Office of Stategic Service – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 07 Aug 2025 15:32:24 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 E’ uno sporco lavoro / 3: Hiroshima Nagasaki Russian Roulette https://www.carmillaonline.com/2025/08/06/e-uno-sporco-lavoro-3-hiroshima-nagasaki-russian-roulette/ Wed, 06 Aug 2025 20:00:33 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=89590 di Sandro Moiso

Sganciarono la bomba nel 45 per far terminare la guerra mondiale Nessuno aveva mai visto niente di così terribile, prima il mondo guardava con gli occhi spalancati per vedere come sarebbe andata a finire Gli uomini del potere eludevano l’argomento era un momento da ricordare, non dimenticheremo mai Stavano giocando alla roulette russa con Hiroshima e Nagasaki (Jim Page – Hiroshima Nagasaki Russian Roulette, 1974-77)

Sono ancora una volta delle parole, in parte esplicite e in parte giustificatorie, quelle da cui partire per una riflessione sul presente e sul passato di un modo di produzione e [...]]]> di Sandro Moiso

Sganciarono la bomba nel 45 per far terminare la guerra mondiale
Nessuno aveva mai visto niente di così terribile, prima
il mondo guardava con gli occhi spalancati per vedere come sarebbe andata a finire
Gli uomini del potere eludevano l’argomento
era un momento da ricordare, non dimenticheremo mai
Stavano giocando alla roulette russa con Hiroshima e Nagasaki

(Jim Page – Hiroshima Nagasaki Russian Roulette, 1974-77)

Sono ancora una volta delle parole, in parte esplicite e in parte giustificatorie, quelle da cui partire per una riflessione sul presente e sul passato di un modo di produzione e della sua espressione politico-militare. Ciò di cui qui si parla prende infatti avvio dalla affermazione fatta da Donald Trump, dopo il bombardamento dei siti nucleari iraniani, secondo il quale: «I raid sull’Iran, come Hiroshima e Nagasaki, hanno chiuso la guerra». Secondo tale narrazione, infatti, i bombardamenti delle due città giapponesi avvenuti rispettivamente il 6 e il 9 agosto 1945 avrebbero costituito l’ultima ratio per risparmiare la vita di un numero di soldati americani che andato crescendo nel tempo da 500 000 a un milione. Ma nel corso di questo articolo si vedrà se è stato davvero così. Per adesso, quel che si può dire è che il riferimento ha suscitato l’indignazione degli “hibakusha”, i sopravvissuti giapponesi alle bombe, poiché:

Guardati con le lenti del diritto contemporaneo, gli attacchi di Hiroshima e Nagasaki si configurano come crimini di guerra plateali, e verosimilmente come due immensi attacchi terroristici. Usarli come esempio di una soluzione rapida e pulita, come Trump ha fatto, non è solo una falsificazione storica ma un ritorno inquietante alla lettura di quegli eventi che una parte di occidente si era fabbricata subito per giustificarli, e che nel tempo abbiamo superato. [Ma] il paragone ignominioso di Trump ha tuttavia almeno un merito: ci ricorda, se ce ne fosse bisogno, che a ottant’anni da Hiroshima siamo ancora immersi nell’era atomica, che non ne intravediamo la fine, perché forse fine non ci sarà. Di tutte le aberrazioni che l’umanità ha prodotto, la bomba atomica resta ancora la peggiore. E non è affatto, come ci siamo a lungo convinti e come si auguravano i fisici pentiti di Los Alamos, la miglior garanzia di pace possibile»1.

Eppure, eppure…
Come si è rilevato su queste pagine nel recente passato, anche qui in Europa si è scatenata, con la scusa del riarmo giustificato dalla minaccia russa, una nuova corsa all’armamento nucleare in cui, tra Francia e Regno Unito che già lo detengono, si vuole inserire anche la Germania del cancelliere Merz. Pretesa che sta alla base, certo più che la difesa dell’Ucraina, dell’accelerazione data al coordinamento tra Francia e Regno Unito con la Dichiarazione di Northwood, in vista di un uso non più impossibile dell’arma nucleare per rispondere a «minacce estreme» contro l’intera Europa.

Un modo come un altro per mettere alle dipendenze dai due paesi divisi dalla Manica l’intero sistema di difesa europeo che, comunque, per adesso ancora non esiste. Compresa l’improbabile deterrenza che potrebbe essere rappresentata dall’arsenale di circa 500 testate nucleari detenute complessivamente dalle due potenze “straccione”2 a fronte delle quasi seimila detenute dalla Russia3. In un contesto in cui molti governi hanno già scelto la Bomba come arma di pronto impiego.

