Mujica – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 14 Sep 2025 22:01:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Diffondete per le strade il piacere della conoscenza! Un discorso di “Pepe” Mujica https://www.carmillaonline.com/2015/05/20/diffondete-per-le-strade-il-piacere-della-conoscenza-un-discorso-di-pepe-mujica/ Tue, 19 May 2015 22:00:32 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=22724 di José “Pepe” Mujica*

Mujica felicita al potereUn discorso dell’ex presidente dell’Uruguay José “Pepe” Mujica, estratto dal libro: La felicità al potere (A cura di Cristina Guarnieri e Massimo Sgroi. Traduzione di Cristina Guarnieri, Silvia Guarnieri e Filippo Puzio), Edizioni EIR, 2015, pp. 304, € 8.

Cari amici, la vita con me è stata straordinariamente generosa. Mi ha regalato infinite soddisfazioni, ben al di là di quanto avrei mai osato sognare, ma sono quasi tutte immeritate. Nessuna lo è più di quella di oggi: trovarmi qui, [...]]]> di José “Pepe” Mujica*

Mujica felicita al potereUn discorso dell’ex presidente dell’Uruguay José “Pepe” Mujica, estratto dal libro: La felicità al potere (A cura di Cristina Guarnieri e Massimo Sgroi. Traduzione di Cristina Guarnieri, Silvia Guarnieri e Filippo Puzio), Edizioni EIR, 2015, pp. 304, € 8.

Cari amici, la vita con me è stata straordinariamente generosa. Mi ha regalato infinite soddisfazioni, ben al di là di quanto avrei mai osato sognare, ma sono quasi tutte immeritate. Nessuna lo è più di quella di oggi: trovarmi qui, nel cuore della democrazia uruguayana, circondato da centinaia di teste pensanti. Teste pensanti, a destra e a sinistra, teste pensanti da tenere in altoRicordate Paperone, lo zio milionario di Paperino? Nuotava in una piscina piena di monete, aveva sviluppato una passione fisica per il denaro. Io, invece, penso di essere uno a cui piace fare il bagno in piscine colme di intelligenza, di culture lontane, di sapienze diverse. E tanto meglio quanto più mi sono estranee; meno coincidono con quel poco che so, più sono contento.

Il settimanale «Búsqueda» usa una bella frase come frontespizio: «Quel che dico non lo dico come uomo sapiente, ma cercando insieme a voi». Per una volta siamo d’accordo: quel che dico, non lo dico come contadino saputello, né come colto cantastorie; lo dico ricercando insieme a voi. Lo dico mentre cerco, perché solo gli ignoranti credono che la verità sia definitiva e irremovibile, quando invece è a malapena provvisoria, fuggevole. Bisogna inseguirla mentre scappa da un nascondiglio all’altro, ed è un uomo misero chi si impegna da solo in questa partita di caccia. Bisogna farlo insieme, io con voi, con coloro che hanno fatto del lavoro intellettuale la ragione della propria vita, con quelli che sono qui e con i tanti altri che non ci sono.

Migliorare il Paese

Se vi guardate attorno sono certo che riconoscerete alcuni volti; sono qui presenti, infatti, persone che si muovono in contesti di lavoro affini ai vostri. Tuttavia scorgerete anche molti altri volti sconosciuti, perché il criterio delle convocazioni per questa giornata è stato l’eterogeneità. C’è chi lavora con atomi e molecole e chi si dedica alle regole della produzione e dello scambio economico; ci sono persone che si occupano delle scienze pure e chi, quasi agli antipodi, studia le scienze sociali; uomini e donne che si occupano di biologia, altre di teatro, di musica, di educazione, di diritto o del carnevale. E, per non farci mancare nulla, ci sono anche persone che si dedicano all’economia: macroeconomia, microeconomia, economia comparata e persino qualcuno che lavora nel campo dell’economia domestica.

Tutte queste teste pensanti si cimentano in diversi settori e possono contribuire a migliorare il nostro Paese proprio a partire dalle loro distinte discipline. Sono molte le cose che possiamo intendere con l’espressione “migliorare il Paese”, ma il senso che vogliamo darle in questa giornata consiste nell’offrire un impulso a quegli articolati processi complessi che possono moltiplicare per mille la ricchezza intellettuale oggi qui riunita. “Migliorare il Paese” significa che tra vent’anni, per un avvenimento come questo, non basterà lo Stadio del Centenario, perché l’Uruguay traboccherà di ogni sorta di ingegneri, filosofi e artisti. Non vogliamo un Paese che batta i record mondiali per il puro piacere di farlo. È dimostrato, però, che quando l’intelligenza raggiunge un certo grado di concentrazione nella società diviene contagiosa.

