Pietro Gori – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Fri, 01 Aug 2025 20:00:30 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Vita passionale di un’anarchica https://www.carmillaonline.com/2024/12/27/vita-passionale-di-unanarchica/ Fri, 27 Dec 2024 21:00:11 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=86235 di Paolo Lago

Francisco Soriano, Claudia Valsania, Virgilia D’Andrea. Una poetica sovversiva, introduzione di Giorgio Sacchetti, Nova Delphi, Roma, 2024, pp. 272, euro 15,00.

È scritta con passione questa monografia su Virgilia D’Andrea di Francisco Soriano e Claudia Valsania, e riesce meravigliosamente a trasferire sulla pagina la passione poetica e politica di una grande scrittrice e poetessa che meriterebbe un ben più ampio spazio nella storia letteraria italiana del Novecento. Non si tratta di una semplice biografia ma di un’attenta disamina critica dell’opera e della militanza di Virgilia D’Andrea, la quale è stata non solo una letterata ma anche un’importante attivista [...]]]> di Paolo Lago

Francisco Soriano, Claudia Valsania, Virgilia D’Andrea. Una poetica sovversiva, introduzione di Giorgio Sacchetti, Nova Delphi, Roma, 2024, pp. 272, euro 15,00.

È scritta con passione questa monografia su Virgilia D’Andrea di Francisco Soriano e Claudia Valsania, e riesce meravigliosamente a trasferire sulla pagina la passione poetica e politica di una grande scrittrice e poetessa che meriterebbe un ben più ampio spazio nella storia letteraria italiana del Novecento. Non si tratta di una semplice biografia ma di un’attenta disamina critica dell’opera e della militanza di Virgilia D’Andrea, la quale è stata non solo una letterata ma anche un’importante attivista anarchica che ha segnato la storia dell’anarchismo di inizio Novecento. In ogni parola di Soriano e Valsania vibra una forte tensione militante e la stessa scrittura del saggio sembra attingere alla forza poetica di D’Andrea: la sua è infatti una poesia che prende spunto direttamente dalle ingiustizie dei potenti nei confronti dei più deboli. Nata a Sulmona, in provincia dell’Aquila, nel 1888, orfana dei genitori, si trovava in un convento quando nel 1900 Gaetano Bresci uccise il re Umberto I, colpevole di aver decorato il generale Bava Beccaris che aveva ordinato di sparare sul popolo inerme e affamato che chiedeva il pane compiendo una strage. Bresci è stato solo un folle e un criminale oppure è stato spinto da una qualche superiore motivazione? – si chiese Virgilia. E da qui iniziò probabilmente la sua personale presa di coscienza delle numerose violenze inflitte ai poveri e ai diseredati da parte del potere. Nel suo romanzo Torce nella notte, D’Andrea, infatti, non manca di sottolineare l’assoluta insensibilità dei governanti nei confronti delle vittime del terremoto che nel 1915 colpì l’Abruzzo e rase al suolo Avezzano: poverissime frange di popolazione abbandonate a sé stesse nel momento del bisogno ma non certo dimenticate quando si trattava di richiamarle per la leva obbligatoria allo scoppio della prima guerra mondiale per difendere la “patria” (parola che per la scrittrice è la conseguenza di un egoismo collettivo e nasconde “ambizioni di dominio e di sfruttamento”). Virgilia D’Andrea, successivamente, entrò a far parte dell’Unione sindacale e si dedicò all’attività di sindacalista, insieme al suo compagno, Armando Borghi, uno dei leader del movimento anarchico, collaborando a “Umanità Nova”. Venne perseguitata e arrestata e, dopo l’avvento del fascismo, dovette riparare in Germania, in Olanda, a Parigi e, infine, negli Stati Uniti dove morì nel 1933.