Le atomiche tornano [così] ad essere quel che furono ottant’anni fa, a Hiroshima e a Nagasaki: estremo rimedio per finire il nemico. Ma in un contesto drasticamente diverso. La guerra dei dodici giorni fra Israele e Iran con la partecipazione straordinaria degli Stati Uniti non sarà ricordata per i suoi modesti esiti tattici ma per lo sconvolgimento che ha innestato su scala globale. Perché ha sancito la fine della deterrenza nucleare basata sulla mutua distruzione assicurata. Gli arsenali nucleari effettivi e latenti non assicurano più la vita di chi li possiede, per esempio Israele, o potrebbe presto dotarsene, come l’Iran. […] Il regime di non proliferazione formalizzato dal trattato voluto nel 1968 dai detentori della Bomba per impedire che altri se ne dotassero è saltato da tempo. Siamo a quota nove potenze nucleari, con l’Iran sulla soglia e otto variamente latenti […] I furbetti della latenza sono ormai smascherati. Giappone su tutti, poi Germania, Corea del Sud, Canada, Paesi bassi, Brasile, Argentina, Taiwan. Presto anche Turchia e Arabia Saudita. persino in Italia potrebbero riaffiorare sepolte velleità nucleari, espresse nel programma segreto franco-germanico-italiano del 1957, bloccato dagli americani (poi da De Gaulle)4.

Aggiungendo poi ancora il fatto che, molto probabilmente ad usare le testate nucleari sarà lo schieramento o il paese più a corto di soldati. Cosa niente affatto impossibile, considerata l’attuale scarsa propensione alla guerra e all’arruolamento riscontrabile soprattutto nei paesi europei. Ancora una volta, insomma, un modo per “risparmiare soldati”, ma certo non i civili.

Non solo, ma mentre si parla di guerra nucleare sul continente europeo, e nel resto del mondo, le forze politiche ed economiche legate al settore energetico e a quello industriale continuano platealmente a blaterare della necessità di costruire nuove centrali nucleari nei paesi europei. Italia compresa e, forse, in testa.

Si presentarono come salvatori della moderna razza umana
con aureole radioattive intorno alla faccia
con la chiave per la cura sicura, il trattamento per le nostre malattie
Una radiazione al cobalto ed una tasca piena di pillole
Parlando sempre del nemico in agguato al di là dell’oceano
Mentre loro si insinuavano tra di noi come malattie infettive.

L’uso dell’energia nucleare, per bocca dei suoi apprendisti stregoni, è giustificato da un autentico delirio di onnipotenza, visto che permetterebbe di assicurare ai suoi detentori sia un controllo illimitato sugli uomini che sulla Natura. Una fonte di energia che da un lato sembra promettere uno sviluppo infinito del progresso energivoro di cui il modo di produzione determinato dalle leggi del capitale è la perfetta manifestazione così come il superamento dei limiti della specie nei confronti del mondo materiale con cui deve fare i conti fin dal suo primo apparire sul pianeta, mentre dall’altro può far sventolare la promessa della massima distruttività applicata a coloro che si oppongano ai suoi detentori sia sul piano tecnologico e scientifico che militare. Quest’ultima accompagnata, però, da quella ipocrita del risparmio di vite umane derivante dal suo impiego.

Un argomento, insieme a quello del progresso, con cui gli scienziati del settore, spesso tutt’altro che neutrali e disinteressati come dimostra la storia del Progetto Manhattan e non sempre animati da nobili propositi o scientifiche certezze, hanno spesso giustificato il loro “sporco lavoro”. Come, ad esempio, lo stesso Robert Oppenheimer che, a differenza di quello portato sui grandi schermi con lo sguardo limpido e triste di Cillian Murphy, non aveva difficoltà ad ipotizzare che le vittime dell’uso della bomba su una città giapponese sarebbe stata di almeno ventimila5, pur di soddisfare la richiesta dell’esercito americano, proveniente dallo stesso presidente Roosevelt, di avere a disposizione un’arma che potesse porre fine alla guerra senza concedere al nemico alcuna forma di trattativa di pace.

Una storia che, per quanto riguardava la guerra con il Giappone, era iniziata molti anni prima. Nel 1923 addirittura, quando secondo il Plan Orange stabilito dalle forze armate e dalla marina militare statunitensi, la Fase III avrebbe dovuto prevedere: «Una campagna volta all’isolamento del Giappone attraverso il controllo di tutte le acque che lo circondano, nonché tramite l’equivalente delle operazioni di embargo e la cattura e l’occupazione di tutte le isole giapponesi periferiche, oltre che con incursioni aeree sul territorio nipponico»6.

