On the Brinks – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 06 Dec 2025 21:23:20 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 The General: storia e leggenda della malavita irlandese https://www.carmillaonline.com/2017/05/28/38103/ Sat, 27 May 2017 22:01:53 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=38103 di Gioacchino Toni

the general coverPaul Williams, The General. Martin Cahill, storia e leggenda della malavita irlandese, Milieu edizioni, Milano, 2016, 326 pagine, € 15,90

«Erano le tre e venti del 18 agosto 1994: era appena stato ucciso Martin Cahill, il più famoso gangster d’Irlanda. Meno di sei minuti prima il gangster quarantacinquenne, Tango Uno per i Gardaí, era diventato l’ultima vittima del Provisional Ira, l’Esercito Repubblicano Irlandese» (p. 7).

Così, dalla fine, inizia il racconto che ha come protagonista Martin Cahill, detto The General, il bandito irlandese che, tra gli anni ’70 [...]]]> di Gioacchino Toni

the general coverPaul Williams, The General. Martin Cahill, storia e leggenda della malavita irlandese, Milieu edizioni, Milano, 2016, 326 pagine, € 15,90

«Erano le tre e venti del 18 agosto 1994: era appena stato ucciso Martin Cahill, il più famoso gangster d’Irlanda. Meno di sei minuti prima il gangster quarantacinquenne, Tango Uno per i Gardaí, era diventato l’ultima vittima del Provisional Ira, l’Esercito Repubblicano Irlandese» (p. 7).

Così, dalla fine, inizia il racconto che ha come protagonista Martin Cahill, detto The General, il bandito irlandese che, tra gli anni ’70 ed i ’90, tra una rapina e l’altra, si trovò a dover fuggire, di volta in volta, da polizia (la Garda), militanti dell’Ira e mercenari dell’Ulster. Troppi i piedi pestati per morire nel sonno. Troppa la testardaggine, troppa la tracotanza per sperare di poter davvero continuare a sfuggire a lungo al piombo promessogli da tutte le direzioni.

E così, in un assolato pomeriggio dublinese, tra Oxford Road e Charleston Road, nel quartiere periferico di Ranelagh, un tiratore dell’Ira pose definitivamente fine alla storia, non certo alla leggenda, del Generale, mentre questi si apprestava ad incontrare i suoi soci per pianificare un grosso colpo, l’ennesimo, non prima di aver riconsegnato in negozio la videocassetta di Bornx di Robert De Niro.

È dall’inevitabile epilogo che il giornalista e scrittore Paul Williams inizia il flashback che ripercorre la vita del più noto criminale irlandese con la passione per i piccioni, le moto ed il cibo al curry…

un uomo dalle mille contraddizioni: padre devoto, amico fedele, amante insaziabile, assurdo burlone, ma anche odiato fuorilegge, gangster temibile, mostro sadico, pianificatore meticoloso […] ossessivo, subdolo ed estremamente intelligente; a volte crudele, a volte compassionevole; riservato con una vena di malizia. Un personaggio complesso (p. 11)

Primi anni ’60. Quartiere periferico di Crumlin. In uno dei tanti complessi abitativi popolari di recente edificazione voluti dal governo per “ripulire” il centro cittadino, il piccolo Martin dovette imparare velocemente ad arrangiarsi per contribuire alle entrate della famiglia. Era la fame a dettare l’agenda della sua infanzia e qualcosa di quella fame gli resterà sempre addosso; anche quando i colpi avranno ben altri obiettivi e di certo non era il cibo a mancare, non era così raro vedere Cahill «darsela a gambe con oggetti preziosi del valore di cinquantamila sterline insieme a qualche chilo di bistecche da quattro soldi» (p. 16).

Nella grigia periferia dublinese Martin imparò presto a conoscere il tribunale minorile e la scuola industriale a cui venivano inviati i giovani delinquenti per dare loro una formazione e, se possibile, una raddrizzata. Se questi luoghi difficilmente riuscirono nel primo intento, probabilmente mai ebbero successo nel secondo.

