi un poster che raffigurava la Lupa Capitolina con uno dei gemelli che sputava il latte, e vi apposi sotto la scritta “bambini di tutto il mondo unitevi”. Una mattina Graziella, la simpaticissima moglie di Mario, mi fece credere che il Perniola aveva sognato che lui era Marx e io ero Engels. Racconto questi aneddoti perché evidenziano i détournement giocosi del gruppo.
Nel primo anno eravamo solo noi due in redazione, Perniola si occupava anche dei rapporti con l’editore Silva. La collaborazione tra di noi non è continuata oltre i primi anni ’70 ma, ma nonostante i nostri percorsi culturali abbiano avuto una divergenza di interessi, filosofici lui, scientifici io, questo non ha intaccato la nostra amicizia e nel corso degli anni, abbiamo continuato a sentirci, scambiandoci alcuni dei libri che pubblicavamo.

Come venne accolta Agaragar nel dibattito ideologico di quegli anni? Suscitò discussioni?
Il dibattito culturale, il confronto e la critica erano molto serrati negli anni ’70 perché proprio in quelli anni si profilava un cambiamento di paradigma nel modo di produzione del capitale (la transizione dal fordismo al toyotismo iniziò nel 1976). Ma, mentre il capitale finanziario combinava in una nuova sintesi produzione materiale e produzione immateriale, i vari movimenti di sinistra rimanevano divisi fra loro, oscillando fra gli estremi dell’operaismo e del situazionismo. Agaragar proponeva una ‘sintesi sociale’ alternativa a quella proposta dal capitale. La rivista fu accolta con un certo entusiasmo, ma fu anche fraintesa. Per fare un esempio: Giuseppe Sertoli, redattore di Nuova Corrente (che in quegli anni era un’importante rivista di letteratura e filosofia. n.d.r.), mentre si dichiarava in perfetto accordo con gli scritti di Perniola, criticava aspramente i miei scritti sul primo numero della rivista. Perniola ed io gli rispondemmo con una lettera di quattro pagine in cui affermavamo l’importanza della nostra ricerca di una nuova sintesi sociale. Ritenevamo, inoltre, che fosse necessaria un’analisi storico-critica del rapporto fra scienza e capitale. Nel 1972 (all’epoca della guerra del Vietnam) partecipai ad un convegno internazionale di storia della scienza in cui diversi fisici, fra i quali Paul Dirac, prendevano atto di ‘una massiccia soggezione della scienza al capitale’, iniziata con il Progetto Manhattan per la costruzione della bomba nucleare.

In Agagar lei ha impostato la critica del materialismo dialettico di Marx, che non considera il carattere genetico-strutturale dei processi psico-linguistici e la sintesi sociale costituita dall’evoluzione parallela di strutture economiche e strutture linguistiche.
Si. In L’educazione come processo produttivo (Agaragar n.2, 1970) mi sono posto il problema della genesi sociale. Data la forte dipendenza dalle cure parentali e una rimarchevole capacità di apprendere tramite l’esperienza, l’evoluzione biologica della specie uomo si estende in un’evoluzione sociale mediata da un processo educativo. Un sistema di segni che media socialmente la relazione uomo – natura diviene così un ‘codice genetico’ di specifiche società umane intese come ‘specie semiotiche’. Un’ ipotesi simile, del prolungamento dell’evoluzione biologica nell’evoluzione sociale, veniva poi formulata dal biologo evoluzionista Stephen Jay Gould nel saggio Ontogeny and Phylogeny (Belknap Press of Harvard University Press, 1977). In Economia commerciale e linguaggio razionale: denaro e logos (Agaragar n.3, 1971) mi sono poi posto il problema della sintesi sociale considerando l’evoluzione parallela ‘isomorfa’ di determinazioni formali della politica economica e del linguaggio razionale nella società greca classica. Una correlazione simile fra linguaggio ed economia nella polis greca era stata evidenziata dal filosofo Sohn-Rethel In Lavoro intellettuale e lavoro manuale: per la teoria della sintesi sociale (Feltrinelli, 1977), ma allora non conoscevo le sue ricerche, non erano ancora state tradotte.

