No Vax – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 15 Jun 2025 20:00:52 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 La dialectica interrupta del Censis, la verità dell’irrazionalismo e l’immaginario https://www.carmillaonline.com/2021/12/29/la-dialectica-interrupta-del-censis-la-verita-dellirrazionalismo-e-limmaginario/ Tue, 28 Dec 2021 23:10:44 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=69750 di Fabio Ciabatti

“La fuga nell’irrazionale è l’esito di aspettative soggettive insoddisfatte, pur essendo legittime in quanto alimentate dalle stesse promesse razionali”. Questa affermazione contenuta nell’ultimo rapporto del Censis sembra catapultarci direttamente nella dialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno. E non è tutto. “L’irrazionale ha infiltrato il tessuto sociale”, denuncia l’istituto di ricerca,  utilizzando un’argomentazione dal vago profumo di materialismo storico per spiegare questo sinistro fenomeno: il rifiuto di scienza, medicina, innovazioni tecnologiche, che in passato hanno costruito il nostro benessere, “dipende dal fatto che siamo entrati nel ciclo dei [...]]]> di Fabio Ciabatti

“La fuga nell’irrazionale è l’esito di aspettative soggettive insoddisfatte, pur essendo legittime in quanto alimentate dalle stesse promesse razionali”. Questa affermazione contenuta nell’ultimo rapporto del Censis sembra catapultarci direttamente nella dialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno. E non è tutto. “L’irrazionale ha infiltrato il tessuto sociale”, denuncia l’istituto di ricerca,  utilizzando un’argomentazione dal vago profumo di materialismo storico per spiegare questo sinistro fenomeno: il rifiuto di scienza, medicina, innovazioni tecnologiche, che in passato hanno costruito il nostro benessere, “dipende dal fatto che siamo entrati nel ciclo dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali. Questo determina un circolo vizioso: bassa crescita economica, quindi ridotti ritorni in termini di gettito fiscale, conseguentemente l’innesco della spirale del debito pubblico, una diffusa insoddisfazione sociale e la ricusazione del paradigma razionale”.1
Gli estimatori della scuola di Francoforte non devono però eccitarsi troppo. Se quella del Censis è dialettica è senz’altro una dialectica interrupta perché, semplificando al massimo, l’antitesi tra razionale e irrazionale non prospetta alcun tipo di sintesi, di superamento dei due termini della contraddizione. L’irrazionalismo viene evocato solo come momento fallace per confermare la bontà del suo opposto, la razionalità dominante. Che le cose stiano effettivamente così lo possiamo intuire quando leggiamo che a fare da contraltare all’onda di irrazionalità c’è “una maggioranza ragionevole e saggia”. Un’ulteriore conferma viene dal fatto che l’irrazionalismo si esprimerebbe nell’opposizione alle politiche governative: “Le proposte razionali che indicano la strada per migliorare la situazione vengono delegittimate a priori per i loro supposti intendimenti, con l’accusa di favorire interessi segreti e inconfessabili. Il 29,7% degli italiani non crede che il razionalissimo Pnrr cambierà il Paese, perché è condizionato da lobby che volgeranno tutto a proprio beneficio o perché la Pubblica Amministrazione non starà al passo, malgrado gli annunci, secondo il 44,3%”. Ma da quando constatare l’ovvio è diventato sintomo di irrazionalità? Forse da quando bisogna offrire in pasto all’opinione pubblica il mostro no vax quale capro espiatorio di tutti i nostri problemi? Queste cose ed altre contenute nel rapporto (p. es. mettere nello stesso calderone dell’irrazionalismo credere nel terrapiattismo e nello strapotere delle multinazionali) meriterebbero solo una sonora pernacchia se non fosse per il fatto che il Censis finisce per mettere in evidenza un tema molto importante: il significato dell’irrazionalismo nella nostra società.

Varrà allora la pena rivolgerci al già citato Adorno che questo tema lo ha trattato con la dovuta serietà, avvalendoci di un testo da poco pubblicato per la prima volta in italiano, Introduzione alla dialettica.2 Tratto dalle sue lezioni del 1958, questo libro (come gli altri che raccolgono i suoi corsi universitari) ha il dono di una maggiore chiarezza rispetto ai testi concepiti dallo stesso filosofo per la pubblicazione. Partiamo dall’assunto adorniano che l’irrazionalismo ha “il suo momento di verità”. Esso, infatti, è il tentativo continuo di far risaltare nel pensiero ciò che nel processo progressivo dell’illuminismo va perduto rispetto all’esperienza del reale; ciò che è condannato dalla ragione dominatrice come debole, impotente, indegno di essere conservato nelle forme del pensiero. Le filosofie irrazionalistiche, in breve, cercano di parlare “a nome di ciò che è stato sacrificato dalla storia”,3 delle vittime del razionalismo. Il processo di razionalizzazione ha comportato, infatti, un progressivo irrigidimento del mondo in una oggettività estraniata rispetto agli uomini.
Adorno non è certo un nostalgico. Egli pensa che le filosofie irrazionalistiche siano in genere restauratrici o reazionarie. Ritiene però necessario comprendere il non contemporaneo e l’arretrato non come perturbazione del progresso ma come frutto del progresso stesso. Quest’ultimo, infatti, porta con sé lo spossessamento di gruppi che, per origine e per ideologia, appartengono alla società borghese e che, improvvisamente, perdono la base materiale della loro riproduzione e per questo cercano la salvezza nel passato. È questa una delle espressioni caratteristiche dell’irrazionalità della nostra società che indebolisce le motivazioni stesse dell’agire economico trascurando il soddisfacimento dei bisogni umani in nome della legge del profitto. Se il capitale dispiegasse completamente la sua razionalità, dunque, la società borghese stessa cesserebbe di essere tale. Da ciò nasce la necessità di “tenere in vita  istituzioni irrazionali della più diversa specie”,4 sebbene esse rappresentino degli anacronismi rispetto a quella stessa razionalità.
Se il cammino dell’illuminismo è disseminato di vittime e di ingiustizie, questo non ci giustifica nel ricadere al di sotto di questo illuminismo creando delle “riserve naturali di irrazionalità”.5 Le cicatrici che esso lascia dietro di sé “sono sempre anche quei momenti in cui l’illuminismo stesso si rivela un illuminismo ancora parziale, non abbastanza illuminato; e solo perseguendo coerentemente il suo principio sarà forse possibile guarire queste ferite”.6 Secondo Adorno, dunque, ci si trova di fronte a “un’antinomia che deve essere presa molto sul serio: da un lato il pensiero si esaurisce nella ripetizione cieca di ciò che è ed è noto in ogni caso, cioè nel conformismo, e dall’altro lato il pensiero, sottraendosi al controllo, rischia di diventare effettivamente incontrollabile e di sfociare in un sistema delirante”.7

