Paradiso – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 14 Jun 2025 20:00:29 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Linee di faglia delle guerre civili americane (e non solo) https://www.carmillaonline.com/2020/11/18/linee-di-faglia-delle-guerre-civili-americane/ Wed, 18 Nov 2020 20:00:19 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=63480 di Sandro Moiso

Nell’attuale incertezza politica e baraonda ideologica che circonda l’ancora non risolta questione della dipartita di Trump dalla Casa Bianca, si rende necessario riportare i piedi sulla terra e cercare di indagare da un punto di vista materialista i motivi dello scontro in atto. Al di là dei personalismi e delle personalità (Trump vs. Biden) che sembrano aver dominato fino ad ora nel dibattito statunitense e, forse, ancor di più in quello italiano ed europeo che ha accompagnato la campagna elettorale made in USA ed è seguito ai suoi attuali [...]]]> di Sandro Moiso

Nell’attuale incertezza politica e baraonda ideologica che circonda l’ancora non risolta questione della dipartita di Trump dalla Casa Bianca, si rende necessario riportare i piedi sulla terra e cercare di indagare da un punto di vista materialista i motivi dello scontro in atto. Al di là dei personalismi e delle personalità (Trump vs. Biden) che sembrano aver dominato fino ad ora nel dibattito statunitense e, forse, ancor di più in quello italiano ed europeo che ha accompagnato la campagna elettorale made in USA ed è seguito ai suoi attuali risultati.

Molto si è discusso, prima, durante e dopo la campagna elettorale, della possibilità che una nuova guerra civile potesse sconvolgere gli assetti politici e sociali del paese nordamericano a seguito dei risultati elettorali e, certamente, l’ostinazione con cui il presidente uscente si rifiuta di accettare la sconfitta (ormai ampiamente certificata) potrebbe far pensare che tale ipotesi sia tutt’altro che decaduta.

In fin dei conti, quello della Guerra Civile è un fantasma che si agita nell’anima americana proprio in virtù del fatto che tale evento storico, svoltosi tra il 12 aprile 1861 e il 23 giugno 1865 e che causò dai 620.000 ai 750.000 morti tra i soldati, con un numero imprecisato di civili1, ha costituito l’atto fondante dei moderni Stati Uniti, forse molto di più della Dichiarazione di Indipendenza del 1776 e della guerra che ne seguì con le armate della corona britannica.

Fu un momento di grande trasformazione economica e sociale, di cui, come si è già detto più volte su queste pagine, la liberazione degli schiavi neri fu solo l’ultimo dei motivi, mentre sicuramente il primo fu la trasformazione degli Stati Uniti da paese esportatore di materie prime verso l’impero britannico e l’industria inglese a paese industriale destinato, nel volger di pochi decenni, a superare la produttività di molti paesi europei industrializzatisi in precedenza.
Solo questa industrializzazione poté garantire negli anni successivi quello sviluppo delle ferrovia che avrebbe finito col velocizzare il trasporto di merci e persone, unificando definitivamente un paese che si affacciava sui due principali oceani, distanti tra di loro quasi 5.000 chilometri.
E’ importante ricordare al lettore tutto ciò perché anche lo scontro in atto attualmente ha a che fare con trasformazioni che ancor prima che politiche e culturali, come vorrebbero i raffinati intellettuali alla Saviano (qui), sono economiche e tecnologiche.
Ma procediamo, come sempre, un passo alla volta.

Il Nord all’epoca della rottura era governato, insieme al resto del paese, da un presidente repubblicano, Abramo Lincoln, che fu anche il primo presidente di un partito nato da poco, mentre gli stati confederati erano rappresentati da un partito democratico che all’epoca, e da diverso tempo, rappresentava gli interessi dei grandi proprietari terrieri proprietari di schiavi e dei piccoli proprietari terrieri che, anche con l’utilizzo di una manodopera schiava di numero assai ridotto rispetto a quello delle grandi piantagioni, campavano comunque sull’esportazione di cotone e tabacco verso le industrie al di là dell’Atlantico. Infatti, come aveva avuto modo di affermare Marx già nel 1847 in Miseria della filosofia, la schiavitù del Sud degli Stati Uniti poco o nulla aveva a che fare con quella antica, mentre invece costituiva un moderno sistema di sfruttamento, peraltro indispensabile allo sviluppo del capitalismo manifatturiero inglese ed europeo.

Ma se, da un lato, furono i piccoli proprietari a fornire alle armate confederate il grosso dell’esercito, dall’altro furono spesso gli operai a fornire i contingenti principali dell’esercito unionista. Anche su invito di Marx e d Engels che all’epoca si erano schierati apertamente a favore di Lincoln e della causa dell’Unione, proprio in nome della battaglia contro l’imperialismo inglese e dell’emancipazione della classe operaia, in un contesto in cui il sistema schiavista rappresentava ancora un impedimento al suo allargamento. Non a caso Joseph Weydemeyer, tedesco della Westfalia e aderente alla Lega dei Comunisti fin dal 1846 e che dopo essersi trasferito nel 1851 negli Stati Uniti avrebbe continuato a collaborare a stretto contato con Marx ed Engels, si arruolò in qualità di ufficiale nell’esercito dell’Unione dove combatté per quattro anni nel Missouri.

E’ importante, però, citare anche la voce di un altro collaboratore dei due comunisti tedeschi, trasferitosi negli Stati Uniti nel 1852: Friedrich Adolph Sorge. Nel 1890-91, ripercorrendo le vicende del movimento operaio americano, scriveva infatti sulla Neue Zeit2:

L’agitazione per la questione della schiavitù aveva portato nel 1854 alla fondazione del Partito repubblicano che, nonostante la sconfitta subita alle elezioni presidenziali del 1856, avrà molta influenza negli anni successivi. Senza un chiaro programma, senza un attacco diretto all’istituto della schiavitù, questo partito voleva solo impedire al Sud schiavista di espandersi in nuovi territori e ostacolare l’ingresso di nuovi Stati schiavisti nell’Unione […] nel 1860, dopo una combattiva campagna elettorale, i repubblicani ottennero la maggioranza in tutto il Nord e il loro candidato, Abramo Lincoln, fu eletto presidente degli Stati Uniti[…]
L’influsso di queste lotte sul movimento operaio degli Stati Uniti è indiscutibile, tanto per gli svantaggi che per i vantaggi arrecati. Sia queste lotte che la guerra influirono negativamente sul movimento operaio perché allontanarono l’interesse del popolo, nel senso stretto del termine, dalle questioni economiche e, inoltre, diedero ai politici, sempre pronti a pescare nel torbido, l’atteso pretesto di opporsi alle richieste degli operai richiamandoli a “più alti interessi”. Un altro effetto negativo fu costituito dal forte mutamento della composizione della popolazione operaia, in quanto i lavoratori americani, che si erano arruolati come volontari o che erano stati chiamati alle armi3, furono rimpiazzati dagli immigrati, i quali avevano naturalmente bisogno di più tempo per conoscere la situazione ed iniziare ad avanzare le prime rivendicazioni. Altro svantaggio fu costituito dal peggioramento delle condizioni di vita della classe operaia a causa della forte svalutazione della cartamoneta, che non fu affatto bilanciata dagli aumenti salariali ottenuti dagli operai. Per contro, non ci fu disoccupazione durante gli anni della guerra.
Vediamo i vantaggi. L’enorme e crescente domanda di materiale e di equipaggiamenti bellici, di generi alimentari e di stivali e uniformi rese la forza lavoro una merce molto richiesta. Gli operai poterono così imporre con una certa facilità al padronato migliori condizioni di lavoro. Contemporaneamente furono adottate tariffe protezionistiche. Un grande vantaggio fu dato infine dal fatto che la guerra, risolvendo la questione della schiavitù, spianò la strada alla questione operaia4.

