Paul Klee – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 15 Jun 2025 20:00:52 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Ripellino, un magico prosatore https://www.carmillaonline.com/2024/03/18/ripellino-un-magico-prosatore/ Mon, 18 Mar 2024 21:00:08 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=81772 di Paolo Lago

Giuseppe Traina, Primaverile ripelliniano. Su Ripellino prosatore, Mucchi, Modena, 2023, pp. 124, euro 16,00.

La scrittura saggistica di Angelo Maria Ripellino non è semplicemente una scrittura saggistica, come si potrebbe intendere nel senso comune della parola. Una scrittura, cioè, oggettiva, fredda, distaccata, razionale, pacata, sorta dalla scienza accademica e non dal cuore. E direi che di scritture siffatte, all’interno della critica letteraria, al giorno d’oggi ce ne sono anche troppe. È per questo che oggi si fa sempre più forte la mancanza di una penna come quella di Ripellino, grande studioso e slavista, poeta e scrittore, della cui [...]]]> di Paolo Lago

Giuseppe Traina, Primaverile ripelliniano. Su Ripellino prosatore, Mucchi, Modena, 2023, pp. 124, euro 16,00.

La scrittura saggistica di Angelo Maria Ripellino non è semplicemente una scrittura saggistica, come si potrebbe intendere nel senso comune della parola. Una scrittura, cioè, oggettiva, fredda, distaccata, razionale, pacata, sorta dalla scienza accademica e non dal cuore. E direi che di scritture siffatte, all’interno della critica letteraria, al giorno d’oggi ce ne sono anche troppe. È per questo che oggi si fa sempre più forte la mancanza di una penna come quella di Ripellino, grande studioso e slavista, poeta e scrittore, della cui produzione saggistica l’opera più nota è probabilmente Praga magica (1973). Ripellino è sicuramente un magico prosatore, artefice di una scrittura critica evocatrice di dimensioni ‘altre’, una scrittura capace di aprire varchi verso un altrove narrativo e poetico che non può restare imbrigliato nella fredda scrittura critica. Perciò, ogni saggio di questo autore si può leggere come un romanzo o come una poesia, facendo attenzione alle figure di stile e di suono, alle immagini evocate e magicamente rappresentate, come in un rituale sciamanico.

Recentemente è uscito un breve saggio che abbraccia, nei suoi punti essenziali, con attenzione e rigore, l’intera produzione critica e saggistica di Ripellino. Si tratta di Primaverile ripelliniano. Su Ripellino prosatore di Giuseppe Traina, che per la prima volta distende uno sguardo analitico sulle prose del grande slavista siciliano. Come rende noto l’autore nella premessa, dopo questa analisi della prosa ripelliniana, farà uscire un altro studio dedicato all’opera poetica di Ripellino, dal titolo Autunnale ripelliniano. Adesso, sotto il rigoroso e capace occhio analitico di Traina c’è, appunto, la produzione saggistica dello slavista (che, poi, come vedremo, definire Ripellino semplicemente “slavista” è sicuramente riduttivo): la sua critica letteraria, la sua critica d’arte, la sua scrittura politica, la sua critica teatrale lasciando da parte – poiché sicuramente estrinseca ad un discorso incentrato sulla saggistica – la prosa narrativa di Storie del bosco boemo.