Torniamo per un attimo al rapporto del Censis per notare che l’antinomia che esso sottolinea non è presa veramente sul serio. L’irrazionalismo viene colto nel suo aspetto delirante mentre il suo opposto, la ripetizione cieca di ciò che è noto, non è minimamente messo in discussione: cos’è infatti il “razionalissimo” PNRR se non la reiterazione amplificata della solita ricetta neoliberista per il tramite di una momentanea sospensione di alcuni vincoli previsti dalla stessa ricetta? Si permette un maggiore indebitamento degli stati europei affinché questi possano proseguire nella direzione di sempre maggiori liberalizzazioni e privatizzazioni. L’ideologia dominante non sembra cogliere il paradosso: per lasciare più spazio al mercato c’è bisogno di maggiore intervento dello stato. Il tutto viene interpretato come una parentesi che una volta chiusa riporterà lo sviluppo economico sulla sua traiettoria naturale. In realtà non si può affatto escludere che ci si troverà alla fine su una traiettoria diversa dalla precedente che potrebbe prevedere una qualche forma di mutualizzazione europea dei debiti dei singoli stati, un allentamento non solo episodico dei vincoli dei bilanci pubblici, un interventismo statale più significativo di quello auspicato da lor signori ecc. Ma il pensiero dominante deve negare questa possibilità perché altrimenti dovrebbe ammettere che la razionalità del cosiddetto mercato è in sé stessa contraddittoria.
Di fronte agli esiti anestetizzanti della dialectica interrupta del Censis, bisogna ripartire dalla tragica serietà della dialettica adorniana. Occorre innanzitutto ripartire dall’“esperienza della lacerazione” che secondo Adorno sta alla base del pensiero dialettico. Lacerazione è un’espressione carica di pathos che riverbera sul piano della sofferenza individuale l’antagonismo e la contraddittorietà che contraddistinguono il reale. Una sofferenza che può sfociare nel delirio quando l’individuo si trova ad affrontare un mondo ostile e misterioso e “pretende di decifrare il senso occulto della realtà” (come denuncia il Censis) andando a caccia di cospirazioni e inganni sistematici e diffusi. Per quanto delirante, la forma mentis complottista ha un elemento in comune con il pensiero dialettico: la diffidenza nei confronti della realtà così come ci appare immediatamente. Con la differenza che la dialettica non fa ricorso sistematico a trame cospirative come principio esplicativo, ma ci porta a comprendere che è la realtà stessa a produrre il suo velo generando continuamente fenomeni che occultano e contraddicono ciò che essa è effettivamente.
Se il delirio denuncia una mancanza di presa sulla realtà, questo deficit non ha solo un carattere teorico. Non si tratta soltanto di una mancata comprensione del mondo, ma anche dell’incapacità di affrontarlo, di opporsi all’oppressione e all’ingiustizia di cui è intriso attraverso un’adeguata prassi individuale e collettiva. Non a caso il concetto di dialettica proposto dal filosofo francofortese “non è un puro concetto teorico, ma in esso il momento della prassi è determinante”.8 Non sarebbe infatti in alcun modo possibile pensare la natura dialettica dei rapporti materiali “senza il concetto della trasformazione del mondo con l’azione”.9 La verità, secondo la dialettica adorniana, ha “sempre la sua drastica relazione ad una prassi possibile” in considerazione del fatto che essa si manifesta sempre attraverso una “figura temporale”10 legata a una realtà storicamente determinata.
Insomma, se vogliamo affrontare fino in fondo il tema della montante ondata di irrazionalismo abbiamo bisogno di “evidenziare la discontinuità”.11 Mostrare una frattura nel reale per poi cercare immediatamente di recuperare la coerenza e la compattezza del nostro oggetto di conoscenza significa che ci poniamo il compito di pensare il reale come armonioso e positivo. Se prendiamo sul serio la critica del presente, invece, abbiamo bisogno di un pensiero  che “si modella su una condizione negativa del mondo e la chiama per nome”.12 Un pensiero che, non potendo trovare consolazione attraverso un’illusoria conciliazione, non può che essere alla costante ricerca di una connessione con una prassi possibile per trasformare il reale. 

La domanda da porsi a questo punto è se per trovare questa connessione e venire a capo della questione dell’irrazionalismo sia sufficiente perseguire coerentemente il progetto dell’illuminismo assecondando senza riserve il disincanto di cui esso è portatore. Cercheremo di dare una risposta prendendo spunto da un testo di Stefania Consigliere, Favole del reincanto,13 già recensito su Carmilla (qui). È senz’altro vero, sostiene l’autrice, che il disincanto illuministico ha spazzato via precedenti sistemi di dominio “che facevano presa, in modo malevolo, sull’immaginario, sui sogni e sulle paure degli umani”.14 Ma è altrettanto vero che il disincanto “è pharmakon: guarisce nella giusta dose, in dose eccessiva avvelena”.15 Un’overdose di disincanto comporta “la rescissione degli attaccamenti che collegano gli umani al mondo, il collasso dell’individuo su se stesso”.16 Una esito che, portato all’estremo, può bloccare ogni forma di prassi. La presenza di una qualche forma di legame che unisca gli esseri umani tra di loro e con il loro mondo, infatti, è la condizione minima affinché si possa realizzare un qualsiasi tipo di azione collettiva.
In realtà, prosegue l’autrice richiamando Marx, la modernità si presenta disincantata solo per lasciare il campo libero all’incanto proprio del mondo borghese: il fantasmagorico divenire mondo della merce. Con ciò il capitalismo diventa l’orizzonte unico della desiderabilità e ogni possibile mutamento viene catturato nel circuito del plusvalore. Se vogliamo cercare di evadere da questa prigione a cielo aperto, probabilmente non possiamo esimerci dall’andare oltre l’illuminismo avventurandoci nei territori pericolosi dell’immaginario. Ma di cosa parliamo quando ci riferiamo all’immaginario?

Se descriviamo ciascun mondo umano come un fascio di luce che illumina e tinge del proprio colore una regione particolare del reale, allora tra la zona in luce e quella buia non c’è una barriera, né una linea precisa di confine. Al di fuori del cono illuminato non c’è subito la tenebra più profonda, ma una fascia di penombra che progressivamente s’infittisce. Questa penombra è l’immaginario … È la zona dove si sviluppano i futuri, all’interfaccia fra ciò che già è e ciò che vorremmo far essere. Ed è la zona della discontinuità, dei resti, delle possibilità scartate, dei fantasmi e di tutto ciò che … è stato escluso o eliminato … E’ il luogo dove la storia lascia zavorre, dove s’incrociano e si scontrano le narrazioni collettive, i modi di dire, gli affetti … è il “mito-sogno” fatto di discontinuità e sopravvivenze che collega e informa di sé coloro che fanno parte di un collettivo, che ne permea i sogni, che si trasforma al mutare di quegli stessi soggetti e del loro mondo.17

Ma come, si dirà, i rivoluzionari si devono occupare dei bisogni materiali. Riti, sogni e viaggi nei territori dell’immaginario vanno lasciati ai fascisti. Di certo i fascisti ci sguazzano in questo mare spesso poco limpido, come testimonia anche la facilità con cui si sono appropriati dell’irrazionalismo no vax. Ciò nonostante abbandonare questo ambito è un grave errore perché  comporta “la smobilitazione di intelligenza e sensibilità dal terreno più cruciale per qualsiasi forma di cambiamento”.18

Da parte nostra aggiungiamo che rivolgendoci all’immaginario ci muoviamo lungo una traiettoria differente, ma non necessariamente contraddittoria, rispetto a quella indicata da Adorno. Attraverso il concetto di negazione determinata il filosofo francofortese può conservare all’interno del suo pensiero le tracce di una spinta utopica senza rinunciare a una critica immanente, cioè senza fare riferimento a criteri etici esterni e metastorici. Anche il portato utopico dell’immaginario è sempre frutto di un rapporto, per quanto problematico, con i parametri storicamente determinati che definiscono la conoscibilità e la praticabilità di uno specifico mondo. Non esiste un immaginario universale popolato di archetipi ancestrali custoditi nell’inconscio di ogni essere umano, perché ciascun mondo ha le sue particolari modalità per entrare in contatto con questa zona smarginata e incerta del reale. Potremmo dunque suggerire l’ipotesi che l’immaginario rappresenti una sorta di negazione debolmente determinata dell’esistente laddove la debolezza consiste nel fatto che esso non ci conduce verso un unico mondo possibile che scaturisce dalla spinta al superamento delle negatività del presente, ma ci prospetta una incerta molteplicità di mondi possibili potenzialmente in grado di superare le contraddizioni della nostra realtà attingendo a un multiforme repertorio di risorse mentali marginalizzate dalla razionalità dominante.
Chiamando in causa l’immaginario, dunque, scopriamo che frammenti di questi possibili mondi alternativi sono già presenti. Certamente esistono in una forma magmatica e, di conseguenza, possono essere utilizzati anche in senso regressivo. Il disincanto illuministico rimane dunque necessario per distinguere “ciarlatani e mestatori da chi cerca nell’immaginario una possibilità di fare mondo in circostanze incerte”,19 tenendo conto delle conquiste materiali e ideali della modernità. Rimane il fatto che senza avventurarci sul terreno scivoloso dell’immaginario corriamo il rischio di rimanere vittime del cupo pessimismo adorniano che non riesce a trovare agganci positivi per immaginare processi di autoapprendimento collettivi in grado di superare le macerie del presente. D’altra parte, inoltrandoci in questo territorio dai contorni sfuggenti è facile incrociare sul nostro cammino una schiera di funesti imbonitori. Un rischio che non può essere evitato. “Salvezza e dannazione si manifestano insieme quando il mondo vacilla”.20 