La lunga citazione è importante perché contiene al suo interno sia la visione del movimento operaio tipica della Seconda Internazionale che gli elementi tipici che hanno governato le scelte di buona parte degli operai americani e dei gestori politici della Nazione fino ad oggi. Guai a dimenticarsene!

Gli Stati federati nell’unione furono all’epoca 20, compresi quelli che vi entrarono nel corso del conflitto: Distretto di Columbia-Washington, California, Connecticut, Illinois, Indiana, Iowa, Kansas5, Maine, Massachusetts, Michigan, Minnesota, New Hampshire, New Jersey, New York-Stato di New York, Ohio, Oregon, Pennsylvania, Rhode Island, Vermont, Wisconsin e Nevada (solo dal 1864).

All’epoca gli stati del Nord vedevano impiegati nei propri opifici 801.000 operai contro i 79.000 del Sud, con un capitale investito di 858 milioni di dollari (di cui 445 nell’industria con un valore prodotto di 861 milioni di dollari) contro i 237 (di cui 55 nell’industria con un valore prodotto di 79 milioni) investiti negli 11 stati del Sud: Alabama, Arkansas, Florida, Georgia, Louisiana, Mississippi, North Carolina, South Carolina, Tennessee, Texas, Virginia oltre al Territorio Indiano e il Territorio confederato dell’Arizona.

A tutti questi andavano ancora aggiunti cinque stati cuscinetto formalmente sospesi tra l’una e l’altra fazione: Delaware, Kentucky (il maggior Stato schiavista dell’Unione), Maryland (schiavista), Missouri (schiavista), Virginia Occidentale (separatosi dalla Virginia in quanto filo-unionista seppur schiavista, ammesso ufficialmente a far parte dell’Unione nel 1863). A conferma della presenza della schiavitù anche in diversi stati dell’Unione o simpatizzanti occorre precisare che in quegli stati e in quelli cuscinetto erano presenti circa 443.000 schiavi contro i 3milioni e 522mila detenuti dagli stati confederati. Fine della cavalcata storica e ritorno al presente (più o meno).

Sembra abbastanza chiaro che il conflitto ottocentesco fu sostanzialmente non solo di carattere economico, ma anche di modo di produrre. Altrettanto, occorre dirlo qui ed ora, lo è ancora quello attuale. La vulgata del fascismo e del razzismo contro la democrazia e la libertà possiamo lasciarla ai vuoti chiacchiericci televisivi e giornalistici, se vogliamo davvero comprendere la profondità della faglia che attraversa, come quella californiana, e forse più, di Sant’Andrea, la società americana. Pronta a mettere in moto un terremoto di cui da tempo si possono avvertire le scosse di preavviso.

Nonostante la sconfitta Trump ha visto aumentare di 6 milioni i suoi voti rispetto alle elezioni del 2016 in cui era risultato vincitore, conservando di fatto il predominio in 25 Stati su 50. Joe Biden in compenso non ha ottenuto la valanga di voti afro-americani che tutti si attendevano, ma anzi ha conseguito una perdita importante di appeal presso quella fascia di popolazione. Ottenendo il 75% del voto afro-americano contro l’81% della Clinton e l’87% di Barak Obama. E’ il motivo per cui molti commentatori hanno parlato di rivolo blu piuttosto che di ondata. Mentre Donald Trump ha migliorato la sua posizione tra gli elettori non bianchi. E non solo tra i Latinos anti-castristi di origine cubana della Florida (dove non a caso è tornato a vincere).
Possiamo pensare che il Covid-19 abbia comunque portato una ventata di follia in buona parte dell’elettorato americano ledendone irreparabilmente il cervello (come vorrebbero forse i soliti intellettuali da salotto e da strapazzo di casa nostra) oppure cercare di capire. Materialisticamente e per antica abitudine si sceglie qui di seguire la seconda strada.

Se la mappa degli Stati Uniti durante la guerra civile indicava con il blu gli stati dell’Unione e con il rosso quelli confederati (lasciando in azzurro o grigio gli stati cuscinetto), oggi gli stati rossi e blu, come abbiamo imparato, indicano la maggiore influenza di Trump e del Partito repubblicano (rossi) oppure di Biden e del Partito democratico (blu). Se per la guerra ottocentesca la faglia del colore separava distintamente due tipi di economia (ad esempio i 96.000 stabilimenti industriali del Nord contro i 17.000 del Sud), oggi i due colori separano altrettanto due prospettive economiche diverse.
Una, quella blu, al momento attuale vincente e l’altra, probabilmente e non soltanto elettoralmente, destinata ad essere sconfitta.

Questo non vuol affatto dire che le aree blu siano quelle in cui si sta meglio, considerato che il “New York Times” in un articolo del 30 ottobre scorso sottolineava come fossero state le aree blu ad essere state più gravemente colpite dal punto di vista economico che non quelle rosse6. Secondo il giornale infatti, la recessione seguita alla pandemia è stata più severa in stati come la California o il Massachusetts, che hanno avuto una maggior perdita di posti di lavoro e di conseguenza una più vasta disoccupazione, che non altri come lo Utah o il Missouri. E questo viene fatto discendere da un diverso mix di lavori tra gli stati “democratici” e quelli “repubblicani”. Nei primi l’occupazione è scesa maggiormente nei primi due mesi della pandemia, per poi mantenere un significativo calo dei posti di lavoro fin da giugno (2020).

Non vi sarebbe nemmeno un legame diretto tra diffusione del virus e perdita dei posti di lavoro, poiché se inizialmente il numero di contagi e decessi è stato maggiore in aree blu come, ad esempio, quella di New York, a partire da giugno nelle aree rosse sono aumentati i contagi e da luglio anche i decessi. Così, sostanzialmente, la perdita di posti di lavoro sarebbe correlata a fondamentali differenze tra i tipi di lavoro svolti. Con il record di perdita di posti nei settori del divertimento, dell’ospitalità alberghiere e in quello dei viaggi e della ricreazione. Soprattutto in luoghi come Honolulu, Las Vegas e New Orleans (l’ultima , però, appartenente ad uno stato in cui hanno vinto ancora i repubblicani).

E sono state soprattutto le aree metropolitane a subire il maggior calo occupazionale, mediamente del 10% o più, come Springfield (Mass.) con il -12,9%, Las Vegas -12,4%, New York -11,4%, San Francisco -11,2%, New Orleans -11%, Los Angeles – 10,5%, Detroit -10,5% e Boston -10,1% (anche se la lista potrebbe allungarsi ancora). Tra i settori più colpiti dalla crisi pandemica il 59% dei lavoratori impiegati nell’accoglienza e nella ristorazione, il 63% di quelli dell’arte, dell’intrattenimento e del divertimento, il 66% di quelli impiegati nell’informazione come la pubblicità, il cinema e telecomunicazioni vivono in aree in cui i democratici si sono già affermati nelle elezioni del 2016. Mentre la maggior parte dei settori economici meno colpiti dalla pandemia “economica”, come ad esempio quello manifatturiero e delle costruzioni, cui vorrei aggiungere quello agricolo, si trovano dislocati nelle aree in cui Trump già vinse nel 2016 ( e nei quali si è affermato ancora oggi).

