Paolo Pasi – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Tue, 16 Sep 2025 20:30:18 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Sacco e Vanzetti. La salvezza è altrove https://www.carmillaonline.com/2023/12/22/sacco-e-vanzetti-la-salvezza-e-altrove/ Fri, 22 Dec 2023 21:00:10 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=80416 di Paolo Pasi

Paolo Pasi, Sacco e Vanzetti. La salvezza è altrove, ill. di Fabio Santin, elèuthera, Milano 2023, pp. 256, € 18,00.

[«Siamo stati processati in un periodo che è già passato alla Storia. Un tempo dominato dall’isterismo, dal risentimento e dall’odio contro gli stranieri, contro i radicali, e ci sembra – anzi, siamo sicuri – che abbiate fatto tutto ciò che era in vostro potere per eccitare i pregiudizi dei giurati contro di noi. Non abbiamo alcuna fiducia nella legge e nei suoi verdetti. La salvezza è altrove». In questo nuovo saggio narrativo, che completa la sua personale quadrilogia [...]]]> di Paolo Pasi

Paolo Pasi, Sacco e Vanzetti. La salvezza è altrove, ill. di Fabio Santin, elèuthera, Milano 2023, pp. 256, € 18,00.

[«Siamo stati processati in un periodo che è già passato alla Storia. Un tempo dominato dall’isterismo, dal risentimento e dall’odio contro gli stranieri, contro i radicali, e ci sembra – anzi, siamo sicuri – che abbiate fatto tutto ciò che era in vostro potere per eccitare i pregiudizi dei giurati contro di noi. Non abbiamo alcuna fiducia nella legge e nei suoi verdetti. La salvezza è altrove».
In questo nuovo saggio narrativo, che completa la sua personale quadrilogia del Novecento, Paolo Pasi ripercorre la vicenda dei due anarchici Sacco e Vanzetti nella cornice della più ampia epopea delle migrazioni e dei conflitti sociali durante i primi decenni del secolo scorso. Ringraziando la casa editrice elèuthera per la gentile concessione, di seguito si pubblicano le prime pagine del libro – ght]

***

Il palco

C’è una sedia al centro del palco. L’allestimento scenografico è pallido, il biancore lattiginoso evoca la sospensione della vita. Fuori, c’è tutto un mondo ad aspettare che qualcosa accada. Innanzitutto, il pubblico dei giudici e dei giurati, di coloro che hanno confermato il verdetto, con parole gonfie di vendetta o con il silenzio della paura. L’America castigata e benpensante del proibizionismo assiste.

Mezzanotte si avvicina. Tra qualche ora Jack si sveglierà e tornerà alla sua vita di contabile, un ufficio stretto su una scrivania e il ticchettio della macchina per scrivere della segretaria a scandire ore, giorni, anni. Oppure un meccanico di nome Simon ricomincerà a bere stanotte, le mani unte di grasso e l’odore dell’officina addosso. Hanno incrociato la storia dei due protagonisti, ma hanno potuto uscirne fuori, mentre loro – gli attori – si sono consumati per anni pensando a questo momento, e nessuna prova è mai stata sufficiente a rassicurarli.

Sul palco ci sono per ora i personaggi minori: il direttore del teatro carcerario e il suo assistente, il medico, il prete che dispensa una consolazione non richiesta. Hanno preso posizione due elettricisti che hanno appena controllato la sicurezza dell’impianto, e l’uomo che darà il via alla rappresentazione.

Tra poco le luci si abbasseranno, una corrente attraverserà la sala, varcherà i muri e arriverà a toccare migliaia di persone che sono rimaste fuori, escluse, sorvegliate a mano armata dalla polizia. Da giorni marciano e cantano per incitare i protagonisti. La loro voce arriva attenuata, qui dentro.

Hanno sfidato le ore e le condizioni del tempo, e perfino le distanze. Milioni di persone come loro, a centinaia o migliaia di chilometri, stanno partecipando a una protesta planetaria. Operai e minatori, fonditori e braccianti. Vorrebbero entrare in sala per fermare lo spettacolo. Tenere le luci accese per evitare che sul palco osceno cali il buio. Reggono in mano fiaccole e cartelli. A differenza di Jack e Simon, dei tanti giudici o giurati d’America, non possiedono nulla, nemmeno l’effimera sicurezza di uno stile di vita da difendere. Parlano lingue diverse, attratti da un miraggio in costruzione da cui sono stati estromessi fin dal loro arrivo. Proletari senza patria, nati in paesi che probabilmente non rivedranno più.

