nazisti – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Mon, 03 Nov 2025 21:00:51 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 La storia non assolve https://www.carmillaonline.com/2025/05/02/la-storia-non-assolve/ Fri, 02 May 2025 20:00:58 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=88148 di Giorgio Bona                                                         

Mauro Tonino, Belve in fuga. Le vie di salvezza dei nazisti, pp. 126, € 17, Arkadia, Cagliari 2025.

Lo scrittore austriaco Simon Wiesenthal (1908-2005), superstite dell’Olocausto, dedicherà gran parte della sua vita a raccogliere informazioni sui nazisti in latitanza per poterli rintracciare e sottoporre a processo, tanto da guadagnarsi il soprannome di “cacciatore di nazisti”.

 

Tutto il valore del mio lavoro sta nell’ammonimento agli assassini di domani: non avrete mai pace.

Per quanto durante la guerra potessimo aver desiderato la morte dei nostri aguzzini, dopo la guerra avevamo, nella stessa misura, il bisogno di trovarli vivi: [...]]]> di Giorgio Bona                                                         

Mauro Tonino, Belve in fuga. Le vie di salvezza dei nazisti, pp. 126, € 17, Arkadia, Cagliari 2025.

Lo scrittore austriaco Simon Wiesenthal (1908-2005), superstite dell’Olocausto, dedicherà gran parte della sua vita a raccogliere informazioni sui nazisti in latitanza per poterli rintracciare e sottoporre a processo, tanto da guadagnarsi il soprannome di “cacciatore di nazisti”.

 

Tutto il valore del mio lavoro sta nell’ammonimento agli assassini di domani: non avrete mai pace.

Per quanto durante la guerra potessimo aver desiderato la morte dei nostri aguzzini, dopo la guerra avevamo, nella stessa misura, il bisogno di trovarli vivi: prima che potessero morire, essi dovevano incontrare la giusta punizione.

 

Eppure i colpevoli rintracciati resteranno un numero limitato.

Il libro di Tonino ha come protagonisti gerarchi e scagnozzi del Terzo Reich all’indomani della sconfitta della guerra con la conseguente fuga dalla Germania occupata. L’autore indaga su una situazione che vede molti esponenti di alto livello, e ancor più gregari e fedelissimi del regime, approntarsi un dorato esilio, complici istituzioni, governi consenzienti, uomini di potere che per vari motivi lo permettono. Tonino prende in esame diversi casi  raccontandoli, approfondendoli e mettendo così in luce un capitolo della nostra storia recente che peraltro nasconde ancora risvolti oscuri.

Agli inizi del 1944 la situazione sembra ormai compromessa per i tedeschi e, con il trascorrere dei giorni, è sempre più evidente quello che si sarebbe presentato come il risultato finale, anche se non ha ancora una data certa.

 

Nei giorni finali di quella disfatta epocale, personaggi come Heinrich Himmler pensavano ancora di poter negoziare qualcosa con gli Alleati salvandosi o ritagliandosi un qualche personale ruolo futuro magari in funzione anticomunista o antisovietica, non capendo che alla Germania era stata intimata e successivamente imposta la resa incondizionata, a condizioni ben più rigide di quelle ingiunte nel 1943 all’Italia.

 

L’epilogo del conflitto decreta la sconfitta del III Reich e la divisione della Germania, con il risultato che russi da un lato e Alleati dall’altro presentano il conto alla nomenclatura nazista per i crimini perpetrati. Alla fine del 1945 inizia così il primo processo di Norimberga in cui il Tribunale militare internazionale in circa un anno giudica e condanna i principali criminali di guerra. In seguito, tra 1946 e 1949, dodici altri processi tenuti da tribunali militari statunitensi – i cosiddetti Processi secondari di Norimberga – porranno sotto esame singoli gruppi di responsabili di crimini.

Come mostra Tonino – sindacalista di livello regionale e nazionale, animatore e presidente di circoli culturali, ricercatore, autore di approfondimenti storici sulle vicende del confine orientale – si andrà però parecchio distanti dal processare tutti i responsabili sopravvissuti: e ciò nonostante una diffusa storiografia minimizzi il fenomeno della fuga dei criminali nazisti, benché tra questi figurino nomi di primo piano.