  1. Censis, 55º rapporto sulla situazione sociale del Paese 2021, Franco Angeli, 2021. La presentazione e i capitoli del Rapporto sono disponibili sul sito internet del Cenis

  2. Theodor W. Adorno, Introduzione alla dialettica, ETS, Pisa 2020. 

  3. Ivi, p. 47. 

  4. Ivi, p. 144. 

  5. Ivi, p. 183. 

  6. Ivi, pp. 183-184. 

  7. Ivi, p. 158. 

  8. Ivi, p. 90. 

  9. Ivi, p. 91. 

  10. Ivi, P. 41. 

  11. Ivi, p. 146. 

  12. Ivi, p. 77. 

  13. Stefania Consigliere, Favole del reincanto. Molteplicità, immaginario, rivoluzione, DeriveApprodi, Roma 2020. 

  14. Ivi, p. 37. 

  15. Ivi, p. 140. 

  16. Ivi, p. 43. 

  17. Ivi, p. 131-132. 

  18. Ivi, p. 78. 

  19. Ivi, p. 143. 

  20. Ivi, p. 150. 

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Autointervista sulla gestione della pandemia da covid-19 https://www.carmillaonline.com/2021/08/15/autointervista-sulla-gestione-della-pandemia-da-covid-19/ Sun, 15 Aug 2021 21:55:04 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=67673 di Nico Maccentelli

Ho ritenuto di scrivere questo articolo nella forma dell’autointervista perché per me così è stato più facile mettere insieme le riflessioni che ho fatto in questi ultimi mesi. La pandemia che ci sta sconvolgendo la vita da oltre un anno e mezzo e la gestione che ne viene fatta non può essere esente da dubbi, preoccupazioni, che riguardano la nostra vita, quella di chi ci sta vicino e di tutta la collettività. I miei ragionamenti sono quelli di un comunista, che come tale sa che nel rapporto [...]]]> di Nico Maccentelli

Ho ritenuto di scrivere questo articolo nella forma dell’autointervista perché per me così è stato più facile mettere insieme le riflessioni che ho fatto in questi ultimi mesi. La pandemia che ci sta sconvolgendo la vita da oltre un anno e mezzo e la gestione che ne viene fatta non può essere esente da dubbi, preoccupazioni, che riguardano la nostra vita, quella di chi ci sta vicino e di tutta la collettività. I miei ragionamenti sono quelli di un comunista, che come tale sa che nel rapporto tra umanità e natura non esistono zone franche, neutre: questa pandemia in particolare è nata da un salto di specie, comunque da un rapporto, una contraddizione tra l’umano da una parte ben interno sul piano ontologico e teleologico ai rapporti sociali capitalistici, e dall’altra l’ecosistema,  la natura. Un rapporto mediato dalla scienza e dalla tecnologia che sono interne a questa contraddizione, anch’esse con uno scopo di parte.

Ho sempre pensato che la parola “biopolitica” fosse una definizione ridondante e che bastasse il termine “politica” per comprendere l’insieme di pratiche riguardanti la vita organizzata nella società. Ma oggi lo stravolgimento della vita individuale e sociale riguarda più profondamente i corpi (compresa la psiche), la loro esistenza biologica e relazionale, la loro estensione nello spazio. Fino a questo punto è arrivato il controllo sociale, aggiungendo al “sorvegliare e punire” di Foucault un terzo elemento: “colpevolizzare”. Un mutamento antropologico è in atto, dentro lo stesso sistema di relazioni sociali che è il modo di produzione capitalistico. Ma veniamo all’autointervista.

Alcune domande sulla gestione del covid-19, vaccinazioni e green pass

D. Come sai stiamo assistendo in questo periodo a una divisione riguardo l’opinione sui vaccini. Cosa ne pensi tu?

R. Io non sono contrario ad alcuna terapia se utile ed efficace a guarire persone e a maggior ragione durante una situazione di emergenza come una pandemia

D. Allora sei d’accordo sugli attuali vaccini…

R. Io sono d’accordo su tutti i vaccini che funzionano. Ma allora perché non essere d’accordo anche su Soberana di Cuba, sullo Sputnik russo o sul Sinovax cinese? Il problema è che ormai tra quello che si vede e si legge sui social e in tv, tutto e il contrario di tutto, la confusione è totale e capisco che molte persone non si fidino. Non è con la coercizione che si risolve questo problema, che per altro nasce da una cattiva gestione della pandemia da parte di ben due governi e in generale nei paesi del capitalismo neoliberista, dove gli interessi privati sono quelli che prevalgono.

D. Scusa, ma in che senso?

R. Nel senso che quando è iniziata la pandemia arrivavamo da decenni di tagli del sistema sanitario: 72 miliardi dicono, con un sanità frammentata regione per regione e privatizzata vedi la Lombardia, vedi l’autonomia differenziata voluta da tutta la partitocrazia, una sanità di territorio distrutta. Per non parlare di un protocollo sulle pandemie non aggiornato da parecchi anni. In questo quadro si sarebbe dovuto investire in sanità pubblica, assunzioni di personale medico e paramedico, ripristinare una presenza territoriale di presidi sanitari, strutture per la quarantena, sperimentare farmaci, adottare quelli che risultavano efficaci, espropriare i brevetti vaccinali,. Oltretutto le farmaceutiche che hanno realizzato i vaccini lo hanno fatto con i soldi pubblici di numerosi paesi. L’obiettivo doveva essere non il profitto, ma la condivisione di vaccini e terapie su scala mondiale, poiché non ha senso che un 1% sia ipervaccinato e un 99% privo di cure e vaccini. Non si affronta così una pandemia, con l’egoismo capitalista, ma con la condivisione e la solidarietà: o ne usciamo tutti o nessuno.

D. Va bene, ma governo e istituzioni sanitarie non hanno mai parlato di terapie alternative al vaccino.

R. Ovvio, sempre nella logica privatistica di favorire i profitti e gli interessi in questo caso di big pharma, se fossero venute fuori terapie alternative, i vaccini in cantiere e sperimentati in fretta e furia, non approvabili, non avrebbero neppure potuto essere autorizzati in emergenza.

L’adozione nel protocollo covid-19 di “tachipirina e vigile attesa” è stato un vero e proprio dolo di Stato, visti gli esiti, con migliaia di persone finite in terapia intensiva a intasare gli ospedali e a morire in completa solitudine o in ospedale o a casa.

In realtà terapie ce ne erano sin dall’inizio e lo dimostrano quei medici che si sono messi in rete condividendo reciproche esperienze, al di là delle istituzioni sanitarie e dei loro rigidi controlli, ottenendo risultati che nessuno al ministero della sanità ha preso minimamente in considerazione. (1)

D. Quindi il tuo è un ragionamento contrario all’utilizzo dei vaccini…

R. Assolutamente no! Io personalmente mi sono vaccinato, in quanto paziente fragile affetto da più patologie invalidanti. E lo rifarei nel calcolo rischio/benefici. Con la coscienza del fatto che questi vaccini sono stati sperimentati in pochissimo tempo. Dico semplicemente che sono favorevole a ciò che la Costituzione garantisce: la libertà di scelta terapeutica.

D. Ma quale libertà, di fronte a tantissime vittime e a una pandemia in espansione!

R. Certo, talvolta in casi straordinari occorre agire al di fuori delle normali libertà civili. Ma era questo il caso? La domanda è: qual è stato il vero scopo dei dpcm? Le misure adottate dai governanti hanno avuto più una funzione di dimostrazione del fare che il risolvere veramente.