Il viaggio nella prosa critica ripelliniana comincia con il già ricordato Praga magica, vero e proprio capolavoro di Ripellino nonché frutto del lavoro e dello studio di una vita. Non è un caso che Traina abbia scelto come titolo del primo capitolo del suo libro, dedicato a Praga magica, “Il flâneur”. Si tratta infatti di un’opera di viaggio, di movimento, di scoperta incessante della città “vltavina” (cioè attraversata dalla Vltava, la Moldava), per utilizzare una definizione dello stesso Ripellino. È quest’ultimo a definire Praga magica come “un libro sconnesso, sbandato, a frastagli, scritto nell’insicurezza e nei mali, con disperàggine e con pentimenti continui, con l’infinito rimorso di non conoscere tutto, di non stringere tutto, perché una città, anche se assunta a scenario di una flânerie innamorata, è una dannata, sfuggente, complicatissima cosa” (Einaudi, Torino, 1973, p. 22). Ripellino è un “flâneur” che, con uno sguardo incantato, si muove incessantemente per Praga e ci conduce alla scoperta dei suoi risvolti più magici e misteriosi, dei palazzi antichi e vetusti – quelle “nere casacce streghesche, sorgenti di maleficio” – dell’arte cupa e meravigliosa che si nasconde nei suoi vicoli, delle arcane vetustà e incantamenti del quartiere ebraico, del Golem, di Rodolfo II e dell’Arcimboldo, degli spettri e delle superstizioni, dei percorsi e delle suggestioni kafkiane. Tra l’altro, Franz Kafka (insieme ad altri autori boemi) è uno dei principali protagonisti letterari del libro che, come altri misteriosi e spettrali personaggi, compare preferibilmente di notte (una frase che ricorre diverse volte, nella narrazione di Praga magica, è infatti la seguente: “Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, Franz Kafka torna a via Celetná, vestito di nero”). Lo scrittore, nelle magiche pagine ripelliniane, diviene egli stesso un personaggio magico. La penna di Ripellino, muovendosi come un Omero o un Apollonio Rodio, inanella i luoghi come perle sulla collana di parole del poeta – come scrive Bertrand Westphal riguardo alla geografia letteraria delle opere antiche. È il suo sguardo a caricare di senso nuovo ogni angolo di Praga, un senso nuovo dominato dalla sua capacità medianica di incantatore.

Traina, giustamente, sottolinea la pluralità di stili e di registri sottesa alla tessitura del libro: alla melanconia spesso infatti subentra una “felice buffoneria e una «condizione clownesca»”. Né si deve dimenticare che Ripellino è un autore per il quale gioca un ruolo estremamente importante l’immaginario circense legato all’attorialità e alla clownerie, alla dimensione spettacolare in senso positivo. Praga magica – secondo Traina – si configura quindi come “un libro-specchio di straordinaria leggibilità: dove l’estro funambolico di certe pagine e la precisione filologica di altre richiamano strettamente i precedenti risultati della saggistica ripelliniana e le meravigliose poesie delle sue sillogi, agglutinandosi in un’immagine da orafo che è squisitamente praghese e rodolfina”.

Il secondo capitolo, intitolato “Il saggista”, prende in esame due saggi di Ripellino: Il trucco e l’anima, dedicato alla cultura teatrale russa del primo Novecento, e Letteratura come itinerario nel meraviglioso, una raccolta di saggi pervasa da uno straordinario senso di unitarietà. Anche in questi saggi-romanzi (in Ripellino la forma saggio è in continua metamorfosi e si dilata inevitabilmente verso altri lidi narrativi), Traina rileva peculiari tratti stilistici dello studioso e poeta, come l’iperbole lessicale, la ricerca del neologismo e le neoformazioni linguistiche, la predilezione per il “sinonimo anticato, da vocabolario”. Tali peculiarità stilistiche conducono la prosa ripelliniana verso il territorio del “barocco del Novecento”. D’altra parte, in questi saggi si trovano diversi “spiragli stranianti aperti sull’oggi, che possiedono, di volta in volta, una valenza «politica» o morale di stampo benjaminiano che ben appartiene al Ripellino maggiore: al poeta, al saggista, al testimone del tempo che ha vissuto”. L’apertura verso sempre nuovi orizzonti nonché il fastidio per il settorialismo accademico che imbriglia gli studiosi esclusivamente ad una disciplina è espresso nell’Introduzione a Letteratura come itinerario nel meraviglioso dove rivendica l’anti-accademismo del proprio lavoro critico: “Fin dall’inizio la slavistica fu da me concepita come evasione dalla «slavistica» e dalle indagini «specializzate» per pochi savi – come inusitata riserva di tesori poetici e pretesto di comparazioni (Einaudi, Torino, 1968, p. 5). Come chiosa Traina, in queste parole troviamo “la scelta dell’anti-accademismo come contravveleno esistenziale e l’opzione per la slavistica come volano d’una vocazione da comparatista sommo”. Ripellino è stato infatti un “comparatista sommo” che, per poter districarsi nell’intricato (allora sicuramente meno di oggi) mondo accademico, ha dovuto imboccare una via di ‘specializzazione’.

