patto del Nazareno – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 17 Aug 2025 20:00:38 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Brescia tu sei maledetta! https://www.carmillaonline.com/2016/05/27/brescia-tu-maledetta/ Fri, 27 May 2016 20:50:32 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=30726 di Sandro Moiso

morte in piazzaFascism, wherever it appears, it is the enemy”. Philip K. Dick

Valerio Marchi, LA MORTE IN PIAZZA. Indagini, processi e informazione sulla strage di Brescia, a cura di Silvia Boffelli, Red Star Press, Roma 2015, pp. 355, € 22,00

A Brescia il fascismo sembra non essere mai morto. Ciò non soltanto per la contiguità geografica con i cimeli di Salò, l’ultima capitale del fascismo italiano, ma soprattutto per l’eredità di sangue, intrighi e violenze che quella esperienza aveva portato e ha continuato a portare con sé. Come la strage avvenuta in Piazza della [...]]]> di Sandro Moiso

morte in piazzaFascism, wherever it appears, it is the enemy”. Philip K. Dick

Valerio Marchi, LA MORTE IN PIAZZA. Indagini, processi e informazione sulla strage di Brescia, a cura di Silvia Boffelli, Red Star Press, Roma 2015, pp. 355, € 22,00

A Brescia il fascismo sembra non essere mai morto. Ciò non soltanto per la contiguità geografica con i cimeli di Salò, l’ultima capitale del fascismo italiano, ma soprattutto per l’eredità di sangue, intrighi e violenze che quella esperienza aveva portato e ha continuato a portare con sé. Come la strage avvenuta in Piazza della Loggia il 28 maggio 1974 ben contribuì a dimostrare e che in mille forme sembra essere giunta fino ai giorni nostri.

Proprio per questo motivo la riedizione del testo di Valerio Marchi, pubblicato per la prima volta una decina di anni prima della scomparsa dell’autore,1 si rivela ancora particolarmente utile. Non soltanto per riflettere sulla lunga serie di indagini, depistaggi e processi che da quel vile attentato presero il via ma, e forse soprattutto, per la riflessione che l’accurato lavoro di indagine svolto all’epoca dall’autore, oggi arricchito dalla bella ed aggiornata postfazione curata da Silvia Boffelli, costringe a fare sull’uso che di quella strage e della sua immagine e del suo ricordo è stato fatto non solo per ridisegnare i confini del conflitto politico tra le classi, ma anche della memoria collettiva.

Oggi, in tempi di referendum destinati a modificare pesantemente le garanzie costituzionali, in presenza di riforme del lavoro che riportano agli anni precedenti i conflitti degli anni sessanta e settanta la condizione dei lavoratori e dei giovani disoccupati e di criminalizzazione integrale di qualsiasi forma di dissenso che possa far anche solo balenare lo spettro della lotta di classe, si può tranquillamente affermare che quella strategia, troppo semplicemente definita fin da allora come “strategia della tensione”, ha vinto. Momentaneamente magari, come sempre avviene nel ciclo lungo dello scontro tra capitale e lavoro, ma sicuramente per il momento storico che stiamo attraversando. Non solo in Italia, ma a livello europeo.

Che il fascismo più criminale, dalla guerra civile iniziatasi nel 1921 fino agli anni del terrorismo nero oppure delle ben più recenti aggressioni ai giovani profughi riparati nell’Alta Valle Trompia, sia soltanto e sempre uno strumento al servizio del capitale, un tempo agrario ed industriale ed oggi finanziario, lo si poteva facilmente dedurre seguendone il percorso storico e individuale dei suoi rappresentanti palesi ed occulti oppure cogliendo il significato profondo della mancata applicazione di qualsiasi tipo di epurazione reale nelle file della burocrazia statale e dei rappresentanti più compromessi del mondo politico avvenuta fin dai tempi dell’amnistia Togliatti, promulgata con il decreto presidenziale n.4 del 22 giugno 1946.

Quello che, forse, fino ad ora non è mai stato colto nella sua interezza era, e rimane, costituito dal fatto che le strategie di uso della manovalanza fascista e dei servizi , tutt’altro che deviati, erano e permangono di lungo periodo. Periodo talmente lungo da far sì che anche la memoria collettiva possa essere cancellata e manipolata, fino ad essere rovesciata nel contrario di ciò che all’inizio era stata.