Sostanzialmente la maggior perdita di posti si è avuta in aree metropolitane oppure hub tecnologici dove un certo e non indifferente numero di persone può lavorare da casa. In questo settore, e in particolare per quello finanziario oppure dei servizi professionali, il calo dell’occupazione è stato maggiormente rallentato, ma proprio il fatto dovuto all’elevato numero di lavoratori impiegati in tali settori ha fatto sì che altri settori, nelle stesse aree, come New York o San Francisco, fossero i più colpiti. Ad esempio quello della ristorazione o della vendita al dettaglio, in cui il numero degli occupati è drammaticamente precipitato.

Soltanto un anno prima, però, lo stesso autore citato in precedenza, sullo stesso giornale, scriveva che nelle aree metropolitane blu, più residenti hanno titoli di studio universitari: le 10 grandi metropolitane con il livello di istruzione più elevato hanno votato ciascuna per Hillary Clinton con un margine di almeno 10 punti. I redditi familiari medi sono più alti nelle aree metropolitane blu anche se il costo della vita è più alto in quelle aree. Le aree metropolitane “democratiche” avrebbero avuto infatti un mix di posti di lavoro più favorevole per il futuro, con meno posti di lavoro nel settore manifatturiero, una quota maggiore di lavori “non di routine” più difficili da automatizzare e una quota maggiore di posti di lavoro in settori che si prevedeva sarebbero cresciuti più rapidamente.
Queste misure – istruzione, reddito familiare, costo della vita, lavori straordinari e crescita dell’occupazione prevista – sono fortemente correlate tra loro e con il voto democratico.
Inoltre le medesime aree metropolitane avrebbero avuto una minore volatilità della crescita dell’occupazione. In parte perché i settori legati ai beni come la produzione e l’estrazione mineraria sarebbero più volatili e raggruppati in aree di tendenza repubblicana. Ma, mentre i redditi familiari comparati al costo della vita sarebbero più alti nelle aree metropolitane più blu, i salari confrontati con il costo della vita per una data occupazione sarebbero stati più alti nelle aree metropolitane più rosse7.

Fermiamoci per ora qui, anche se è evidente che qualcosa nella narrazione democratica è andato storto. Sembra pertanto che la differenza di colori sulla mappa delle presidenziali, al di là del radicato repubblicanesimo di diversi stati del Midwest e del West, segua sostanzialmente una linea di faglia tra Nuova e Vecchia economia.
La prima coinvolge la finanza globalizzata e globalizzante, l’high tech, l’information technology, la digitalizzazione di ogni ambito lavorativo e della distribuzione dei servizi e delle merci, dello smart working e dell’atomizzazione di ogni ambito lavorativo con conseguente perdita di qualsiasi dimensione comunitaria o identitaria di classe. Oltre che quella delle produzioni cinematografiche, ma sempre più rivolte alle produzioni seriali destinate ai canali digitali oppure ai videogiochi. Un’economia virtuale in cui anche la maggior parte dei lavori diventa virtuale e precaria. All’interno della quale, però, lo sviluppo della ricerca più di profitti finanziari che scientifica di Big Pharma8 e delle tecnologie rivolte alla diffusione del Green Capitalism svolgeranno una funzione sempre più importante.

L’altra è quella delle industrie manifatturiere, dell’estrattivismo, delle costruzioni tradizionali e dell’agricoltura (anche se una parte significativa del settore dei piccoli farmer degli Stati del West è destinata ad entrare sempre più in conflitto con quello estrattivo a causa dei danni causati dalla pratica del fracking). Settori tradizionali in cui il posto di lavoro è (o era) maggiormente garantito e il reddito medio anche. Un’economia dagli alti costi e scarsi profitti per il capitale finanziario, perché ormai scarsamente competitiva con quella di altre nazioni, più giovani ed aggressive, ma dai salari molto più bassi, che operano negli stessi settori.

Se gli Stati Uniti, secondo questa ipotesi, vogliono mantenere o almeno sfidare la Cina per mantenere il predominio mondiale, non soltanto militare, dovranno sicuramente spostare il loro centro economico sempre più verso la new economy. Trump è stato fautore di dazi, muri e ritiri militari (che nei prossimi giorni saranno portati a termine in Afghanista e in Iraq) per salvare il prodotto nazionale e abbattere i costi e scaricare sugli alleati/competitors i costi di tali operazioni di salvataggio di un’economia in crisi. Ma se questo piace ai suoi sostenitori, non basta alla fame di nuovi profitti del capitale, inteso come macchina implacabile, anche nei confronti dei suoi servitori di più alto grado. Così come agli industriali del Nord del 1860 non bastavano gli 87 milioni di dollari di esportazioni dei loro prodotti contro i 229 milioni delle esportazioni del Sud e della sua economia schiavista.

Ecco allora che sembrano diventare più chiare le linee di faglia e dei colori: e sono tutt’altro che ideali o prodotte dall’ignoranza. Una gran parte dell’elettorato americano, anche in quegli Stati dove i centri urbani hanno contribuito alla vittoria di Biden mentre le aree periferiche hanno continuato a rimanere rosse, non ha nessuna intenzione di entrare nel ciclo del lavoro precarizzato e sottopagato.
Mi vengono in mente, in proposito, le parole spese da Chicco Galmozzi per spiegare le motivazioni degli operai che scelsero l’organizzazione armata negli anni ’70.

La mia opinione personale è che gli operai di Senza tregua9 avessero una visione più realistica e fossero coscienti che la posta immediatamente in gioco non fosse l’instaurazione del comunismo ma una lotta per la sopravvivenza. Si combatte per non morire, per non sparire come soggetto storico. […] Gli operai avvertono con chiarezza la percezione di trovarsi nel pieno di grandi processi di ristrutturazione che comporteranno delocalizzazioni e chiusure di intere fabbriche. Su ciò affiora una divergenza di vedute fra la base operaia di Senza tregua e Toni Negri e Rosso. Per questi ultimi, la fabbrica diffusa e l’operaio sociale sono un passaggio che addirittura allude a una fase e un terreno più avanzati per il passaggio al comunismo, per gli operai di Senza tregua, invece, il rischio che si prospetta è la fine di un mondo, del loro mondo. Per altro, non appare infondato sostenere che se la lotta armata nasce in fabbrica, essa muore con la morte della fabbrica. O, per meglio dire, le sopravvive divenendo altro da sé: la lotta armata si farà eco e prolungamento artificiale, pratica che non corrisponde più alle sue ragioni originarie. La scomparsa delle grandi concentrazioni operaie e del soggetto storico scaturito da queste segnerà la fine di una storia. ( da Chicco Galmozzi, Figli dell’officina. Da Lotta Continua a Prima Linea: le origini e la nascita (1973- 1976), Derive Approdi, Roma 2019, p.136)

Per alcuni lettori questo paragone potrà sembrare scandaloso, eppure, eppure…
La resistenza del mondo del lavoro “tradizionale” all’avanzare delle nuove tecnologie, delle nuove tecniche produttive e delle ristrutturazioni socio-economiche che ne conseguono è una costante della storia fin dall’avvento del capitalismo. Dal tumulto dei Ciompi all’azione disperata di Captain Swing e dei Luddisti contro la meccanizzazione dell’agricoltura, fino al gran numero di piccoli proprietari terrieri del Sud accorsi a difendere gli interessi dei proprietari delle grandi piantagioni di tabacco e cotone, versando il proprio sangue. Oppure quella delle maggiori tribù di nativi americani che nel Territorio indiano si schierarono con la causa confederata. Battaglie quasi tutte perse già in partenza.