Al di là di fantasie letterarie e cinematografiche, si può dire che i vincitori del secondo conflitto mondiale nel dopoguerra non si impegnino molto per dare la caccia ai criminali nazisti in fuga, che anzi in più casi verranno arruolati e utilizzati. La domanda è a questo punto sul ruolo che una rappresentanza piuttosto variegata di esponenti criminali del regime – scienziati, ingegneri, poliziotti, gerarchi, eccetera – sfuggiti alla giustizia avranno nella nuova società.

Emerge così un tessuto di scomode verità che lasciano aperti interi capitoli. Per esempio sul ruolo della chiesa cattolica, che formalmente non fu sostegno ai nazisti anche se un certo numero di religiosi aiutarono concretamente i fuggiaschi. Sorgono due domande: modi ed efficacia di questa azione e suoi scopi diretti – carità cristiana o intento politico?

 

Diversi storici indicano alcuni religiosi come delle figure chiave che aiutarono concretamente dei nazisti in fuga. Un personaggio di rilievo fu Alois Hudal, vescovo cattolico austriaco originario di Graz.

Va però anche detto che Hudal non aderì e non prese parte all’attività del partito nazista.

Durante il conflitto e anche dopo la sua fine, visitò i campi dove stavano i profughi e internati tedeschi interessandosi alle loro condizioni precarie, e intervenne presso autorità italiane e argentine per garantire espatri e migliori condizioni di vita.

Questo vescovo austriaco fu una figura controversa, molti storici lo definirono uno dei principali artefici dell’esodo di numerosi nazisti verso il Sudamerica o il Medio Orirente, fornendo documenti e assistenza. Adolf Eichmann, Franz Stangl, Josef Mengele, Alois Brunner usufruirono di questa rete di appoggio. Lo stesso Priebke, dopo la cattura, ammise di aver ricevuto l’aiuto di alcuni religiosi durante la fuga, in particolare proprio da Hudal.

 

Vari criminali nazisti, nonostante su di loro pendessero indagini giudiziarie, vissero per anni nel nostro paese.

Nel suo racconto l’autore fa riferimento innanzitutto al caso eclatante di Karl Hass, maggiore delle SS responsabile delle attività di controspionaggio in Italia e coinvolto da Priebke durante il processo per l’eccidio delle Fosse Ardeatine (335 persone uccise). Si parla di caso eclatante in quanto Hass verrà arruolato nel dopoguerra dai servizi segreti statunitensi come agente affidabile e competente. Altri documenti, conservati negli archivi USA, mostrano come Hass collabori anche con i servizi italiani.

Nella sua ricerca accurata, Tonino rimarca anche un fattore cui non sempre è stata data la giusta importanza: l’enorme fiume d’oro e di denaro frutto delle razzie naziste in mezza Europa, servito anche a oliare i canali giusti per far chiudere gli occhi a chi di dovere.

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A raccontarla mi proverò https://www.carmillaonline.com/2022/09/02/a-raccontarla-mi-provero/ Fri, 02 Sep 2022 20:00:25 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=73633 di Luca Baiada

Questo 78° anniversario della strage del Padule di Fucecchio, come delle altre grandi stragi dell’estate 1944 nell’Italia occupata, cade in un contesto speciale: di nuovo la guerra in Europa, di nuovo crimini di guerra e ancora controversie internazionali sui crimini della guerra mondiale. Come se non si volesse imparare nulla. Il moscone ripete la sua danza macabra contro il vetro. La storia maestra di vita parla una lingua morta.

Nei racconti di circostanza tutto torna, in realtà ogni cosa è fuori posto. I 174 morti di quel 23 [...]]]> di Luca Baiada

Questo 78° anniversario della strage del Padule di Fucecchio, come delle altre grandi stragi dell’estate 1944 nell’Italia occupata, cade in un contesto speciale: di nuovo la guerra in Europa, di nuovo crimini di guerra e ancora controversie internazionali sui crimini della guerra mondiale. Come se non si volesse imparare nulla. Il moscone ripete la sua danza macabra contro il vetro. La storia maestra di vita parla una lingua morta.

Nei racconti di circostanza tutto torna, in realtà ogni cosa è fuori posto. I 174 morti di quel 23 agosto di sangue, vittime di una strage fra le più insensate dell’occupazione tedesca, non hanno avuto giustizia. Anche per loro – tante persone a lungo dimenticate, la più piccola di quattro mesi – adesso si versano fiumi di discorsi, si fanno spettacoli, si ripetono parole d’ordine trite. Si è persino celebrato un processo nuovo: a sua volta, ormai, è già vecchio di dieci anni; e come gli altri, ha fabbricato carte.

