Perfetti sconosciuti – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 30 Apr 2025 21:35:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Dove la terra scotta: intervista a Mauro Gervasini https://www.carmillaonline.com/2016/03/24/29105/ Thu, 24 Mar 2016 21:01:57 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=29105 di Dziga Cacace

Mauro Gervasini, amico e collaboratore di Carmilla, dirige dal 2013 FilmTV, l’unico settimanale italiano che si occupi esclusivamente di cinema. Abbiamo parlato con lui dello stato attuale della settima arte.

d_Ra8LXN_400x400Partiamo con un argomento che a Carmilla sta molto a cuore: esiste ancora un cinema di genere o ormai s’è rimescolato tutto? Esiste, ma il problema è che – specialmente nel cinema americano – alcuni generi sono stati fagocitati dalla tivù. Pensa al noir poliziesco o a quello che un tempo si chiamava “Serie B”, cioè quel [...]]]> di Dziga Cacace

Mauro Gervasini, amico e collaboratore di Carmilla, dirige dal 2013 FilmTV, l’unico settimanale italiano che si occupi esclusivamente di cinema. Abbiamo parlato con lui dello stato attuale della settima arte.

d_Ra8LXN_400x400Partiamo con un argomento che a Carmilla sta molto a cuore: esiste ancora un cinema di genere o ormai s’è rimescolato tutto?
Esiste, ma il problema è che – specialmente nel cinema americano – alcuni generi sono stati fagocitati dalla tivù. Pensa al noir poliziesco o a quello che un tempo si chiamava “Serie B”, cioè quel cinema col coltello tra i denti, fatto con budget risicati ma che era la palestra e il luogo della sperimentazione per un sacco di registi… ecco, quello oggi lo trovi nelle serie televisive, meno sul grande schermo.
Per il poliziesco il problema è cominciato negli anni Ottanta. Se penso a cos’è stato il poliziesco negli anni Settanta, c’è da mettersi le mani nei capelli. Vale anche per la fantascienza… forse l’unico genere cinematografico che può permettersi qualche sperimentazione è l’horror, che ha un andamento ciclico: l’horror estremo intanto non può andare in televisione. Poi in questi anni c’è stato un boom di certo horror francese, titoli come Martyrs, a Frontiere(s), tutti film abbastanza tosti… e devo dire che mi capita ogni anno – soprattutto grazie al festival di Torino – di vedere due o tre film horror che mi fanno alzare un sopracciglio… penso a Babadook o allo strepitoso It Follows, grandissimo.
Essendo un genere antitelevisivo, ecco, l’horror resiste. Certo, poi in tivù ci sono The Walking Dead o The Strain di Guillermo Del Toro, ma questo mi pare un genere che ha ancora cartucce da sparare e che non è stato ancora dissanguato. In crisi, invece, è – come dicevo – il poliziesco americano. Per fortuna che c’è ancora il noir francese, che ha una sua dignità e distinzione rispetto al genere televisivo. Un film come Le resistance de l’air è un ottimo polar, fatto e finito.
Il problema vero è che Hollywood lavora moltissimo sui brand consolidati. Adesso avremo un nuovo Alien. Una saga che ha 35 anni… cosa si può aggiungere di nuovo, a quel film?

Dicevi della tivù: ecco, possiamo considerare le serie televisive una nuova forma di racconto cinematografico?
Assolutamente no! Sono una cosa diversa, e vanno valutata per quel che sono: un campo da gioco differente con linguaggio e regole differenti. Ce ne sono di strepitose e anche di bruttissime ma insomma reputo fuorviante e anche un po’ pretestuoso questo dibattito sulle serie che stanno soppiantando il cinema.
C’è piuttosto un discorso da fare sul cinema americano che sta vivendo una profonda crisi identitaria, dovuta appunto al fatto che molti generi che erano tipicamente hollywoodiani sono stati demandati a una produzione di tipo televisivo, ma questo è ben diverso dal dire che le serie tv sono il nuovo cinema.