Dopo aver collaborato con Perniola, come è continuata la sua ricerca?
Dal 1973 al 2005 ho insegnato matematica e fisica al Liceo scientifico Eugenio Curiel di Padova, dove sono stato promotore dell’introduzione della storia della scienza nella didattica e fra gli organizzatori e i relatori del Progetto Ipazia per la promozione della cultura scientifica nei licei. In quel periodo ho scritto i saggi Rivoluzioni parallele isomorfe. Copernico, Ariosto e Josquin de Prez (pubblicato poi da Aracne nel 2015), in cui evidenzio la sintesi sociale fra gli ambiti economico, cosmologico, letterario e musicale all’ epoca della costituzione dello Stato politico moderno e Modelli dinamici dell’evoluzione della civiltà urbana (pubblicato poi da Aracne nel 2022), in cui considero la genesi sociale del capitalismo. Nel 2018 ho scritto poi un saggio conclusivo dal titolo Capitale finanziario e populismo. La scienza nell’ evoluzione del capitale (Aracne, 2020), in cui considero l’evoluzione parallela di economia politica e scienza nelle tre fasi fondamentali dell’evoluzione del capitale. 

Parallelamente, assieme allo psichiatra e psicoanalista Alessandro Pesavento, ha sviluppato una teoria dei modelli di processi psicolinguistici.
Sì, dal 1987 al 2001 ho collaborato con Pesavento allo studio delle successioni di ‘stati dell’Io’ nelle narrazioni oniriche di un paziente in analisi. Abbiamo pubblicato assieme Un modello probabilistico del processo onirico e la sua applicazione ai sogni prodotti in analisi (Bollati Boringhieri, 1992), poi La signora del piano di sopra. Struttura semantica di un percorso narrativo onirico (Aracne, 2013). Una prima formulazione del secondo saggio era stata proposta ad un convegno di psicoanalisi tenutosi a Trieste nel 1999. Dal 2001 al 2020 mi sono dedicato allo studio delle neuroscienze e all’ applicazione alle reti neurali della teoria della biforcazione dei punti critici di sistemi non-lineari aperti in non-equilibrio. Ho elaborato un modello delle reti neurali corticali coinvolte nella dinamica del Sé: Self’s Splitting and Self-Other Identification. A phase transition model, che ho esteso poi ad un modello pubblicato in un saggio dal titolo Brain Dynamics for Goal-Directed Social Navigation. A non-linear statistical model of consciousness (Aracne, 2021).

Mi piacerebbe che ci approfondisse la presentazione delle tesi articolate in Capitale finanziario e populismo. La scienza nell’ evoluzione del capitale.
Questo saggio si propone una riconsiderazione critica delle fasi dell’evoluzione del capitalismo, e della scienza ad esso associata, nell’ epoca in cui questo sembra ormai giunto ad una fase ‘terminale’ della sua evoluzione, con il predominio sull’intero ciclo dell’economia e con uno sfruttamento esaustivo delle risorse naturali, oltre che umane, difficilmente sostenibile a livello di ecosistema. Verso la fine del XX secolo, è avvenuta una transizione dal modo di produzione fordista del capitale monopolistico al modo di produzione toyotista del capitale finanziario delle multinazionali. Due classi di fenomeni sono associate a tale transizione.

Quali sono queste due classi?
Una prima classe, evidenziata da Marco Revelli nel saggio Economia e modello sociale nel passaggio tra fordismo e toyotismo, in Appuntamenti di fine secolo (manifestolibri, 1995), comprende: una forte competizione fra capitalisti, dovuta all’ esaurimento delle risorse naturali e alla saturazione dei mercati, cui consegue una permanente imprevedibilità dei mercati; il predominio della speculazione del capitale finanziario (liquido) sull’ investimento del capitale industriale (fisso) e di un’economia multinazionale sulla politica nazionale, con conseguente crisi della politica; e infine l’asservimento della scienza al capitale e un uso di tecnologie sofisticate per il controllo globale dell’informazione cui corrisponde la parcellizzazione e precarizzazione delle capacità produttive umane (e un aumento delle diseguaglianze sociali). Una seconda classe, solo in parte evidenziata da Byung-Chul Han, in Psicopolitica (Nottetempo, 2014), comprende: la disgregazione dei vincoli sociali tradizionali e lo sfruttamento intensivo della libertà di scelta individuale allo scopo di aumentare la produzione e lo scambio di informazione a livello globale; un’estensione dalla produzione materiale alla produzione immateriale con conseguente alienazione nell’informazione del significato delle merci; e infine la costituzione di un nuovo asse delle opposizioni [populismo – neoliberalismo] che si combina con il vecchio asse [destra – sinistra] dei poli politici nel comporre il quadrato delle opposizioni di un nuova logica in cui, più che il valore di verità degli enunciati, è essenziale l’informazione comunicata da questi. Inoltre, nella prima parte del saggio, oltre ad analizzare il nesso fra queste due importanti classi di fenomeni psico-sociali, propongo: un modello matematico che evidenzia una transizione al caos nel caso della valorizzazione del capitale in ambiente con risorse limitate e un modello logico che evidenzia il carattere informazionale del quadrato delle opposizioni dei poli politici.