C’è sempre una sedia al centro del palcoscenico. Nulla si muove, per il momento. Tra il pubblico della prima fila c’è William Playfair, cronista dell’agenzia Associated Press. È l’unico giornalista accreditato per lo spettacolo. Ai colleghi ha promesso il maggior numero di dettagli, l’ha fatto per tenerli buoni, l’invidia è feroce e può arrivare a uccidere, ma lui non se ne fa una colpa. Assiste da una posizione privilegiata per una scelta del caso. Il suo nome è stato sorteggiato da una rosa di candidati. Ha promesso un resoconto ricco e articolato per soddisfare ogni sfumatura di testata. Sarà lui a riportare le dichiarazioni dei protagonisti, a descriverne il passo, le espressioni, il modo con cui entreranno e usciranno di scena.

Un addetto alla sicurezza imbocca il lungo corridoio che dà sulle quinte, simile a una bocca dell’inferno. Tra poco sbucherà il volto del primo attore, un comprimario che si è ritagliato una parte fuori misura, con il risultato che sarà anche il primo a uscire. È ai margini della scena, nessuno urlerà il suo nome, o invocherà il suo riscatto. Nessuna ribalta per Celestino.

Poi, a distanza di pochi minuti, si apriranno le porte ai protagonisti. Prima l’uno, poi l’altro. Arriveranno sotto scorta. Forse cammineranno a fatica, con passi strascicati e deboli, forse la loro sarà un’entrata in scena a testa alta, forse saliranno sul palco disegnando ombre, trame di storie mai vissute, ma che sarebbero potute accadere. Prima di quest’ultimo tratto, ci sono milioni di altri passi che li hanno fatti incontrare, portandoli fino a qui. Per sette anni sono stati chiusi in un camerino con le sbarre. Una lunga attesa per arrivare alla sedia.

Le luci si stanno già abbassando. Lo spettacolo sta per cominciare, William Playfair è pronto sul suo taccuino, il respiro sospeso. Ripassa l’ordine di apparizione degli attori, l’occhio gli cade su un nome, sull’ultimo che calcherà il palco. Si chiama Bartolomeo, e ne ha di cose da raccontare.

Non c’è fretta per il finale.

La sua storia inizia ora.

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Paolo Pasi ha pubblicato con elèuthera: Ho ucciso un principio (2017 n.e.), Antifascisti senza patria (2018) e Pinelli, una storia (2019).

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Pinelli. Una storia individuale e collettiva https://www.carmillaonline.com/2019/11/24/56115/ Sat, 23 Nov 2019 23:01:49 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=56115 di Gioacchino Toni

Paolo Pasi, Pinelli. Una storia, elèuthera, Milano, 2019, pp. 184 con illustrazioni di Fabio Santin, € 16,00

«Pinelli è inquieto mentre nel gelo di dicembre sobbalza sull’acciottolato delle strade di Milano in sella al suo Benelli rosso. L’anno magico della Luna e della rinascita libertaria si sta chiudendo male. Gli scontri sono diventati sempre più aspri, le intimidazioni sempre più aggressive. Sta per succedere qualcosa, pensa Pinelli con il bavero alzato e il collo affondato nelle spalle, stanno alzando il tiro».

Quella di Pinelli non è soltanto la storia della [...]]]> di Gioacchino Toni

Paolo Pasi, Pinelli. Una storia, elèuthera, Milano, 2019, pp. 184 con illustrazioni di Fabio Santin, € 16,00

«Pinelli è inquieto mentre nel gelo di dicembre sobbalza sull’acciottolato delle strade di Milano in sella al suo Benelli rosso. L’anno magico della Luna e della rinascita libertaria si sta chiudendo male. Gli scontri sono diventati sempre più aspri, le intimidazioni sempre più aggressive. Sta per succedere qualcosa, pensa Pinelli con il bavero alzato e il collo affondato nelle spalle, stanno alzando il tiro».

Quella di Pinelli non è soltanto la storia della diciassettesima vittima della strage di piazza Fontana, ma è una storia che prende il via tra le case di ringhiera, tra i ballatoi e le trattorie popolari di porta Ticinese, è la storia di un uomo legato ai suoi famigliari, orgoglioso del suo mestiere e che «leggeva poesie e faceva volare gli aquiloni», è la storia di un uomo che ha vissuto la sua epoca a testa alta, lottando per un mondo migliore fino a quella notte tra il 15 e il 16 dicembre del 1969, quella notte in cui ha incontrato quella finestra spalancata della questura milanese. Come tutte le vite vissute e non subite, la sua è anche una storia collettiva, una storia che riguarda tutti e tutte i compagni e le compagne di quel viaggio di libertà e per la libertà, una storia che non si è affatto chiusa.