Metà anni ’60. Prima dei botti su al Nord. Il giovane Martin raggiunse Belfast ove la Royal Navy di Sua Maestà Britannica stava arruolando decine e decine di giovani irlandesi squattrinati in cerca di uno stipendio. Ai candidati veniva consegnato un documento su cui indicare il mestiere in cui si sentivano più portati. Martin indicò bugler (trombettista) ma aveva letto male; riteneva di aver indicato burglar (scassinatore). Al colloquio gli venne chiesto di motivare la scelta e la risposta del giovane, evidentemente con qualche problema di lettura (senza scomodare Freud & C.), gli valse l’immediato viaggio di ritorno nella sua Dublino ove poté cimentarsi, al di là degli errori di lettura, nel lavoro per cui era effettivamente più portato.

Gli Hollyfield Buildings a Rathmines erano un complesso di appartamenti semi-abbandonati. Per gli inquilini delle case popolari che non riuscivano nemmeno a pagare l’affitto, o erano accusati di essere dei piantagrane, quello era l’ultimo stadio prima di rimanere davvero senza tetto. Le condizioni erano spaventose. […] Eppure, per Martin Cahill, quella era casa, il suo regno. Non avrebbe voluto stare in nessun altro posto […] “Quello che (le autorità) non si sarebbero mai aspettate era che ci piacesse quel posto. Ci conoscevamo tutti” ricordava con affetto Cahill dopo che il complesso venne raso al suolo […] Gli abitanti di Hollyfield erano legati tra loro da un senso di lealtà e da un totale disprezzo per l’autorità, ingredienti che modellarono la complessa personalità di Martin Cahill. Era felice in quello strano mondo sotterraneo e non sentiva alcun desiderio di conformarsi ai costumi della società che si trovava al di fuori delle mura che circondavano il suo regno. Si trovava spesso a consigliare alla sua gente di non dimenticarsi mai da dove veniva e di essere orgogliosa delle proprie radici (pp. 23-24)

È in questi bassifondi di Dublino che Cahill riuscì a scalare velocemente posizioni all’interno del milieu criminale irlandese arrivando ad incarnare «la figura dell’ultimo antieroe, quello che soddisfaceva la morbosa e ambivalente attrazione della gente per la malavita. Più di ogni altra icona criminale, Cahill aveva un profondo fascino sull’immaginario nazionale» (p. 12).

martin cahill 09Primi anni ’70. Insieme al caos esploso in Irlanda del Nord mutò profondamente anche il panorama malavitoso irlandese che, almeno fino ad allora, non aveva creato grossi grattacapi alla polizia. L’onda d’urto generata dai fatti del Nord e dall’esplosione di un nuovo tipo di criminalità, trovò le forze dell’ordine totalmente impreparate e di ciò il Generale seppe trarre vantaggio. «A differenza di molti criminali che per quanto possibile tendono a evitare il conflitto con le autorità, Martin Cahill promosse la sua personale rivolta contro lo Stato. Condusse un’implacabile guerra di arguzia contro i Gardaí, che odiava ferocemente, un sentimento ricambiato dagli uomini e dalle donne in uniforme blu» (p. 13).

Metà anni ’70. Le fumose sale da biliardo diventarono il quartier generale della malavita dublinese e le auto parcheggiate davanti ad esse testimoniavano i colpi andati a segno. Martin vi parcheggiava la sua amata Harley.

Primi anni ’80. Il decennio si aprì con un botto capace di far saltare in aria non solo l’automobile con a bordo un funzionario del Ministero della Giustizia che aveva creato grattacapi a parecchia gente, ma anche di far balzare alle stelle la popolarità del Generale che da lì a poco avrebbe messo a segno una rapina entrata nella storia del crimine irlandese.

Obiettivo: la gioielleria O’Connor a Dublino. Bottino: oro, gemme e gioielli per un valore di oltre due milioni di sterline. Sarebbe stata la rapina più grande e più temeraria dall’istituzione dello Stato irlandese. Inoltre avrebbe fatto da catalizzatore e avrebbe portato Dublino sull’orlo di una guerra aperta tra la criminalità organizzata, l’Ira e la Garda (pp. 58-59)

Anche l’Ira aveva pianificato il colpo salvo poi abbandonare i piani perché ritenuto impossibile. Che un eccentrico sbruffone fosse riuscito in ciò che appariva impossibile all’Esercito Repubblicano Irlandese gli sarebbe costato caro.