Per questo dovremmo forse, da buoni progressisti, felicitarci con il nuovo che avanza ed appoggiarlo?
Quel che è certo è che se non avevamo nulla a che spartire con la vecchia fabbrica-mondo, altrettanto non lo possiamo avere con la trasformazione antropologica, oltre che economica e sociale in atto. Piuttosto, dovremo sempre più essere capaci di osservare, comprendere, denunciare e, dove si potrà, organizzare le contraddizioni che tale potente trasformazione ha già da tempo iniziato a sviluppare. E’ un terreno scivoloso in cui il melting pot tra classi, mezze classi e diverse identità razziali, tutte in via di crescente proletarizzazione, è ancora tutto da realizzare, soprattutto sul piano della visione politica oltre che economica e sociale.

Un territorio in cui, a livello propagandistico e di immaginario soprattutto, gioca molto la questione dei diritti.
La vecchia economia americana privilegia sicuramente i bianchi, anche se rimane ancora il problema di chiedersi perché un gran numero di latinos e il 25% dell’elettorato afro-americano abbiano potuto votare per Trump (ma la risposta è implicita nella domanda stessa).
D’altra parte il trionfo della borghesia e del capitalismo industriale si affermò grazie alla promessa dei diritti per tutti: Libertè, Egalitè, Fraternitè ovvero libertà per la maggioranza di farsi sfruttare una volta sciolti i vincoli della comunità, eguaglianza tra i poveri di accettare le leggi del comando capitalistico e di farsi concorrenza tra di loro e fratellanza degli oppressi nella miseria oppure dei padroni nel processo di accumulazione.
Benvenuti ancora una volta nel mondo libero!

Liberi oggi i lavoratori di cercare un lavoro on line come fattorini e spedizionieri, di accontentarsi della comunicazione digitale sui social e di consumare ciò che le grandi catene di distribuzione, come Amazon (il cui valore azionario è più che raddoppiato nel corso dell’ultimo anno così come quello dei canali televisivi come Netflix), ci procurano da ogni parte del mondo globalizzato.
Paradossalmente un nuovo mondo in cui il modello cinese ha già vinto e che l’Occidente, Stati Uniti in testa, è costretto a rincorrere10.

[…] perché a Dongguan arrivano ogni giorno, dalle sterminate campagne di tutto il paese, migliaia di ragazze? Qui la risposta è più semplice: intanto perché le loro braccia sono le più ambite nel mercato del lavoro cinese, e poi perché una ragazza, in un posto come Dongguan, può realizzare il suo sogno, l’unico apparentemente concesso, in Cina, oggi: fare carriera. Certo le condizioni di partenza sono durissime: turni massacranti, paghe minime, il tempo libero reinvestito nell’apprendimento coattivo di quei rudimenti di inglese senza il quale una carriera non può avere inizio. Ma le ragazze di Dongguan […] sono disposte ad accettare tutto: un nomadismo incessante (per una fabbrica in cui si trova posto ce n’è sempre un’altra che offre di meglio, e in cui bisogna trasferirsi il prima possibile); relazioni personali fuggevoli, ma irrinunciabili, anche solo per le informazioni che ne possono derivare; e una vita interamente costruita intorno al possesso di un unico bene primario, il cellulare (perderlo, in un posto come Dongguan, significa conoscere all’istante una solitudine quasi metafisica)11.

Come afferma ancora Giovanni Iozzoli, in un suo saggio di prossima pubblicazione:

L’Isis propugna una rifondazione radicale dell’umano, esattamente come il capitalismo globalizzato e finanziarizzato. Il Mercato Globale considera le identità pregresse – di mestiere, di territorio, sociali, comunitarie, linguistiche – come zavorre da tagliare, sopravvivenze che ostacolano l’avvento del Consumatore Finale, un Uomo Nuovo senza radici, senza storia, prigioniero di una miserabile tecno-neo-lingua, senza territorio, fisiologicamente migrante – un flusso di desideri indotti fatalmente destinati all’insoddisfazione. Ma questo è precisamente il dispositivo di formattazione dell’Isis: il modello, per chi giungeva volontario nei territori governati dal Califfo, era quello di una radicale spoliazione di identità; non eri più un musulmano bosniaco o francese o indonesiano, con la tua ricca storia linguistica, familiare, etnografica. No, eri un credente “rinato” che come primo atto di fedeltà doveva indossare un abito mentale (e materiale) che ti rendesse indistinguibile e azzerasse la tua biografia.
Il Paradiso – che nella rozza e puerile versione salafita è un luogo di piaceri sensuali da consumare ad libitum – si presenta come un enorme carico di delizie, che ti aspetta dietro l’angolo dell’obbedienza e del martirio.
Allo stesso modo il Paradiso capitalistico: che è sempre un metro più in là, che esige sempre una performance in più, che evoca sempre aspettative di godimento favolose per le quali non sei mai pronto, se non in patetiche anticipazioni surrogate.
Sono due approcci entrambi molto “materialisti”, fondati sulla compravendita del Corpo e l’attesa del Godimento, mediati da una logica puramente mercantile. Dai tutto te stesso – al Califfo o al Mercato – e alla fine riceverai il premio della degnità, della adeguatezza al modello e della materialissima soddisfazione dei sensi. Persino un afflato sinceramente religioso, o un soffio di trascendenza, risultano fuori posto, in questi schemi di scambio.
L’adesione all’Isis – almeno in occidente – è anch’essa il risultato di una opzione individualista, fuori da meccanismi comunitari o da qualche dibattito collettivo. È l’approccio tipico del consumatore contemporaneo, un individuo solo nella sua vacuità, che davanti allo schermo del suo computer sceglie quale “prodotto” sia più adeguato a riempire il vuoto nichilista della propria esistenza. Il “lupo solitario” resta tale dall’inizio alla fine del percorso – quando si connette per la prima volta a una chat o ai siti jhaidisti, fino a quando sceglie di uccidere e uccidersi nelle strade di una metropoli europea.
La Umma virtuale dei desideri frustrati, delle identità fittizie, dell’altrettanto fittizio tentativo di ricostruzione di senso – attraverso la strage e il suicidio – usando solo una tastiera e la disperata pulsione autodistruttiva, oggi tanto in voga12

Eccola lì la trappola della modernità, dei diritti e della new economy che avanza: tutti uguali davanti al capitale, tutti ugualmente sfruttati e sottopagati e tutti (per ora) divisi davanti alla sua presenza sempre più invisibile e alla sua forza sempre più organizzata, ma con la promessa per tutti, parafrasando Andy Warhol, di aver la possibilità di realizzarsi in una carriera di quindici minuti.
Le linee di faglia e di colore americane sono dunque anche le nostre e lo sforzo comune per superare l’orrore quotidiano di un’esistenza che non è più altro che nuda vita, pur sapendo già fin da ora che il nostro posto è altrove, non potrà essere altro che quello di riunire ciò che oggi è ancora diviso e confuso. Ed enormemente incazzato


  1. Secondo una stima la guerra causò la morte del 10% di tutti i maschi degli Stati del nord tra i venti e i quarantacinque anni e il 30% di tutti i maschi del sud tra i diciotto e i quarant’anni, su una popolazione complessiva di circa trenta milioni di abitanti; mentre i due eserciti contarono 2.100.000 soldati per gli stati dell’Unione e 1.064.000 per quelli della Confederazione. Da questo punto di vista, infine, occorre ricordare che nel 1860, un anno prima dell’inizio del conflitto gli Stati del Nord contavano 22.100.000 abitanti contro i 9.100.000 degli stati del Sud  

