Nakba – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Fri, 03 May 2024 10:35:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.25 From Palestine: Our Past, Our Future – Una mostra di arte e architettura palestinese a Venezia https://www.carmillaonline.com/2023/09/27/from-palestine-our-past-our-future-una-mostra-di-arte-e-architettura-palestinese-a-venezia/ Wed, 27 Sep 2023 20:22:19 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=79063 di Pina Fioretti – Fotografie di Federico Vespignani

Il Palestine Museum US, fondato nel 2018 negli Stati Uniti dal palestinese Faisal Saleh, ha inaugurato lo scorso maggio a Venezia la mostra sulla Nakba intitolata From Palestine: Our Past, Our Future nell’ambito della VI edizione di Time Space Existence, a cura dell’European Cultural Centre.

Focus temporale della mostra è il 1948. Quest’anno infatti i palestinesi commemorano il 75esimo anniversario della Nakba, la tragedia conseguente alla creazione dello stato di Israele, che ha determinato l’occupazione della terra palestinese e quasi ottocentomila profughi (l’80% della [...]]]> di Pina Fioretti – Fotografie di Federico Vespignani

Il Palestine Museum US, fondato nel 2018 negli Stati Uniti dal palestinese Faisal Saleh, ha inaugurato lo scorso maggio a Venezia la mostra sulla Nakba intitolata From Palestine: Our Past, Our Future nell’ambito della VI edizione di Time Space Existence, a cura dell’European Cultural Centre.

Focus temporale della mostra è il 1948. Quest’anno infatti i palestinesi commemorano il 75esimo anniversario della Nakba, la tragedia conseguente alla creazione dello stato di Israele, che ha determinato l’occupazione della terra palestinese e quasi ottocentomila profughi (l’80% della popolazione), ad oggi privati del diritto al ritorno, così come i loro discendenti.

Con i suoi 150 metri quadri è la più grande esposizione di arte e architettura palestinese sulla Nakba mai realizzata in Occidente. Diciannove tra artisti e architetti palestinesi animano l’esposizione con le loro opere che si presentano in una varietà di forme: da opere artistiche convenzionali su tela, a rendering 3D, cartografia, fotografia, stampa, tatreez (ricamo arabo e palestinese), progetti di architettura digitale e altro ancora.

Con questa esposizione Saleh ha dato un notevole contribuito a contro-informare sulla questione palestinese, ed in particolare a fare luce sul periodo della Nakba, che parte dal dicembre 1947 e si protrae fino al gennaio 1949, più di un anno durante il quale le forze sioniste lanciarono in Palestina una campagna militare precedentemente pianificata per spopolare e distruggere città e villaggi palestinesi. Quando il 15 maggio 1948 fu proclamato lo stato di Israele, duecento villaggi erano già stati spopolati. Alla fine del 1948, i villaggi sfollati erano diventati cinquecento, e molti di essi furono interamente distrutti per impedire il ritorno dei loro abitanti. In 36 villaggi palestinesi le truppe paramilitari ebraiche compirono efferati massacri.

Nell’attuale clima politico internazionale gli intellettuali, gli artisti e gli attivisti palestinesi si ritrovano sempre più messi a tacere. La verità su ciò che accade in Palestina e sulla Nakba ancora in corso viene censurata a volte anche con violenza. E non c’è da stupirsi, considerando che la politica dei governanti israeliani del passato e di quelli del presente come Ben Gvir, Netanyahu o Smotrich intende annettere ad Israele la totalità dei territori occupati, e che da tempo il risultato di questa politica è un regime di apartheid.

Alla luce di questa situazione, l’allestimento della mostra “From Palestine: Our Past, Our Future” appare veramente audace perché in Italia, come in altri paesi occidentali, non esiste alcun sostegno istituzionale alla causa dei palestinesi, e non è certo garantita una corretta informazione sulla questione palestinese. A questa audacia corrisponde il gradimento e la sorpresa dei moltissimi visitatori.

La sala dell’esposizione si divide in due aree: nella prima ci si trova immersi nella ricostruzione degli eventi storici attraverso una grande carta della Palestina del 1948 e ricostruzioni digitali di ambienti precedenti al 1948; nella seconda area si trovano opere dedicate ai profughi, ai palestinesi in diaspora ai quali viene negato il diritto al ritorno. Questa parte della mostra è dedicata ai rifugiati e ai loro discendenti e mostra al mondo quanto è forte il legame tra i palestinesi che vivono un esilio forzato da generazioni e la loro terra.