Il capitolo successivo di Primaverile ripelliniano è dedicato al “critico delle arti visive” e viene quindi analizzata la raccolta di saggi dal titolo Il sogno dell’orologiaio, curata da Alfredo Nicastri nel 2003. Anche i saggi di critica d’arte sono pervasi della magia lessicale e stilistica che avvolge le parole del Ripellino critico letterario: un ingrediente “inconfondibile” che, in questo caso, “rivela particolarità retoriche, sintattiche e prosodiche che lo arricchiscono”. Anche da un punto di vista tematico e contenutistico, lo studioso utilizza spesso le opere d’arte analizzate come uno specchio nel quale rivedere ciò che gli sta più a cuore come, ad esempio, nel caso di Paul Klee: “Nelle opere di Klee Ripellino ritrovava uno specchio delle proprie predilezioni: la presenza dell’opera buffa, della clownerie, del teatro, anche di marionette”. Un articolo dedicato a Chagall, invece, ripropone un andamento diaristico ed autobiografico caro allo studioso. Qui, Ripellino passa con straordinaria disinvoltura dal ‘fuori’ al ‘dentro’ di un quadro del pittore russo: come scrive Traina, “la descrizione della folla che s’assiepa alla mostra trapassa analogicamente nell’ecfrasi della folla che popola i dipinti di Chagall”. Ripellino critico d’arte – pensando che l’arte sia inscindibile dalla letteratura – diviene poi anche poeta e inserisce nei suoi excursus critici delle poesie dedicate ai suoi amici artisti Dorazio e Perilli.

A chiudere il saggio di Giuseppe Traina incontriamo un capitolo dal titolo “Il reporter”, dedicato agli articoli raccolti prima in I fatti di Praga e poi in L’ora di Praga, nei quali è possibili incontrare di nuovo lo stile inconfondibile del Ripellino “saggista-poeta e poeta tout court”. Ripellino, qui, seguendo l’urgenza dei fatti praghesi da raccontare nei mesi del 1968, adotta la forma del reportage: rapida, disinvolta, dominata più dai fatti che dalle parole. Sono articoli redatti per “L’Espresso” nei mesi precedenti e immediatamente successivi l’agosto 1968, quando giunsero a Praga i carri armati sovietici. La rabbia e il dolore, negli articoli successivi all’agosto – come scrive Traina – sembrano stemperarsi “in un sentimento più tipico di Ripellino, in una malinconia struggente di cui sente, sia pure a distanza, il riverbero nell’azione residua dei suoi amici praghesi, almeno di quelli che sono rimasti, che non sono riparati in esilio”.

Dulcis in fundo, Primaverile ripelliniano è arricchito da una postfazione di Luigi Weber dal titolo “Necessità di Ripellino”, in cui lo studioso ribadisce la necessità, oggi, di un saggio critico su Ripellino prosatore; un vuoto ben riempito, appunto, dal volume di Traina. Weber sottolinea poi l’importanza ancora maggiore di questo studio poiché va a colmare anche il vuoto dato dalla mancanza di studi critici sulla saggistica e, nella fattispecie, sulla grande saggistica italiana contemporanea. Allora, a fianco di Ripellino possiamo ricordare, fra gli altri, Giuseppe Antonio Borgese, Mario Praz, Giacomo Debenedetti, Cristina Campo, Piero Camporesi, Carlo Ginzburg, dei quali viene tracciato un quadro delle opere più significative. Perché la critica “è l’esercizio più prossimo alla fantasia” e si trova nella libertà straordinaria di penetrare il reale e consegnarlo alla complessità. La critica e la saggistica letteraria, cinematografica, teatrale, artistica dischiudono mondi e immaginari liberati e ciò vale soprattutto per Angelo Maria Ripellino, che scriveva una pagina critica nello stesso modo in cui scriveva una poesia o un racconto. Perché la critica dovrebbe essere sempre creatività, arte, libero immaginario e meno che mai mero esercizio accademico.