Nella seconda parte del saggio viene proposto un superamento della critica marxiana dell’economia politica.
Questa è adeguata all’analisi della produzione materiale del capitale industriale, ma non all’analisi della produzione immateriale del capitale finanziario, che sfrutta le capacità umane di comunicazione e di consumo oltre che di produzione. Marx non considera tale sintesi sociale e il fatto che l’alienazione nell’ informazione del significato connesso al valore d’ uso richiede una ridefinizione del valore di scambio. Per far ciò è necessario integrare il rovesciamento della dialettica hegeliana con una critica della teoria kantiana della conoscenza e risalire all’origine storica della politica e delle determinazioni formali dell’economia.

Lei formula l’ipotesi che la logica della politica e le determinazioni formali di valore d’ uso e di valore di scambio si siano formate all’ interno di una confederazione di città-stato greche, con lo sviluppo della proprietà privata della terra e con lo scambio commerciale, mediato dalla moneta di conio, dei prodotti in eccedenza ottenuti con la divisione del lavoro agricolo.
Sì, scopo della politica nella costituzione della polis era garantire per legge (logos), l’incorruttibilità della moneta di conio e l’inalienabilità della proprietà privata e stabilire con un’argomentazione logica la verità della proposizione “il soggetto gode / non gode di una certa proprietà” in base a un principio di non contraddizione. Ma compito della politica era anche, secondo Aristotele, fare in modo che il ciclo Merce-Denaro-Merce, i cui limiti sono fissati dal nesso fra produzione e consumo, prevalga sul rovesciamento nel ciclo Denaro-Merce-Denaro’ del capitale commerciale, in cui l’accumulazione di plusvalore consiste nel comperare merci nei luoghi in cui sono comuni per venderle a prezzo più alto nei luoghi in cui sono rare. Ciò dimostra che Aristotele aveva chiara la distinzione fra il valore d’uso di una merce per il consumatore e il valore di scambio di una merce per il mercante.

In questo libro sostiene anche che nell’ evoluzione del capitalismo si possono distinguere tre fasi.
Sì. Nella fase della proprietà privata fondiaria e del capitalismo commerciale, si ha il predominio della politica sull’economia, la separazione del consumatore dal produttore con la divisione del lavoro agricolo e il predominio del consumatore che definisce il valore d’ uso della merce (mentre il valore di scambio è dato dalla sua rarità). Con lo sviluppo del capitalismo industriale si ha un equilibrio fra potere politico e potere economico, la divisione del lavoro nella fabbrica e la determinazione del valore di scambio come lavoro accumulato. Invece nella fase del capitalismo finanziario si ha il predominio dell’economia sulla politica, una produzione insieme immateriale e materiale, la connessione fra significato e valore d’uso della merce e la determinazione del valore di scambio come informazione accumulata. Claude Shannon introdusse nel 1949 una misura probabilistica dell’informazione contenuta in un messaggio sulla base del numero di scelte fra alternative necessarie ad eliminarne l’incertezza: essendo la formula dell’incertezza eguale a quella dell’entropia, la determinazione soggettiva di incertezza e quella oggettiva di entropia vennero equiparate fra loro. Nel lavoro si ha, in particolare, un trasferimento di energia a bassa entropia con la produzione materiale di informazione. L’informazione è quindi un’estensione del lavoro alla produzione immateriale.