Presenza di ganci narrativi a profusione, trame orizzontali distese, ritmo continuo… la tivù sta cambiando comunque il linguaggio a cui siamo abituati? E cambierà anche come raccontare sul grande schermo?
I linguaggi sono diversi ma naturalmente si compenetrano e dal punto di vista narrativo ci sono stati sicuramente nuovi stimoli. Più che altro sono e saranno una componente sperimentale. Perché le serie hanno nella sceneggiatura il vero punto di forza.
Prendiamo i Soprano – la serie che io ho preferito: ricordo delle sequenze strepitose, ma è il testo la cosa più sconvolgente, l’elaborazione narrativa… Se vogliamo da questo punto di vista c’è un rapporto molto stretto tra cinema e tv, e penso al lavoro di Aaron Sorkin, però qual è la differenza? Nelle serie di David Chase ogni puntata viene diretta da un regista diverso, ma la serie rimane di David Chase.
The Social Network e Steve Jobs, sono due film interamente scritti da Aaron Sorkin ma il primo, girato da David Fincher, è un gran film, mentre il secondo asseconda in modo più fedele Sorkin e dal punto di vista cinematografico è molto meno interessante.

Anche dall’altra parte dello schermo sta cambiando la percezione: si vedono sempre più film in televisione, sul computer, sui tablet. Come crescono le nuove generazioni di spettatori?
Allora, bisogna stare attenti ai luoghi comuni: la maggior parte degli spettatori che si recano al cinema, in sala, ha meno di 25 anni. Il vero problema è la generazione dai 40 anni in su, che si è impigrita.
Il pubblico di massa più giovane comporta anche il successo di un cinema tagliato su quel gusto. Fa fatica il cinema più classico, più adulto e che magari ha una seconda vita in sale d’essai, nei cineforum… la filiera è lunga, per fortuna.
18655Il consumo su piccolo schermo ha certamente portato a una minore attenzione a quello su schermo grande ma è un problema antico. Da spettatore, io ricordo molto di più un film visto al cinema di uno in tivù, ed è raro che mi appassioni a un film visto in televisione – a meno che non sia un classico che magari non posso rivedere su grande schermo, con rammarico.
Ti faccio un esempio: Dove la terra scotta, è un cinemascope di Anthony Mann del 1958. L’ho visto su un 32” con un dvd che rispettava la ratio, un’ottima edizione. Ecco: è un capolavoro di cui mi rimarrà però il dispiacere di non averlo visto proiettato.
Prendi poi l’ultimo Tarantino: è un 70 mm – che non è un formato, attenzione – e se non lo vedi nelle condizioni giuste perdi tutto il lavoro sulla profondità che quella definizione consente…

Come ha reagito il cinema italiano in questi ultimi anni: la crisi ha attivato energie? O date mazzate finali?
Allora: nel 2013 ho fatto un gioco in cui ho chiamato i lettori di FilmTv a votare il loro film italiano preferito dal 2000 in poi. Poi ho ripetuto questo gioco negli anni successivi su altri temi, ma la partecipazione sul cinema italiano è stata veramente straordinaria. Attenzione: chiedevo non solo un voto, serviva anche un testo breve. Il film più votato dei primi 12 anni del secolo è stato Le conseguenze dell’amore di Sorrentino, del 2004; il secondo più votato è stato Pane e tulipani di Soldini, del 2001, con uno scarto veramente minimo. Guarda caso film d’inizio millennio. Pochissimi i film recenti. Forse non rappresenta nulla ma credo che il cinema italiano abbia avuto una forte crisi nei primi anni del Duemila, crisi da cui credo stiamo uscendo solo adesso. C’è grande fermento e disordine. Si continua a fare cinema d’autore e negli ultimi 3, 4 anni, un documentario come Sacro GRA ha incassato più di un milione di euro. Ha vinto a Venezia, certo, ma non è così automatico che questo significhi incassi sicuri. E, ripeto, è un documentario.
Il giovane favoloso, su Leopardi, ha avuto un successo di pubblico inatteso per un film con quella difficoltà, se vuoi.
E secondo me c’è un fermento anche nel cinema più popolare. Penso a Smetto quando voglio, che è una commedia intelligente lontano dalla piattezza di altre commedie banali, piatte. Sono segnali disordinati, frammentati – quest’anno ci sono le sorprese di Lo chiamavano Jeeg Robot o Perfetti sconosciuti – ma, forse anche grazie al successo internazionale di film come La grande Bellezza, c’è finalmente un’attenzione diversa nei confronti del nostro cinema.