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L’arte oltre la mimesi. L’anarchico Fénéon, il Nabis Sérusier ed il Cavaliere azzurro https://www.carmillaonline.com/2015/08/17/larte-oltre-la-mimesi-lanarchico-feneon-il-nabis-serusier-ed-il-cavaliere-azzurro/ Mon, 17 Aug 2015 21:30:54 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=23677 di Gioacchino Toni

arte oltre mimesiL’idea di una pittura basata sulla mimesi della natura, che, nella tradizione europea, si sviluppa a partire dal Rinascimento toscano, giunti a cavallo tra Otto e Novecento, viene contraddetta, se non proprio attaccata frontalmente, su vari fronti. Vengono qui passati in rassegna tre testi che ricostruiscono il pensiero e la pratica di autori e/o artisti che, in un modo o nell’altro, hanno percepito e supportato un cambiamento indirizzato ad una pittura liberata dalla dittatura della natura.

Félix Fénéon, Al di là dell’Impressionismo, Castelvecchi, Roma, 2015, 74 pagine, € [...]]]> di Gioacchino Toni

arte oltre mimesiL’idea di una pittura basata sulla mimesi della natura, che, nella tradizione europea, si sviluppa a partire dal Rinascimento toscano, giunti a cavallo tra Otto e Novecento, viene contraddetta, se non proprio attaccata frontalmente, su vari fronti. Vengono qui passati in rassegna tre testi che ricostruiscono il pensiero e la pratica di autori e/o artisti che, in un modo o nell’altro, hanno percepito e supportato un cambiamento indirizzato ad una pittura liberata dalla dittatura della natura.

Félix Fénéon, Al di là dell’Impressionismo, Castelvecchi, Roma, 2015, 74 pagine, € 10,00

Paul Sérusier, I segreti della pittura, Castelvecchi, Roma 2015, 140 pagine, € 18,00

Vasilij Kandinskij, Else Lasker-Schüler, Franz Marc, Der Blaue Reiter. Il Cavaliere Azzurro: affinità spirituali e poetiche, Castelvecchi, Roma, 2014, 211 pagine, € 22,00

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Fénéon ed il Neoimpressionismo

Presidente: “Il portiere del vostro stabile afferma che ricevete persone di malaffare”.
Fénéon: “Ovvio: non ricevo che pittori e scrittori”.
(Verbale audizione, “Processo dei Trenta”, Parigi 1894)

feneonA cavallo tra Otto e Novecento, Félix Fénéon (1861-1944) rappresenta una figura di un certo rilievo nel panorama culturale francese. Personaggio di poche ma folgoranti parole, come testimonia la serie di quasi mille e cinquecento Nouvelles en trois lignes (Romanzi in tre righe, Adelphi 2009), pubblicata quotidianamente, a partire dal 1906, su Matin. In buona parte si tratta di resoconti di fatti di cronaca, a volte inventati, presentati in forma di altrettanti romanzi brevissimi, di circa centocinquanta battute cadauno, in tre righe: una riga per l’ambiente, una per la cronaca più o meno nera, una per l’epilogo a sorpresa.

“Arrestato a Saint-Ouen un signore sulla sessantina, certo Gallot. Tentava di inoculare ad alcuni soldati il proprio antimilitarismo”.
“All’arrivo a Marsiglia dell’espresso da Parigi, è stato arrestato il fuochista, uomo funesto ai pacchi postali”.
“150 soldati partiti da Rochefort per le manovre sono stati costretti a fermarsi a Cozes. Troppo caldo. E sì che si tratterebbe di truppe coloniali”.

Dal 1886, Fénéon, inizia a sua frequentare gli ambienti anarchici francesi. A causa della promulgazione delle cosiddette “lois scélérates”, votate dal parlamento francese nel biennio 1893-1894, al fine di stroncare la “propaganda col fatto” del movimento anarchico, responsabile di numerosi attentati, Fénéon, nel 1894, si trova alla sbarra per rispondere di affiliazione sovversiva ed associazione a delinquere nell’ambito del “Processo dei Trenta”. Restano celebri alcune sue fulminanti risposte alla corte, come ad esempio quando gli viene chiesto di motivare a presenza di mercurio rinvenuto durane una perquisizione nel suo ufficio:
Presidente: “Voi sapete che il mercurio serve a preparare un pericoloso esplosivo, il fulminato di mercurio”.
Fénéon: “Sì, oltre che per termometri, barometri e altri arnesi”.