In un passaggio finale parla dell’entropia ambientale e dell’incertezza sociale che caratterizzano questo momento storico…
L’evoluzione della civiltà urbana consiste nell’auto-organizzazione di sistemi sociali sempre più complessi con lo sviluppo delle capacità umane di produzione e di comunicazione. Tale evoluzione è caratterizzata, da un lato, da un aumento progressivo dell’informazione incorporata da un ristretto gruppo sociale che domina l’intera società, dall’ altro da un aumento progressivo dell’entropia e dell’incertezza diffuse, rispettivamente, nell’ambiente e nel resto della società, dato lo sfruttamento sempre più intensivo sia delle risorse naturali che delle capacità umane. Nell’ evoluzione della civiltà urbana si possono distinguere tre grandi ere in cui si alternano, con un periodo di circa 900 anni, il predominio delle civiltà occidentali e quello delle civiltà orientali. Lo sviluppo del capitalismo e della scienza, che caratterizza l’evoluzione della civiltà occidentale, è alla base del suo predominio a partire dal XVI secolo. Nella seconda parte del saggio viene evidenziata la corrispondenza biunivoca di determinazioni formali dell’economia politica e della scienza, nelle tre fasi di evoluzione parallela del capitalismo e della scienza, evidenziando il progressivo asservimento della scienza al capitale.

L’analisi di queste forme di potere l’ha portata anche a individuare e/o proporre nuove possibilità di confronto, conflitto, cambiamento?
Penso che la concezione di una decrescita felice e l’opposizione del sovranismo della destra populista al globalismo neoliberale – come l’opposizione politica dei proprietari fondiari della polis greca al capitalismo commerciale – siano reazionarie in quanto pongono un limite allo sviluppo delle capacità umane di produzione e di comunicazione. Nel Rinascimento Pico della Mirandola affermava che l’uomo ha la straordinaria capacità di produrre le più grandi innovazioni e le peggiori efferatezze. Purtroppo l’evoluzione del capitalismo ha preso una brutta piega. Si tratta di cambiare indirizzo e, da un lato, ridurre al minimo l’aumento di incertezza distribuendo all’ intera comunità la ricchezza di informazione accumulata da un ristretto gruppo dominante, dall’ altro ridurre al minimo l’aumento di entropia dell’ambiente. I movimenti artistico-letterari della sinistra che, come il situazionismo, ‘narrano’ di mondi possibili alternativi, non considerano il fatto che un asservimento della scienza è alla base del potere del capitale. “L’immaginazione al potere” è possibile solo con il détournement della produzione scientifico-tecnologica per metterla al sevizio dell’intera comunità e con una nuova sintesi sociale fra narrazione e produzione che realizzi mondi possibili alternativi a quelli proposti dal capitale.

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Fare come in Francia? https://www.carmillaonline.com/2023/03/25/fare-come-in-francia/ Sat, 25 Mar 2023 21:00:12 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=76612 di Sandro Moiso

La prima conseguenza del rinnovato accordo tra Italia e Francia, unico trofeo che la premier Meloni può vantare dopo i colloqui con Macron e la fine del vertice europeo conclusosi il 23 marzo, è stata quella di veder scaramanticamente cancellato dalle prime pagine dei quotidiani e dai telegiornali, di ogni tendenza politica e appartenenza, qualsiasi riferimento alle agitazioni che stanno scuotendo la Francia con milioni di manifestanti nelle strade. Eppure, anche all’occhio meno accorto o critico, non può non essere evidente il fatto che la carta geo-politica di ciò [...]]]> di Sandro Moiso

La prima conseguenza del rinnovato accordo tra Italia e Francia, unico trofeo che la premier Meloni può vantare dopo i colloqui con Macron e la fine del vertice europeo conclusosi il 23 marzo, è stata quella di veder scaramanticamente cancellato dalle prime pagine dei quotidiani e dai telegiornali, di ogni tendenza politica e appartenenza, qualsiasi riferimento alle agitazioni che stanno scuotendo la Francia con milioni di manifestanti nelle strade. Eppure, anche all’occhio meno accorto o critico, non può non essere evidente il fatto che la carta geo-politica di ciò che avrebbe dovuto essere l’Unione europea si caratterizza ormai per tre grandi aree di crisi che la percorrono tutta, da Est a Ovest.