Metà anni ’80. L’eroina aveva invaso i quartieri di Dublino e con essi aveva riscritto gerarchie e cancellato consuetudini e regole del gioco nel milieu malavitoso.

Nel maggio del 1986 il signore del crimine fece una passeggiata nella magnifica magione del signorotto e rubò undici dei dipinti di maggior valore della collezione Beit. Fu la seconda più grande rapina d’arte del mondo. La scomparsa dei dipinti Beit segnò l’inizio di un’affascinante e complessa storia di intrighi internazionali che coinvolsero le forze di polizia e le organizzazioni criminali di vari paesi (p. 93).

La banda del Generale era di gran lunga la più attiva del paese; rubavano a ritmi sostenuti in una situazione di apparente impunità, mettendo a segno a volte anche tre o più grandi rapine ogni settimana. I marchi di fabbrica della gang erano: terrore, minacce e sequestri di persona. Nelle lunghe notti buie d’inverno, il periodo dell’anno preferito di Cahill, i lavori tipici erano i legami, in cui i ricchi abitanti di grandi dimore sparse in tutto il paese venivano legati mentre la banda se la batteva con contanti e valori. I suoi vecchi avversari della Garda le avevano provate tutte per catturare Cahill ma non ci erano mai riusciti. Era impossibile ottenere informazioni dall’interno della banda, perché il livello di fedeltà tra gli uomini del Generale era altissimo (una cosa insolita per i gruppi criminali) e la possibilità di infiltrare un informatore era praticamente inesistente. Inoltre Cahill era un personaggio talmente imprevedibile e misterioso che i metodi tradizionali si rivelavano inutili (pp. 114-115).

Impossibile in queste poche righe ricostruire le mille avventure di Martin Cahill puntualmente riportate dal libro di Paul Williams. Forse però un paio di episodi bastano a dare un’idea del personaggio.

Una mattina, mentre si recava in tribunale a un’udienza per la custodia cautelare, Cahill rapinò la filiale esattamente alle dieci e cinquanta. Un complice lo aspettava per prendere i soldi e Cahill si presentò al suo appuntamento di fronte alla corte otto minuti più tardi, con un alibi di ferro (pp. 40-41).

The General percepiva il sussidio di disoccupazione da quando aveva lasciato il suo primo ed ultimo lavoro, nel 1969. Ogni settimana, a colpo sicuro, si recava all’ufficio di collocamento di Werburgh Street e firmava per il suo sussidio di disoccupazione per mantenere la moglie Frances e i loro cinque figli; faceva la coda allo sportello 10 e aspettava il suo turno. L’impiegato dall’altra parte dello sportello blindato formulava la sua domanda obbligatoria di rito: ha conseguito qualche impiego durante la settimana passata? Lui avrebbe firmato il modulo in cui dichiarava che non aveva conseguito nessun lavoro, avrebbe ricevuto un cedolino e con quello si sarebbe recato a un altro sportello a riscuotere i soldi. Gli impiegati che hanno avuto a che fare con lui ricordano che era cortese, simpatico e, a differenza di alcuni altri firmatari, di poche parole. Ogni volta che arrivava in Werburgh Street, Cahill indossava un casco da moto o un passamontagna o teneva una mano sul volto. Era risaputo che la polizia portava i testimoni all’ufficio di collocamento per una prima identificazione informale dei delinquenti. Ma Cahill mostrava il suo volto solo allo sportello. Una volta, a metà degli anni Settanta, si era presentato due volte nella stessa settimana, con il casco: la prima volta per incassare il sussidio di disoccupazione e al seconda per rubare centomila sterline in contanti (pp. 176-177).

Primi anni ’90. Come promessogli da tanti, il piombo arrivò anche per lui. La mano era quella dell’Ira ma poteva benissimo essere una mano diversa a freddarlo.