  2. Die Neue Zeit (Il nuovo tempo) fu una rivista politica tedesca di orientamento socialista e marxista pubblicata in Germania dal 1883 al 1923, fondata e diretta da Karl Kautsky, che accolse nel tempo i contributi di Rosa Luxemburg, Trockij e Wilhelm Liebknecht, solo per citare alcuni dei collaboratori  

  3. Occorre qui ricordare i New York riot del 1863, magnificamente ricostruiti nel film Gang of New York di Martin Scorsese nel 2002, durante i quali la parte proletaria e sottoproletaria della grande città si ribellò all’arruolamento forzato cui, invece, i figli delle classi agiate potevano sfuggire pagando una tassa di circa 300 dollari. Cosa evidentemente impossibile per gli strati più poveri della popolazione  

  4. F. A. Sorge, La guerra di secessione ora in F. A. Sorge, Il movimento operaio negli Stati Uniti d’America 1793-1882. Corrispondenze dal Nord America, PantaRei, Milano 2002, pp. 99-100  

  5. Che fu per lungo tempo, insieme al Missouri, teatro di una crudele guerriglia tra schiavisti e anti-schiavisti. Famoso il massacro della città di Lawrence, avvenuto il 21 agosto 1863 ad opera delle bande filo-schiaviste di William Clarke Quantrill. Si veda in proposito: T.J.Stiles, Jesse James. Storia del bandito ribelle, il Saggiatore, Milano 2006  

  6. Jed Kolko, Why Blue Places Have Been Hit Harder Economically Than Red Ones, The New York Times, 30/10/2020  

  7. J. Kolko, Red and Blue Economies Are Heading In Sharply Different Directions, The New York Times, 13 /11 /2019  

  8. Come ben dimostra ormai la paradossale ricerca/affermazione del mezzo punto di efficacia in più tra Pfizer e Moderna per i propri vaccini, a cui stiamo assistendo con le vertiginose salite e altrettanto rapide cadute dei rispettivi titoli azionari  

  9. Per la storia di Senza tregua. Giornale degli operai comunisti si veda qui  

  10. Ipotesi tutt’altro che peregrina se si considera che la guerra vera con la Cina, per ora, riguarda la tecnologia 5G di Huawei oppure le piattaforme social come TikTok  

  11. Dalla presentazione dell’editore a Leslie T. Chang, Operaie, Adelphi, Milano 2010  

  12. Tratto da G. Iozzoli, Islam, modernità e guerra alla guerra, in S. Moiso (a cura di), Guerra civile globale, Il Galeone, Roma  

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Non c’è crisi in Paradiso. Paradossi e identità di classe nell’America di Obama e di Trump – Seconda parte. https://www.carmillaonline.com/2016/10/03/non-ce-crisi-paradiso-paradossi-identita-classe-nellamerica-obama-trump-2/ Mon, 03 Oct 2016 20:00:21 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=33570 di Fabrizio Salmoni*

usa-6 Può essere utile alla comprensione del quadro cultural-ideologico dell’ultraconservatore una breve rassegna di temi-chiave.

I sindacati: Ostacolano la volontà di lavorare, e, con le vertenze causano l’aumento dei prezzi o, nel caso peggiore, la delocalizzazione dell’azienda.

La solidarietà: Per portare a casa otto dollari all’ora, lavorando a turni e pregando di poter fare straordinari per poter pagare le bollette, in competizione con i colleghi o con gli immigrati, l’inevitabile conclusione è che ognuno è per sé.

Il lavoro: Piuttosto che perderlo, meglio pagare l’azienda perchè non se ne vada. [...]]]> di Fabrizio Salmoni*

usa-6 Può essere utile alla comprensione del quadro cultural-ideologico dell’ultraconservatore una breve rassegna di temi-chiave.

I sindacati: Ostacolano la volontà di lavorare, e, con le vertenze causano l’aumento dei prezzi o, nel caso peggiore, la delocalizzazione dell’azienda.

La solidarietà: Per portare a casa otto dollari all’ora, lavorando a turni e pregando di poter fare straordinari per poter pagare le bollette, in competizione con i colleghi o con gli immigrati, l’inevitabile conclusione è che ognuno è per sé.

Il lavoro: Piuttosto che perderlo, meglio pagare l’azienda perchè non se ne vada. Come è successo nel 2002 a Winchester, Virginia, dove la comunità e lo Stato hanno raccolto quasi 1 milione di dollari per convincere la Newell Rubbermaid a rimanere, a titolo di “assistenza all’espansione”. La Rubbermaid ha incassato, ringraziato “l’incrollabile etica del lavoro dei cittadini” e ha ridotto il personale1

L’ambiente: Al diavolo gli ambientalisti, noi dobbiamo lavorare. L’ecologia è una dottrina ingannevole dei liberals.

Lo Stato sociale: Roba da negri. Il principio peculiarmente americano della responsabilità individuale impone che ognuno conquisti il proprio benessere senza dover dire grazie a nessuno, tanto meno al governo e tanto peggio se non ci si riesce.Aspettarsi l’assegno di disoccupazione vuol dire che si è pigri, parassiti, non intraprendenti, inadatti alla competizione che è durissima, e che la miseria te la sei meritata. Lo dice anche Dio.

I pacifisti: Dei rompicoglioni. Chiunque impedisca di lavorare o impedisca all’America di prosperare, magari negando fonti energetiche o materie prime, che sia un bamboccio di Hollywood o Bin Laden, è da eliminare senza pensarci su troppo. Ci pensino i militari.

Le armi: Un diritto costituzionale più che mai innegabile specie ora che arrivano profughi e terroristi da ogni buco ad aumentare i pericoli della criminalità. E poi non sono le armi il problema ma solo quelli che non sanno usarle.

La cultura: E’ il bagaglio di nozioni che servono nella quotidianità a lavorare bene e a sopravvivere. Tutto il resto è manipolazione dei liberals: giornalisti, storici, sociologi, yuppies fanno quel che fanno perché sono liberal. E i liberals mentono, ingannano. Il progressismo non è un prodotto delle forze sociali ma è una dottrina che si muove secondo schemi tanto meccanici e rigidi da ricordare il comunismo.

Il cittadino Repubblicano non destruttura la letteratura post-moderna, non beve cabernet, non compra dai cataloghi di Abercrombie o Fitch, non beve il “latte” di Starbucks (il nostro latte macchiato) ma sa costruirsi la casa, allevare i propri figli, fare tutti i lavori manuali, riparare un motore, riconoscere un buon albero d’acero per farci lo sciroppo, sparare col fucile, adoperare una sega elettrica senza timori, coltivare un campo, bere birra e whiskey al pub. Diversamente dai liberals che “pensano di essere i più furbi“, che usano il sarcasmo su tutto quanto non riconoscono, che sostengono che tutto quanto è confusione ideologica e morale sia consapevolezza, che frequentano le università più esclusive americane ed europee dove imparano gli insegnamenti di Marx con cui indottrinano i giovani.

Il cibo: Prodotti del grano e carne, non importa se gonfiata e intenerita da Ogm, preferibilmente di selvaggina cacciata, pesce pescato, cucina semplice, casereccia, patate e fagioli, oppure tutto quanto ti sfama in fretta e in qualsiasi momento del giorno: il tempo è denaro non guadagnato. Solo i fighetti e gli alternativi, vegani o vegetariani, fanno shopping alimentare a Wholefoods.