Ai confini orientali la guerra in Ucraina, con i suoi possibili sbocchi mondiali che già spaventano alcune élite europee e le spingono a correre a Pechino a chiedere che il presidente Xi Jinping si affretti a impostare una reale proposta di tregua (in barba al diniego esibito nei confronti di tale ipotesi dal presidente Biden e dagli imperialisti pezzenti del Regno Unito).

Nel cuore del continente la crisi bancaria, che è sbarcata dagli Stati Uniti coinvolgendo due delle più importanti banche europee, Credit Suisse, morta in un battibaleno e sostanzialmente assorbita da UBS per un valore impensabile fino a qualche settimana fa, e Deutsche Bank che, ancora una volta, traballa sulla sua “pancia” piena di titoli spazzatura, subprime e derivati, ma “povera” di liquidità.

Nella parte occidentale e atlantica la rivolta sociale francese che si allarga sempre più, di cui la riforma autoritaria delle pensioni è stato soltanto il fattore scatenante di una crisi economica e sociale che covava sotto le ceneri, imposte dai due anni di provvedimenti liberticidi sventolati come necessari per la salvaguardia della salute pubblica, fin dai tempi dei gilets jaunes e, ancor prima, delle rivolte delle banlieue.

Un’autentica tempesta perfetta che testimonia come lo stato di salute del capitalismo occidentale e del suo modus vivendi sia tutt’altro che buono, così come quello dell’ambiente che ha colonizzato senza pietà e senza riguardo per il futuro della specie, proprio a partire del continente europeo.

Come i quattro cavalieri dell’Apocalisse, la crisi economica, la guerra, la crisi ambientale e l’impoverimento di ampi settori sociali, un tempo magari rientranti nelle fila della classe media, indicano che il modo di produzione basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e del capitale sull’ambiente sta volgendo al termine nel più drammatico dei modi.

La Francia e i moti che sempre più la percorrono sembra indicare, contemporaneamente, tutte e due le strade che la società derivata dall’attuale distruttivo modo di produzione può imboccare nell’affrontare la drammaticità del momento storico dato.

Da un lato l’autoritarismo governativo che, come da anni si va ripetendo su questa pagine e in altri contesti1, nulla concede e nulla può più concedere sia alle richieste più elementari provenienti dal basso che a qualsiasi ipotesi riformistica destinata a migliorare le condizioni dei servizi sanitari, pensionistici2, scolastici, lavorative e salariali in un contesto in cui la concorrenza per la spartizione del plusvalore complessivamente prodotto si è fatta mondiale, con competitor giovani, scaltri e del tutto intenzionati a scalzare il primato “occidentale” nell’accaparramento delle ricchezze delle risorse.

Un autoritarismo che si maschera dietro le formulazioni generiche di difesa di improbabili transizioni green o di diritti liberali che poco incidono sulla concreta vita materiale di milioni di cittadini di ogni sesso, appartenenza etnica e sociale (purché medio-bassa), tutti destinati soltanto ad essere sempre più sfruttati in ogni ambito lavorativo (in cui ormai occorre inserire tutta l’economia falsamente definita illegale, collegata al mercato del sesso e degli stupefacenti) oppure come carne da cannone nella guerra che, proseguendo su questa strada, certamente verrà.

La scelta di Macron sull’imposizione dei due anni di aumento dell’età pensionabile dei lavoratori francesi, infatti, non è nemmeno una scelta. E’ una decisione imposta dal voler mantenere l’attuale assetto sociale e politico, di cui la democrazia parlamentare non è altro che un orpello. Un gioiello fatale con cui l’ideologia dominante è riuscita ad ammaliare lavoratori, giovani, donne e proletari di ogni tipo (sottoproletariato incluso) finché, almeno in Occidente, alcune riforme potevano essere finanziate con il plusvalore estorto ai lavoratori sottopagati di altri angoli del pianeta.

Ora il plusvalore colà estratto rimane in gran parte, o del tutto, nelle tasche di altri imprenditori, di altre borghesie che, oltre a rimpinguare i propri profitti e investimenti, preferiscono ridistribuirne una parte in casa soltanto per migliorare e ampliare anche il proprio mercato interno, oltre che per placare, almeno in parte, i segni di conflittualità di classe che si manifestano nelle fabbriche e nei settori produttivi dislocati a casa loro.