Dei condannati subito dopo la guerra, già negli anni Cinquanta non ce n’era più uno in carcere; i due condannati in questo secolo, invece, il carcere non l’hanno visto neanche per un giorno; sì e no l’hanno sentito nominare restando comodamente a casa loro, in Germania. Nella società dello spettacolo la caccia ai nazisti è un birdwatching.

E il risarcimento ai familiari delle vittime? Solo in questo secolo se n’è appena parlato, nel senso che una prima sentenza aveva condannato lo Stato tedesco, ma il provvedimento è stato cancellato quasi subito, appena la Germania ha fatto la voce grossa alla corte dell’Aia, per un’ipoteca su una sua villa sontuosa, a Como. È rimasto l’obbligo di risarcimento a carico dei due militari tedeschi condannati, ed è una gran bella consolazione: vai a provare a eseguire in Germania una sentenza italiana, se hai tempo e denaro da sprecare. Un senso desolante di mani vuote e di aria piena, una piega di beffa e d’operetta, qualcosa di assurdo fa sì che si possa guardare a queste cose con la rabbia della solita storia e con la tentazione della solita cronaca. In fondo, se adesso continuano le stragi, se ora tocca all’Est europeo uccidere e morire, con che coraggio si parla di 174 vittime oscure, ficcate nel mare di sangue di una guerra mondiale con decine di milioni di morti?

E invece è proprio il contrario. Si serba l’umanità se si riconosce il seme della storia in ogni storia, se di fronte a tutto questo non ci si rassegna alla forza ipnotica del racconto senza conseguenze, dei verborini, del mai più. Proprio lui, il mai più, sogghigna malizioso nella manica di ogni oratore da palco, che sia un sindaco o un presidente o un assessore o un rappresentante di qualcosa, perché se il sangue di 78 anni fa non conta, anzi, se 78 anni non sono bastati a fare giustizia, a che serve chiederla per chi muore in Ucraina? La mancata giustizia diventa l’accompagnamento naturale della legge del più forte, si trasforma in un pegno carnivoro che spinge solo alla vendetta immediata, alla legge della foresta. Un invito all’assassinio. E poi vai a parlare di giustizia internazionale, di rule of law, di valori europei.

Sorda a tutto questo, una classe dirigente che si cambia d’abito senza scrupoli, un ceto impermeabile che non fa lo schizzinoso tra feluche, toghe e grisaglie, proprio quest’anno ha servito l’ultima pietanza al banchetto. Qualcuno, come nel 2008, adesso aveva provato a realizzare i crediti da stragi e deportazioni, iscrivendo altre ipoteche su beni statali tedeschi. Ancora lesa maestà! La Germania ha fatto di nuovo causa alla corte internazionale di giustizia, proprio come nel 2008, e la legge italiana è corsa in aiuto del più forte, proprio come allora.

Con un provvedimento inserito in uno dei decreti legge sul Pnrr – nel nome della resilienza, che con la Resistenza va d’accordo come il diavolo con l’acqua santa – l’iniziativa legale contro la Germania è stata fermata. I debiti di Stato non sono come le rate di mutuo di un lavoratore malpagato. Contemporaneamente è stato istituito un «fondo-ristoro», per dar qualcosa ai familiari di queste vittime. Un fondo fatto con limitati stanziamenti italiani, non certo con denaro tedesco, perché a pagare, molto o poco o pochissimo, Berlino non ci pensa proprio. A questo fondo si può attingere solo a condizione di aver fatto una causa civile o di cominciarla entro pochi mesi, perché mica bastano 78 anni di dolore. Persone che soffrono da generazioni devono andare da un avvocato, raccontare tutto daccapo, esporsi al rischio di non essere credute; così, perché non si sa mai.

Sulle vittime grava il sospetto che si serba per gli invalidi, per gli infortunati sul lavoro, per chi chiede il reddito di cittadinanza: ma questo qui, fa mica il furbo? Quanto prenderanno, poi, è oscuro, perché i decreti attuativi non si vedono e non si sa quante saranno le domande. Sicuramente l’importo sarà molto inferiore a quello dovuto: potrebbe bastare per pagare un fascio di bollette pazze, di quelle che terrorizzano i pensionati. In compenso, il fondo-ristoro già produce i suoi effetti maligni, dividendo le famiglie colpite, creando aspettative ambigue e problemi di coscienza. Se fai causa accetti un brutto scherzo, perché forse avrai qualcosa dal contribuente italiano, cioè da te stesso e dai tuoi, e niente dagli assassini. Se non fai causa ti sembra di perdere un’opportunità; e poi magari i soldi, pochi e maledetti, servono a tuo figlio, a tuo nipote, che non trova lavoro. Questa è la bontà del paese dei mille populismi, dove tutti mettono Italia nei simboli di partito, dove tutti sono sovranisti, padroncini di qualcosa e amiconi immaginari di comunità col cuore in mano.