D. Non è vero: in piena pandemia è stato giusto chiudere…

R. Parliamoci chiaro: è stato chiuso sul serio? Facevano le multe ai runner solitari nel parco e le aziende non venivano controllate, imprese che cambiavano codici ateco, gli autobus erano pieni zeppi di pendolari. E il coprifuoco? Il covid cos’è: Dracula che si leva dopo le 22 per contagiare nella notte? Sono state tutte misure inefficaci (e lo si è visto), inutili e spesso coercitive e basta.

D. Ma non si poteva bloccare tutto…

R. E qui torniamo agli investimenti nella sanità che non si sono voluti fare. E prendiamo la Cina: come ha fatto a isolare un’intera regione, il Wuhan e a individuare e tenere sotto controllo i cluster dell’infezione? Semplice con un monitoraggio capillare mediante i tamponi, con il tracciamento. Questo andava fatto anche qui: tracciabilità capillare e tamponi gratuiti, invece di farli non solo ai sanitari e per i cittadini farli a pagamento. Tamponi gratuiti e ad ogni minimo sospetto. Invece si è preferito non tracciare e adottare provvedimenti inutilmente repressivi, criminalizzando comportamenti del tutto normali, facendo aumentare altre problematiche sanitarie e sociali, come la chiusura in casa, le violenze domestiche, le patologie della psiche, la violenza sulla crescita e la socialità dei bambini. 

Con la colpevolizzazione dei comportamenti il governo si è autoassolto e ha scaricato la colpa” sui cittadini “disobbedienti”. E tutto perché? Per non spendere in sanità e per puntare tutto sulla “panacea” in arrivo dei vaccini. Si sono controllati i cittadini, non il virus: un’azione infame e mistificatrice.

D. Però, scusa, non mi pare che una certa sinistra di classe, anticapitalista ragioni come te.

R. Sì questo è un capitolo triste, ma comunque una certa sinistra di lotta sì e una certa no: c’è confusione sotto il cielo e la situazione però non è per nulla eccellente. E qui torniamo alla tua prima domanda, una querelle che nella sinistra di lotta si configura come uno scontro fratricida, fatto di intolleranza, mancanza di dibattito e assenza di confronto a monte, nelle sedi deputate a questo. In realtà le compagne e i compagni che la pensano più o meno come me sono tanti, ma c’è la paura di passare per no vax. Non si può ammazzare ogni critica che vada oltre le giuste rivendicazioni sulla sanità, il lavoro, il reddito, andando a toccare il nervo scoperto della gestione pandemica su vaccini e oggi sul green pass, su come i governanti hanno speculato, su come viene gestita questa pandemia in una sorta di demonizzazione delle opinioni e dei comportamenti. Una criminalizzazione trasversale perché si replica tristemente tra le compagne e i compagni. Quando in realtà le questioni, come dicevo, sono altre e si intrecciano a un passaggio politico, anzi biopolitico epocale, che questa pandemia ha aperto… ma è una realtà distopica anche per quello che succede all’interno dell’antagonismo di classe.

D. Ma la pandemia non è forse il convitato di pietra? Non è un terzo attore tra capitale e masse popolari, che pone problemi diversi, di emergenza…

R. (Canticchia)  Il triangolo no, non l’avevo considerato…

Ma sì, è proprio questa impostazione a essere sbagliata, perché il problema non è la pandemia in sé, ma la sua gestione, ossia, alla fine il rapporto “uomo/natura” è sempre il prodotto di rapporti sociali e di classe. E quindi il virus fa il suo triste compito, certo, ma chi ci governa non fa il suo per il bene della collettività, ma per mantenere profitti e status quo. Se l’approccio è questo, ovviamente ciò non significa criticare ciò che viene fatto aprioristicamente, ma essere critici, valutare le cose buone e le cose cattive considerando che il punto di vista avverso ahimè non è collettivistico, ma classista. Non è il virus a essere classista, ma la sua gestione. E in specifico, in Italia e in numerosi paesi sotto la cappella atlantista e neoliberista la gestione è stata disastrosa. Pertanto blaterare di vaccini come unica soluzione, sposando la logica di questa gestione è disarmare completamente la critica politica e sociale, anche se rivendichi la sanità pubblica, l’esproprio dei brevetti e l’universalità dei vaccini. Non cogli il punto fondamentale: il passaggio autoritario giustificato da un’ennesima emergenza – siamo il paese delle emergenze – imposto a tutta la popolazione, quando le cose si potevano fare molto diversamente. Accetti la loro logica. Per questo la scienza diviene la scienza con la esse maiuscola, la loro tecnologia pure, diventano zona franca e quindi neutre, quando invece scienza e tecnologia seguono sempre uno scopo: quello di chi detiene il potere. E allora dove sono i tre elementi del triangolo? È una visione interclassista. E a cosa porta? Ho letto tra i post sui social di vari compagni scempiaggini tipo: “no green pass come no sem” che sta per semaforo, come se il diritto a scegliersi una terapia o rifiutare l’obbligo di  una pratica discriminatoria fossero uguali alle normali regole della vita quotidiana. Poi ci sono quelli che banalizzano questa situazione riducendo le rivendicazioni di fatto libertarie a fisime piccolo-borghesi per il ristorantino: se ne accorgeranno quando a essere attaccati saranno – e già lo sono – i lavoratori e il diritto al lavoro. O ancora, quelli che dicono che tanto lo Stato e i padroni sono da sempre repressori, banalizzando la qualità dell’attacco, o infine quelli che dicono dov’erano i difensori delle libertà quando i diritti al lavoro venivano calpestati, le morti bianche e via dicendo, come se una cosa escludesse l’altra con la scusa che la querelle sul green pass abbia messo in ombra temi ben più importanti. Ossia: una mancanza di una visione d’insieme di cose che sono collegate tra loro. Sono tutti compagni che non hanno compreso la reale portata dell’attacco che il capitalismo neoliberista porta alla vita di tutti e in particolare della classi popolari. Non hanno capito che non siamo in presenza della solita tendenza autoritaria, ma dell’avvento di una società disciplinare, con una soglia appunto “neutrale” che tutti devono, e sottolineo devono, varcare sottomettendosi, accettare e condividere. Un attacco che fa risparmiare soldi, servizi, assunzioni, ossia l’approntamento di una società che al contrario sappia realmente contrastare la pandemia nell’interesse di tutta la collettività. Questo atteggiamento che nel nome del “terzo incomodo” accetta le misure emergenziali in modo acritico o giustificazionista è un vero atto di sottomissione politica, al di là delle critiche sacrosante di sempre e delle qualità politiche e morali di tanti ottimi compagni.

D. Belle parole, però… alla cabina di regia ci sono i potenti e questo bel parlare non risolve il problema dei contagi, il fatto che aumenteranno nei prossimi mesi.

R. Certo, non possiamo rifiutare tutto quello che il dominio capitalista ci impone, per ideologia o partito preso. Ci sono cose che vanno seguite e altre no, valutandone l’utilità individuale e collettiva. Per esempio, invitare a  vaccinarsi è una modalità per fare impegno civile. Così come battersi per l’esproprio dei brevetti vaccinali ed estendere le forniture di vaccini gratuiti a tutti i popoli nel mondo. Ma anche indicare di rivolgersi in caso di necessità a medici competenti come quelli prima citati in nota, che non ti somministrino tachipirina e ti facciano fare una vigile attesa. E mi chiedo come gran parte della sinistra critica abbia potuto prendere per buono questo protocollo quando per esempio in Cina, oltre al loro vaccino si è curato persino con la loro medicina tradizionale e altri farmaci.