Sotto questo punto di vista l’attenzione prestata da Valerio Marchi e dalla “continuatrice” della sua opera, Silvia Boffelli appunto, al modo in cui gli strumenti di informazione e il mondo politico, fin dal primo giorno dell’attentato di piazza della Loggia, hanno presentato e ricostruito i fatti e le responsabilità effettive costituisce forse la parte più importante del libro. Perché il discorso pubblico portato avanti dai media e dai rappresentanti delle istituzioni, da allora in poi, ha contribuito a ridefinire i percorsi della memoria in una maniera distorta e fuorviante che, nella confusa e interclassista iniziativa delle formelle dedicate a tutte le vittime indistinte della violenza “politica”, ha raggiunto proprio a Brescia la sua concreta e piena formalizzazione.

E se si trattasse soltanto delle formelle sulle quali i bresciani e i turisti pongono distrattamente i piedi mentre passeggiano per il centro storico forse non varrebbe nemmeno la pena di parlarne ancora.2 Piuttosto rimane il problema, già sollevato da un vecchio comunista fin dagli anni del secondo dopoguerra3, di un antifascismo istituzionalizzato che “sarebbe stato il più disgraziato e pernicioso prodotto del fascismo”. Questo tipo di antifascismo, che ha definito il fascismo solo in rapporto allo stato liberale e democratico e non in termini di dominio di classe, ha così contribuito, in tempi lunghi quasi quanto gli eoni evocati da Lovecraft nel suoi romanzi dell’orrore, ad assimilare il fascismo a qualsiasi forma di violenza o di azione tesa a spodestare il dominio del capitale sulla specie umana.

In questo modo i morti di piazza della Loggia, quasi tutti militanti politici e/o sindacali, sono stati “affratellati” nelle rievocazioni più recenti ai fascisti caduti per mano della reazione di classe alle loro violenze e agli assassini di Stato dalle mani macchiate di sangue operaio e studentesco. Così l’anarchico Serantini, ucciso dalla polizia a Pisa, è affiancato, nel severo e osceno ordine cronologico del percorso, al commissario Calabresi dalla triste fama. Senza vergogna, impudicamente e con grande strombazzamento di discorsi sentimental-catto-patriottici. Falsi, tutti, come uno spin-off di Beautiful.

L’obiettivo di tale politica del ricordo e dello “strazio” pubblico diventa così quello di piangere gli assassini prezzolati insieme alle loro vittime, accomunando tutti nel grande mare della pietà e dell’interesse della riappacificazione nazionale. Magari quella a cui mirava già l’appello “ai fratelli in camicia nera” rivolta nel 1936 dai vertici del Partito Comunista ai fascisti. E di cui le attuali politiche renziane potrebbero essere il frutto supremo e finale.

Ma non corriamo troppo. Riprendiamo il discorso dal testo, per esempio là dove, sulla base degli studi di De Lutiis e Flamini sui servizi segreti e gli apparati politico-militari dello Stato italiano, Marchi sottolineava come “nell’ambito degli ambienti golpisti italiani, nel 1974 giunge a compimento una sorta di resa dei conti tra due differenti visioni delle strategie eversive da seguire: a confrontarsi sono da un lato quella che Flamini definisce l’«ala golpista radicale», che utilizza massicciamente l’estremismo neo-fascista e opera per instaurare in Italia una dittatura militare,e dall’altro quei settori che, pur utilizzando gli stessi sistemi, considerano questo tipo di regime ormai obsoleto,inadatto a gestire uno Stato a sviluppo industriale avanzato, e che operano attraverso la strategia della tensione per favorire l’avvento di una repubblica presidenziale, autoritaria, saldamente inserita nel modello occidentale non soltanto nel campo delle scelte geo-politiche, ma anche in quello delle forme istituzionali.” (pag.48)

Citando, poi, a conferma un testo di De Lutiis, là dove si afferma, quasi profeticamente, che: “I settori meno rozzi del «golpe invisibile» preparano una soluzione diversa da quella del colpo di stato militare. L’alternativa è un golpe incruento, che dovrà avere caratteristiche di riforma istituzionale e venature «di sinistra». Sarà appoggiato dalla parte più moderna del mondo industriale italiano e tenderà a inserire l’Italia – priva del «pericolo comunista» – in un contesto europeo più efficiente […] E’ il progetto noto come «golpe bianco […] che ha come propugnatori Edgardo Sogno e Luigi Cavallo, ma gode di simpatie in un vasto arco politico […] oltre che l’appoggio determinante della Fiat. Per attuare questo piano è preliminarmente necessario sgombrare il campo dagli ambienti coinvolti nei progetti golpisti più rozzi4 “ (pag.51)

Fin qui, dunque, il discorso sul fascismo e sul suo uso è abbastanza chiaro: manovalanza terroristica buona sia per un golpe un po’demodé, come quello auspicato dai settori più arretrati dell’esercito e delle istituzioni, sia come soggetto su cui scaricare la responsabilità terroristica di una strategia che ha in ambienti più moderni i suoi ideatori che, proprio in nome della difesa della democrazia e dell’interesse nazionale (in realtà sovranazionale e finanziario), chiamano all’union sacrèe tra le classi contro ogni forma di violenza e di opposizione (soprattutto di classe).