I valori: Umiltà e semplicità, le verità del buon senso popolare dei “vecchi tempi”, di sempre, sono celebrati come veri e originali valori americani. L’autenticità è quella che unisce la gente comune e che distingue dai liberals falsi e ipocriti. Una persona vera è cortese, gentile e rifugge dal sollevare argomenti, come la politica, che possano mettere in imbarazzo gli interlocutori (salvo magari attivarsi per la propaganda locale e poi votare Repubblicano), è una persona che lavora duramente. Il frutto del lavoro è concreto: si può misurare in pounds, bushels (la misura di capacità per i cereali), numero di mattoni posati, di chiodi piantati, mentre i liberals sono burocrati e imbelli imbratta-carte che fanno di tutto aria fritta. E poi c’è il patriottismo, sostenuto sovente contro ogni evidenza quotidiana, che l’America è il Paese migliore del mondo, dove tutte le libertà, anche più estreme se non contraddicono la morale e la legge, sono ammesse, e di conseguenza non si accettano né interferenze né critiche né tanto meno minacce esterne che impediscano il naturale corso della scalata al benessere. E allora si benedicono i figli che vanno in Afghanistan o in Iraq e vederli tornare in una bara innalza soltanto l’orgoglio, lo spirito di sacrificio dovuto al Paese, la volontà di rivalsa estrema (“l’atomica contro i terroristi”). Gli ultraconservatori non negano la realtà ma ne creano una parallela funzionale alla loro abissale ignoranza e sono pronti ad accettare una svolta politica autoritaria basta che garantisca la benzina a basso prezzo e la possibilità di andare alle corse Nascar o alla partita di football, o di fare acquisti al Wal-Mart.

In economia, il cittadino Repubblicano è per il libero mercato, senza ostacoli o regole imposte da governo o da qualsiasi autorità “esterna”, anche quando la realtà gli si ritorce contro sotto forma di tagli allo stipendio, di precarietà, di perdita del lavoro, di aumento dei prezzi, “perché un’azienda ha tutti i diritti di fare i propri interessi“.

Messo tutto questo insieme non deve stupire che, per molti, un Barack Obama, Presidente nero che coltiva gli orticelli alla Casa Bianca, che promuove una riforma sanitaria offensiva per la responsabilità individuale, che favorisce le politiche ambientali, che è favorevole a una seppur blanda regolamentazione delle armi, all’aborto e ai matrimoni omosessuali, sia un elemento estraneo, non-americano, un socialista, la nefasta conseguenza della cultura liberal. Hillary Clinton è quasi peggio: rappresenta l’establishment, la falsità del potere, la burocrazia governativa, le minoranze non-americane, l’odiato welfare, l’interferenza del governo sulle libertà costituzionali.

Quali risposte dal Partito Democratico?

A giudicare dal livello e dalle scelte tematiche del dibattito di lunedi 26 e dalle sue premesse, la candidata Clinton ha fatto poco per differenziarsi dall’avversario e quello che non ha detto non ha fatto che confermare le mutazioni in corso nel suo Partito. Razza e genere sono temi rientranti nella categoria dei valori, argomenti, come abbiamo visto, su cui la destra ha occupato quasi pienamente il campo. Non è quindi un caso che le posizioni espresse dalla Clinton siano solo lievemente più nette di quelle di Trump parlando dei recenti omicidi polizieschi di cittadini neri: si è di fatto limitata ad appoggiare le richieste della comunità nera di Charlotte in rivolta di rendere pubbliche le riprese del fatto e a denunciare “il sistematico razzismo” contro i neri. Giusto per confermare indirettamente l’assunto che il Partito Democratico è il naturale riferimento per neri e minoranze. Il livello delle risposte di entrambi, alle orecchie degli elettori, non fa che ribadire sommessamente che dei neri e delle minoranze ai due partiti importa poco. Tanto meno del proletariato bianco.

Sono anni che il PartitoDemocratico va in direzione diversa da quella della propria storia per assorbire le fasce professionali di indirizzo progressista (il termine yuppie fu coniato nel 1984 per descrivere i sostenitori di Gary Hart), e per corteggiare élite culturali, corporation e grandi aziende capaci di contribuire generosamente alle campagne elettorali, molto più che i sindacati, base tradizionale del partito. Per tali fini, la strategia dei cosiddetti New Democrats si è rivolta al sostegno forte e convinto dei temi”ideologici” (per la libera scelta su aborto, omosessualità, razzismo, diritti civili in genere), i valori, e mettere da parte a loro volta le questioni economiche su cui con l’altra mano fare infinite concessioni: il welfare, il Nafta, le leggi sul lavoro, la flessibilità delle norme (deregulation), le privatizzazioni, le tasse, ecc. ritrovandosi su questo piano in piena sintonia con i Repubblicani. Il voto dei lavoratori? Si suppone che non abbiano altra scelta: il PD avrà sempre un piccolo margine di interesse per loro che non gli avversari. E poi, diciamocelo francamente, quale politico in un Paese che mette la corsa al successo in primo piano ha interesse ad essere la voce dei poveri? O di sindacati che ormai contano per il 9% nel settore privato. Quindi niente battaglie autolesioniste sui temi sociali: gli elettori andranno a istinto. I Repubblicani ringraziano. I poveri sono sempre più soli, abbandonati al consumismo selvaggio nella tempesta del libero mercato.

Ecco dunque come entrambi i partiti sono diventati veicoli degli interessi primari dei ricchi o della medio-alta borghesia. Una tendenza che sembra riguardare tutte le forze politiche dell’Occidente produttivo, che tritura definizioni esauste come destra e/o sinistra.

E Dio, che dice?

usa-4 Questo schematico ritratto del cittadino bianco, povero, Repubblicano, non sarebbe completo e non basterebbe a far capire quanto possa pesare sul piano politico senza considerare l’involucro ideologico-spirituale fornito dalle dottrine evangeliche.
Parliamo dell’altro grande paradosso americano: una nazione che ha sancito dalle origini la separazione dello Stato dalla Chiesa ma che è la più “credente” degli altri paesi moderni contemporanei. I sondaggisti attuali certificano che il 62% dei blue collars va regolarmente in chiesa e una quota tra un quarto e un terzo di loro si riconosce nella definizione di “born again christian“, cristiano ri-nato. Nel loro insieme, i fedeli delle varie congregazioni evangeliche sono nella quasi totalità bianchi e con grado di istruzione massima di diploma superiore. Il fondamentalismo religioso è diviso in molte correnti e con le elezioni del 2000 è venuto allo scoperto sul terreno elettorale giocando un ruolo fondamentale per l’elezione di George W. Bush. Da allora si sono ulteriormente rafforzati e non c’è candidato dei due maggiori partiti che non coltivi rapporti con qualche settore cristiano-militante.

I fondamentalisti, in ogni religione, sono per l’interpretazione alla lettera dei testi sacri e l’applicazione alla realtà della parola di Dio. Come in Iran, come in Israele, come per i musulmani jihadisti, tanto per fare esempi di attualità, i fondamentalisti cristiani americani si pongono l’obiettivo di uno Stato teocratico. Certi evangelici vorrebbero cancellare la Costituzione e instaurare la Legge della Bibbia, altri sono convinti che la Fine dei Tempi e le più cupe profezie bibliche si stiano avvicinando. Una fine dei Tempi iniziata con la fondazione di Israele e che dovrà compiersi con il ritorno del Messia ma solo dopo un’apocalisse, l’Armageddon. Per affrettarne i tempi sostengono di voler accelerare tale processo, favorendo l’occupazione totale dei “territori biblici” da parte di Israele, se necessario anche con una guerra nucleare in Medio Oriente. Per essi, chiunque si adoperi per la pace ritarda l’Avvento ed è strumento di Satana. La sola speranza per gli uomini è di accettare Gesù come salvatore personale.