In tutta franchezza però il Green pass è un’altra cosa: a cosa serve quando sappiamo già che non fermerà la circolazione del virus per tutta una serie di ragioni, come la contagiosità dei vaccinati che vengono contagiati e il fatto che i tamponi nelle 48 ore non garantiscono nulla? Non sono balle, ma le dichiarazioni di Crisanti, che ha affermato che il Green pass non ha scopi sanitari, non protegge dal virus, ma è finalizzato a indurre la gente a vaccinarsi. Per non parlare delle categorie sociali che non lo potranno avere perché non possono vaccinarsi, vedi i migranti clandestini. E il resto della popolazione mondiale priva di terapie? Il virus gira e girerà al di là delle nostre belle cittadelle del capitalismo avanzato. Il Green pass non è un dispositivo sanitario, ma di comando e discriminazione. La mia critica a certe posizioni intransigenti nell’essere allineate ai dispositivi del governo è iniziata proprio da questo ennesimo provvedimento liberticida quanto inutile ai fini sanitari.

Guarda, c’è un’analisi molto bella che rimando in nota 2), delle giovani e i giovani di Cambiare Rotta. Cito solo un passaggio:

“La necessità di imporre uno strumento come il pass sanitario non risponde alle necessità di tutelare e garantire la salute della popolazione, ma a quella di assicurarsi che non ci sia un ulteriore blocco della produzione e dei consumi. Gli interessi della borghesia italiana ed europea di far ripartire i profitti, infatti, non possono più essere messi a rischio dall’eventualità di un’altra ondata di Covid-19 e il governo Draghi lo sa bene. Per questo motivo, qualche giorno fa il Consiglio dei Ministri ha esteso il Green pass imponendolo a tutti i cittadini di età superiore ai 12 anni per poter accedere ad alcuni servizi ed attività.

Se le contestazioni contro il Green pass non possono essere condivisibili quando scadono nel complottismo o nella mancanza di buon senso, comunque non possiamo accettare questa decisione tacciando ogni pensiero critico come anti-scientifico o folle.”

D. Ma non si è discusso di questi temi?

R. Sino ad ora per nulla, o molto poco. Era subito iniziata la caccia ai “compagni no vax”, facendo di tutta un’erba… un fascio. C’è una contrapposizione micidiale che non porta da nessuna parte, soprattutto se pensi che le contraddizioni che innesca il Green pass ce le ritroveremo nei luoghi di lavoro. E tanta gente, molta della quale negazionista o no vax non è, si sta organizzando nelle piazze, ma anche nei luoghi di lavoro e molti studenti nelle università.

D. Giusto, parliamo delle piazze. Che ne pensi?

R. Inizialmente le avevo del tutto rimosse, tanti erano anche i miei pregiudizi in un clima di demonizzazione. Nonostante abbia persone a me molto vicine che ci vanno. Poi mi sono reso conto che non si può contrastare i fasci e i rossobruni da una tastiera, ma è sul campo. Di fatto questa linea politica che sta passando è attendista, codista e pressapochista nell’analizzare la gestione di regime della pandemia. Non affronta il nodo vero che è l’analisi delle contraddizioni che attraversano la società. Si guardano gli aspetti più folcloristici, ma non si comprende il cuore della questione: l’attacco micidiale che il capitale della finanza e delle multinazionali sta facendo attraverso il governo Draghi alle classi che gli sono subalterne utilizzando proprio la pandemia: una concentrazione immane del capitale attraverso una ristrutturazione che non fa prigionieri. Anche i ceti medi si devono sottomettere e accettare le modalità produttive e di circolazione del capitale nelle filiere che vengono riorganizzate, fino all’esercizio più remoto dell’economia di prossimità. Chi protesta ha tante ragioni, legate tutte alla perdita del lavoro, dell’attività, a mesi in cui si sono dovute subire misure che producono solo una vita di merda e un’emergenza permanente, che diventa o assuefazione a queste condizioni di vita, o giusto appunto ribellione. Altro che voglia di andare al ristorantino! Se non capiamo questo, stiamo consegnando una bella fetta di politica di massa partecipata dal basso, spontanea, ai nostri più mortali nemici. Le destre hanno dimostrato una capacità di intervenire che mi preoccupa e non poco.

Le migliori indicazioni sulla lotta contro il Green pass e contro l’autoritarismo dei governi capitalisti vengono proprio dal paese europeo dove più si è sviluppata la lotta di classe negli ultimi anni: la Francia 3). Là la sinistra non se la mena. Nell’epoca in cui vengono messi in discussione i diritti liberal-borghesi, solo dei miopi politicamente possono schierarsi di fatto con il regime capitalista (e direi post-borghese oltre che antiproletario) accampando argomenti collettivistici falsi, manco il governo Draghi fosse l’assemblea dei soviet. Qui torniamo all’interclassismo di cui prima. Le sinistre francesi hanno capito subito che col green pass, con la discriminazione colpevolizzante, con lo scambio ricattatorio diritti per comportamento, in ballo ci sono le conquiste della Rivoluzione Francese e delle principali rivoluzioni borghesi da 300 anni a questa parte. Spacciare e sminuire le libertà civili conquistate dai giacobini, dai sanculotti e dai rivoluzionari a livello mondiale come fisime da borghesi è un’operazione stupida e regressiva che confonde il collettivismo col paternalismo autoritario: non ho la libertà di curarmi come mi pare? Di scegliermi la cura? Mentre in Francia milioni di persone mettono in discussione dal basso le scelte liberticide di Macron, qui abbiamo una sinistra in confusione: e vedi quelli schierati dietro i vaccini occidentali, senza chiedersi perché il cubano Soberana o il cinese Sinovax o il russo Sputnik qui non hanno diritto di cittadinanza. Senza questa critica radicale a un capitalismo autoritario post-liberale e iperliberista, si è subordinati a questo sistema di potere che sta devastando masse popolari in vari modi, dal lavoro salariato ultraprecarizzato alla concentrazione di capitali e riorganizzazione delle filiere. Dietro questi dispositivi di comando ci sta la fine antropologica della democrazia borghese e l’inizio di un nuovo tipo di fascismo biopolitico e iper-tecnologico. I diritti te li devi meritare… è così chiaro!

D. Sì ma le piazze…

R. Le piazze sono quelle che sono: o vogliamo delle masse già coscientizzate, su misura per i comunisti, che solo un rivoluzionario da tavolino può pretendere in modo metafisico e surreale? Nelle piazze in Francia le sinistre ci stanno. Qui la questione è un po’ più complessa, ma non si può scartarla a priori, non foss’altro che l’umanità varia che riempie le piazze italiane te la ritrovi poi nei luoghi di lavoro, nei quartieri. Faremo gli indifferenti? Avremo un approccio meramente ideologico? Li escluderemo? Questo è un treno che perderemo. A meno che non capiamo come intervenire separando “il grano dal loglio”: è un percorso collettivo che nasce da un dibattito collettivo e scelte collettive.

D. In definitiva però me l’hai buttata sui massimi sistemi. Mentre io pensavo che l’intervista riguardasse quale opinione sulla pandemia.

R. Come ti ho detto prima nel criticare la stravagante teoria del triangolo, non esiste la pandemia in quanto tale: per come si manifesta c’è sempre la sua gestione, fatta di scelte sanitarie, ma anche politiche ed economiche. Se non si capisce questo si entra in un territorio franco fittizio, in realtà inesistente. I massimi sistemi dici? Certo, perché alla fine in ballo c’è il tipo di società che si vuole. È una posizione di fondo comune a tutte le compagni e i compagni che ancora si battono per il superamento del capitalismo. È ciò che ci affraterna.

Se prendiamo paesi come Cuba, il Vietnam e la stessa Cina, senza entrare nel merito se in quest’ultima vi sia il socialismo e quanto di esso, non possiamo non vedere la radicale diversità nell’affrontare e nel gestire la pandemia.

D. Certo, sono paesi totalitari e impongono le loro politiche sanitarie alla popolazione.

R.  È proprio qui che ti sbagli. Totalitarismo è quando imponi le politiche sanitarie ed economiche nell’interesse di un ristretto gruppo oligarchico di finanzieri e multinazionali sul resto della popolazione, come accade qua. Socialismo o no, ci sono due aspetti che caratterizzano paesi come Cina e Cuba e che fanno una grande differenza: la pianificazione e la centralizzazione dell’economia e delle politiche sociali, la capacità di dare una direzione a un intero paese per i prossimi 50 anni e nel contempo nel rispondere rapidamente senza lasciarsi tirare per la giacchetta da chicchessia nei casi di catastrofi o emergenze. È qui poi la differenza tra una popolazione amorfa, che fino a ieri si è bevuta di tutto e come là invece, un popolo che partecipa, condivide coeso, si assume direttamente le responsabilità delle scelte fondamentali, è solidale al di là delle belle bandierine sui balconi. Chiamiamoli elementi di socialismo? Sì diciamolo pure. 