Félix_Fénéon_VallottonRilasciato, inizia a collaborare con il periodico “Revue blanche” e, nel 1898, aderisce alla campagna in difesa di Dreyfus organizzata da Émile Zola. Durante gli anni di permanenza presso la rivista, di cui diventa redattore capo, si impegna nella valorizzazione di scrittori come Mallarmé, Apollinaire e Rimbaud. Personaggio scomodo, scrittore, giornalista, Fénéon merita di essere ricordato anche nell’ambito della critica d’arte, in particolare per il breve saggio, di una quarantina di pagine, come nel suo stile del resto, Les Impressionnistes en 1886 in cui supporta la componente “dissidente” che volta le spalle alla stagione impressionista per aprire la strada a quello che, egli stesso definisce “Neoimpressionismo”. Lo scritto, tradotto in lingua italiana e pubblicato da Castelvecchi con il titolo Al di là dell’Impressionismo (2015), è estremamente essenziale, composto da una successione di periodi secchi e fulminei quanto taglienti nella critica e nella presa di posizione. Che uno spirito anarchico appoggi la componente dissidente di un gruppo (artistico, in questo caso), di certo non stupisce, meno scontato il fatto che parteggi per uno stile che richiede rigore, disciplina e cognizione scientifica.
Fénéon, cogliendo una delle caratteristiche innovative principali introdotte dalla pittura impressionista, scrive che nel “loro interesse per la verità che li portava a focalizzarsi sull’interpretazione della vita moderna direttamente osservata e del paesaggio direttamente dipinto, i pittori impressionisti avevano colto da subito la solidarietà reciproca delle cose, prive di autonomia cromatica e suscettibili ai comportamenti luminosi degli oggetti circostanti. La pittura tradizionale considerava invece gli oggetti come idealmente isolati, illuminandoli di una luce innaturale e infelice”. Così come ne coglie la portata innovativa, il nostro è altrettanto pronto a denunciarne il limite tecnico, segnalando l’arbitrarietà della scomposizione impressionista dei colori. “Per le esigenze della causa, si disse che da lontano i colori si fondevano in accordi delicati; ma si trattava troppo spesso di un’affermazione gratuita”. All’arbitrarietà impressionista, sostiene Fénéon, si contrappongono soprattutto i nuovi lavori di Seurat, come ad esempio la Grande Jatte. “Isolati sulla tela, questi colori si ricompongono sulla retina: la mescolanza che si ottiene non è dunque di colori-materie (pigmenti), bensì di colori-luci (…) L’atmosfera è straordinariamente tersa e vibrante; la superficie pare fremere (…) la retina, percependo su di sé l’azione dei distinti fasci luminosi, coglie in rapidissimi avvicendamenti sia i singoli elementi colorati che la loro risultante”.

Signac_ritratto_FénéonLa stesura cromatica utilizzata da Seurat, o dall’amico Signac, si presenta come un fitto retino, realizzato mediante accostamenti di colori primari: è all’occhio che spetta poi il compito di mescolare tali colori. Volendo trovare un precedente storico nella frammentazione dell’immagine, non possono che tornare alla mente le tessere dei mosaici bizantini. Fénéon, pur non parlando di mosaici, coglie questo aspetto frammentato in unità distinte e parla di “picchiettatura da arazzo”.

Mentre la tecnica impressionista mira a rendere l’effetto della transitorietà, si pensi alle tante opere che mettono in scena le vibrazioni dell’acqua, il procedimento divisionista, o neo-impressionista, come lo chiama Fénéon, tende piuttosto a conferire alla scena un senso di sospensione temporale. La portata innovativa di tale tecnica si inserisce all’interno di un processo che marca sempre di più una distanza dalla proposta mimetica in favore di una ricostruzione percettiva della realtà che evidenzia l’arbitrarietà e soggettività della rappresentazione. Nel suo breve intervento Fénéon insiste sulle differenze tecniche tra impressionisti e neoimpressionisti percependo la portata di un cambiamento indirizzato, nel corso del tempo, a raggiungere forme sempre più marcate di autonomia dell’arte, di abbandono della dittatura della natura in favore della “costruzione” di una “natura altra” che si aggiunge alla prima, senza, per forza, imitarla.