Il giornalista e scrittore Paolo Pasi1, già autore del libro Antifascisti senza patria (elèuthera, 2018)2, si è occupato di questa storia individuale e collettiva nella sua recente pubblicazione Pinelli. Una storia (elèuthera 2019), volume impreziosito dalle illustrazioni di Fabio Santin.

La storia che racconta Paolo Pasi prende il via dal fortuito ritrovamento di un suo quaderno d’infanzia che diviene per l’autore una sorta di mappa di quel periodo con la «la scrittura sempre meno precaria, pagina dopo pagina, le lettere più precise, regolari, allineate come soldatini diligenti nei quadrettoni dei fogli, i disegni, i voti della maestra, i brevi dettati. Uno è del 20 novembre: “Due uomini sono andati sulla Luna. La Luna è lontana”. Penso d’istinto all’allunaggio di qualche mese prima, il 20 luglio 1969, ma poi scopro che una missione successiva, quella dell’Apollo 12, sbarcò di nuovo sul satellite pochi mesi dopo, il 19 novembre. Ed eccomi di nuovo a cavalcare i ricordi di quell’anno, le serate di fronte al televisore, Carosello e il tenente Sheridan, i cartoni animati, l’avanzare dell’autunno verso l’inverno, il tema sulla neve, i regali per il Natale imminente… Più mi addentro nelle pagine del quaderno, più avverto la presa soffocante del passato che non ha niente di nostalgico, perché fa venire a galla anche le insicurezze e le profonde malinconie di me bambino. Poi arrivo a quella pagina. La scrittura è la mia, il testo mi è stato dettato: «Avviso. Lunedì 15 la maestra parteciperà allo sciopero». Lunedì 15 dicembre 1969. Il giorno dei funerali delle vittime della strage di piazza Fontana. Il mio viaggio è iniziato così. Da un quaderno di scuola in cui la Storia ha fatto irruzione come il richiamo secco di un testimone scomodo. Ho pensato che sarebbe stato bello raccontare quei mesi, così irrequieti e tragici, attraverso gli occhi di un bambino. Ma poi ho chiuso il quaderno, e l’eco del passato è tornata all’immagine di copertina, il disegno accurato di un razzo spaziale su un fondo bianco. Lo chiamavano Lem, o modulo lunare, e in quei mesi non si parlava d’altro che del progetto Apollo. Sembrava che lo stesso concetto di essere umano fosse stato creato per dare giusta luce alla Luna. Così grande e luminosa da assomigliare a uno specchio che rifletteva fantasie e sogni, inquietudini e malinconie di tante altre persone. Se c’è una storia che va raccontata, ho pensato, è quella di un uomo che sapeva sognare, che nel suo viaggio ha toccato l’apice della Luna e il fondo della tragedia. Ripenso a mio padre davanti al televisore, lo sguardo infervorato nella notte di fine luglio, e io che gli sto accanto con un piccolo cannocchiale, a illudermi di poter scorgere gli astronauti mentre camminano sulla superficie butterata della Luna. Anche Giuseppe Pinelli ha vissuto una notte simile. Padre e insieme fanciullo. Il quaderno di scuola è sempre davanti a me. La navicella in copertina mi sta riportando indietro nel tempo».

Così dunque Pasi decide di ripercorrere la vita di Pinelli precedente la sua morte avvenuta in quella maledetta notte all’interno di quella ancor più maledetta questura milanese. Come scrive Paolo Finzi, intervistando Pasi e recensendone il libro per “A – Rivista Anarchica”, l’autore «si muove con onestà e sicurezza in un terreno rischioso e friabile quale è quello del romanzo storico. Che è quello della ricostruzione e dell’approfondimento della persona nel suo contesto, “inventandosi” che cosa pensava, poteva pensare o dire o sognare il “suo” protagonista in quella determinata situazione»3.