E quando qua la popolazione finalmente in buona parte risponde a queso scempio e si ribella, la stigmatizziamo perché, a nostro dire, lo farebbe per andare al ristorante? Quale miopia abbiamo davanti a un risveglio popolare, contraddittorio finché si vuole, ma pur sempre di una massa che non ci sta a fare tutto quello che il regime le impone? Da quanti anni i comunisti si sono anchilosati nella loro capacità di analisi e di vedere le situazioni?

In ogni caso l’oggetto del contendere è proprio questo: uno Stato popolare, nel senso che funge da camera di compensazione tra i diversi settori e interessi, ne è espressione, ma nel quale prevale l’interesse generale di fronte alle questioni fondamentali e alle criticità collettive. Anche nei paesi che si richiamano al socialismo e ne adottano alcuni criteri, non sparisce la lotta di classe e non siamo neppure a quella che una volta si chiamava dittatura del proletariato, ma è certamente una modalità di governance democratica che si caratterizza come opzione emergente in un mondo ormai multipolare, dove il capitalismo atlantista, l’imperialismo ha dimostrato la sua incapacità di reggere le sorti del mondo nella sua crisi di egemonia.

———

Note:

1) È il caso di Cure domiciliari Covid-19, una rete di medici che cura a casa questa malattia: https://www.terapiadomiciliarecovid19.org/comitato/

2) Il documento di Cambiare Rotta lo trovi qui

3) qui alcuni link per comprendere le posizioni politiche della sinistra antagonista francese e del sindacalismo d’oltralpe:

https://lafranceinsoumise.fr/2021/07/19/pass-sanitaire-saisir-conseil-constitutionnel/

https://www.wumingfoundation.com/giap/2021/07/come-rapportarsi-alle-grandi-mobilitazioni-contro-green-pass-et-similia-alcune-indicazioni-dalla-francia/

https://www.confederationpaysanne.fr/actu.php?id=11639&PHPSESSID=4061mfg8lofc8nkhil0kc3ltr0

https://nouveaupartianticapitaliste.org/actualite/sante/contre-lautoritarisme-pour-une-vraie-politique-sanitaire-pas-de-treve-estivale

https://www.cgtservicespublics.fr/les-luttes/actualites-des-luttes-2021/par-thematiques/pandemie-coronavirus/article/45-le-pass-sanitaire-nuit-gravement-a-la-sante-sociale-morale-et-culturelle

https://mars-infos.org/pass-sanitaire-l-extreme-droite-n-5860

Persino quei parrucconi del PCF

INOLTRE: segnalo il mio intervento su Contropiano: Perché sono contrario al greenpass e alla gestione inefficace e criminale della pandemia

Bibliografia utile: Epidemie e controllo sociale, di Andrea Micomi, Manifestolibri, presentato di recente a Villa Paradiso, Bologna

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Pandemia, economia e crimini della guerra sociale. Stagione 2, episodio 2: il falò delle vanità https://www.carmillaonline.com/2021/01/31/pandemia-economia-e-crimini-della-guerra-sociale-stagione-2-episodio-2-il-falo-delle-vanita/ Sun, 31 Jan 2021 22:00:28 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=64697 di Sandro Moiso

“Possiamo essere pessimisti, darci per vinti e quindi lasciare che accada il peggio. Oppure possiamo essere ottimisti, cogliere le opportunità che certamente esistono e in questo modo cercare di fare del mondo un posto migliore. Non c’è altra scelta.” [Ottimismo (malgrado tutto) – Noam Chomsky]

Il falò della vanità della scienza medica (al servizio del capitale)

Ormai più di un mese fa, domenica 27 dicembre, avrebbe dovuto avere inizio la terapia miracolosa, sospesa tra interessi economici, miracoli degni del cinema di Vittorio De Sica, creduloneria mediatica e (pseudo) [...]]]> di Sandro Moiso

“Possiamo essere pessimisti, darci per vinti e quindi lasciare che accada il peggio. Oppure possiamo essere ottimisti, cogliere le opportunità che certamente esistono e in questo modo cercare di fare del mondo un posto migliore. Non c’è altra scelta.” [Ottimismo (malgrado tutto) – Noam Chomsky]

Il falò della vanità della scienza medica (al servizio del capitale)

Ormai più di un mese fa, domenica 27 dicembre, avrebbe dovuto avere inizio la terapia miracolosa, sospesa tra interessi economici, miracoli degni del cinema di Vittorio De Sica, creduloneria mediatica e (pseudo) scienza. Successivamente i ritardi nelle consegne, gli ingarbugliati (a dir poco) contratti firmati dall’Unione Europea con le ditte produttrici, il malfunzionamento degli apparati sanitari preposti e l’incompetenza delle amministrazioni locali, basata su anni di tagli della spesa per la salute dei cittadini e di prevaricazioni politiche in nome dell’interesse privato sbandierati come “eccellenza sanitaria”, hanno finito col fare più danni di qualsiasi protesta No Vax1.

Come se ciò non bastasse anche il nazionalismo economico si è ritagliato il suo spazio vitale nella corsa ai vaccini così che, nonostante la contrarietà manifestata da numerosi virologi ed esperti (o almeno presunti tali)2, anche il governo italiano, insieme al suo commissario straordinario Arcuri, ha deciso di investire in patria per sostenere quello della Reithera, di cui non si conosce assolutamente il grado di efficacia e la cui prima consegna è stimata per l’autunno di quest’anno. Ma si sa…piatto ricco mi ci ficco!

Forse può essere sufficiente un titolo, pubblicato su Repubblica il 23 dicembre 2020, per svelare il tentativo di confondere le idee del pubblico sulle questioni legate alla pandemia, alla salute pubblica e al vaccino: Peste, colera e vaiolo. Tutte le volte che i vaccini hanno cambiato la storia. L’articolo, a firma di Corrado Augias, riportava correttamente che quello per il vaiolo, scoperto nella seconda metà del XVIII secolo ad opera del medico inglese Edward Jenner, fu il primo vaccino utilizzato per sconfiggere una malattia che a lungo ha afflitto l’umanità e che soltanto all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso è stata dichiarata sconfitta. Ma il titolo sembra suggerire che anche altre gravi malattie epidemiche, come la peste e il colera, siano state sconfitte dall’invenzione di vaccini ad hoc.

In realtà, come già si è riportato in una precedente recensione pubblicata qui su Carmilla, per fare i conti con le grandi epidemie manifestatesi nella storia della nostra specie occorre ricordare che

Comprese in un arco cronologico esteso dall’antichità greca e romana ai primi decenni del XVIII secolo, le epidemie di peste coinvolsero in ogni epoca tutti i possibili aspetti della vita economica, politica, sociale, pubblica e privata, dando ampia materia di discussione a svariate discipline. La storia della medicina e quella sanitaria, la psicologia, la letteratura, la demografia, la storia economica e quella politica, hanno affrontato nel corso dei secoli questo tema affascinante e terribile, mettendo in evidenza impressionanti analogie.
E’ incredibile soprattutto constatare come, nonostante i progressi straordinari delle discipline mediche, gli strumenti a disposizione ai nostri giorni per la prevenzione delle epidemie siano ancora quelli elaborati nel ‘300 a partire dal Nord della Penisola (Milano, Firenze, Venezia, Genova, Lucca), recepiti tardi dal resto dell’Europa (tardissimo dall’Inghilterra), e adottai con successo fino al 17203.