In questa cornice, tutti i mali del mondo, le guerre, l’aids, la criminalità, il collasso ambientale sono piaghe capitali, i segni dell’avvicinarsi della desiderata Fine dei Tempi.
Si può immaginare quali possano essere le conseguenze politiche di un proselitismo su quelle basi, proselitismo più che mai attivo visto che, per esempio, Mike Spence, il candidato vicepresidente di Trump è uno di loro, come tanti altri politici a ogni livello di rappresentanza. Ci si può cominciare a preoccupare alla luce di una significativa aspettativa: Dio fornirà un leader cristiano per condurre il gregge americano, che diventerà il suo nuovo popolo eletto per estendere il vangelo a tutto il mondo e liberare la Terra dal Male 2

Il ramo dei “dispensazionalisti”, coloro che credono che gli eletti verranno “rapiti” e portati in cielo, invoca anche lo smantellamento di ogni tutela ambientale, perchè non ci sarebbe più bisogno di questo pianeta dopo il “Rapimento”.
La dottrina fondamentalista è consolatoria e gratificante per chi non possiede che il proprio lavoro perché esige gratitudine per quello che Dio elargisce, anche se poco, ma non disdegna il vile denaro per accrescere gli strumenti di proselitismo e la disponibilità personale dei pastori: Tom Anderson, un esempio tra i tanti, è il fondatore della Living Word Bible Church di Mesa, Arizona. La sua Chiesa conta oggi più di 8000 fedeli, un patrimonio di 10 milioni di dollari e cinque sedi in tutto lo Stato. Anderson è autore anche del best seller Becoming a Millionaire God’s Way (Diventare milionari seguendo la strada di Dio) in cui istruisce la gente dicendo che “la prosperità si raggiunge con Dio, con il duro lavoro e con investimenti ben calibrati“. Lui ha evidentemente investito nella sua congregazione perchè chiede a ciascun fedele una “decima” del proprio reddito. Se poi vogliono dare anche di più saranno certi di essere chiamati in Paradiso.

usa-5 Le chiese fondamentaliste si sono espanse con la fine della Guerra Fredda, con la sconfitta del Diavolo materialista. Hanno aperto Fondazioni, scuole, università private, si sono allargate all’estero (anche qui da noi), lavorando sottobanco, catalizzando contributi dall’odiato governo.3
L’obiettivo del cristiano militante è collocare sempre più credenti in posizioni di rilievo nello Stato e naturalmente ne hanno i mezzi e le capacità,4 tra cui quella di convogliare comunicazione alternativa, quella che semplifica ogni argomento con concetti facili da acquisire che alimenta a sua volta il risentimento verso i saccenti intellettuali liberal.

Paradossalmente, ancora, la tensione mistica è al massimo nell’America di oggi, con il suo carico di tensioni millenaristiche e di ansie per la sopravvivenza quotidiana per i bianchi poveri, proprio quando la crisi sancisce la vittoria completa delle corporation, del capitalismo sfrenato. Tra i proletari bianchi5 c’è una rabbia compressa, un odio palpabile verso tutto ciò che è ritenuto snob, elitario, figlio degenerato della società urbana, superfluo, estraneo ai principi ed allo spirito originari americani, che è difficile dire quali sbocchi possa avere. La cattiva politica, i politicanti senza scrupoli ma anche l’ignavia dei progressisti che, arroccati nel nord est e tra le minoranze non vedono la pancia del Paese e ballano sul ponte del Titanic, hanno prodotto un capovolgimento di fronte nelle classi basse che rischia di produrre scenari drammatici per tutti. E’ bene esserne consapevoli.

stanlio-e-ollioSe poi qualcuno volesse trovare in quanto sopra descritto qualche similitudine con processi in corso anche da noi, troverebbe qualche ragione in più per preoccuparsi.

*Master in Studi Americani all’Università del Texas

(Finela prima parte è stata pubblicata su Carmilla sabato 1 ottobre)


  1. Joe Bageant. Deer Hunting with Jesus. Dispatches from America’s Class War, 2006, Crown Group  

  2. Joe Bageant, ibidem  

  3. Il 7% degli stage di lavoro offerti dall’amministrazione Bush è andato al Patrick Henry College di Purcellville, Virginia, un college che offre programmi di intelligence strategica, diritto e politica estera secondo una rigida visione cristiana del mondo. Il risultato è la collocazione della cultura mainstream e dell’istruzione nel recinto delle opzioni.  

  4. Un esempio significativo: sempre durante l’amministrazione Bush jr., l’attivista della destra cristiana Kay Coles James, ex presidente della Regent University del pastore Pat Robertson, è stata nominata direttore dell’Ufficio per gestione del personale del governo. 

  5. Circa il 60% degli americani secondo una stima governativa del 2006, pre-crisi, che però usa il criterio del grado di istruzione non del reddito, contando come istruzione superiore anche le scuole professionali.  

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Demonologia mediatica degli angeli https://www.carmillaonline.com/2015/07/07/demonologia-mediatica-deli-angeli/ Mon, 06 Jul 2015 22:03:13 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=23730 di Mauro Baldrati

legion-movie-paul-bettanyAngeli, questi (s)conosciuti. Li abbiamo visti nei quadri dei maestri antichi, creature alate di sembianze umane che calano dal cielo, dove ha la residenza l’amministratore delegato del Paradiso, “Colui che parla agli uomini”. Svolazzano spesso anche sopra o accanto alla Madonna, la Madre, di solito con toni cromatici celesti (perché “Celeste” è il Regno dei Cieli). Sono ragazzi adolescenti, talvolta bambini, pallidi e paffutelli. Toni chiari, luce pura, aura luminosa: è l’estetica della versione edificante della divinità operata dalla riforma cattolica, che ha rifondato la prima versione trucida, vendicativa e [...]]]> di Mauro Baldrati