Il curatore della mostra Faisal Saleh ricorda che è in atto il tentativo di cancellare la Palestina dalla carta geografica e dalla storia: “Riferendosi ai palestinesi come ‘arabi’, Israele insiste sul fatto che ‘non ci sono palestinesi’ e non c’è mai stata una ‘Palestina’. Purtroppo, questa distorsione della storia in larga misura continua ad essere sponsorizzata dallo stato, ispirandosi a una dichiarazione del primo ministro israeliano in carica nel 1969, Golda Meir, che erroneamente sentenziò: – Non esiste nulla che si possa definire palestinese -.

Utilizzando mappe, rendering, fotografie, tele e installazioni artistiche, questo progetto offre informazioni su città e villaggi palestinesi perduti e reinventa un futuro in cui i discendenti della popolazione originaria ritornano all’architettura ridisegnata, a comunità urbane pianificate, restituendo speranza. Artisti e architetti palestinesi mostrano la resilienza e la determinazione del loro popolo dipingendo le speranze di tornare in una Palestina libera dal razzismo e dall’apartheid. La loro esistenza e le loro eredità artistiche servono a sfatare i miti usati per giustificare la creazione di Israele: una terra senza popolo per un popolo senza terra, trasformare i deserti in fiore, e il vecchio morirà e il giovane dimenticherà (Ben-Gurion). Come questi artisti e architetti hanno dimostrato, i giovani non hanno dimenticato e le loro creazioni sono in gran parte le manifestazioni di ricordi e di storie dei loro antenati palestinesi”.

L’obiettivo del Palestine Museum US è proprio quello di rafforzare, garantire e diffondere il patrimonio storico e culturale della Palestina. Gli artisti che arricchiscono le sue sale sono palestinesi di generazioni diverse, provenienti sia dalla Palestina sia da tutto il mondo, a ribadire la continuità di un unico popolo fuori e dentro la Palestina, nonostante la politica di segregazione, divisione e occupazione israeliana.

Tra i giovani architetti presenti alla mostra, merita una menzione speciale il lavoro della giovane Nisreen Zahda, nata a Hebron (El Khalil), Palestina occupata. Ha studiato architettura all’Università di Birzeit e ha conseguito il dottorato in pianificazione urbana presso l’Università di Chiba in Giappone. Nel 2020 ha avviato il progetto VRJ Palestine (Virtual Return Journey to Palestine Before Nakba) per la ricostruzione virtuale dei villaggi palestinesi distrutti. Quattro sono le sue opere esposte a Palazzo Mora: la “Nakba Timeline Map”, una mappa digitale che descrive cronologicamente giorno per giorno la sistematica operazione di spopolamento, pulizia etnica e distruzione di città e villaggi durante la Nakba; tre rendering inclusi nell’opera “A Virtual Return Journey to destroyed villages of Tantura, Hittin and Zir’in”, che presenta la ricostruzione di tre villaggi distrutti. Zahda ha ricostruito virtualmente i tre villaggi, ridando vita a luoghi distrutti e cancellati grazie a un lavoro di ricerca fotografica e di archivio. Nelle sue ricostruzioni riprende vita il villaggio dei pescatori di Zir’in e quello storico di Hittin, dove nel 1187 Saladino sconfisse i crociati. Infine l’artista rende omaggio alle vittime del massacro avvenuto nel villaggio di Tantura, un massacro che lo stato israeliano continua a negare nonostante le prove inconfutabili descritte di recente nel documentario “Tantura” del regista israeliano Alon Schwartz
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In questa prima area della mostra è esposta una carta a pavimento della Palestina del 1948, di circa 7 per 2,5 mt, che richiama immediatamente l’attenzione del visitatore. Si tratta di un’opera cartografica, la mappa di Salman Abu Sitta. Nato in Palestina nel 1937, Abu Sitta ha conseguito il dottorato in Ingegneria Civile all’Università di Londra. Ha dedicato la sua vita e i suoi studi a ridisegnare la Palestina storica e la sua geografia. Le sue ricerche, condotte anche negli archivi coloniali, hanno confermato il tentativo di cancellare la Palestina prima ad opera dell’impero britannico e successivamente attraverso il progetto sionista. I lavori e le pubblicazioni di Abu Sitta dimostrano la fattibilità del diritto al ritorno dei profughi nei luoghi da cui furono cacciati. Ha fondato a Londra la Palestine Land Society, un’istituzione indipendente che si occupa di raccogliere e documentare informazioni sulla terra e il popolo della Palestina e collabora attivamente con le università palestinesi. Proprio ai neo architetti palestinesi è rivolto un concorso annuale che premia i migliori progetti di ricostruzione virtuale dei villaggi distrutti da Israele nel 1948.