Il saggio si compone di diversi capitoli che costituiscono varie finestre sulle opere e sull’attività letteraria e militante di Virgilia: molti di essi sono dedicati a personaggi che hanno rivestito un’importanza fondamentale nel suo percorso politico, come Pietro Gori, Ottorino Manni, Sante Pollastro, Michele Schirru. Un capitolo del libro è dedicato a una interessante disamina della rivista “Veglia”, fondata da Virgilia D’Andrea nel 1926 e da lei diretta: si può notare che un periodico fondato e diretto da una donna è sicuramente qualcosa di non comune per l’epoca. Soriano e Valsania analizzano in modo filologico e preciso gli interessanti articoli presenti negli otto numeri di “Veglia”, firmati anche da importanti attivisti e letterati. Il primo numero della rivista è caratterizzato da un editoriale firmato dalla stessa Virgilia, dal titolo Braciere ardente, che poi andrà a costituire un capitolo del romanzo Torce nella notte: “Il testo racconta del momento in cui l’anarchica vede nascere intorno a lei, nei suoi compagni di esilio, l’idea di una rivista mensile che fosse «la eco di tutte le nostre voci» e insieme lo spazio strappato al buio per essere restituito all’«Ideale», segnando così il primo passo per la nascita di «Veglia»”. Sempre nel primo numero è presente anche un articolo del pittore e architetto futurista Vinicio Paladini, dal titolo L’influenza dell’anarchia nell’arte, firmato con lo pseudonimo Vasco dei Vasari. La grande arte, per l’autore dell’articolo, è data dall’indipendenza degli artisti da qualsiasi forma di potere, in aperta opposizione agli accademismi di ogni tipo sottoposti alle logiche di controllo che lo stesso potere esercita: ecco allora – tra gli altri – grandi artisti come Corot, Millet, Cézanne, Degas, Courbet, Manet, Van Gogh che non hanno piegato la testa di fronte alle imposizioni del potere. Il secondo numero di “Veglia” è invece dedicato “ai tragici eventi che riguardarono Sacco e Vanzetti” mentre risulta interessante, fra i molti analizzati da Soriano e Valsania, un altro testo scritto da Virgilia D’Andrea presente nel n. 6 di “Veglia”, intitolato Adolescenza luminosa e dedicato a Anteo Zamboni, il quindicenne che nel 1926, a Bologna, attentò alla vita di Mussolini e venne catturato da Carlo Alberto Pasolini, ufficiale dell’esercito padre di Pier Paolo Pasolini. Sempre nel n. 6 risulta interessante la presenza di una poesia firmata da “uno sconosciuto consigliere comunale di Ravenna” dal titolo Imprecazione poetica contro i ricchi nei giorni di loro maggiore esultanza: si tratta della prima stesura di un componimento di Lorenzo Stecchetti (alias Olindo Guerrini), poeta scapigliato e realista, che molto ricorda le taglienti rime del più famoso Canto dell’odio. A Sacco e Vanzetti è poi dedicato anche l’ultimo numero, il n. 8, che reca in copertina un’inquietante illustrazione (riprodotta insieme ad altre in appendice al volume) in cui vediamo la Statua della Libertà che, invece della fiaccola, tiene una sedia elettrica nel suo braccio levato al cielo (ancora più inquietante dell’immaginario kafkiano che, in Amerika, rappresentava il braccio alzato recante una spada).

Nel capitolo intitolato “Richiamo all’anarchia”, Soriano e Valsania si concentrano sull’importante attività di conferenziera di Virgilia D’Andrea: in Chi siamo e che cosa vogliamo, conferenza tenuta a New York il 20 marzo del 1932, “Virgilia ben argomenta la sua idea di anarchia laddove sfida chi afferma che senza un governo, una legislazione, una repressione non può esistere l’ordine”. Interessante è ricordare come la poetessa e attivista ritrovi nella storia della letteratura un pensiero anarchico ante litteram, addirittura a partire dall’Iliade, laddove il personaggio di Tersite, emarginato e deforme, si scaglia contro gli dei e contro qualsiasi forma di potere. Fino a Shakespeare, Cervantes, Victor Hugo, Zola, per giungere poi agli autori prediletti Carducci, Pascoli, Rapisardi, Ada Negri e Pietro Gori, incontriamo personaggi spinti da una sorta di spirito anarchico, ribelli e indomabili, personaggi che D’Andrea sente vicini e affini alla sua ispirazione. Un’altra conferenza, tenuta a New York il 6 gennaio 1929, è invece dedicata a Pietro Gori: “Con questo intervento-parafrasi sulla poesia di Pietro Gori, l’anarchica mostra tutta la sua magnificenza umana, etica, artistica e letteraria. Scorge nei versi di questo mirabile poeta risvolti di dolcezza ed eleganza difficili da riscontrare in altri scrittori”.