Come anticipato, troppi erano stati i piedi pestati per consentire al Generale di morire nel sonno. Troppa era stata la testardaggine e troppa la tracotanza per sperare di poter ancora a lungo evitare il piombo promessogli da tutte le direzioni.


Milieu edizioni ha dato alle stampe una particolare Trilogia Irish composta da: On the Brinks. Memorie di un irriducibile irlandese di Sam Millar – di cui ci siamo occupati su Carmilla -, The General. Martin Chaill, storia e leggenda della malavita iralandese del giornalista irlandese Paul Williams e Bomber Renegade. Un soldato di sua maestà al servizio dell’Ira (libro + cd) scritto da Michael “Dixie” Dickson, Federico De Ambrosis e Niccolò Garufi. Daremo presto conto anche di questo terzo libro che racconta la storia di un ex militare di sua maestà di ritorno dalla guerra nelle Falkland che scopre la causa repubblicana irlandese sugli spalti del Celtic Park.

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Sam Millar: On the Brinks. Storie di strade e prigioni tra Belfast e New York https://www.carmillaonline.com/2016/10/25/33885/ Tue, 25 Oct 2016 21:30:53 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=33885 di Gioacchino Toni

MILLAR_cover_dorso_ok_def.inddSam Millar, On the Brinks. Memorie di un irriducibile irlandese, Milieu edizioni, Milano, 2016, 326 pagine, € 16,90

Parte prima. Belfast in bianco e nero come la foto di copertina. Metà anni Sessanta. Casse di bottiglie di birra vuote ai lati del pub di quartiere e l’immancabile fish and chips all’angolo.

«Il sabato mattina, da bambino, ero attratto dal pub di quartiere, in fondo alla nostra strada su York Street. Fuori dal pub, casse di Guinness vuote erano accatastate contro il muro, immerse nell’odore di fermentazione per il sole mattutino. Il loro contenuto era finito con i sogni [...]]]> di Gioacchino Toni

MILLAR_cover_dorso_ok_def.inddSam Millar, On the Brinks. Memorie di un irriducibile irlandese, Milieu edizioni, Milano, 2016, 326 pagine, € 16,90

Parte prima. Belfast in bianco e nero come la foto di copertina. Metà anni Sessanta. Casse di bottiglie di birra vuote ai lati del pub di quartiere e l’immancabile fish and chips all’angolo.

«Il sabato mattina, da bambino, ero attratto dal pub di quartiere, in fondo alla nostra strada su York Street. Fuori dal pub, casse di Guinness vuote erano accatastate contro il muro, immerse nell’odore di fermentazione per il sole mattutino. Il loro contenuto era finito con i sogni della notte precedente, lasciando solo un paio di lacrime di roba nera luccicante sul fondo di ogni bottiglia. Mosche, vili e pigre, ciondolavano ubriache sui colli di bottiglia, ronzando con rabbia per i postumi della sbronza» (p. 15).

Tutti i venerdì sera «dovevo correre da Peter Kelly per il fish and chips. Se anche avessi corso come un pazzo e il fish and chips fosse stato abbastanza caldo da scottargli la lingua, papà mi avrebbe comunque accolto con un Questa roba è ghiacciata. Che diavolo ti ha trattenuto…?» (p. 25).

Fine anni Sessanta – primi anni Settanta. «I neri stavano marciando per i diritti civili in America, e i cattolici del Nord Irlanda avevano l’audacia di dimostrarsi solidali con quella causa. Fu in quel periodo che mio fratello maggiore Danny acquistò un’auto. Non molti cattolici possedevano automobili a quel tempo, quindi la notizia era sulla bocca di tutti. Una Mini celeste» (p. 33).