Il curatore Faisal Saleh ha scelto quattro progetti premiati negli ultimi due anni e li ha inclusi nella mostra. Si tratta dei villaggi di Qula, Saffuriyya, Suba e Suhmata che sono stati sviluppati da studenti di varie università, comprese quella di Birzeit e la Gaza University. Nei loro progetti i villaggi ci appaiono come potrebbero essere oggi, con elementi di architettura passata e moderne strutture.

Nella seconda area, l’esposizione si concentra sui rifugiati e i loro discendenti. Molti degli artisti e architetti sono discendenti di profughi palestinesi. In questa zona troviamo la gigantesca opera dell’artista palestinese John Halakah Stripped of their Identity and Driven from Their Land, una stampa su tela di 6,5 x 2 mt: sagome di adulti e bambini, dai volti indefiniti, che si muovono verso l’ignoto. Nel costruire le sagome, Halakah ha utilizzato due timbri che riportano le scritte “forgotten” e “survivors”.

Come sopravvissuti dimenticati sono i profughi che vivono a Gaza e ai quali l’artista palestinese Steve Sabella, che vive in Germania, ha dedicato la sua opera La Grande Marcia del Ritorno assemblando centinaia di foto scattate durante la marcia del 2018. Di fronte a queste opere, campeggia l’acrilico su tela di Samia Halaby, Venetian Red, dai colori accesi che richiamano la resistenza e la resilienza dell’animo umano davanti alle tragedie. Nella disposizione di queste opere c’è il passato e il presente del popolo palestinese, determinato a lottare per i propri diritti.

La mostra ospita anche raccolte fotografiche di vari autori che hanno in comune lo sguardo sull’infanzia dei profughi. Per la prima volta viene esposta una collezione di Jorgen Grinde, fotografo delle Nazioni Unite che fu uno dei primi a documentare la nascita dei campi dell’UNWRA. Nelle sue foto si coglie lo smarrimento dei bambini che si ritrovarono lontano dalle loro case subito dopo il 1948. Le foto di Margaret Olin ci portano nel campo di Dheisheh, vicino Betlemme, tra i murales realizzati per commemorare i martiri palestinesi.

Jacqueline Béjani, è un’artista eclettica che realizza opere in video, in ceramica, dipinge su tela e su altri materiali. Espone un’opera che ha dedicato a sua madre, composta da cinque pannelli con inserti ricamati dalle donne dei palestinesi dei campi profughi e dipinti con i colori che ricordano l’ambiente in cui è cresciuta sua madre, vicino ad Haifa.

Lungi dal voler proporre un tour virtuale della mostra, mi sono soffermata su alcune delle opere che ben esprimono l’obiettivo del curatore, degli architetti e degli artisti palestinesi. “From Palestine: Our Past, Our Future” sfida la narrazione israeliana, decolonalizza lo sguardo attraverso l’arte e l’architettura palestinese, mostra la verità sulla Nakba e lascia immaginare la Palestina del futuro.

Nel marzo 2011 la Knesset ha approvato la “Nakba Law” che criminalizza di fatto il diritto alla memoria del popolo palestinese. Se si considera che per i governanti israeliani parlare della distruzione, delle uccisioni, delle deportazioni e dei massacri perpetrati dalle forze paramilitari e militari del nascente stato di Israele equivale a fare propaganda contro Israele, si potrà agevolmente comprendere quanto coraggiosa è questa mostra, e quanto merita il successo che sta avendo testimoniato dai moltissimi visitatori di tutto il mondo.

La mostra è visitabile tutti i giorni (tranne il martedì) fino al 26 novembre 2023 presso Palazzo Mora a Venezia.
L’ingresso è gratuito.
Il catalogo della mostra è reperibile online qui