I due studiosi si concentrano poi sull’attività poetica di D’Andrea analizzando alcune significative poesie appartenenti alla raccolta Tormento la cui prima edizione uscì nel 1922 con una prefazione di Errico Malatesta: “I testi poetici di Tormento rappresentano un chiaro esempio di poesia civile, non riconducibile tuttavia a uno specifico canone, partorito in una cornice storica dominata da autoritarismi e sistemi di governo che non esitavano a utilizzare metodi violenti per reprimere le libertà di pensiero e di parola”. Successivamente, incontriamo l’analisi di alcuni saggi politici e letterari dell’autrice: in I “bravi” sulla fossa di Manzoni, D’Andrea afferma che Manzoni, con il personaggio di Renzo, ha dato vita alla voce del popolo perennemente oppresso; in Perché cercate il vivente tra i morti?, dedicato a Giacomo Matteotti, “Virgilia apre la sua narrazione immaginando di ripercorrere quanto accaduto a Matteotti nel momento dell’omicidio e il dialogo con i suoi assassini”.

Il capitolo finale è dedicato al sodalizio culturale, affettivo e umano fra Virgilia D’Andrea e Armando Borghi fino alla scomparsa di lei, avvenuta a New York nel 1933 a causa di una grave malattia: unendosi a lui, Virgilia si immedesimò nelle battaglie che egli portava avanti in seno al movimento sindacale e trovò un sincero compagno di ideali e di lotta. Nelle parole dello stesso Borghi, la scomparsa di Virgilia D’Andrea lasciò un vuoto incolmabile nel movimento anarchico e nella cultura letteraria e poetica. Virgilia D’Andrea non va dimenticata, anche e soprattutto oggi, in questi tempi di buio e d’incertezza. Il bel volume di Soriano e Valsania, con passione e vera militanza culturale, ci aiuta a tenerla viva: lei, la sua lotta e la sua opera.

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Una cronaca di lotta proletaria dall’isola del ferro https://www.carmillaonline.com/2020/09/02/una-cronaca-proletaria-dellisola-del-ferro/ Wed, 02 Sep 2020 21:00:03 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=62521 di Sandro Moiso

Alessandro Pellagatta, Cronache rivoluzionarie a Portoferraio. I comunisti internazionalisti e la lotta del proletariato elbano contro lo smantellamento degli altiforni (1944-1951), Quaderni di Pagine Marxiste, Milano 2020, pp. 96, 8 euro

Non molti di coloro che oggi visitano l’isola d’Elba per una vacanza più o meno lunga possono sapere o anche soltanto lontanamente immaginare le lotte, nei settori minerario e siderurgico, e la composizione sociale proletaria che ne hanno caratterizzato la storia fin dall’Ottocento. Tutti intenti a rimirare le sue spiagge oppure le ville napoleoniche, i turisti, anche quelli virtualmente di sinistra, ignorano una storia caratterizzata, [...]]]> di Sandro Moiso

Alessandro Pellagatta, Cronache rivoluzionarie a Portoferraio. I comunisti internazionalisti e la lotta del proletariato elbano contro lo smantellamento degli altiforni (1944-1951), Quaderni di Pagine Marxiste, Milano 2020, pp. 96, 8 euro