Nemmeno il tempo di crescere ed il bambino che gironzolava con i cartocci unti di fish and chips da portare di corsa al padre e che si attardava ad osservare le bottiglie di Guinnes accatastate ai lati dell’entrata del pub impara sulla sua pelle cosa significa, in barba alla solidarietà di classe, essere preso di mira dai compagni di lavoro perché proveniente da un quartiere cattolico. «Iniziai a lavorare in un deposito di legname vicino al porto; oltre a me c’erano solo una dozzina di cattolici, su più di cento operai. Inutile dire che nessuno ci diede un caloroso benvenuto, a parte intorno al 12 luglio, nei giorni della festa degli orangisti, quando, zuppi d’alcol e odio, i nostri compagni di lavoro lealisti fecero un bel falò del piccolo capanno dove bevevamo il tè, separati dagli altri […] Dopo aver passato alcuni mesi a tornare a casa guardandomi le spalle, decisi, per ragioni di sopravvivenza, che la vita da falegname non era la mia vocazione. Finii a lavorare in un mattatoio, a due passi dal deposito di legname» (p. 39).

Da lì a poco il piccolo Sam avrebbe rimpianto persino lo sfruttamento nei luridi ambienti di lavoro e le angherie dei compagni provenienti dai quartieri protestanti. All’epoca non era difficile finire in galera per aver anche solo lasciato attraversare casa, dalla porta sulla strada a quella sul retro, qualcuno che andava di fretta. D’altra parte sarebbe stato difficile negare il passaggio a chi sapeva di poter contare sull’intero quartiere.

E così anche chi, come Sam Millar, tra i suoi avi mescolava con una certa noncuranza cattolici e protestanti di scarsa devozione, si aprirono le porte dell’inferno messo in piedi dai detentori di una tradizione secolare nel regnare a casa altrui. Tra il famigerato Crum, così veniva chiamato il Crumlin Road Gaol di Belfast, il Centro per Interrogatori di Castlereagh ed i maledetti H-Blocks di Long Kesh, anche chi era finito dentro senza nemmeno sapere il perché si trovava a doversi schierare più per motivi di sopravvivenza dietro le sbarre che per scelte politiche. Quelle sarebbero arrivate solo dopo, insieme alla solidarietà tra reclusi.

Metà anni Settanta. «Sono stato rilasciato alla fine del 1975 ed ero un’altra persona. Non ero mai stato molto interessato alla politica o alla storia, ma al Kesh, invece, ne divenni un consumatore insaziabile. Gli studi che mi erano stati negati sulla strada, alla fine filtrarono fino a me attraverso gli altri prigionieri, alcuni dei quali con titoli universitari. In realtà cercavo vendetta per essere stato sbattuto al Kesh con l’unica accusa di essere irlandese […] La rivalsa sarebbe stata tremenda. Sarei diventato una spina nel fianco del governo britannico e avrei insegnato a quegli stronzi le buone maniere. Purtroppo per me, i britannici ci misero un attimo a togliersi la spina dal fianco e a infilarmela dritta su per il culo, condannandomi a dieci anni di carcere con l’accusa di possesso di esplosivi e armi da fuoco. E così tornai là dove avevo imparato tutto, a Long Kesh» (p. 66).

Anni Ottanta. Il decennio inizia ormai saldamente in mano alla Lady di ferro residente al numero 10 di Downing Street a Londra. Inverno 1980. «Lo sciopero della fame, iniziato il mese prima, in dicembre aveva raggiunto una fase cruciale: la salute degli uomini stava crollando rapidamente. Il primo fra tutti fu Sean McKenna a cui diagnosticarono due giorni di vita. Quelli di noi che non partecipavano allo sciopero della fame erano impotenti di fronte a qualsiasi azione, poiché ci era stato ordinato di mantenere il sangue freddo a tutti i costi: qualsiasi segno di frustrazione da parte nostra sarebbe tornato utile solamente al governo britannico e ai secondini. Probabilmente quello fu, tra tutti, l’ordine a cui fu più difficile obbedire, sapendo attraverso quali sofferenze stavano passando i nostri amici e compagni» (pp. 135-136). Le cose iniziarono a succedersi frenetiche alternando speranze, scelte infami e compagni morti.