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Venerdì di sangue in Palestina https://www.carmillaonline.com/2018/03/31/venerdi-sangue-palestina/ Sat, 31 Mar 2018 19:00:55 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=44700 [Venerdì 30 marzo sotto gli occhi del mondo intero e nell’imbarazzo delle Nazioni Unite, sempre pronte a recepire le direttive americane per le operazioni di polizia internazionale ma incapaci di porre freno alle violenze di Israele, si è consumata una delle stragi più feroci e premeditate della storia di una terra che da settant’anni è stata usurpata e strappata ai suoi legittimi abitanti. Il fascismo israeliano, già denunciato da numerosi intellettuali di origine ebraica come Hannah Arendt e Albert Einstein fin da una lettera inviata al New York Times il 4 dicembre 1948*, [...]]]> [Venerdì 30 marzo sotto gli occhi del mondo intero e nell’imbarazzo delle Nazioni Unite, sempre pronte a recepire le direttive americane per le operazioni di polizia internazionale ma incapaci di porre freno alle violenze di Israele, si è consumata una delle stragi più feroci e premeditate della storia di una terra che da settant’anni è stata usurpata e strappata ai suoi legittimi abitanti. Il fascismo israeliano, già denunciato da numerosi intellettuali di origine ebraica come Hannah Arendt e Albert Einstein fin da una lettera inviata al New York Times il 4 dicembre 1948*, ha mostrato ancora una volta il suo ghigno perverso. Per questo motivo riceviamo e volentieri pubblichiamo un resoconto scritto a caldo sui fatti di Gaza. S.M.]

30 Marzo: Giornata della Terra e dell’inscindibile Diritto al Ritorno.
E’ finita in un bagno di sangue la manifestazione pacifica della Giornata della Terra, per ricordare i sei palestinesi uccisi il 30 marzo 1976 da militari israeliani durante una manifestazione in Galilea che si opponeva al furto di altra terra da destinare alla comunità ebraica. L’ iniziativa di ieri e’ una delle azioni promosse dal Comitato della Grande Marcia del Ritorno a cui aderiscono tutti i partiti palestinesi, Hamas, Almubadara, Fatah, Fronte di Liberazione della Palestina, sostenitori di Dahlan e gruppi di giovani Palestinesi. Quella di ieri e’ stata una manifestazione partecipata, circa 30.000 persone, che ha visto famiglie raggiungere con ogni mezzo, bus, carretti, motorette, auto private le cinque diverse località di concentramento nella Striscia di Gaza: Abu Safia, Malka nord, Al Burei centro, Khoza’a e Al Shoka sud.
In ogni punto di ritrovo, a 300 metri dalla “buffer zone”, sono state organizzate tendopoli. Israele, per voce del ministro della difesa Avigdor ‎Lieberman aveva preannunciato il pugno duro contro l’iniziativa, descrivendola come un piano del movimento islamico Hamas per invadere ed occupare le ‎comunità ebraiche a ridosso della Striscia di Gaza. In realtà tutte le formazioni ‎politiche palestinesi, laiche, di sinistra, e religiose, hanno aderito all’iniziativa. A fronte del “pericolo proclamato”, Lieberman aveva promesso cecchini e gas lacrimogeni per fermare i manifestanti che si fossero spinti sotto i reticolati o vicino alle ‎torrette militari.

Dopo le ore 18 di ieri la liberta’ di uccidere israeliana e’ andata oltre, dal Ministero della Salute di Gaza riferiscono che nell’area a nord della Striscia, le forze armate israeliane hanno aperto il fuoco con artiglieria pesante causando la morte di 2 persone e diversi feriti. Abbiamo visto ragazzi, famiglie disarmate che con coraggio sfidavano l’occupante israeliano, quattordicesima forza armata mondiale. A fine giornata i dati ufficiale dal Ministero della Salute di Gaza riportano: 16 martiri, 1.415 feriti, alcuni di questi versano in gravi condizioni. Di questi 1.010 sono stati ricoverati negli ospedali pubblici della striscia di Gaza: 831 sono adulti e 179 bambini; 973 maschi e 37 femmine. Gli altri 405 feriti hanno ricevuto cure presso Centri di assistenza sanitaria. I feriti ricoverati hanno riportato per la maggior parte ferite da arma da fuoco alla testa, al viso, ai genitali e alle gambe. Una volontà chiara, gia’ denunciata in passato, quella di uccidere o di rendere disabili bambini, uomini e donne. Da parte israeliana nessun ferito.

I manifestanti sono stati aggrediti dall’esercito israeliano con un uso massiccio di armi di “controllo della folla” quali i gas lacrimogeni; sono piovuti sulla gente da un’altezza tra i 10/20 metri sganciati da mini-droni in un numero di almeno 8 lacrimogeni per volta. Munizioni vere e proiettili di gomma, colpi d’artiglieria. Le ambulanza del Ministero della Salute di Gaza, della Mezza Luna Rossa Palestinese, del Palestinian Medical Relief hanno soccorso senza tregua i feriti trasportandone anche due nella stessa ambulanza.