  1. Paolo Pasi (Milano, 1963), giornalista e scrittore, nel 1995 vince la prima edizione del premio giornalistico Ilaria Alpi e dal 1996 lavora in Rai come redattore del TG3. Ha inoltre scritto numerosi romanzi, tra cui Ultimi messaggi dalla città (2000), Le brigate Carosello (2006), L’estate di Bob Marley (2007) e i più recenti Memorie di un sognatore abusivo (2009) e Il sabotatore di campane (2013), L’era di Cupidix (2015) e La canzone dell’immortale (2017), usciti per le edizioni Spartaco. 

  2. A proposito di tale libro – dedicato alle vicende dei confinati politici antifascisti di Ventotene e in particolare degli anarchici che tra questi furono coloro che subirono il trattamento peggiore e più discriminante – si veda la recensione pubblicata su Carmilla

  3. Curioso e diverso. Conversazione di Paolo Finzi con Paolo Pasi, Giuseppe Pinelli un uomo, un anarchico, A – Rivista Anrachica

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Storie di confino e prigionia: da Ventotene a Renicci https://www.carmillaonline.com/2018/08/21/storie-di-confino-e-prigionia-da-ventotene-a-renicci/ Mon, 20 Aug 2018 22:01:33 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=48111 di Armando Lancellotti

Paolo Pasi, Antifascisti senza patria, elèuthera editrice, Milano, 2018, pp.215, € 16.00

Sono storie di “sovversivi”, di rivoluzionari, di uomini e donne che combatterono per un ideale – forse un’utopia – che misero in gioco completamente le loro esistenze per lottare contro il fascismo, per resistere alla dittatura, per difendere l’idea libertaria e l’anarchia. Di questo, di loro parla e racconta il libro di Paolo Pasi, che segue le vicende dei confinati politici antifascisti di Ventotene e in particolare di quelli che subirono il trattamento peggiore e più discriminante: gli [...]]]> di Armando Lancellotti

Paolo Pasi, Antifascisti senza patria, elèuthera editrice, Milano, 2018, pp.215, € 16.00

Sono storie di “sovversivi”, di rivoluzionari, di uomini e donne che combatterono per un ideale – forse un’utopia – che misero in gioco completamente le loro esistenze per lottare contro il fascismo, per resistere alla dittatura, per difendere l’idea libertaria e l’anarchia. Di questo, di loro parla e racconta il libro di Paolo Pasi, che segue le vicende dei confinati politici antifascisti di Ventotene e in particolare di quelli che subirono il trattamento peggiore e più discriminante: gli anarchici, che nei caotici e cruciali quarantacinque giorni che intercorsero tra il 25 luglio e l’8 settembre del 1943 non vennero liberati dalle autorità badogliane che reggevano il Paese, ma furono trasferiti nel terribile Campo 97 di Renicci di Anghiari, presso Arezzo, uno dei “campi del Duce”, cioè uno dei tanti lager fascisti italiani, dei quali – al di là della ristretta cerchia dei ricercatori e degli specialisti – ancora troppo poco l’opinione pubblica è informata e consapevole.

E come già rilevato più volte su Carmilla [123], non si tratta certo di una ignoranza casuale, di una smemoratezza accidentale, bensì di un vuoto di memoria collettivo voluto, creato e consolidato nel corso dei decenni che ci separano da un passato – il ventennio fascista, la dittatura, le sue guerre, le sue persecuzioni, i suoi crimini – talvolta obliato, talaltra edulcorato. Alla ricostruzione e alla conservazione della memoria storica dà il suo contributo Antifascisti senza patria, che attraverso trentuno brevi capitoli rievoca le vite di lotta ed impegno politici dei tanti confinati anarchici di Ventotone, il secondo gruppo per consistenza numerica dopo i comunisti ed il più temuto dai fascisti prima e dai badogliani poi, ammesso che sia corretto, in questo caso, considerare come una cesura o una svolta il passaggio attraverso il 25 luglio.

In realtà proprio il trattamento riservato agli anarchici detenuti o confinati, che a differenza degli altri gruppi politici antifascisti e degli stessi comunisti vennero trattenuti al confino o deportati in campi di internamento anche dopo la prima caduta di Mussolini, mette in evidenza quale fosse nelle intenzioni del re e di Badoglio la linea politica da tenere per governare l’Italia. Quella – in buona sostanza – di un “fascismo senza Mussolini”, stretto attorno alla corona e all’esercito, che si espresse in un governo che sciolse il PNF e la Milizia, che abrogò il Tribunale speciale, ma che faticò a riconoscere le libertà politiche e a confrontarsi col Comitato delle opposizioni (poi CLN), che non abolì le infami Leggi razziali del ’38, che si affrettò il 26 luglio ad emanare la famigerata Circolare Roatta, per forma e contenuto un concentrato di fascismo, che ordinava a militari e forze dell’ordine di procedere in formazione di combattimento e di aprire il fuoco a distanza contro chiunque fosse considerato causa di perturbamento dell’ordine pubblico, come se si trattasse di truppe nemiche.