Due scienziate e ricercatrici del King’s College di Londra e dell’università di Bristol, Caitjan Gainty ed Agnes Arnold-Forster, raccontano, poi, ancora un’altra storia. Ad esempio, anche sull’eradicazione del vaiolo – una spietata malattia virale provocata da due varianti del virus Variola, Variola maior e Variola minor, con un tasso di letalità del 30-35% – per la quale non è corretto affermare che solo i vaccini contro il vaiolo abbiano condotto alla sconfitta del patogeno, di cui l’ultimo caso venne diagnosticato nel 1977 in Somalia.
La malattia del vaiolo ha ucciso 300 milioni di persone solo nel corso del Novecento, prima di essere ufficialmente dichiarata eradicata l’8 maggio 1980, ma non ci si è arrivati da un giorno all’altro e non solamente attraverso la vaccinazione. Che è condizione necessaria ma non sufficiente di fronte a certe pandemie.
In un certo senso, dicono le due esperte, per quanto l’eradicazione della malattia sia appunto ricordata come la prova del definitivo successo dei vaccini, “non dovremmo dimenticare che il vaiolo ha imperversato per secoli prima di essere sconfitto”. I 150 anni seguenti alla prima inoculazione del vaccino da parte di Edward Jenner sono stati contraddistinti dalle preoccupazioni sull’efficacia del vaccino, dalla sicurezza e dagli effetti collaterali e ancora nel 1963 i medici britannici erano allarmati dalla scarsa adesione alla vaccinazione rutinaria contro il vaiolo, avvertendo che questa indifferenza avrebbe richiesto un vasto programma rieducativo4.

Basterebbe poi scorrere le pagine di un qualsiasi manuale di Storia delle scuole superiori per venire a sapere che, ad esempio, la peste è stata sconfitta soltanto da un miglioramento delle condizioni di vita (igieniche ed alimentari) anche se oggi non è stata debellata del tutto. Mentre il colera si annida proprio laddove ancora regnano miseria, scarsa igiene e cattiva alimentazione. Tutti e tre elementi più legati alla povertà che a fattori “naturali”.

A ricordacelo, per esempio, è stato anche Richard Horton, direttore della celebre rivista scientifica “The Lancet”, tra le cinque più autorevoli al mondo, secondo il quale:

Abbiamo ridotto questa crisi a una mera malattia infettiva. Tutti i nostri interventi si sono concentrati sul taglio delle linee di trasmissione virale. La “scienza” che ha guidato i governi è composta soprattutto da epidemiologi e specialisti di malattie infettive, che comprensibilmente inquadrano l’attuale emergenza sanitaria in termini di peste secolare. Ma ciò che abbiamo imparato finora ci dice che la storia non è così semplice. Covid-19 non è una pandemia. È una sindemia.

Aggiungendo poi ancora:

Il particolare svantaggio dei ceti meno abbienti e istruiti è stato certificato dalle analisi sui morti condotte negli Stati Uniti e in America Latina, dove decessi e contagi risultano prevalenti tra comunità afroamericane e minoranze. E anche dai dati dell’Istituto nazionale di statistica italiano: a partire dai mesi primaverili del 2020 è stato registrato un aumento dell’incidenza della mortalità tra le persone meno istruite rispetto a quelle più istruite. Nelle donne, il divario porta alla situazione per cui ogni 4 decedute meno istruite ne muoiono 3 con un grado di istruzione superiore, riporta l’Istat.
Le misure restrittive decise dai governi inoltre possono creare un vero e proprio circolo vizioso che riduce i redditi già bassi, diminuendo contemporaneamente condizioni di lavoro e aspettative di vita dei più deboli5.

«Parlare solo di comorbilità è superficiale», ammonisce lo scienziato.
Soprattutto, se i programmi per contrastare l’attuale epidemia, o quelle successive, non terranno conto di fenomeni come la crescita dell’inquinamento, degli effetti della povertà sulla salute psico-fisica e della mancanza di investimenti in sanità pubblica e della diffusione di malattie come obesità, diabete, malattie cardio-vascolari, respiratorie e cancro, questi programmi saranno destinati al fallimento, perché non potranno mai garantire la salute di tutti..

Certamente, il direttore di una delle più autorevoli riviste scientifiche, che al problema sindemia, ovvero quella sovrapposizione di elementi patogeni, degrado ambientale e socio-economico in grado di scatenare nuovi eventi epidemici a partire dal rafforzamento e dall’aggravamento di ognuno dei tre fattori, dedica da diverso tempo una notevole attenzione (qui), non potrà essere accusato di essere un No Vax, termine che sembra oggi definire il campo del “nemico” ogni qualvolta una voce si levi per collegare l’attuale pandemia e i suoi rimedi miracolosi, sia in campo economico (Recovery Fund, Mes, bonus, etc.) oppure scientifico (gli infiniti vaccini promessi e promossi dai governi, dall’industria farmaceutica e dai cittadini di “buona volontà” di ogni colore e risma), alle strutture sociali e ai risvolti climatici, ambientali e medici che queste portano con sé, ma occorre anche dire che non abbiamo mai sentito, in questi lunghi mesi, a livello politico e mediatico ufficiale qualcuno che affrontasse la questione in tali termini.

Anzi, sia il Cnr che l’Arpa Lombardia si sono sforzati di dimostrare, ancora nei primi giorni di gennaio che l’inquinamento non avrebbe nulla a che fare con la diffusione del/dei virus6. Si parla qui di virus al plurale poiché l’esplosione delle varianti scoperte dalla Gran Bretagna al bresciano passando per il Sud Africa e il Brasile, pur ammessa la profonda similitudine all’interno delle stesse, permette ragionevolmente di credere che l’evoluzione del virus sia piuttosto rapida e, nonostante tutte le rassicurazioni, destinata a sviluppare, come già sta accadendo, forme, forse meno letali, ma più aggressive in termini di infettività e in grado di limitare l’efficacia dei vaccini così rapidamente proposti dall’offerta commerciale delle grandi industrie farmaceutiche.

I “fattori naturali” entrano in gioco principalmente là dove la natura e l’ambiente sono stati stravolti e intossicati dall’incontrollabile sviluppo di quelle che un tempo anche la Sinistra chiamava “forze produttive”. Forze produttive il cui sviluppo ha sempre più rivelato l’autentico volto, fatto non soltanto di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ma anche di devastazione, sfruttamento e distruzione di quell’ambiente e di quelle risorse di cui la specie ha un estremo bisogno per sopravvivere.

Come ha affermato David Quammen, autore del noto ed inizialmente citatissimo Spillover (Adelphi, Milano 2012), ma oggi (chissà perché) sempre meno citato:

Certi gruppi di virus si adattano e cambiano molto più velocemente degli altri. I più rapidi fanno parte di un gruppo di famiglie di virus noto come virus Rna a singolo filamento. Significa che i loro genomi sono composti di un singolo filamento della molecola Rna, invece che il Dna, che è a doppio filamento. Un genoma Rna a singolo filamento commette molti più errori quando si copia mentre i virus si stanno replicando: e quegli errori, che si chiamano mutazioni, sono le materie prime dell’evoluzione per selezione naturale. Il vecchio meccanismo di Darwin. Quindi questi virus Ss-Rna, in costante mutamento e adattamento, sono più capaci di trasferirsi a nuovi ospiti, come gli esseri umani, e proliferare. E tra i più noti virus Rna a filamento singolo ci sono i coronavirus […] siamo parte della natura, di una natura che esiste su questo pianeta e solo su questo. Più distruggiamo gli ecosistemi, più smuoviamo i virus dai loro ospiti naturali e ci offriamo come un ospite alternativo […] consumiamo risorse in modo troppo affamato, a volte troppo avido, il che ci rende una specie di buco nero al centro della galassia: tutto è attirato verso di noi. Compresi i virus.
Una soluzione? Dobbiamo ridurre velocemente il grado delle nostre alterazioni dell’ambiente, e ridimensionare gradualmente la dimensione della nostra popolazione e la nostra domanda di risorse”7.