Il fatto poi, come i vari processi hanno in seguito dimostrato, che non si sia mai davvero giunti ad una piena resa dei conti “istituzionale”, ma piuttosto ad una sorta di “Patto del Nazareno” ante-litteram e di opportunistica convenienza per le varie parti in causa non cambia di molto il senso del tutto. Se non che “il segreto di Stato” più volte invocato ed utilizzato per impedire, nel corso dei vari processi, di giungere alla piena affermazione della verità e deviarne invece le conclusioni, è oggi ancora estremamente di moda. Una sorta di “per il bene della causa” che tutto deve coprire e giustificare. Confermando così, senza neanche voler troppo stupire i lettori, che il capitalismo non può e non deve processare se stesso. Toccherà ad altri e in altri contesti storici e sociali farlo.

Resta però, sintetizzando forse fin troppo un testo la cui lettura è davvero molto interessante e coinvolgente, un problema in gran parte irrisolto: perché proprio Brescia fu scelta per costituire quasi il centro di una strategia che, comunque, si manifestò e colpì in più parti d’Italia? Come mai il fascismo era, e rimane ancora, così forte in tale realtà? Una realtà in cui lo squadrismo locale (si pensi soltanto al camerata Silvio Ferrari saltato in aria, con la bomba che stava trasportando sul suo scooter, pochi giorni prima della strage) si mescolava, come per certi versi ancora oggi, con le tifoserie calcistiche e gli uomini degli apparati di “sicurezza e disinformazione” oltre che con un tessuto economico ed imprenditoriale che, sia nell’agricoltura che nell’industria, rimpiangevano, e forse rimpiangono ancora, gli anni della repubblica delle camicie nere e del cattolicesimo più retrivo.

via mancini 1 Una realtà, però, fatta anche, all’epoca, di fabbriche e di forti sindacati, di fiducia nella sinistra istituzionale, di un cattolicesimo sociale che costituiva un po’ l’anima della sinistra DC, in cui la presenza della memoria della lotta partigiana, sia di sinistra che cattolica era ancora molto forte e presente. In cui, però, era forse assente un’autonomia di classe che permettesse nella città e nel territorio circostante quelle forme di auto-organizzazione operaia e giovanile che nelle vicina metropoli industriale di Milano non avevano comunque permesso uno sviluppo, in proporzione, altrettanto ampio del fenomeno e della militanza fascista. Costretta, in qualche modo, ad “emigrare” in quel di Brescia dove, evidentemente, si sentiva più sicura e protetta.

Insomma, forse la coscienza sinceramente anti-fascista della città e dei suoi lavoratori aveva trovato nel “semplice” anti-fascismo il suo limite stesso. Antifascismo spontaneo e sincero che si trovò a fare i conti con una delle stragi più odiose della storia d’Italia e, immediatamente, con una reazione delle forze dell’ordine, di una parte delle istituzioni e di alcuni giornali nazionali che miravano a negare da subito le effettive responsabilità. Ma che non seppe andare al di là della denuncia e dell’attesa di una giustizia di Stato e istituzionale che non avrebbe mai potuto soddisfare le aspettative dei famigliari delle vittime e di tutti coloro che al fascismo volevano opporsi. Favorendo così, indirettamente, anche quel progetto di lungo periodo che nelle manifestazioni istituzionali odierne e nelle scelte della Casa della Memoria vede ancora impegnati alcuni dei suoi protagonisti.

Ecco perché, ancora oggi, la maledetta strage di Brescia non può essere trattata soltanto come Storia oppure ridotta a mera vicenda giudiziaria o, ancor peggio, ad innocua memoria della paura e del dolore. Ciò che l’ha prodotta vive ancora oggi. In mezzo a noi e sui nostri schemi televisivi, sui social e nelle campagne forsennate di riforma istituzionale e del lavoro. Vive nel taglio della spesa sociale e nell’uso dei migranti come ricatto o come paravento. Vive nel lavoro sottopagato e nelle violenze impunite delle forze del disordine. Vive nelle aggressioni ai compagni e agli immigrati. Vive e non è ancora affatto morto.francia-scioperi
E se il suo nome è Fascismo, di cognome fa Capitalismo.
Sarà però la specie nel suo insieme a metterli entrambi in definitiva liquidazione.