Che nel novembre del 1941, prima dell’attacco giapponese a Pearl Harbour, il generale Marshall aveva anticipato nella sua opera di distruzione, affermando in una conferenza stampa che: «Se si dovesse arrivare a una guerra contro i giapponesi, combatteremo senza pietà. Le Flying Fortress7 saranno prontamente impiegate per mettere a ferro e fuoco le città di carta del Giappone. Non esiteremo a bombardare anche i civili: sarà un’azione a oltranza»8.

Al di là del fatto che questa ultima affermazione riveli sia il carattere razzista contenuto nella guerra con il riferimento alle “città di carta” tipiche dell’architettura tradizionale giapponese, che l’ipocrisia della giustificazione a posteriori dei bombardamenti sul territorio giapponese e le sue città, va qui ricordato che all’epoca l’aviazione militare statunitense, che costituiva ancora una branca dell’esercito, non aveva ancora a disposizione degli aerei a lungo raggio in grado di raggiunger il territorio giapponese dalle basi americane dislocate nel Pacifico o altrove.

Per raggiungere questo obiettivo si dovette utilizzare sia le basi militari inglesi in India che quelle messe a disposizione dalla Cina del governo di unità nazionale retto da Chiang Kai-shek e, soprattutto, dare inizio ad un nuovo progetto per un bombardiere a lungo raggio affidato alla Boeing: il B-29. Bombardiere i cui motori Wright R3350 costituirono sempre un problema non indifferente poiché prendevano regolarmente fuoco, tanto da aver contribuito alla morte del capo pilota collaudatore della Boeing durante il secondo volo del prototipo dello stesso B-29.

Non è per pignoleria che qui si segnala ai lettori che gli incendi di tali motori delle fortezze volanti, nel periodo finale della guerra, assommassero complessivamente a 6247 contribuendo così, ben più delle scarse difese antiaeree nemiche, oltre che le avverse condizioni metereologiche, alla perdita di novantasei bombardieri sui centoventicinque persi complessivamente nel corso della campagna di bombardamenti9.

Un fattore legato anche alla volontà dello stesso presidente Roosevelt di avere a disposizione uno strumento di distruzione a distanza, ben prima che fossero risolti tutti i problemi tecnici inerenti alla sua realizzazione. Sì, perché il presidente democratico per eccellenza, che aveva condannato a parole i bombardamenti sui civili indifesi ancora nel settembre del 1939, a partire dal dicembre 1941 aveva approvato un programma di ricerca americano per la possibile creazione di una bomba atomica e nel gennaio del 1943, dopo la conferenza anglo-americana di Casablanca, aveva annunciato che i tre Stati dell’Asse (Italia, Germania e Giappone) avrebbero dovuto arrendersi senza condizioni10.

Una guerra, pertanto, senza quartiere di cui i civili avrebbero costituito le vittime principali considerato che le aree produttive e urbane avrebbero costituito gli obiettivi principali, secondo la dottrina inaugurata dallo stratega italiano Giulio Douhet fin dal 1921 con il suo libro Il dominio dell’aria. Una sorta di ventre molle su cui operare e colpire, sia per indebolire le capacità produttive ed economiche dell’avversario che il morale della popolazione, inizialmente con l’uso di gas venefici e bombe incendiarie. Come avvenne, per esempio, con i bombardamenti di Dresda (13 e 15 febbraio 1945) e Tokyo (più volte bombardata dal 1942 fino all’estate del 1945).

In particolare il comando dell’aviazione americana aveva individuato nel Giappone, fin da prima dell’inizio del conflitto, un paese nemico particolarmente vulnerabile, «un obiettivo ideale per l’attacco aereo». Cosa che fece sì che lo schema della futura campagna di bombardamenti contro il paese del Sol Levante fosse «già stato sviluppato molto prima che ci fosse l’effettiva possibilità di realizzarlo»11. Ancora Roosevelt sostenne con regolarità e fermezza lo sviluppo della capacità di bombardamento delle forze aeree statunitensi, chiedendo già nel gennaio del 1939 (prima ancora dell’ipocrita difesa dei “civili indifesi”) che venisse avviato un programma di sviluppo e produzione di bombardieri pesanti.