Una prima e veloce valutazione sulle ferite riportate poi i più gravi venivano riferiti allo Shifa Hospital, gli altri per la maggior parte colpiti dagli effetti dei gas lacrimogeni assistiti presso i centri di primo intervento allestiti in prossimità delle tendopoli. Non e’ dato conoscere con esattezza quali prodotti chimici vengano utilizzati con i gas lacrimogeni, ma hanno preoccupato i medici le reazioni accusate dai colpiti che riferivano vomito, rash cutaneo, dolori alla muscolatura, bruciore agli occhi e difficoltà respiratorie ed in molti casi la somministrazione di ossigeno non e’ stata sufficiente e si e’ reso necessario intervenire con farmaci broncodilatatori. Come noto l’utilizzo di armi indiscriminate e’ in violazione delle Convenzioni di Ginevra e dell’Aja che ne impediscono l’uso, in particolare contro i civili.
I medici dei dodici ospedali pubblici della striscia di Gaza hanno affrontato, non con poche difficoltà, le diverse situazioni di emergenza anche per la mancanza di farmaci e materiale sanitario per interventi chirurgici, a causa dell’assedio.

Disperdere la folla di donne, uomini e bambini con l’uso delle armi non e’ difficile, ma per togliere ai palestinesi la volontà di lottare per la loro terra e per il diritto al ritorno, ci vuole ben altro che l’uso delle armi. Oggi come ieri, dal 1948 al 2018, passando per i massacri della popolazione di Gaza sotto assedio del 2006, 2008, 2012, 2014, siamo ancora, in lutto. Non sembrerebbe interessata la politica internazionale alla questione palestinese, basta leggere la reazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che dopo i fatti del 30 marzo si è riunito d’urgenza per discutere . Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha chiesto “un’indagine indipendente e trasparente”; il Consiglio ha espresso rammarico per la perdita di vite umane evidenziando la necessità di rivitalizzare gli sforzi di pace, auspicando “moderazione” da entrambe le parti, ma nessuna condanna nei confronti di Israele.

Le iniziative promosse dal Comitato per la Grande Marcia del Ritorno, diritto al ritorno sancito dalla risoluzione 194 dell’ONU, che nell’art.11 indica esplicitamente il ritorno dei palestinesi nelle case e città della Palestina, proseguiranno per sei settimane fino al 15 maggio giornata della Nakba, catastrofe. Tale giornata ricorda che nel 1948 750.000 palestinesi furono cacciati dalla loro terra e dalle loro case, all’epoca circa 1 milione e 900 mila abitavano la Palestina. Un’operazione di pulizia etnica che e’ costata la vita a 15.000 palestinesi, mentre 530 villaggi e città furono cancellati. Tale operazione coincise con la nascita di Israele, quale stato nazione ebraica, secondo le aspirazioni del movimento sionista, un processo di colonialismo d’insediamento tutt’ora in corso. Un “progetto di sostituzione e cancellazione progressiva mediante l’espulsione della popolazione nativa e politiche genocide, sostituita da una popolazione di coloni che gradualmente acquista una condizione demografica maggioritaria e si normalizza non più come settler, ma come indigeni”.1

Uno stato, quello di Israele, non per tutti i cittadini, nato sulle deportazione, lo sterminio di migliaia di palestinesi, l’esclusione degli arabi palestinesi nel corso degli anni e finalizzato a sostenere l’immigrazione “standardizzata” degli ebrei.
La ‘Grande Marcia del Ritorno’ iniziata nel giorno in cui i palestinesi celebrano la ‘Giornata della Terra’ ha anche quale obiettivo quello di denunciare l’assedio attuato da Israele sulla popolazione che vive nella striscia di Gaza, 2.000.000 di persone di cui il 56% sono bambini/e. Una lotta per riaffermare il diritto all’autodeterminazione che per i palestinesi implica il diritto inalienabile di tornare alle loro case e proprietà da cui sono stati cacciati con la forza nel 1948.

Daniela, mamma di Simone Camilli, il giornalista/fotoreporter morto a Gaza il 13 agosto 2014 a causa di una bomba inesplosa, a commento della violenza israeliana contro donne, uomini e bambini nel corso della manifestazione per la Giornata della Terra ha scritto: è la loro paura di fronte al coraggio e la speranza.

31 marzo 2018
Giuditta Brattini

*N.B.
Il testo della lettera è leggibile qui


  1. Studi prevalenti nei Paesi post coloniali (v. Lorenzo Veracini, The Other Shift: Settler Colonialism, Israel and the occupation, JPS 2013)  

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