N.B.
La foto in bianco e nero, sopra riprodotta, riguarda l’assalto di massa alla sede del Movimento Sociale Italiano di via Mancini a Milano, nell’aprile del 1975, quando la stessa fu incendiata e gravemente danneggiata.


  1. Valerio Marchi (Roma 1955 – Polignano a Mare 2006) è stato fondatore della “Libreria Internazionale” di San Lorenzo e interprete del conflitto giovanile oltre che sociologo estremamente attento alle dinamiche attraverso le quali l’informazione mainstream legge e deforma larealtà. Tra le sue opere si vanno ricordate Teppa (Red Star Press), Ultrà. Le culture giovanili negli stadi d’Europa (Hellnation Libri/Red Star Press), La sindrome di Andy Capp. Culture di strada e conflitto giovanile (2004) e Il derby del bambino morto. Violenza e ordine pubblico nel calcio (2005 e 2014)  

  2. L’argomento è già stato affrontato su Carmilla in almeno due occasioni: https://www.carmillaonline.com/2016/05/24/le-formelle-della-memoria-corta-manipolata/
    https://www.carmillaonline.com/2015/06/10/formelle-di-stato/  

  3. Amadeo Bordiga  

  4. G. De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Roma, editori Riuniti 1991, pag.196  

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Il Pattopardo https://www.carmillaonline.com/2015/02/08/il-pattopardo/ Sun, 08 Feb 2015 21:01:30 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=20546 di Alessandra Daniele

pattopardoBerlusconi non aveva più bisogno di Forza Italia. Aveva trovato un partito più efficiente nel curare i suoi interessi: il PD. Da un pezzo non lo si vedeva così garrulo e soddisfatto come all’insediamento di Mattarella sfoderare tutto il suo repertorio, dalle barzellette atroci agli insulti a Rosy Bindi. Ed era nel ruolo dello sconfitto. Che avrebbe fatto in quello del vincitore, un giro di lap dance? In realtà Mattarella era uno dei tre candidati da lui concordati con Bersani nel 2013 e con D’Alema nel 2014. E [...]]]> di Alessandra Daniele

pattopardoBerlusconi non aveva più bisogno di Forza Italia. Aveva trovato un partito più efficiente nel curare i suoi interessi: il PD.
Da un pezzo non lo si vedeva così garrulo e soddisfatto come all’insediamento di Mattarella sfoderare tutto il suo repertorio, dalle barzellette atroci agli insulti a Rosy Bindi. Ed era nel ruolo dello sconfitto. Che avrebbe fatto in quello del vincitore, un giro di lap dance?
In realtà Mattarella era uno dei tre candidati da lui concordati con Bersani nel 2013 e con D’Alema nel 2014. E soprattutto non è Prodi, impallinato ancora una volta proprio dal PD.
Dopo la dissoluzione del PSI di Craxi, a Berlusconi era toccato aprire una bottega politica in proprio, assemblando ferraglia fascistoide d’ogni tipo riverniciata da liberale. Con gli anni, il ruolo di Re Magio che promette Oro, Incenso, e Figa per tutti gli era piaciuto talmente da portarlo quasi a crederci. Succede agli attori migliori.
Berlusconi però ha sempre saputo d’essere un cazzaro, in fondo ha sempre avuto ben chiare le sue autentiche priorità per le quali ha manovrato e s’è lasciato manovrare, s’è battuto e s’è lasciato battere, e delle quali in tempi di crisi economica è tornato ad occuparsi a tempo pieno.
Per quanto le luci della ribalta gli mancassero, le sue aziende mantenevano comunque la precedenza per lui sulla gloria effimera del palcoscenico. Quindi ha interpretato per il PD la parte del mite Papi Emerito finché gli è stata utile.
Abbandonata a se stessa però Forza Italia è andata completamente a puttane, stavolta in senso metaforico. Venuta meno la carica che lo teneva insieme, l’accrocchio di ferraglia s’è sfasciato in un cumulo di detriti consunti dalla ruggine. Mentre Salvini s’espande assorbendo come una spugna tutti i liquami che percolano dalla decomposizione del centro destra.
Berlusconi s’è allora ricordato d’una cosa fondamentale: anche Forza Italia è una delle sue aziende.
E può ancora servirgli.
Così è tornato in campo, ancora una volta. Non perché voglia davvero rompere con Renzi, non adesso, i due hanno ancora bisogno l’uno dell’altro, Berlusconi è il ritratto di Dorian Gray di Renzi, ed è in fondo il suo migliore alleato, visto che tutti gli altri, compreso almeno metà dello stesso PD, non vedono l’ora di poter fare la pelle al loro premier.
Berlusconi è tornato per salvare la sua bottega politica, quel che rimane di Forza Italia, dalle grinfie predaci di Fitto, che ne farebbe il suo personale NCD.
Il patto del Nazareno quindi è oggi sia vivo che morto, sospeso in un fronte d’onda come un gattopardo di Schrödinger.
Chi ne aprirà la scatola ne deciderà il destino.