Una sostanziale continuità politica col recentissimo passato prossimo fascista, di cui il sovrano e Badoglio erano stati completamente corresponsabili e a cui poi si aggiunse la rinascita dalle proprie ceneri e in forma repubblicana del fascismo, dopo l’armistizio dell’8 settembre e la liberazione di Mussolini dal Gran Sasso il 12 dello stesso mese, che avviò il Paese verso quella guerra civile che si sarebbe conclusa solo nell’aprile di due anni dopo. Una situazione che rischiò di trasformarsi in una trappola mortale per gli antifascisti anarchici – ancora internati o confinati mentre i tedeschi prendevano possesso del territorio italiano e si costituiva la Repubblica di Salò – e per i prigionieri stranieri, che stavano subendo la stessa sorte, quella del diniego della doverosa liberazione immediata. Si trattava principalmente di slavi – sloveni, croati, serbi – ma anche greci, albanesi, macedoni, insomma i popoli che avevano conosciuto e subito l’aggressione, le violenze e la protervia conseguenti alle velleità di grandezza imperiale dell’Italia fascista.

È sullo sfondo di questi così cruciali e terribili momenti ed eventi della storia italiana dell’estate 1943 che Paolo Pasi racconta le storie dei tanti antifascisti italiani e stranieri di cui ha pazientemente raccolto informazioni, testimonianze, notizie, documenti d’archivio, resoconti, talvolta ricchi e copiosi e talvolta scarni o lacunosi, assumendo una posizione ed un punto di vista intermedi tra quelli dello storico e del narratore, del ricercatore e dello scrittore e adottando un genere di scrittura che si potrebbe definire “saggio romanzato”. Scelta di scrittura analoga a quella compiuta recentemente da Cecco Bellosi nel suo Sotto l’ombra di un bel fiore. Il sogno infranto della Resistenza, Milieu edizioni, 2018 [su Carmilla].
Con la sistematicità rigorosa e l’attenzione per i documenti proprie dello storico, Pasi tratteggia il profilo e ricostruisce le biografie politiche dei suoi “personaggi” e con la prosa appassionata e coinvolgente del narratore mette in scena le loro storie; ne immagina i pensieri, le discussioni e i dialoghi; ne descrive gli stati emotivi, le speranze, le delusioni e gli scoramenti; ricostruisce e descrive il contesto del confino di Ventotene, della reclusione a Renicci o a Fraschette d’Alatri, presso Frosinone.

Nelle pagine di Antifascisti senza patria, prendono vita e si animano i volti, le idee e le passioni politiche dei tanti confinati di Ventotene, alcuni dei quali destinati a diventare protagonisti della vita politica Italiana degli anni successivi, come Altiero Spinelli, Sandro Pertini, Luigi Longo, Mauro Scoccimarro, Camilla Ravera, Umberto Terracini, Giuseppe di Vittorio. Altri invece, meno noti, non ricevettero analoghi riconoscimenti politici nella nuova Italia repubblicana, nonostante la non minore tenacia con cui si opposero alla dittatura e al fascismo. Ed è proprio a loro, a questi antifascisti per lo più disconosciuti e dimenticati dal loro Paese, che il lavoro di Pasi è dedicato: sono gli anarchici come il triestino Umberto Tommasini, il piacentino Emilio Canzi, il reggiano Enrico Zambonini, i romagnoli di Santarcangelo Mario, Carlo e Ferruccio Girolimetti, il siracusano Alfonso Failla, la napoletana Emilia Buonacosa e tanti altri, provenienti da ogni parte d’Italia, ma tutti accomunati dalla condivisione dell’ideale libertario, che li guidò nell’impegno politico, nelle lotte operaie e nell’opposizione allo Stato, alla dittatura e al fascismo, che li condusse in Spagna, in Catalogna, a combattere contro il franchismo e dove dovettero subire l’attacco «di un esercito che avrebbe dovuto combattere i fascisti e che invece ha spento il sogno libertario» (p. 50): gli stalinisti. Quei «comunisti “ortodossi” capaci perfino di isolare con spietata determinazione uno di loro, Terracini, colpevole di aver espresso un’opinione fuori linea» (pp. 50-51) e coi quali a Ventotene dovettero convivere, in quelle variegate galassie dell’antifascismo che furono i luoghi di confino, dove a stretto contatto si ritrovarono liberali, giellisti, socialisti, comunisti e anarchici.