L’intelligenza distribuita

Se un giorno riempiremo gli stadi di persone colte e ben istruite, sarà perché fuori, nella società, ci saranno centinaia di migliaia di uruguayani che coltivano la loro capacità di pensiero. L’intelligenza che si addice a un Paese è l’intelligenza distribuita: essa non si conserva solo nei laboratori o nelle università, ma cammina per le strade, si usa per seminare, per tornire, per manovrare una gru o programmare un computer. Anche per cucinare o per accogliere un turista è necessaria la medesima intelligenza: qualcuno salirà più scalini di altri, ma la scala è la stessa. I primi passi sono identici per la fisica nucleare e per il lavoro agricolo: quel che è necessario, in tutte queste cose, è lo stesso sguardo curioso, assetato di conoscenza e molto anticonformista.

Se alla fine del cammino si giunge al sapere, è perché l’ignoranza ci ha fatto sentire inadeguati. Se impariamo, è grazie a un prurito che si acquisisce per contagio culturale fin dal momento in cui apriamo gli occhi sul mondo. Sogno un Paese in cui i genitori mostrino ai bambini un prato erboso e dicano loro: «Sai cos’è questo? È una pianta che trasforma l’energia del sole e i sali minerali della terra». O che indichino il cielo stellato e li facciano innamorare di quello spettacolo per indurli a riflettere sui corpi celesti, sulla velocità della luce e sulla trasmissione delle onde. Non preoccupatevi, quei piccoli uruguayani continueranno a giocare a pallone ma, quando vedranno saltare la palla, potranno pensare anche all’elasticità dei materiali che la fa rimbalzare.

Capacità di interrogarsi

Un proverbio del passato recitava così: «Non dare un pesce a un bambino, insegnagli piuttosto a pescare». Oggi dovremmo dire: «Non dare un dato a un bambino, insegnagli piuttosto a pensare». Il serbatoio di conoscenza che oggi è disponibile non si lascia contenere nelle nostre menti: resta fuori, accessibile in qualsiasi momento grazie a una ricerca su internet. Lì ci sono tutte le informazioni, tutti i dati, tutto quello che già si sa; lì, in altre parole, si trovano le risposte.

Quel che non si trova, però, sono le domande: il problema è avere la capacità di interrogarsi, saper formulare domande feconde che suscitino nuovi sforzi di ricerca e di apprendimento. E questa capacità si situa lì, in fondo, quasi incisa nell’osso del nostro cranio, tanto intima da non averne quasi coscienza. Impariamo semplicemente a osservare il mondo con sguardo interrogativo, e questo diventa il nostro modo naturale di guardarlo. Basta poco per fare nostra questa attitudine che ci accompagnerà per tutta la vita.

Soprattutto, cari amici, tutto questo è contagioso. In ogni epoca ci sono stati uomini che si sono dedicati all’attività intellettuale, incaricati di spargere il seme. Per dirla in altre parole, a noi molto care: a voi è affidato il compito di lanciare il mirabile allarme [1]. Per favore, andate per le strade e contagiate. Non risparmiate nessuno, abbiamo bisogno che la cultura si propaghi nell’aria, tra le case, che si intrufoli nelle cucine e arrivi perfino nelle stanze da bagno. Quando si riesce a far questo, la partita è vinta quasi per sempre, perché si spezza l’ignoranza essenziale che rende deboli molte persone, una generazione dopo l’altra.

La conoscenza è piacere

Abbiamo bisogno che l’intelligenza sia massificata. È quasi una questione di sopravvivenza: soprattutto dobbiamo cercare di diventarne noi stessi produttori più potenti. Tuttavia, in questa vita, non bisogna solo rivolgersi al produrre: bisogna anche godere. Sapete meglio di chiunque altro che nella conoscenza e nella cultura non esiste solo lo sforzo, ma anche il piacere. Dicono che ai corridori accada, a un certo punto, di entrare in una specie di estasi in cui d’un tratto non esiste più la stanchezza, resta solo il piacere. Credo che con la conoscenza e con la cultura succeda la stessa cosa. Si arriva a un punto in cui studiare, ricercare o imparare non costituiscono più uno sforzo, ma un puro godimento. Come sarebbe bello se questi manicaretti fossero a disposizione di tante persone!