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La pittura secondo Paul Sérusier

Seruisier_segreti-della-pitturaIl saggio da poco dato alle stampe da Castelvecchi, insieme allo scritto “I segreti della pittura” di Paul Sérusier, uscito per la prima volta in Francia nel 1921, contiene anche “Vita ed opera di Paul Sérusier”, ad opera dall’amico-pittore Maurice Denis, edito in lingua francese nel 1942 e “Sérusier e la fenomenologia numerica delle forme”, uno scritto di Simona Rinaldi utile alla comprensione del pensiero dell’artista.

Il titolo originale del saggio di Paul Sérusier, “ABC de la peinture”, è per verti versi preferibile alla sua trasformazione in lingua italiana, “I segreti della pittura”, in quanto la denominazione primigenia rimanda alla partizione interna in tre parti (A, B e C) ed allo stesso tempo meglio suggerisce l’intenzione didattica di presentare gli elementi essenziali della pittura.

Nella prima parte, lettera A, l’autore si occupa del rapporto tra “Arte e natura” e di fornire le premesse teoriche fondamentali. In questa sezione Sérusier sostiene che l’arte, se ridotta ad imitazione, si risolve in un mero atto meccanico a cui non concorre alcuna facoltà superiore dell’uomo; si tratterebbe di mera impressione registrata senza che vi sia alcun ricorso all’intelligenza. Con questa premessa l’autore si preoccupa di differenziare la mera registrazione visiva dalla finale “immagine mentale”, degna, invece, di occupare il dipinto. Secondo Sérusier la sensazione procurata dall’oggetto osservato evoca nozioni mnemoniche e, dopo il riconoscimento di tale oggetto, interviene lo spirito che ricorre alle esperienze fornite precedentemente dagli altri sensi. Successivamente entrano in gioco i sentimenti personali, lo stato (variabile) psicologico e fisiologico del soggetto, trasformando così l’immagine visiva “primitiva” in una ben diversa “immagine mentale”. Sempre all’interno di tale sezione l’autore si occupa della questione stilistica argomentando come lo stile individuale si inserisca all’interno di uno “stile universale” invariabile, un linguaggio universale fondato sulla scienza dei numeri primi.
La seconda parte, lettera B, si occupa delle norme compositive focalizzandosi sulle “Buone proporzioni”, intese come fondamento su cui “è costruito il mondo esterno, ivi compreso il nostro corpo”, tali proporzioni, secondo il testo, sono quelle che “riposano sui numeri primi più semplici, i loro prodotti, i loro quadrati e le loro radici quadrate”.
Nella terza parte, lettera C, ad essere affrontata è la Storia del colore. Qui vengono passate in rassegna le stesure cromatiche e le diverse tecniche pittoriche ed in tale contesto si arriva ad accusare il Rinascimento di aver “subordinato i colori ai valori” a causa del suo imporre alla pittura di ispirarsi unicamente alla statuaria greca.

Serusier_-_the_talismanMaurice Denis, in “Vita ed opera di Paul Sérusier”, nel ricostruire la vita e la produzione artistica dell’amico e collega, sottolinea come il mondo artistico francese inizi a distaccarsi con convinzione dal Naturalismo nel 1889: “Che questa evoluzione, o rivoluzione, si collochi sotto l’egida di Seurat, Cézanne o Gauguin, del gruppo di Pont-Aven o dei Nabis; che la si chiami Neoimpressionismo, Sintetismo o Neotradizionalismo, è in ogni caso indubbio che all’epoca abbia rappresentato una svolta nella storia dell’arte, un’apertura verso nuove formule”. Nell’autunno dell’anno precedente, presso il gruppo di Pont-Aven, Sérusier conosce Paul Gauguin ed il dipinto Talismano può essere inteso come prima, decisa, adesione di Sérusier alla poetica antinaturalistica portata avanti da Gauguin. Secondo tale poetica il pittore non deve più sottostare all’imperativo accademico della riproduzione della natura ma, piuttosto, rappresentarla.