Cosa che sarebbe valsa alla Boeing la fabbricazione di 3760 B-29, per un costo complessivo di quasi quattro miliardi di dollari, nonostante il fatto che durante l’addestramento negli Stati Uniti fossero morti 461 aviatori con la perdita di 272 velivoli a causa di incidenti, mentre complessivamente 2822 membri di equipaggi sarebbero rimasti uccisi o dispersi nella perdita di 493 velivoli totali nel corso delle operazioni di attacco condotte dal comando aereo americano. Cifre comunque insignificanti rispetto alle vittime civili causate da una strategia pianificata dal maggio del 1943, quando:

la sezione di intelligence delle forze aeree statunitensi chiese un rapporto sull’infiammabilità delle città giapponesi. L’Office of Stategic Service (OSS) preparò le mappe di venti città, suddivise in zone che indicavano il grado di vulnerabilità al fuoco. Tra queste figurava la voce «Tokyo: aree infiammabili», che era già stat tracciata nel novembre del 1942.
[…] Per testare la capacità degli ordigni incendiari disponibili di distruggere le abitazioni giapponesi furono costruiti dei modelli di «quartieri operai» presso il Dugway Proving Ground nello Utah, vicino a Salt Lake City. […] A Dugway, ogni casa giapponese, realizzata con un misto di legno si abete di Douglas e abete rosso, presentava due piani arredati nel tipico stile nipponico con stuoie dui paglia di riso «tatami», paraventi di legno, cuscini e pochi mobili. I test condotti a Dugway tra il maggio e il giugno 1943, quando il modello di villaggio giapponese fu bombardato per ventisette volte, dimostrarono che gli attacchi aerei incendiari potevano essere giustificati dal fatto che consentivano di appiccare un numero sufficiente di incendi non controllati (ovvero quelli che necessitavano di un intervento antincendio)12.

Una pianificazione anti-civili che con il bombardamento di Tokyo del 9 marzo 1945 raggiunse, come a Dresda in Germania, i suoi massimi sfarzi. L’operazione Meetinghouse, come venne definita, vide impiegati 334 aerei, il maggior numero fino ad allora nella guerra contro il Giappone, di cui 279 raggiunsero la capitale, su cui sganciarono 1665 tonnellate di esplosivo.

In breve tempo vennero appiccati centinaia di piccoli incendi che rapidamente andarono fuori controllo fino a trasformarsi in un’unica enorme conflagrazione. Le casette di legno non disponevano di alcuna protezione e il fuoco si propagò da un tetto all’altro, senza spazi o muri tagliafuoco che rallentassero le fiamme. Con un vento che presto raggiunse la velocità di 90 chilometri all’ora […] Sebbene spesso si parli di tempesta di fuoco, l’incendio fu una conflagrazione caratteristica, che si muoveva sottovento vicino al suolo, formando una colonna e bruciando tutto ciò che di combustibile trovava lungo il proprio percorso,in modo più turbolento di una tempesta di fuoco, con più calore e fiamme e meno fumo. In sei ore, lungo il proprio percorso la conflagrazione aveva bruciato quasi il cento per cento dell’area, compresi gli interni di edifici commerciali e pubblici più solidi, dove i pavimenti, le scale e le imposte di legno ardevano a causa della temperatura elevata.
[…] Nel calore intenso, le scintille riempivano l’aria, incendiando i vestiti e i capelli delle persone fino a trasformarle in un ulteriore oggetto combustibile. Le donne in fuga con i bambini legati alla schiena non facevano in tempo a rendersi conto che i piccoli morivano bruciati […] Negli edifici in cui la gente si affollava, compreso il grande teatro Mijiza nel quartiere centrale di Chūō, gli occupanti erano cotti a vapore, arrostiti, asfissiati e infine ridotti a uno spesso strato di cenere […] Il raid di Tokyo fu solo l’inizio di una campagna di massiccia distruzione urbana. Oltre ai 25,4 chilometri quadrati incendiati a Tokyo il 9 e il 10 marzo, furono devastati altri 260 chilometri quadrati in sessantasei aree urbane, uccidendo, secondo le cifre ufficiali, un totale di 269 187 persone in poco più di cinque mesi di incursioni aeree. Di tutti quegli attacchi, il «Grande raid incendiario di Kantō», come venne chiamato in Giappone il bombardamento di Tokyo, fu il più eccezionale. La quantità di morti al centro della pianura del Kantō rappresentò il magior numero di civili uccisi in un sol giorno di tutte le guerre del XX secolo13.

Dilungarsi oltre sulla distruzione successiva di Hiroshima e Nagasaki, il 6 e il 9 agosto 1945, sarebbe soltanto opera di pornografia della morte e del dolore, anche perché entrambe non costituirono altro che il corollario di una volontà di devastazione, di rappresaglia e trionfo anglo-americano che il conflitto portava con sé. Con il vantaggio, però, di non dover essere poi giudicato nel processo di Norimberga. Dal quale, non a caso, anche i devastanti bombardamenti nazisti sulle città inglesi ed europee furono esclusi dai crimini di guerra analizzati in quella sede.