Come sarebbe bello se nel paniere della qualità della vita che l’Uruguay può offrire alla sua gente ci fosse una buona quantità di consumi intellettuali! E non perché questo sia elegante, ma perché è piacevole, perché si può godere della cultura con la stessa intensità con cui si riesce ad assaporare un piatto di tagliatelle. Non esiste una lista obbligata di ciò che ci rende felici. Qualcuno potrebbe pensare che un mondo ideale sarebbe un luogo pieno di centri commerciali, e in quel mondo le persone sarebbero felici perché potrebbero caricarsi di borse ricolme di vestiti nuovi e di scatole piene di elettrodomestici.

Io non ho nulla contro questa visione, dico solo che non è l’unica possibile. Dico che possiamo pensare a un Paese in cui le persone scelgano di riparare le cose invece di buttarle via, o magari preferiscano una macchina piccola a una grande, o scelgano di coprirsi anziché aumentare il riscaldamento. Le società più mature non sperperano. Andate in Olanda e vedrete le città piene di biciclette; vi renderete conto che il consumismo non è la scelta della vera aristocrazia dell’umanità, è la scelta degli incostanti e dei frivoli. Gli olandesi si spostano in bicicletta, la usano per andare a lavoro, ma anche per recarsi ai concerti o nei parchi, dal momento che sono giunti a un livello in cui la loro felicità quotidiana si alimenta di consumi sia materiali sia intellettuali. Quindi, amici, andate e contagiate il piacere per la conoscenza. Intanto, il mio modesto contributo sarà quello di far sì che gli uruguayani vadano in giro in bicicletta, una pedalata dietro l’altra.

Anticonformismo

Prima vi chiedevo di contagiare lo sguardo curioso per il mondo, che sta nel dna del lavoro intellettuale. Ora amplio la richiesta: vi prego di diffondere l’anticonformismo. Sono convinto che questo Paese abbia bisogno di una nuova epidemia di anticonformismo, simile a quella che gli intellettuali generarono decine di anni fa. In Uruguay, noi che ci riconosciamo nella sinistra siamo figli o nipoti dello storico settimanale «Marcha» del grande Carlos Quijano [2]. Quella generazione di intellettuali aveva imposto a sé stessa il compito di essere la coscienza critica della nazione. Se ne andavano in giro con gli spilli in mano per far esplodere palloni e sgonfiare miti, soprattutto quello dell’Uruguay multicampione: campione della cultura, dell’educazione, dello sviluppo sociale e della democrazia. Saremmo diventati, invece, campioni del nulla! In quel periodo – negli anni Cinquanta e Sessanta – siamo riusciti a conseguire un unico record, quello di essere il Paese latino-americano che è cresciuto meno nel corso di venti anni: peggio di noi ha fatto solo Haiti.

Quegli intellettuali aiutarono a demolire l’Uruguay della siesta conformista. Nonostante tutti i difetti, preferiamo quell’epoca in cui eravamo più umili e con i piedi per terra, consapevoli della reale statura che abbiamo nel mondo. Ora dobbiamo recuperare quell’anticonformismo e cercare di renderlo qualcosa di presente, sottopelle, in tutto l’Uruguay. Se prima vi dicevo che l’intelligenza che serve a un Paese è l’intelligenza distribuita, adesso dico che l’anticonformismo utile a un Paese è l’anticonformismo distribuito. Quello che ha invaso la vita di tutti i giorni e che ci spinge a chiederci se non si potrebbe fare meglio quello che stiamo facendo.

L’anticonformismo sta nella natura stessa del vostro lavoro. Occorre che diventi per noi tutti una seconda pelle, una seconda natura. La cultura dell’anticonformismo non ci farà fermare sino a che non avremo ottenuto più chili di grano per ettaro e più litri di latte per mucca. Oggi si può fare tutto, assolutamente tutto, un po’ meglio di ieri, dal rifare il letto di un hotel al creare la matrice di un circuito integrato, ma abbiamo bisogno di un’epidemia di anticonformismo. Anche questo è cultura, anche questo si irradia dal centro intellettuale della società fino alla sua periferia.

È l’anticonformismo ad aver guadagnato il rispetto a piccole società e al loro operato. Buon esempio sono gli svizzeri: quattro gatti matti come noi che si permettono il lusso di andare per il mondo a vendere la qualità e la precisione. Quel che vendono, in realtà, sono l’intelligenza e l’anticonformismo che hanno sparpagliato in tutta la società.