Non molti di coloro che oggi visitano l’isola d’Elba per una vacanza più o meno lunga possono sapere o anche soltanto lontanamente immaginare le lotte, nei settori minerario e siderurgico, e la composizione sociale proletaria che ne hanno caratterizzato la storia fin dall’Ottocento.
Tutti intenti a rimirare le sue spiagge oppure le ville napoleoniche, i turisti, anche quelli virtualmente di sinistra, ignorano una storia caratterizzata, dall’unità d’Italia in avanti fino agli anni Ottanta del XX secolo, prima, dallo sfruttamento della forza lavoro coatta dei detenuti nelle saline (nella rada di Portoferraio) e nelle miniere di ferro a cielo aperto (tra Rio Elba e Rio Marina) e, successivamente, di una forza lavoro “libera” seppur coatta, proveniente in gran parte sia dal Nord che dal Sud dell’Italia, nelle miniere di ferro della zona di Capoliveri e del suo monte Calamita e negli stabilimenti siderurgici dell’ILVA di Portoferraio.

Certo molti conoscono la storia “antica” dello sfruttamento del ferro elbano sia da parte degli Etruschi che dei Romani, ma nessuno (o quasi) ricorda un’epoca in cui la presenza anarchica e comunista segnò le politiche e le iniziative dal basso di una popolazione che per secoli ben poco ebbe a che fare con il mare e con il turismo. Turismo, prima di élite (negli anni Sessanta e Settanta) e poi di massa (a partire dagli anni Ottanta), che con il suo illusorio benessere ha stravolto non solo il paesaggio ma anche il tessuto sociale (e politico) della terza (per grandezza) delle isole mediterranee italiane.

Ricordare qui gli episodi che caratterizzarono le lotte a cavallo tra XIX e XX secolo, in particolare il lungo sciopero del 1911, oppure figure come quella di Pietro Gori e, successivamente, dei numerosi antifascisti elbani, sarebbe troppo lungo.
Per questo motivo la seconda edizione del testo di Pellagatta, riveduta e ampliata in maniera significativa rispetto a quella del novembre 2005, è già di per sé utile al fine di rammentare al lettore quelle vicende passate e i personaggi che ad esse contribuirono.

Ma il testo, che si dilunga particolarmente sul periodo 1945-1951, ha il suo punto di forza (e forse di attualità) proprio nel raccontare le lotte condotte nel secondo dopoguerra dal proletariato elbano per impedire la chiusura degli altiforni di Portoferraio che avevano costituito, dalla loro apertura fino alle distruzioni del secondo conflitto mondiale, una linea di produzione importante della società ILVA, che prendeva il nome (lo ricordino ancor oggi gli operai impegnati nelle lotte odierne negli stabilimenti della stessa società di Taranto e di Genova) proprio da quello più antico dell’isola più grande dell’arcipelago toscano.

“Dopo la fine del primo conflitto mondiale il mancato adeguamento degli impianti rilevati dalla società ILVA, le mutazioni della domanda interna, la crescente concorrenza di altri stabilimenti e gli scontri al vertice della borghesia industriale portarono a un declino lento ma costante degli altiforni di Portoferraio. I pesanti bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale contribuirono a rendere inutilizzabile il complesso industriale.
Nel 1945 l’attività industriale a Portoferraio è praticamente ferma. Se inizialmente ciò è dovuto principalmente agli effetti dei danneggiamenti bellici, questi poco a poco finiscono per rappresentare di fatto un alibi teso a rafforzare una serie dis celte politiche miranti allo smantellamento degli impianti siderurgici.”1

E’ proprio dalla volontà di smantellare definitivamente gli impianti che prende avvio un ciclo di lotte che, seppur sconfitte, ebbero almeno il merito di segnalare non solo la protervia imprenditoriale, sorda a qualsiasi domanda proveniente da maestranze già duramente provate dalla guerra e dalle politiche fasciste, ma anche la fine di qualsiasi possibilità di fare affidamento su una risoluzione governativa e parlamentare della crisi. Non solo, ma anche quello di far venire pienamente alla luce la politica sostanzialmente collaborazionista del PCI togliattiano e dei sindacati.