FilmTv 2013-39Senti, come sei arrivato alla direzione di FilmTV?
Io ho collaborato a FilmTV nelle sue varie fasi, dal 1998: ero un collaboratore con intensità variabile! Poi tre anni fa mi hanno fatto la proposta di diventare direttore e mi sono resettato nei confronti del giornale: ho dovuto reinventarmi perché la responsabilità e le mansioni sono chiaramente diverse.

E lo hai cambiato molto, FilmTV?
L’ho cambiato, sì. Il mandato era di non stravolgerlo: FilmTV vive di uno zoccolo duro molto fedele, affezionato e consolidato che non avrebbe apprezzato delle rivoluzioni strutturali esagerate, per cui l’ho cambiato un po’ secondo i miei gusti e la mia idea di giornale. Credo anche di averlo semplificato, spero nella migliore accezione del termine.
Noi purtroppo non riusciamo a fare abbonamenti fisici, solo digitali – in crescita, molto – comunque vendiamo tra le venti e le venticinquemila copie settimanali, certificate ADS.

Il web è pieno di appassionati che scrivono di cinema: questi contributi influiscono sul lavoro critico più ufficiale?
Io li chiamo – rubando la definizione a qualcuno che non ricordo! – i cosiddetti saccopelisti della critica, nel senso che purtroppo hanno contribuito a rendere meno autorevole chi scrive di cinema e non lo fa solo a scopo informativo ma anche per fare analisi e critica. Purtroppo è diventata dominante soltanto la cosiddetta “critica impressionista” con questa brevità imposta dai social network, magari con toni accesi, ed è la morte del ragionamento.
Dire se un film sembra bello o sembra brutto è veramente il campo della soggettività più assoluta. Più che critici si diventa tifosi: pensa a La grande bellezza, che sui social è stato visto – e commentato – come una partita di calcio…

Mi stai facendo venire grandi sensi di colpa per le cose che pubblico su Carmilla!
Ah ah! È colpa del Cacace!

Ultima cosa: per una serata ideale, cosa ti regali al cinema?
Ah, non si scappa: I cancelli del cielo… ma oggi voglio consigliare Dove la terra scotta di Mann: recuperatelo, è fantastico!

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Perfetti Sconosciuti, di Paolo Genovese, una nuova puntata del gioco “Nulla è come appare” https://www.carmillaonline.com/2016/03/02/28859/ Tue, 01 Mar 2016 23:03:06 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=28859 di Mauro Baldrati

Perfetti-Sconosciuti-Poster-Italia-01Lo spettatore traumatizzato a vita dal pecoreccio italiano, il sottogenere più deprimente della storia del cinema; oppure da certi film “impegnati”, come quella coppia che rimane sconvolta dal figlio (o era la figlia?) che si fa le canne, e inizia così un processo di analisi delle “colpe” e delle “responsabilità” di genitori: questo spettatore ha introiettato un “grave pregiudizio” sul cinema italiano, che vede come opprimente, quasi minaccioso, e ogni volta che è costretto a uscire di casa per assistere a una proiezione deve compiere uno sforzo psicologico, come se [...]]]> di Mauro Baldrati

Perfetti-Sconosciuti-Poster-Italia-01Lo spettatore traumatizzato a vita dal pecoreccio italiano, il sottogenere più deprimente della storia del cinema; oppure da certi film “impegnati”, come quella coppia che rimane sconvolta dal figlio (o era la figlia?) che si fa le canne, e inizia così un processo di analisi delle “colpe” e delle “responsabilità” di genitori: questo spettatore ha introiettato un “grave pregiudizio” sul cinema italiano, che vede come opprimente, quasi minaccioso, e ogni volta che è costretto a uscire di casa per assistere a una proiezione deve compiere uno sforzo psicologico, come se dovesse sottoporsi a una punizione. Pregiudizio sbagliato, ovviamente, come tutti i pregiudizi, che sono fondati sulla generalizzazione. Tuttavia quando parte l’ordine di andare a vedere questo film uscito da poco, Perfetti sconosciuti, viene immediatamente assalito da quello stato psichico che a Bologna chiamano “coccolone”. Per di più commette l’errore di sbirciare nella trama: “Eva e Rocco sono una coppia di mezza età che invita a cena a casa loro i propri amici: Cosimo e Bianca, Lele e Carlotta, e Peppe. I padroni di casa sono ormai da tempo in crisi, situazione a cui contribuisce anche il rapporto con la figlia adolescente, la seconda coppia è invece formata da novelli sposi, i terzi hanno anche loro i propri problemi mentre l’ultimo, dopo il divorzio, non riesce a trovare nè un lavoro nè una compagna stabile.”.