Paradossalmente l’accumulo di ricchezze in numero di mani sempre più ridotto, infatti, più che segnalare che la produzione mondiale sia in aumento (dato ancora tutto da verificare), indica che il valore prodotto è, rispetto agli investimenti necessari, sostanzialmente diminuito, soprattutto in Occidente e nelle aree ad esso direttamente collegate.

In questo senso la crisi di SVB (Silicon Valley Bank), più che ricordare i rischi connessi allo scarso controllo esercitato sulle banche dallo Stato (quasi come se questo fosse davvero uno strumento neutro e imparziale nella gestione della ricchezza e della società), rappresenta un po’ la fine del sogno delle start up, degli investimenti spericolati legati più alle promesse che ai risultati effettivi, di cui Elon Musk è stato il gran maestro. Forse ancor più dei pionieri come Billa Gates, Steve Jobs, Jeff Bezos e Mark Zuckerberg che, arrivati per primi sul mercato delle nuove tecnologie e delle promesse ad esse collegate, si vedono oggi comunque costretti a licenziare complessivamente centinaia di migliaia di dipendenti (fatto che potrebbe avere conseguenze deflagranti anche sul prossimo voto presidenziale americano).

Finanza, rete, piattaforme e computer insieme hanno contribuito a velocizzare lo spostamento delle ricchezze, a intorbidire le idee e le battaglie e a confondere i singoli individui trascinati nel vortice della velocità della comunicazione e della disinformazione organizzata (spesso ufficiale, ancor prima che “artigianale”). Ma non hanno contribuito a produrre autentico “valore”, semmai l’illusione del valore di qualcosa che non esiste. E in questo senso l’unico vero proletariato, al di là delle balzane teorizzazioni degli ultimi trenta o quarant’anni, collegato al settore è stato quello direttamente coinvolto nella produzione manuale di apparecchi elettronici e della componentistica ad essi collegata (programmi compresi) .

La crisi di SVB ci conferma tutto questo3, ma ci annuncia anche la fine di un sogno: produrre valore e ricchezza senza passare dal lavoro manuale, senza produrre alcunché di materiale, sostanzialmente, come è successo in molti casi e in particolare in quello di Musk, vendendo fuffa e muffa ideologica.
Infine riporta alla luce il “paradosso di Solow”, economista statunitense che aveva ricevuto il premio Nobel nel 1987 per i suoi contributi alla teoria della crescita economica, in cui si sosteneva che «i computer si vedono ovunque, tranne che nell’aumento di produttività»4.

Certo oggi l’industria del riarmo, verso cui tutti i maggiori stati si stanno orientando, sembra promettere, in una prospettiva neppur troppo lunga, maggiori e più solidi guadagni, insieme ai titoli di stato necessari per finanziarla, e così la “concretezza” della materia militare, in tutti i sensi, riprende il sopravvento sulla leggerezza della già invecchiata new economy caratterizzata dalla produzione “immateriale”. E questo no va separato da ciò che il presidente francese ha fatto a proposito di riforma delle pensioni.

Nel gioco degli equilibri economici dello Stato, la recente promessa macroniana di giungere ad un investimento di 200 miliardi di euro per il rinnovo degli equipaggiamenti delle forze armate e della loro riorganizzazione in chiave più moderna, accompagnata da un accenno alla possibile reintroduzione della leva obbligatoria, non può preveder un costo zero. Costo che, naturalmente, è destinato fin da oggi, e come sempre, a ricadere integralmente sulle spalle dei contribuenti, dei lavoratori, dei giovani, delle donne e di chi vive al margine tra disoccupazione e “lavoro illegale”. Rendendo impossibile al “Mario Antonietto” di turno anche la semplice offerta di brioches per placare l’ira dei cittadini.

Ecco, allora, che, sì, per l’opposizione di classe occorre fare come in Francia.
La lotta sociale diffusa, testarda, ad oltranza e senza sconti per gli avversari è l’unica forma di lotta che il capitalismo attuale ci obbliga ad esercitare. Sia per le rivendicazioni sociali che per l’opposizione ai sacrifici che già ci vengono imposti per la guerra. Approfittiamone, dimostrando così che lotta contro il capitale e i suoi funzionari e contro la guerra sono, nella sostanza, la stessa cosa5, poiché ogni lotta sociale di queste dimensioni mette per forza di cosa in discussione e in crisi l’iniziativa del capitale. Fosse anche, per l’appunto, la guerra.