Non era forse più solidale quel barrocciaio padulino, in Valdinievole, con la sua ballata mandata a memoria, quando diceva «a raccontarla mi proverò / non so se in fondo ci arriverò»? Cantava di una strage, del popolo e dei partigiani, e chi ha sentito almeno una volta quella melopea toccante, quei versi che sembrano venire da un tempo fuori della storia, ha intravisto un passato denso di significato. Vero o falso? Effetti distorti del lutto, sindrome del mondo perduto? In fondo, qui sta il punto. La questione della memoria, ingannevole o semplicemente malposta, nasconde la percezione di sé e la progettazione del futuro. Non è un caso, che la memoria come oggetto politico si sia affermata dopo il crollo del blocco socialista, quando la fine della contrapposizione fra i due modelli economici sembrava togliere ogni scusa alle retoriche belliciste e all’impunità dei crimini commessi nel conflitto mondiale. Ma quell’ornato linguistico era ingannevole, erano altri fiori di carta, il Ventesimo secolo si chiudeva su un equivoco e lasciava le premesse per altri raggiri, altri modi di cambiare discorso.

La mancata giustizia sulle stragi, accompagnata da una scorpacciata di narrazione spettacolare e retorica esortativa, adesso porge il suo canovaccio di impunità: per le vittime ci sono tante parole, mostre ufficiali, percorsi tematici, sentieri attrezzati, siti dedicati, applausi da dare e da prendere, gemellaggi, monumenti e molte altre cose indispensabili. La promessa per quel che accade nell’Est europeo, per quel che può accadere ovunque, è un disegno tratteggiato, che è facile riempire unendo i puntini: le vittime non hanno diritti, su ogni violenza galleggia, sguazza, si mette comoda una fungaia notabilare pronta ad ammorbidire le cose con parole caute, al limite a girare intorno al dolore coi ristori, le riparazioni, i lenimenti. La fantasia verbale non ha limiti, ma tutto deve restare come prima, perché il potere abbia sempre sotto mano sicari che restino impuniti.

A questo crocevia, su questo confine lasciamo che si affacci il nostro barrocciaio, con la sua ballata senza risposta.

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The Liberator https://www.carmillaonline.com/2020/12/08/the-liberator/ Tue, 08 Dec 2020 22:55:21 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=63801 di Nico Maccentelli

Tra i war movie di ultima generazione, The Liberator, questa produzione di fresca realizzazione (2020) e disponibile su Netflix, è certamente una novità per l’utilizzo della Trioscope Enhanced Hybrid Animation, una tecnica di animazione che si basa sull’ibridazione tra ripree dal vivo e computer grafica. Il risultato può piacere, ma può lasciare anche interdetti, anche se abituati alla visione dopo i primi minuti sembrerà di vedere un live vero e proprio.

Ma al di là della tecnica, che certamente ha giovato al portafogli dei produttori per le economie di ripresa, [...]]]> di Nico Maccentelli

Tra i war movie di ultima generazione, The Liberator, questa produzione di fresca realizzazione (2020) e disponibile su Netflix, è certamente una novità per l’utilizzo della Trioscope Enhanced Hybrid Animation, una tecnica di animazione che si basa sull’ibridazione tra ripree dal vivo e computer grafica. Il risultato può piacere, ma può lasciare anche interdetti, anche se abituati alla visione dopo i primi minuti sembrerà di vedere un live vero e proprio.

Ma al di là della tecnica, che certamente ha giovato al portafogli dei produttori per le economie di ripresa, location e ambientazione, questa miniserie in otto puntate riprende lo schema tipico di film sulla seconda guerra mondiale ben blasonati come Patton o Il Grande Uno Rosso: il battaglione che viene spedito nei vari scenari bellici e che si destreggia tra SS spietate e soldati della Wermacht con efficienti capacità belliche. Non certo i pivelli teutonici dei fumetti di Eroica letti da bambini, che cadevano tra un “teufel” e un “donnerwetter”. Qui c’è la guerra vera, con le sue vicende ed epiloghi individuali che non guardano in faccia a nessuno.