Per certi versi le tappe che portano la pittura francese al fatidico 1889 di cui parla Denis, si aprono con il primo soggiorno di Gauguin nella cittadina bretone di Pont-Aven, nel 1886, ove viene a contatto con un gruppo di pittori che sin dagli anni ’60 del secolo, ha scelto di ritirarsi in questa località che pare ancora in grado di offrire suggestioni particolari, estranea com’è alle grandi trasformazioni della metropoli parigina. I paesini bretoni risultano, infatti, ancora caratterizzati da ritmi e stili di vita arcaici. Il gruppo di Pont-Aven si indirizza verso modalità figurative sintetiste grazie soprattutto ai lavori di Gaugin ed Émile Bernard. Le opere da essi realizzate sono contraddistinte dalla mancanza di profondità, da colori innaturali stesi per ampie campiture delimitate da marcate linee di contorno. Le immagini inserite nei dipinti tendono così ad abbandonare il riferimento al fenomeno naturale specifico, per divenire sempre più icone generali.
La fase bretone di Gauguin si interseca in qualche modo anche con l’esperienza del gruppo parigino dei Nabis, “profeti” di una sintesi mistica e totalizzante tra arte e vita. Pur non prendendo mai direttamente parte al gruppo, Gauguin ne diventa stilisticamente un punto di riferimento.

Al gruppo originario dei Nabis, che inizia ad incontrarsi periodicamente su iniziativa di Paul Sérusier, appartengono anche Paul Ranson, Maurice Denis e Pierre Bonnard. A questi si aggiungeranno, successivamente, Edouard Vuillard, Georges Lacombe e Felix Vallotton. Nato sull’onda della sperimentazione dei pittori di Pont-Aven, anche il gruppo Nabis si caratterizza per una resa pittorica svincolata dall’imitazione della natura, fortemente bidimensionale e decorativa, sviluppata attraverso l’uso del colore puro ed il ricorso alla linea di contorno.
Altro riferimento importante per la poetica dei Nabis, oltre al gruppo gruppo di Pon Aven capitanato da Gauguin, è dato dalla cosiddetta Scuola del monastero di Beuron raccolta attorno alla figura di Peter Lenz. Tale esperienza si propone di rivitalizzare l’arte sacra sulla base di una ricerca basata sull’armonia proporzionale da rintracciarsi nella Bibbia. La “geometria sacra”, base della creazione divina, diviene il faro a cui far riferimento nella produzione artistica religiosa del monastero benedettino nell’Hohenzollern. I precetti di tale impostazione sono pubblicati da Lenz nel 1898 nel testo L’estetica della scuola di Beuron, saggio poi tradotto in lingua francese dallo stesso Sérusier.

Anche se la vocazione profetica e visionaria del gruppo dei Nabis fatica ad andare oltre all’affermazione di intenti, la loro pittura tende infatti a ripetersi lungo un medievalismo compiaciuto e decorativo, occorre riconoscere che, tra le diverse anime del Simbolismo, quella dei Nabis, è sicuramente tra le più inclini a distanziarsi dalla tradizione pittorica moderna e ad offrire spunti alle future esperienze artistiche fauve-espressioniste.

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Il Cavaliere azzurro

Der-blaue-reiterIl volume edito da Castelvecchi, oltre a ricostruire la genesi dell’almanacco Der Blaue Reiter (Il cavaliere azzurro), permette di ricostruire il clima culturale di Monaco di Baviera, città che, ad inizio Novecento, accoglie una comunità cosmopolita di pittori, musicisti e letterati votati ad un’espressione lirica di istanze spirituali interiori. Il saggio si apre con la corrispondenza intercorsa, tra il 1911 ed il 1914, tra Vasilij Kandinskij e Franz Marc, dalla quale emergono consonanze e diversità di vedute tra i due artefici dell’esperienza de Il cavaliere azzurro. A tale corrispondenza si aggiunge la serie di cartoline illustrate a mano e lettere inviate, tra il 1911 ed il 1914, da Marc all’amica poetessa Else Lasker-Schüler che contraccambia, tra il 1913 ed il 1915, con lettere visionarie in cui impersona la figura fantastica e misteriosa di un principe (Jussif), protettore della nuova arte. Vengono poi riportati alcuni scritti del primo numero dell’almanacco, la prefazione alla seconda edizione e la premessa al secondo volume stesa da Marc nel febbraio del 1914. Sarà la ben più materiale Grande guerra a bloccare sul nascere l’uscita di nuovi numeri.