No. Un altro film italiano esistenziale, con le famiglie e tutto il resto.
Per favore, ridateci Non aprite quella porta.
Restituiteci La cosa.
Rivogliamo La notte dei morti viventi.

E quando arriva davanti al cinema, con una fila tremenda alla cassa? Si chiude lo stomaco. Qua bisogna distendersi sul tavolo operatorio, come diceva il vecchio Henry Miller, e tirare fuori le budelle.

In realtà la fetta maggioritaria della fila è per Hateful Height, che ancora tira. Però il gioco si fa duro quando entra in sala, che è piena, per cui bisogna sdoppiarsi: uno qua, l’altra là, solo posti singoli. Un senso di soffocamento incombe. Sicuramente gli spettatori parlano, ridono, commentano, e mangiano secchioni di pop corn. E’ qui il vero psico-horror, altro che Freddy Kruger.

Per fortuna non accade nulla di tutto questo. Niente pop corn. Telefonini spenti. E niente chiacchiere, anche perché i dialoghi sono impegnativi e non bisogna distrarsi. Solo qualche risata, condivisibile, perché alcune battute e situazioni sono davvero comiche, di una ironia garbata ma graffiante.

Appunto, i dialoghi.
All’inizio sembrano abbondare un po’ in banalità, ma è la restituzione verosimile della banalità dei dialoghi reali, quando tutti abbiamo uno schermo, una maschera, e si parla senza dire nulla.

Lo spettatore, che ormai ha accettato il suo destino, non ci mette molto a farsi catturare da quel flusso di parlato, che scorre in una perfetta sceneggiatura che riserva a tutti i protagonisti, seduti al tavolo della cena, uno spazio equivalente, armonico nella loro diversità.

E nei loro segreti. Infatti, quando parte la proposta di un gioco che consiste nel mettere sul tavolo i telefoni cellulari col viva voce, per cui ogni segretuccio sarà svelato, tutti nicchiano, ma alla fine accettano.

E qui inizia un’altra puntata dell’eterno romanzo globale transgenerico intitolato “Nulla è come appare”. Sembra di essere nelle pagine di Proust, quando scopriamo che dietro gli schermi dell’amante, dell’amico, si nasconde uno sconosciuto. La vita altrui è ignota, non è controllabile, e soprattutto non si può possedere. Mentre i telefoni squillano emergono intensità e segreti che possono incrinare rapporti fondati sul silenzio, sulla reticenza, sul pregiudizio. I rapporti privati dei partner non sono affatto regolati da quell’immanenza confessionale che dovrebbe regolamentare il matrimonio o la convivenza. Sono disarticolati, fuori controllo. Si delineano miserie, sciatterie e volgarità, quando un messaggio o una foto mettono a nudo il lato cosiddetto oscuro.

Ma è davvero oscuro, o è la pretesa esclusività dei rapporti di coppia a stringerli in un abbraccio soffocante, possessivo, punitivo?

Questa e altre domande scorrono nel flusso dei dialoghi, degli equivoci e delle menzogne, in una rappresentazione impeccabile di uno dei generi più complessi e delicati: il canto corale. Nessuno vale meno degli altri, nessuno è trascurato, in un gioco policentrico che riesce nel difficile compito di evitare la banalità, il luogo comune narrativo, il facile artificio per strappare una risata o per riempire un buco imprevisto.

Nel finale bisogna fare attenzione, essere vigili, perché il gioco del “Nulla è come appare” non è solo nella vicenda e nei personaggi, ma nel film stesso. Quando gli schermi si richiudono, i segreti implodono e la maschera ghignante dell’ipocrisia torna a stamparsi sui volti dei protagonisti, l’ultima svolta geniale potrebbe sfuggire allo spettatore distratto.

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