Gli esperti dell’Intergovernmental Science Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (Ipbes – organismo itituito dalle Nazioni Unite per monitorare la biodiversità) ipotizzano che esistano attualmente da ottocentomila a un milione e settecentomila virus sconosciuti pronti a fare il salto di specie (zoonosi)8 con conseguenze sanitarie sempre più allarmanti, se la nostra società non deciderà di fermare la deforestazione, la cementificazione e l’urbanizzazione sempre più devastanti dei territori in ogni angolo del mondo cui si ricollegano sia il cambiamento climatico in atto che lo sviluppo di un’agricoltura sempre più intensiva.

Se la Scienza “ufficializzata” non vorrà farsi carico di tutto ciò, con un indirizzo chiaro, per continuare invece a servire la ricerca disperata di profitti ed investimenti del capitale in ogni campo, e non solo nel settore farmaceutico, è chiaro che qualsiasi serio discorso sulla diffusione del Covid-19 o di qualsiasi altro virus, sui suoi possibili rimedi e la difesa della salute pubblica rischia di essere castrato e ridotto, fin dalla partenza, ad una spettacolarizzazione di opinioni asservite e inutili, se non dannatamente pericolose per l’intera specie.

Quanto scritto fin qui va letto come ipotesi provocatoria poiché è chiaro a tutti, o quasi, che la struttura classista di una società fondata sull’appropriazione privata della ricchezza socialmente prodotta, delle risorse naturali e della conoscenza in nome dell’accumulazione di profitti e capitali non è certo favorevole ad un salto epocale come quello che sarebbe attualmente necessario.
Ma poiché chi scrive è ben lontano dalle posizioni No Vax e ancor meno è complottista, si rende necessario soffermarsi per un attimo su alcuni concetti.

Il capitale approfitta di qualsiasi occasione, ma non per istinto malevolo, piuttosto per sua intrinseca natura. Questo non vuol dire che il capitale e i suoi funzionari, governanti o imprenditori non importa in che ordine di importanza, siano in grado di affrontare o risolvere sempre qualsiasi situazione a proprio vantaggio, né che i suoi piani strategici siano di così lunga durata. Anzi occorre dire che la “continuità strategica” di certe azioni del medesimo, ad esempio le guerre imperialiste o di controllo dei mercati e delle materie prime, è dovuta più ad una errata percezione di azioni molto più vicine nel tempo di quanto si pensi, più che a reali strategie di lungo periodo. E di questo si deve rendere conto chi lo vuole osteggiare e inviare all’Inferno. Modificando una percezione del tempo che si presenta sempre più velocizzata e che nell’immaginario condiviso globalmente allontana gli avvenimenti grandi e piccoli come fossero sempre enormemente distanti, anche quando non lo sono. Un tempo percepito sulla base del qui, dell’adesso, dell’istante e del momento che impedisce di cogliere come siano i secoli e i millenni a scandire il tempo reale della storia della specie e del pianeta che abita. Che non corrisponde affatto a quello scandito dai media, dai social e dall’alta velocità come fine ultimo del cammino umano.

Le ipotesi espresse poco sopra sono poi confermate anche dagli ultimi dati forniti dall’Oxfam (Oxford Committee for Famine Relief il nome esteso in inglese).

L’ultimo rapporto, intitolato non a caso “The inequality virus”, rivela con abbondanza di dati come la pandemia abbia “portato alla luce, nutrito e aumentato le disuguaglianze esistenti dal punto di vista della ricchezza, del genere e della razza”. Sono oltre due milioni le persone che nel mondo sono morte finora a causa del virus, e “in centinaia di milioni sono precipitati in povertà, mentre dall’altra parte della barricata i più ricchi del mondo – individui e società – stanno prosperando”, si legge nel report.
A partire dalla militarizzazione dei territori, delle decisioni politico-sanitarie e delle imposizioni cui i cittadini dovrebbero sottostare in tutti gli stati coinvolti. Accettarne compostamente e in silenzio le conseguenze, anche lavorative segnerebbe sicuramente un bel punto per il controllo capitalistico della specie e dell’ambiente negli anni a venire.
[…]L’87% degli economisti interpellati da Oxfam ritiene che il coronavirus porterà a un aumento delle disuguaglianze nel loro Paese, il 56% pensa che la pandemia peggiorerà le disparità di genere e oltre due terzi che porterà a maggiori disparità razziali. “Come una radiografia, il covid-19 ha rivelato le fratture nel fragile scheletro delle società che abbiamo costruito”, ha commentato il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. “La pandemia sta portando alla luce ovunque errori e false convinzioni: come l’idea sbagliata che il mercato libero possa garantire a tutti le cure sanitarie, o ancora l’illusione di vivere in un mondo post-razzista o il mito in base al quale siamo tutti sulla stessa barca. In realtà stiamo navigando tutti nello stesso mare, ma è chiaro che qualcuno si trova su un super yacht, mentre molti altri non possono far altro che aggrapparsi ai relitti galleggianti”9.

Un altro esempio? Eccolo: mentre il rigoroso controllo degli spostamenti individuali prosegue, accompagnato da tutta una serie di limitazioni destinate ad impedire non l’affollamento nelle vie dei centri urbani o nei grandi centri commerciali per la celebrazione dei riti del consumo, ma l’eventuale adunata “sediziosa” di coloro che volessero organizzare resistenze e proteste, il governo ha tirato fuori dal cappello magico i 67 siti individuati per lo stoccaggio del materiale radioattivo formato dalle scorie nucleari provenienti dalle centrali di quel genere, forse non solo italiane (qui).

Si son levate le voci di sindaci e governatori regionali, preoccupati forse più per la salvaguardia del proprio serbatoio elettorale che per la salute dei cittadini e dell’ambiente, ma sembra difficile che chi abita quei territori possa nel giro di poco tempo mobilitarsi significativamente per opporsi alla proposta. Eppure, eppure…

Più che farsi sorprendere da ogni singola iniziativa gestionale o politico-economica del capitale e dei suoi servitori, come se queste costituissero costantemente una novità o un’emergenza assoluta (travisamento prospettico che regala al nostro avversario proprio il vantaggio su cui da sempre conta), si rende sempre più necessario anticiparne e prefigurarne le mosse e il destino, individuandone per tempo i punti deboli e le linee di frattura in cui poter inserire la leva adatta ad ampliarne le contraddizioni. Prima che questo riesca recuperare il tempo o il vantaggio, sempre e solo, momentaneamente perduto.

(2continua)


  1. Secondo i dati “reali” forniti dall’Iss e Istat, la campagna vaccinale in Italia, continuando di questo passo e anche senza tener conto del blocco del vaccino di AstraZeneca per gli over 65, potrebbe aver termine nel novembre 2025: Giampiero Maggio, Vaccini anti Covid, altro che marzo 2021: la campagna in Italia finirà a novembre 2025, “La Stampa”, 28 gennaio 2021  

  2. Gli scettici del vaccino italiano. “Due che funzionano già ci sono, che senso ha?”, “Huffpost”, 30 gennaio 2021  

  3. Maria Paola Zanoboni, La vita al tempo della peste, Editoriale Jouvence, Milano 2020, p. 13  

  4. Si veda: Simone Cosimi, Perché non bastano i vaccini per sconfiggere un virus, e varrà anche per il Covid-19, “Esquire”, gennaio 2021  

  5. Si veda ancora: Edmondo Peralta, “Covid-19 is not a pandemic”: non una pandemia, ma una “sindemia” (qui e qui)  

  6. Si veda, ancora: L’inquinamento non favorisce la diffusione del Covid: lo studio di Cnr e Arpa Lombardia (msn.com)  

  7. Si veda https://www.wired.it/play/cultura/2020/03/09/coronavirus-david-quammen-spillover-intervista/?refresh_ce  

  8. Si veda: Davide Michielin, Le nuove epidemie: dopo Covid quali sono i rischi per l’umanità, la Repubblica, 20/11/2020  

  9. Chiara Merico, Covid e disuguaglianze: i Paperoni hanno recuperato in 9 mesi, i poveri ci metteranno 10 anni. Italia, 10 milioni “senza rete”, “Business Insider Italia, 25 gennaio 2021  

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