Quando alla fine di settembre 1943 arrivò la notizia della caduta di Mussolini, l’isola di Ventotene e i suoi “ospiti forzati” furono scossi da entusiasmo, nuove speranze, inquietudine, ma al contempo da incertezza e timore per un futuro, un destino di cui i confinati non erano ancora padroni. Immediatamente ebbe inizio la negoziazione con le autorità militari dell’isola per ottenere migliori condizioni di trattamento, in attesa della più celere possibile liberazione di tutti i detenuti. Nel corso del successivo mese di agosto questo accadde per liberali, giellisti, socialisti ed infine per i comunisti, ma non per gli anarchici, non per gli stranieri. Il trasferimento a Renicci o in altri campi fece da preludio ad un altro momento storico decisivo tanto per l’Italia quanto per gli antifascisti ancora non rimessi in libertà dal governo Badoglio: l’armistizio, l’arrivo della Wehrmacht, la divisione del Paese in due Italie in lotta tra loro.

Nelle convulse giornate successive all’8 settembre, mentre il Paese, lasciato a se stesso dal governo e dal sovrano, sbandava e precipitava nel caos, gli anarchici di Renicci e di altri campi, con tempistiche e modalità differenti, furono finalmente rimessi in libertà. Alcuni intrapresero la via insicura del ritorno a casa, altri quella altrettanto pericolosa della aggregazione ai primi nuclei della Resistenza che andavano formandosi; tutti seguitarono la lotta politica contro il fascismo; moltissimi divennero partigiani; alcuni morirono ed altri sopravvissero alla guerra per continuare la militanza e l’impegno politici per anarchia in un’Italia molto diversa da quella che avevano immaginato, sperato e per la quale avevano combattuto.

Nel conclusivo trentunesimo capitolo – Titoli di coda – Pasi passa in rassegna le vicende politiche successive al 1943 e al 1945 di molti degli ex confinati anarchici di Ventotene e in una carrellata, emotivamente coinvolgente, chiama a raccolta dinanzi a sé e al lettore questi ribelli senza patria per portare a conclusione la narrazione delle loro vite sovversive, di cui qui si riportano alcuni esempi.

«Enrico Zambonini, arrestato ad Arezzo durante il trasferimento da Ventotene, uscì dal carcere nel dicembre del 1943 dopo un bombardamento sulla città. Tornato a casa dalla sorella Marianna, a Secchio di Villa Minozzo, prese subito contatti con la resistenza nell’Appennino reggiano, ma poche ore prima di unirsi ai partigiani venne fermato dai fascisti, portato a Reggio Emilia e fucilato insieme al parroco del paese, don Pasquino Borghi. Davanti al plotone d’esecuzione Zambonini gridò “viva l’anarchia” prima di soccombere ai proiettili. Le sue ossa vennero disperse, la sua memoria, pur viva, tramandata a fatica e quasi ignorata dalle istituzioni. Solo molti anni dopo la guerra, gli anarchici reggiani fecero affiggere a Villa Minozzo una lapide che ancora oggi ne ricorda la militanza antifascista e il prezzo pagato». (pp.202-203)

«Dopo l’uscita da Renicci, Failla aveva raggiunto i familiari a Lucca e si era in breve tempo unito alla resistenza in Toscana. Nel secondo dopoguerra divenne una delle figure di spicco dell’anarchismo italiano, attivo nella vita politica e sociale fino al 1972. Morì nel gennaio del 1986, lasciano il testimone della sua memoria alla moglie, alle due figlie e ai suoi compagni di Carrara». (p. 201)

«Umberto Tommasini seguì le sorti della guerra insieme alla sorella e al nipote sfollati sull’Appennino emiliano, fornendo appoggio e aiuti alla popolazione locale. Al termine del conflitto tornò a Trieste, dove proseguì il suo impegno di anarchico attraverso la fondazione del gruppo Germinal e la testimonianza attiva contro i totalitarismi, che lo rese popolare tra i giovani libertari negli della contestazione. Autore di un’autobiografia che ripercorre la sua vicenda umana e politica, raccontò anche i fatti di Ventotene e Renicci. Una militanza che durò fino al 1980, anno della sua morte». (pp. 201-201)

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