MILLAR_cover_dorso_ok_def.inddMaggio 1981. «I giorni prima delle elezioni si fecero snervanti. I Britannici cercarono in ogni modo di far rimuovere il nome di Bobby dalla scheda elettorale. La Chiesa cattolica, attraverso i suoi sacerdoti servili, ci informò che “nessuno avrebbe votato per Bobby Sands”. Fu davvero confortante sapere che il Governo britannico e la Chiesa cattolica non solo cantavano leggendo dallo stesso libretto, ma addirittura sporcavano lo stesso paio di mutande» (p. 143). «Era martedì mattina presto, il 5 maggio, quando iniziò a sentirsi un lieve tamburellare che veniva giù dalle tubature. Sembrava un battito cardiaco. Non eravamo impreparati a ciò che voleva dire, ma, quando trapelò la notizia della morte di Bobby, fu comunque uno shock» (p. 145).

Parte seconda. New York. Il cupo bianco e nero di Belfast sembra ormai alle spalle. I colori e le luci della vita americana di Sam Millar che emergono dalle pagine del libro non sono certo vivaci, ricordano piuttosto quelli della fotografia di Tonino Delli Colli con cui ha magistralmente dato immagine alla New York tra gli anni Venti e gli anni Sessanta di C’era una volta in America (1984) di Sergio Leone. Il racconto di Millar sembra protrarre quelle tonalità e quella luce ben oltre agli anni Sessanta, prolungandole ancora per qualche altro decennio.

Il Millar americano? Sempre in bilico tra il legale e l’illegale, magari con un piede e mezzo nell’illegale tra casinò clandestini e lunario da sbarcare. Poi la grande occasione. L’occasione per svoltare e mettere tutto, o quasi, alle spalle. «La Brinks Incorporated, fondata nel 1859, è la più antica e la più grande azienda di trasporto sicuro in tutto il mondo, con centosessanta filiali operative negli Stati Uniti e quaranta in Canada, oltre ad affiliati in altri cinquanta paesi in tutto il mondo. Una bella storia davvero; e io progettavo di farne parte» (p. 217). «“È fondamentale che nessuno si faccia male. E nessuno si farà male, però devi fidarti di me. Non abbiamo bisogno di pistole vere” dissi. Cercai di calmarlo facendoli ragionare. “Le guardie staranno lì a farsela sotto, cazzo, quando si vedranno puntare in faccia queste”» (p. 218).

Finalmente i soldi. Tanti soldi. «Finì che sollevammo oltre mezza tonnellata di banconote in meno di quindici minuti. Un record olimpico. Ogni 45 chili di banconote erano, all’incirca, un milione di dollari. Non me ne frega niente di quel che dice la gente, con un incentivo monetario di quel tipo le chiacchiere stanno a zero» (p. 224).

Le cose non andarono per il verso giusto. C’era da aspettarselo. Novembre 1993. «La terapia diesel è una forma di tortura mentale e fisica dei detenuti che il governo vuole disperatamente far parlare, nella speranza di ottenere una confessione o informazioni vitali da usare in tribunale in una fase successiva. Questo travaglio punitivo consiste nello spostare il prigioniero da un penitenziario a un altro, fino a tre volte al giorno, per disorientarlo e isolarlo, nella speranza di abbattere ogni resistenza» (p. 268).

Così il New York Times riassume, a modo suo, un’intera esistenza di un essere umano che ha passato l’inferno delle prigioni di sua maestà a schiena dritta: «Nel quartiere di Jackson Heights dove vive, l’uomo, che si faceva chiamare Andre Singleton o Patrick, era noto per essere il proprietario di un frequentato negozio di fumetti, uomo di famiglia religiosa, inquilino responsabile che viveva tranquillamente con la moglie e tre figli. In un’altra vita, in Irlanda, la storia era stata ben diversa. L’uomo, slanciato e ben vestito, era Samuel Ignatius Millar, un giovane ribelle di Belfast che ha passato almeno otto anni in carcere, in primo luogo per l’appartenenza a un “gruppo illegale” e poi per possesso di armi ed esplosivi. Nel 1984, all’età di 29 anni, si è fatto strada negli Stati Uniti sotto falso nome. Ha lavorato come venditore ambulante, cercando di ricominciare daccapo. Le autorità ora sostengono che, arrivato nel nostro paese, il signor Millar abbia messo da parte la sua vecchia identità, ma non abbia fatto altrettanto con le sue attività criminali. La settimana scorsa, il signor Millar è stato collegato allo strano trio di sospettati, tra cui un sacerdote melchita e un ex detective della polizia, accusati di averlo aiutato a rubare 7,4 milioni di dollari dai furgoni blindati della Brinks in servizio a Rochester; si tratta di una delle più grandi rapine a mano armata nella storia degli Stati Uniti» (p. 271).