legion-movie-paul-bettanyAngeli, questi (s)conosciuti. Li abbiamo visti nei quadri dei maestri antichi, creature alate di sembianze umane che calano dal cielo, dove ha la residenza l’amministratore delegato del Paradiso, “Colui che parla agli uomini”. Svolazzano spesso anche sopra o accanto alla Madonna, la Madre, di solito con toni cromatici celesti (perché “Celeste” è il Regno dei Cieli). Sono ragazzi adolescenti, talvolta bambini, pallidi e paffutelli. Toni chiari, luce pura, aura luminosa: è l’estetica della versione edificante della divinità operata dalla riforma cattolica, che ha rifondato la prima versione trucida, vendicativa e sanguinaria della Bibbia antica. Tutto è stato riscritto, rieditato, Dio, i santi (un inserimento abbastanza recente, che recupera parecchia iconografia pagana), la Madre, e gli angeli. Sono la luce di Dio, i messaggeri, i Suoi plenipotenziari.
Ma non è sempre stato così.
Quando è apparso il primo angelo davvero operativo non c’era tanto da scherzare, né da contemplare albe radiose dai colori turchini. Dobbiamo prendere quello straordinario romanzo di fantascienza, in parte autobiografico in parte fiction, scritto da Dio, il primo grande scrittore apparso sulla terra: Esodo, la storia della migrazione degli Ebrei dall’Egitto alla Terra Promessa. Dio li guida, attraverso Mosè, li incalza, spesso li minaccia, li condanna a morte, li obbliga a sgozzare agnelli, per compiacerlo, e se è necessario, a “spaccare il cranio” dei propri figli, se a Lui piacerà. Stranamente, ma con straordinario genio letterario, l’Autore rivela che farà di tutto per ostacolare l’esodo, da Lui stesso ordinato, influenzando negativamente la mente del faraone, per obbligarlo a rifiutare il permesso di espatrio, e permettergli così di scatenare le piaghe, che hanno uno scopo dimostrativo: affermare la Sua potenza, perché Lui è “l’Unico”, è “Colui che comanda agli uomini”. Una delle piaghe più orribili, forse la più tremenda di tutte, è la strage dei primogeniti, umani e animali, che scatenerà dopo avere naturalmente obbligato telepaticamente il faraone a rifiutare le richieste di Mosè. E qui entra in scena l’Angelo Sterminatore: “Durante la notte l’Onnipotente punirà l’Egitto: là dove Egli vedrà il sangue (degli agnelli sgozzati dagli ebrei, ndr) sugli stipiti e sull’architrave passerà oltre e non permetterà al Suo angelo sterminatore di entrare e colpire.” Sarà un massacro biblico, appunto, con grida di dolore che echeggeranno in tutto l’Egitto.

Dopo le successive iconografie edificanti, apparizioni in alcuni film degli anni ’40 e ’50 (un inserto angelico in Miracolo a Milano di De Sica e Zavattini, oltre all’angeologia di un certo cinema americano a cavallo della guerra) recentemente l’immaginario della fiction cinematografica sembra avere ripreso questa natura spietata degli angeli. Dio, dopo avere creato un genere letterario che si propagherà e si riprodurrà nei secoli, si è stancato del genere umano, che è incontrollabile, inaffidabile, bugiardo e infingardo. Gli ha addirittura scatenato contro il Diluvio Universale, ma non è servito. Gli umani pensano solo ai loro sporchissimi interessi privati e se ne fregano di tutto. Così si è ritirato, non si sa dove, e non si sa quando tornerà. Ma non si chiama fuori in realtà. Lui è “il Dio geloso”, e sappiamo che se non lo celebrano abbastanza li stermina tutti, senza tanti complimenti. Così, dopo l’ennesima delusione, scatena di nuovo gli angeli. Non un solo Angelo Sterminatore, ma una intera legione. Scoppia una guerra feroce, tra gli angeli incarnati negli umani, e gli umani stessi. E’ la trama del mediocre Legion (2010), nel quale un manipolo di umani asserragliati in un’area di servizio nel deserto, che ricorda molto da vicino Il postino suona sempre due volte, è attaccato dai mostri, guidati dall’Arcangelo Gabriele. L’altro grande Arcangelo, Michele, invece si è schierato con gli umani, disobbedendo, pare, all’ordine impartito dal “Padre”. Gli angeli sono una via di mezzo tra i “walkers” di Walking Dead, i woodoo children di Distretto 13 le brigate della morte e i vampiri di Blade. Superdotati, feroci, si arrampicano sui muri come Dracula e parlano con la voce cavernosa de l’Esorcista.

Questa natura crudele degli angeli, diabolica verrebbe da dire, è ripresa e perfezionata dalla serie Supernatural. Per una congiura che ha come obiettivo la chiusura delle porte del Paradiso gli angeli si scatenano, rapiscono gli umani, li ammazzano, se necessario li torturano, li lusingano, li ingannano. I fratelli Winchester, che già hanno il loro da fare contro i demoni, devono fronteggiare degli esseri altrettanto crudeli, usciti non dall’Inferno ma direttamente dal Paradiso. Il che, se possibile, è ancora peggio. A questo punto lo spettatore non può fare a meno di chiedersi: ma che razza di posto è se i suoi guardiani sono dei simili mostri? In realtà non c’è da stupirsi, visto il ritratto che il loro creatore fa di se stesso nel suo romanzo.

“Io sono un angelo, posso uccidere un neonato davanti agli occhi della madre, posso pietrificare una città” dice uno straordinario Gabriel, interpretato da Christopher Walken, nell’originale L’ultima profezia, un film del 1995 dove la natura spietata degli angeli viene rappresentata in un mix di horror, noir e supernatural. C’è la guerra, c’è sempre la guerra, su nei cieli, perché Dio, ancora Lui, ha creato la razza umana, facendo rovinare alcuni angeli nella gelosia. Poiché nessuno nell’universo può competere con “le scimmie parlanti” in fatto di guerra, omicidio, tradimento, gli angeli rinnegati, guidati da Gabriel , stanno cercando l’anima più nera di tutte le animacce umane, da usare come arma segreta. Ma è una lunga ricerca, complicata dalla discesa in campo di Lucifero, impersonato da un feroce e sornione Viggo Mortensen, che decide di eliminare Gabriel, perché in caso di vittoria si creerebbe un secondo Inferno, quindi una sgradevole concorrenza. E va da sé che gli angeli sono tutto fuorché dei liberisti!

Infine un’altra serie, attualmente in programmazione su RAI 4, Dominion, riprende l’antica epica sanguinaria, partendo proprio dal già citato Legion. L’umanità è trincerata in una città fortificata, con postazioni di contraerea che abbattono quegli angeli che osano svolazzare sul suo spazio aereo. Li comanda il solito Gabriele, mentre suo fratello Michele è con gli umani, perché nonostante la loro natura negativa, sono esseri speciali, oggetto di amore e, forse, di invidia. D’altra parte gode abbondantemente degli agi e dei lussi umani, per esempio ha un intero harem di fanciulle che usa per il suo personale rilassamento sessuale. Si avvicendano gli intrighi, gli effetti speciali, apparizioni dei mostri che volano come enormi avvoltoi, duelli di arti marziali tra Michele e certi guerrieri “angelici”, e un “prescelto” coperto di tatuaggi parlanti che ha la missione di guidare il genere umano verso la riscossa. Il senso della storia è la lotta tra umani e mostri, ma con la complicazione (già ottimamente rappresentata in Walking Dead) degli intrighi, dei tradimenti e dei crimini operati dagli umani stessi, che in fondo rappresentano i peggiori nemici di se stessi.

Gli angeli di Dominion, che probabilmente è l’opera migliore del genere, non sono affatto bianchi e luminosi, ma hanno ali nere e gli occhi neri (come i loro colleghi di Supernatural e de L’ultima profezia), sono in grado di fare a pezzi in pochi secondi un essere umano e non fanno distinzione tra adulti, vecchi e bambini. Ci chiediamo se l’autore originario sia soddisfatto di questi Suoi epigoni, che hanno sviluppato il genere da Lui stesso ideato.

Ah, ci sarebbe poi l’intermezzo angelico de Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders (e del sequel Così lontano così vicino, oltre al remake City of Angels), ma qui siamo in un’estetica del tutto diversa: gli angeli ascoltano i pensieri degli umani, ne condividono speranze e delusioni, li consolano, hanno sempre il cappotto e uno si innamora, fino a diventare umano. Ma quando noi, noi tutti ammiravamo queste opere in religioso silenzio, seguendone col fiato sospeso i dialoghi densi, poetici e filosofici, coi nostri cuori moltiplicati e vagabondi, forse eravamo noi stessi degli angeli.

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