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Il patto https://www.carmillaonline.com/2015/01/25/il-patto/ Sun, 25 Jan 2015 21:31:14 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=20237 di Alessandra Daniele

RomaE Ponzio Pilato disse agli apostoli: – So che voi siete i suoi seguaci, ma non vi nuocerò. Anzi, vi propongo un patto in suo nome. Il patto del Nazareno. – Il Nazareno chi? – Chiese Pietro, prendendosi un’occhiataccia dagli altri apostoli. – Siamo i suoi discepoli, lo ammettiamo, anzi ne siamo fieri – disse Giovanni – Niente patti. Fai pure crocifiggere anche noi. Sempre come alternativa a Barabba – aggiunse sarcastico. – No, niente primarie. Né altre crocifissioni, per adesso – disse Ponzio Pilato – voglio un accordo. Giovanni scosse la testa, e [...]]]> di Alessandra Daniele

RomaE Ponzio Pilato disse agli apostoli:
– So che voi siete i suoi seguaci, ma non vi nuocerò. Anzi, vi propongo un patto in suo nome. Il patto del Nazareno.
– Il Nazareno chi? – Chiese Pietro, prendendosi un’occhiataccia dagli altri apostoli.
– Siamo i suoi discepoli, lo ammettiamo, anzi ne siamo fieri – disse Giovanni – Niente patti. Fai pure crocifiggere anche noi. Sempre come alternativa a Barabba – aggiunse sarcastico.
– No, niente primarie. Né altre crocifissioni, per adesso – disse Ponzio Pilato – voglio un accordo.
Giovanni scosse la testa, e cominciò a salmodiare invettive apocalittiche.
Matteo lo fermò
– Aspetta, sentiamo cosa propone.
– Ma non possiamo accordarci con lui, con l’Impero!
– Abbiamo una missione di rinnovamento. Le riforme si devono fare con chi ci sta. Ma tu preferisci farti mandare al diavolo da Locusto.
– Tu invece preferisci andarci direttamente, al diavolo.
Matteo allontanò Giovanni con un gesto d’insofferenza, e chiese a Ponzio Pilato
– Quale sarebbe la tua proposta?
– M’interessa diffondere a Roma la vostra nuova religione. Barabba può partecipare come portatore sano. Il vostro monoteismo sarebbe utile per legittimare l’assoluta unicità dell’imperatore, e l’indiscutibilità della sua legge. E per spingere gli schiavi alla cristiana sopportazione.
– Ma sarebbe un tradimento mostruoso del messaggio originale! – Protesto Marco.
– Quale messaggio originale? – Chiese Pietro, beccandosi un’altra occhiataccia.
– Bisogna accettare qualche compromesso per realizzare il cambiamento – disse Matteo – vedrete che alla fine i nostri ideali autentici prevarranno. L’importante è uscire dalla palude dell’immobilismo.
– E calarsi nella palude dell’inferno? Preferiamo morire – disse Giovanni, e uscì con aria di sfida.
Ponzio Pilato lo lasciò andare. Poi guardò gli altri tre.
– Pensateci, e fatemi sapere. Che Dio sia con voi.
– Quale Dio? – Chiese Pietro, prendendosi una scoppola sulla nuca da Marco, che lo trascinò via.
Rimasto solo con Matteo, Ponzio Pilato gli disse
– Non hanno ancora capito che sei stato tu. Credono ancora che sia stato Giuda, e che poi si sia suicidato?
Matteo alzò le spalle.
– Non ha importanza cosa credono, finché gli conviene seguirmi.

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Il riscatto https://www.carmillaonline.com/2015/01/22/il-riscatto/ Thu, 22 Jan 2015 09:19:27 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=20212 di Alessandra Daniele

riscattoPettegolezzi.

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di Alessandra Daniele

riscattoPettegolezzi.

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