Le condizioni materiali di esistenza e non le idee; i rapporti tra le classi e non i discorsi politically correct segnano il cammino della Storia e delle rivoluzioni. Oggi possiamo trovarci sull’orlo di un baratro (guerra mondiale generalizzata) oppure di un nuovo domani tutto da inventare. I compagni e le compagne francesi, ancorché inconsapevoli, sono già costretti a porsi il problema (qui) sotto l’urgenza del divenire e dell’azione collettiva. Facciamo sì che quella francese diventi la nuova epidemia destinata a sconvolgere l’ordine europeo del capitale.


  1. S. Moiso (a cura di), Guerra civile globale. Fratture sociali del terzo millennio, Il Galeone Editore, Roma 2021  

  2. Va qui ricordato che proprio intorno al discorso sul costo della spesa per le pensioni si realizzò nel 2011, qui nella democratica Italia, una sorta di autentico colpo di Stato tecnocratico per mezzo del governo Monti, all’epoca incensato dalla Sinistra in chiave anti-berlusconiana, e la cosiddetta riforma Fornero.  

  3. “Apple, Microsoft, Amazone Web Services (branca di Amazon legata allo sviluppo del Cloud, dei micro servizi software e dell’internet delle cose, che fornisce alla intera multinazionale percentuali di utile netto decisamente superiore di quello derivante dal colossale fatturato della parte logistica e dell’e-commerce), Google, Oracle, Salesforce, IBM, ed Intel – in sostanza quasi tutte le big corporate strategiche della new digital economy – sono agli inizi di una crisi profonda.
    Prima del fallimento della Silicon Valley Bank, tutte queste grosse multinazionali ad inizio 2023 hanno avviato una massiccia ristrutturazione fatta di licenziamenti di massa nei loro settori chiave della ricerca e sviluppo, come già avevano preannunciato nel corso del passato autunno. Una operazione che impatterà 120 mila posti di lavoro in California appunto nel settore informatico, dell’internet delle cose, nel Cloud computing e nella ricerca software e digitale. Amazon (nel settore AWS), Google, Microsoft, Salesforce, stanno eseguendo licenziamenti pari al 15% della forza lavoro, Apple al momento sta tagliando tutte le forniture di subappalto con software house terze parti e l’aria che tira che questo non basterà a salvare i lavoratori diretti. Twitter appena acquistata da Elon Musk subirà un ridimensionamento pari al 50% della forza lavoro impiegata. Intel si trova immediatamente costretta a tagliare rispettivamente le compensation dei manager ed i salari dei dipendenti rispettivamente del 15%, del 10% per i quadri e del 5% per gli altri tecnici informatici, mentre annuncia i primi esuberi al momento contenuti.
    Che probabilità di successo avranno le cosiddette Startup della new economy e della tecnologie che da questa catena dipendono? Che prospettive di valorizzazione potevano avere quei capitali depositati e per le operazioni di finanziamento nella fu Silicon Valley Bank?” qui  

  4. L’autore del presente articolo deve questa osservazione ad Alberto Airoldi e al suo romanzo Sugar Mountain. Il brusco risveglio, Casa Editrice Leonida, Reggio Calabria 2022, p.29  

  5. Per questo motivo, alcuni commentatori della stampa italiana dovrebbero forse, e per vantaggio della loro stessa causa, esimersi dall’esprimere in prima pagina idee superficiali e riduttive come questa: “Proprio Macron, ieri, ha spiegato la differenza tra populismo e politica: la sovranità appartiene al popolo elettore, non al popolo in tumulto. Il populismo si mette dietro al popolo in tumulto, il politico si mette davanti al popolo elettore, là dove è stato messo dal popolo sovrano”, M. Feltri, Mario Antonietto, «La Stampa», 23 marzo 2023. Tra l’altro straordinariamente in linea con quanto espresso dall’ormai vieux, più che nouveau, philosophe Bernard Henri-Lévy in un suo articolo su «Repubblica», del 25 marzo, dall’allarmistico titolo: Una protesta giusta sfociata in violenza: la Francia rischia l’autodistruzione.  

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