L’antologia di scritti proposta dal saggio può essere considerata un contributo alla conoscenza non solo della genesi del famoso almanacco ma di una stagione che ha assistito ad un intenso rinnovamento culturale ed artistico. Dopo un esordio di impronta espressionista, Kandinskij, come diversi artisti del primissimo Novecento, inizia a contraddire il tradizionale legame tra natura e pittura in favore di un’opera concepita come costruzione autonoma da quest’ultima. L’artista inizia a riflettere sul valore autonomo del mezzo pittorico giungendo al celebre Primo acquerello astratto (1910), ove l’immagine sembra quasi liquefarsi, il colore e le forme si sfaldano raggrumandosi o sfilacciandosi in superficie. L’interesse per l’ambito musicale porta Kandinskij a rielaborare la propria pittura a partire dalle riflessioni sulla musica intesa come modello di espressione indipendente dal referente naturale. Per Kandinskij la musica rappresenta un sistema autonomo, interamente costruito sulla specificità dei propri mezzi. È per questa via che l’autore vuole realizzare una pittura interiore, liberata da intendimenti mimetici.

primo acquerello astratto kandinskijNel 1911, a Monaco di Baviera, Kandinskij e Marc fondano il Blaue Reiter, separandosi dalla Nuova Associazione degli Artisti di Monaco sorta nel 1909. Il nome del gruppo – a cui collaborano anche artisti come Gabriele Münter, Alfred Kubin, Auguste Macke e Paul Klee – deriva dalla passione di Kandinskij per il mondo fiabesco dei cavalieri e da quella di Marc per i cavalli, oltre che dalla comune predilezione per il colore azzurro. Le opere presentate dall’almanacco “stanno fra loro in un rapporto di affinità interiore”. Più che di un vero e proprio movimento dotato di un programma preciso, si tratta di un comune tentativo di supportare e spronare le varie tendenze artistiche che, in un modo o nell’altro, a queste date, si rifanno ad istanze spirituali, interiori. “Comincia, anzi è già cominciata, una grande epoca. Un ‘risveglio’ spirituale, un impulso crescente verso la riconquista dell’equilibrio perduto’, la necessità inevitabile delle creazioni spirituali”. Il primo obiettivo del gruppo è quello di “riflettere gli avvenimenti artistici che stanno in diretta connessione con questa svolta e i fatti necessari a illuminarli anche in altri settori della vita spirituale”.

Attraverso accostamenti cromatici, in analogia con la musica, il Blaue Reiter si propone di esprimere, evocare emozioni e sentimenti senza alcun bisogno di aderenza al dato reale. In questa tendenziale mancanza di figurazione, d’altra parte, è possibile ravvisare la differenza anche rispetto alle poetiche espressioniste: mentre queste tentano la via della fuga dalla realtà in favore degli istinti primordiali, gli artisti del Blaue Reiter aspirano ad una sorta di purificazione spirituale, a carattere mistico-speculativo. Nel dicembre del 1911, si tiene la prima mostra del gruppo presso la Galleria Tannhäuser di Monaco di Baviera. Lo scoppio del conflitto bellico contribuisce a porre fine all’esperienza del Blaue Reiter: l’ultima mostra si tiene nel 1914, mentre Franz Marc, poco dopo partito per il fronte, muore nel 1916.

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Immagini inserite nel testo (dall’alto al basso):

– Copertine varie
– Copertina F. Fénéon, Al di là dell’Impressionismo, Castelvecchi (2015)
– Félix Valloton, Ritratto di Félix Fénéon, eseguito per Le Livre des masques di Remy de Gourmont (vol. II, 1898).
– Paul Signac, Ritratto di Félix Fénéon, 1890, olio su tela, 73.5 x 92.5 cm, MoMA, New York
– Copertina P. Sérusier, I segreti della pittura, Castelvecchi (2015)
– Paul Sérusier, Talismano, 1888, olio su tavola, 27 x 22 cm, Musée d’Orsay, Parigi
– Copertina V. Kandinskij, E. Lasker-Schüler, F. Marc, Der Blaue Reiter. Il Cavaliere Azzurro: affinità spirituali e poetiche, Castelvecchi (2014)
– Vasilij Kandinskij, Primo acquerello astratto, 1910, acquerello e china su carta, 49,6 x 61,8 cm, Centre Georges Pompidou, Parigi

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