Un aspetto che rende interessante The Liberator è che siamo in presenza di un battaglione di reietti, composto da nativi pellerosse e da messicani, sostenuti a amorevoli scarpate in bocca dal solito ufficiale rigorosamente wasp, ma comprensivo e cameratesco. Una chiave che funziona visto che di pellerosse prestati alla guerra dello zio Sam contro Hitler o il Sol Levante ormai ne abbiamo un florilegio: dal navajo Charlie Whitehorse in Windtalkers di John Woo al pima Ira Hayes in Flags of our fathers di Clint Eastwood.

La storia, ovviamente romanzata ma tratta da una vicenda vera, ci parla del viaggio dell’inossidabile capitano Felix Sparks nei vari teatri di guerra europei, con un ricambio costante della sua truppa, per prematura dipartita a miglior vita di quasi tutti i suoi soldati.
Dalla Sicilia ad Anzio, dal sud della Francia ai gelidi monti tedeschi, fino a Dachau, il nucleo essenziale come ogni film di guerra che si rispetti è il cameratismo, l’amicizia oltre ogni limite, fino all’estremo sacrificio. Quindi anche in questo caso una buona dose di retorica non manca. Del resto ce la siamo ritrovata anche negli ultimi kolossal come Dunkirk e 1917.
Difficilmente si può vedere un film di guerra che non tocchi queste corde, le uniche che possano rendere vagamente (e aggiugerei vanamente) accettabile la signora carneficina per eccellenza in ogni epoca della storia. Forse Clint Eastwood con l’elegiaco Lettere da Iwo Jima ha potuto salvarsi con l’espediente riuscito di un’ottica completamente ribaltata: la guerra vista dal nemico, ossia dai giapponesi. Ma esce dal coro guerrafondaio anche Quentin Tarantino con Bastardi senza gloria: una riuscitissima parodia del nazismo, letteralmente antifa e di totale fantasia che mette insieme guerra, Resistenza, giustizialismo e un teatro che va a fuoco con strage di alti papaveri del Reich, Hitler incluso, e che fa fare a Brad Pitt una figura migliore che in Fury. Del resto, a un carrista eroe è sempre preferibile un implacabile giustiziere di nazi.

Comunque, nonostante i limiti patriottardi e camerateschi, The Liberator per gli amanti del genere è assolutamente godibile e soddisfa anche i palati più antifascisti, ossia coloro che giustamente storcono il naso nel riscontrare forti vocazioni paranaziste nella gran parte dei war movie di attualità (ma dove sono finiti i Platoon di Olver Stone? E i Full Metal Jacket di Stanley Kubrick?), certamente più tecnologici, ma con la sfiga di descrivere le aggressioni macellaie d’oggi giorno compiute dall’esercito dello Zio Sam dall’Irak alla Siria nel nome di una vantata “superiorità democratica e di civiltà”.
Insomma: l’epopea della guerra al nazifascismo, vista con il filtro della storicizzazione, anche se fu guerra tra imperialismi e grande macelleria anch’essa di popoli, è diventata un rifugio delle coscienze critiche, ossia di coloro che non digeriscono le immonde tragedie delle guerre contemporanee e in questa trovano valori positivi, a partire dai legami con le Resistenze antifasciste.

Qualche riga su chi realizzato questa produzione. Jeb Stuart anzi tutto, regista e al tempo stesso creatore di questa mini serie e autore dello script: è una collaudata certezza. Infatti, tra sceneggiature e regie, da Linea di sangue al Fuggitivo a Trappola di cristallo, ha sempre sfornato prodotti di buona qualità. E sembra riprendersi dopo una periodo di ferma durato una decina d’anni.
Il cast vede Bradley James nei panni del capitano Sparks. Di questo attore britannico si è visto ancora poco ma di qualità: da Arthur Pendragon in Merlin a Giuliano de’ Medici ne I Medici. Il Trioscope non altera l’espressività e la cifra attoriale degli interpreti e certamente vanno mezionati anche Josè Miguel Vasquez, Martin Sensmeier, Finney Cassidy, poco conosciuti come del resto tutti gli altri attori, ma che in complesso ci regalano avvincenti cammei.

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