Gennaio 1994 «La terapia diesel continuò senza sosta per altri tre mesi. Venni spedito in numerosi penitenziari notoriamente duri, fino a che il mio avvocato, Anthony F Leonardo, fu finalmente in grado di porvi fine, ottenendo un ordine del tribunale per farmi restare nella prigione Monroe County, affettuosamente conosciuta come la Casa della Sofferenza, dove rimasi per i successivi due anni, in attesa di processo. Il cartello all’ingresso di Rochester diceva benvenuti e vi auguriamo una buona permanenza. Ma questa volta mi strizzò l’occhio: sapevo che saresti tornato…» (p. 275).

11 ottobre 1994. Il processo. «Non c’era nemmeno un posto libero. Il tribunale era pieno zeppo. C’erano i posti riservati alla stampa, e tutti i nostri famigliari e amici avevano cercato di entrare a forza. Tutti gli altri posti andarono a quella particolare specie di persone morbose che non hanno nulla nella loro vita, tranne la prospettiva della rovina di qualcun altro, la perversa euforia voyeuristica che provano osservando i caduti. Di gente così ce ne doveva essere a bizzeffe durante la rivoluzione francese, seduti con i loro ferri da maglia davanti alla ghigliottina» (p. 297).

29 novembre 1994. Il verdetto. «“Avete raggiunto un verdetto?”. “Sì”. “Qual è il verdetto?”. Calmai lentamente il respiro e sentii la mia pelle indurirsi per la tensione. Sapevo cosa sarebbe successo e, come un treno merci nella notte, c’era ben poco che potessi fare al riguardo» (p. 311).

On the Brinks ricostruisce la quotidianità infernale delle prigioni coloniali di sua maestà ed il meccanismo con cui un giovane, finito dentro senza neppure sapere perché, si trova a partecipare a scelte estreme. Il libro, come la vita di Sam Millar, si divide in due grandi blocchi ambientati nelle strade e nelle prigioni di Belfast ed in quelle di New York. Alla militanza nordirlandese segue la grande rapina americana ed è attorno a questi due eventi che si consuma l’esistenza dello scrittore. Dalle crude vicende narrate da Millar si potrebbero ricavare un paio di film: uno dedicato alle vicende di Belfast ed uno incentrato sulla rapina americana. Ci auguriamo che qualcuno ci stia pensando perché il libro, per certi versi, è già una sceneggiatura.

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irlanda-libriOn the Brinks. Memorie di un irriducibile irlandese di Sam Millar è il primo volume della Trilogia Irish proposta da Milieu edizioni. La seconda opera è The General. Martin Chaill, storia e leggenda della malavita iralandese scritta dal giornalista irlandese Paul Williams. Il libro narra la storia di un bandito che tra gli anni ’70 ed i ’90 si trova a dover fuggire, di volta in volta, da polizia, militanti dell’Ira e mercenari dell’Ulster. Il terzo volume della trilogia è Bomber Renegade. Un soldato di sua maestà al servizio dell’Ira libro + cd scritto da Michael “Dixie” Dickson, Federico De Ambrosis e Niccolò Garufi. In questo caso viene raccontata la storia di un ex militare di sua maestà di ritorno dalla guerra nelle Falkland che scopre la cusa repubblicana irlandese sugli spalti del Celtic Park accompagnata dalle rebel songs dei Glasnevin e di Gary Og.
Non mancheremo di dare spazio anche a queste due opere.

 

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