A svolgere la funzione della voce fuori dal coro fu appunto la rappresentanza significativa di militanti del Partito comunista internazionale, di tendenza bordighista, che tenne alto il vessillo dell’iniziativa proletaria e rivoluzionaria nei confronti dei padroni, dello Stato e dei suoi finti avversari democratici di sinistra. Ed è questa la parte del libo che oggi, come non mai, può far riflettere sulle voci disperse di una tradizione rivoluzionaria che sia il PCI di Togliatti che la successiva sinistra extraparlamentare degli anni Settanta contribuirono a rimuovere dall’orizzonte del discorso politico e dell’iniziativa operaia in Italia.

Ma un altro discorso che è sotteso a quello principale è quello di un conflitto imperialista che, pur nelle ridotte dimensioni dell’isola, fu vissuto in tutte le sue sfaccettatura più infernali per la popolazione civile. Dall’affondamento di un traghetto di collegamento con l’isola ad opera di un sommergibile britannico, ai bombardamenti, prima anglo-americani e poi tedeschi dopo l’8 settembre, su Portoferraio e i suoi stabilimenti che causarono non solo la distruzione degli altiforni ma anche di una parte significativa del porto e del centro storico della ‘capitale’ elbana, con centinaia di morti tra i civili. Non ultimi, infine i morti, le violenze e gli stupri, che i si verificarono sull’isola dopo lo sbarco delle truppe ‘liberatrici’ francesi.

Fu in questo contesto di sofferenze che si sollevò la voce e la protesta dei lavoratori elbani e delle loro famiglie. Inascoltate e sconfitte, grazie anche ad un apparato politico e sindacale che già da tempo aveva scelto la via dell’unità e dell’interesse nazionale rispetto a quello proletario che avrebbe invece dovuto difendere. Unica voce diversa, appunto, quella di quei militanti che non avevano tradito la tradizione rivoluzionaria di Livorno nel 1921 e che ancora nei primi giorni dopo l’8 settembre avevano caratterizzato la stampa distribuita lungo il litorale tirrenico toscano, caratterizzata dagli evviva per il Pcd’I e Bordiga (volantini e fogli oggi conservati presso la Biblioteca Franco Serantini di Pisa), provenienti dalla base di un Partito che ancora doveva digerire la svolta di Salerno.

La vecchia Sinistra Comunista parlerebbe ancora oggi delle “lezioni delle controrivoluzioni” da cui apprendere gli insegnamenti per le lotte attuali e future. Basti appunto pensare alle lotte odierne all’ILVA di Taranto e alle speranza riposte in un suo salvataggio, riconversione o adeguamento alle norme sull’inquinamento industriale. Autentiche fanfaluche con cui i governi, i partiti politici e i sindacati asserviti continuano a riempire le orecchie e le teste degli operai coinvolti.

Ma infine anche un grido d’allarme per chi nella chiusura degli stabilimenti inquinanti crede di vedere la via principale per la risoluzione del problema ambientale.
L’isola d’Elba è lì a dimostrarlo, ancora oggi, con lo stravolgimento edilizio del suo panorama, con l’inquinamento del suo mare a causa di scarichi fognari insufficienti e sversamenti di navi e petroliere, con la velenosità dei fumi provenienti dalla vicina Piombino (dove gli stabilimenti e gli altiforni furono spostati per poi essere rivenduti in anni recenti a società di ogni nazionalità, risma e tipo di disonestà imprenditoriale) e molti altri problemi che ancora tradiscono, se analizzata da vicino e con più attenzione, la sua immagine da isola dei sogni.

Il testo di Pellagatta, ben documentato e attento, ci è d’aiuto ancora una volta sulla strada del disvelamento di un passato che, purtroppo, ancora non passa. L’eterno presente di un modo di produzione che è già morto ma che ancora cerca di riproporsi come unica soluzione possibile dei mali da esso stesso creati.


  1. A. Pellagatta, Cronache rivoluzionarie a Portoferraio, pp. 31-32  

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