Il cantautore americano Jim Page, da non confondere con il chitarrista inglese Jimmy Page dei Led Zeppelin, in un’intervista rilasciata a Robert Allen avrebbe dichiarato che: «Stavo avendo un’accesa discussione sull’uso dell’energia nucleare con un mio amico quando mi è venuto in mente che se vieni esposto a troppe radiazioni probabilmente ti ammalerai di cancro e che poi ti avrebbero trattato con le radiazioni. E che tutte queste centrali, instabili e mal costruite come sono, erano incidenti in attesa di accadere. Era come giocare alla roulette russa, quello strano gioco in cui si passa una pistola con un solo proiettile e tutti la puntano alla testa, si scommette e il fortunato vincitore perde. Solo che questa era una versione nucleare. Questa era la roulette russa Hiroshima-Nagasaki. Ho scritto la canzone quella sera (nel 1974)».

Giù nei bunker di cemento armato e piombo
Discepoli di Einstein lavorano a pieno ritmo
Creando centrali al metallo pesante per accendere le luci della città
Tutto ciò che puoi udire nel sottosuolo è un rumore cupo che dura tutta la notte
E le barriere della sicurezza tutt’intorno
Mentre producono il loro veleno e lo seppelliscono

Dentro a buchi, in baie nascoste, testate nucleari e sottomarini
attendono di poter fare il loro gioco
I cervelli militari migliorano la loro strategia
I soldati si drogano e camminano in fila incespicando
Mentre le schegge nei fiumi vengono trasportate via dalla marea
Loro la chiamano sicurezza ma noi non siamo soddisfatti

I nostri statisti e leader politici hanno grande interesse
per la mano che li nutre e stanno attenti a quello che dicono
Chiamano esperti per rassicurarci, per agitare la bacchetta magica
Questo è il potere del futuro e il futuro avanza
E rivogliono indietro tutti i loro favori, tutti i loro guadagni politici
Mentre le scorie riempiono i fiumi e si posano sulle pianure

Hanno provocato milioni di vittime, questo è il loro affare
Saranno colpiti dalla pioggia radioattiva che hanno creato
Hanno firmato il loro inevitabile destino ed esso senz’altro verrà
Nemmeno le lune dei Giove saranno abbastanza lontane per scappare
Quando questa terra che hanno colpito inizierà a girare vorticosamente
e l’inevitabile gravità li risucchierà verso il terreno

Conosco le menti dietro di loro, sono setacci pieni di buchi
non sono degni di fiducia con le loro mani sui controlli
Il loro sguardo è attraversato dalla gloria delle loro carriere
Il falso apprezzamento della lusinga è musica per le loro orecchie
Ascoltarli parlare su cosa non è ancora successo
è come giocare alla roulette russa con Hiroshima e Nagasaki.

La canzone pubblicata per la prima volta sulla rivista americana «Broadside» (# 134), che in ogni numero era accompagnata da un disco a 45 giri flessibile con una canzone di carattere politico o sociale, nel 1977, fu poi portata al successo internazionale dal gruppo musicale irlandese Moving Hearts di Christy Moore nel 1979 (qui).

Oggi, ad ottant’anni esatti dal bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, rimane forse altro da dire?


  1. P. Giordano, Trump, le bombe atomiche e le parole sbagliate sull’Iran, «Corriere della sera», 28 giugno 2025.  

  2. Come Domenico Quirico ebbe a definire, tempo addietro sulle pagine del quotidiano «La Stampa», la politica inglese nei confronti dell’Ucraina.  

  3. Dati tratti da L. Ippolito, Arsenali coordinati ma indipendenti. Come funziona l’ombrello atomico, «Corriere della sera», 12 luglio 2025.  

  4. Quando non ci sei non capisco dove mi trovo, «Limes», n° 6/2025, pp. 7-8.  

  5. Si veda: R. Overy, Pioggia di distruzione. Tokyo, Hiroshima e la bomba, Giulio Einaudi editore, Torino 2025, p. 65.  

  6. R. Overy, op. cit., p. 3.  

  7. Fortezze volanti era il soprannome per i bombardieri a lungo raggio americani.  

  8. R. Overy, op. cit., p. IX.  

  9. R. Overy, pp. 9-16.  

  10. R. Overy, pp. 1011.  

  11. R. Overy, p. 7.  

  12. R. Overy, p. 25.  

  13. R. Overy, pp. 31-34.  

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