Il cammino è l’educazione

Amici, il ponte tra questo oggi e il domani che vogliamo ha un nome e si chiama “educazione”. Badate bene: è un ponte lungo e difficile da attraversare, perché un conto è la retorica dell’educazione, un altro è decidersi a fare sacrifici, impegnarsi in un grande sforzo educativo e sostenerlo nel tempo. I cambiamenti nell’educazione producono un rendimento lento, nessun governo può goderne i frutti; essi mobilitano resistenze e obbligano a posporre altre richieste. Però bisogna farlo: lo dobbiamo ai nostri figli e ai nostri nipoti. Va fatto adesso, quando è ancora fresco il miracolo tecnologico di internet e si aprono opportunità mai viste per accedere alla conoscenza.

Io sono cresciuto con la radio, ho visto nascere la televisione, poi la televisione a colori e poi ancora le trasmissioni satellitari. All’improvviso, sul mio televisore sono apparsi quaranta canali, compresi quelli che trasmettevano in diretta dagli Stati Uniti, dalla Spagna e dall’Italia. Poi i cellulari, e ancora i computer, che inizialmente servivano solo per fare calcoli. Davanti a ciascuna di queste cose sono rimasto a bocca aperta, ma adesso, con internet, abbiamo esaurito la capacità di sorprenderci. Mi sento come quegli esseri umani che videro la ruota per la prima volta, o come quelli che videro il fuoco. Avvertiamo che ci è toccato in sorte di vivere un evento storico importante.

Si stanno aprendo le porte di tutte le biblioteche e di tutti i musei; sarà a disposizione ogni rivista scientifica e ogni libro del mondo, probabilmente qualsiasi film e qualsiasi musica. È imbarazzante. Per questo abbiamo bisogno che tutti gli uruguayani, soprattutto i più giovani, sappiano muoversi in questo torrente. Bisogna risalire la corrente nuotando come pesci nell’acqua. Ci riusciremo solo se la matrice intellettuale di cui parlavamo prima sarà solida, se i nostri piccoli sapranno ragionare in modo ordinato e se sapranno porsi le domande che vale la pena porsi.

È come se vi fossero due vie: lassù l’oceano di informazioni, mentre quaggiù ci prepariamo per la navigazione transatlantica. Scuole a tempo pieno, facoltà all’interno del Paese, istruzione di terzo grado massificata. E, probabilmente, l’inglese fin dall’età prescolare nelle scuole pubbliche, perché l’inglese non è la lingua che parlano gli yankees, è quella con cui i cinesi comunicano con il resto del mondo.

Non possiamo rimanere fuori, non possiamo lasciar fuori i nostri piccoli. Sono questi gli strumenti che ci permettono di interagire con l’esplosione universale della conoscenza: il mondo nuovo non ci semplifica la vita, ce la complica; ci obbliga ad andare più lontano e più in profondità nell’educazione, e non abbiamo compito più grande davanti a noi.

L’idealismo al servizio dello Stato

Cari amici, siamo in campagna elettorale, questa maledetta e benedetta campagna elettorale. Maledetta, perché ci obbliga a litigare e a gareggiare tra di noi. Benedetta, perché ci permette di sperimentare la convivenza civile. E ancora benedetta, perché nonostante le sue imperfezioni ci rende padroni del nostro destino.

In Uruguay abbiamo imparato a preferire la peggiore democrazia alla migliore dittatura. In campagna elettorale ci organizziamo in gruppi, fazioni e partiti, ci circondiamo di tecnici e professionisti e sfiliamo davanti al popolo sovrano, partecipando alle elezioni. Ci sono adrenalina ed entusiasmo, c’è chi vince e c’è chi perde, ma questo non dovrebbe essere un dramma. Con gli uni come con gli altri, la democrazia uruguayana seguirà il suo cammino e andrà trovando le formule giuste per il benessere. Qualsiasi sia il posto che ci spetterà, lì cercheremo di dare una mano, e sono sicuro che anche voi vorrete farlo. La società, lo Stato e il governo hanno bisogno dei vostri diversi talenti e, ancor più, della vostra attitudine idealista. Noi ci avviciniamo alla politica per servire, non per servirci dello Stato. La buona fede è la nostra unica intransigenza, quasi tutto il resto è negoziabile.

 

* Incontro con gli intellettuali nel Salone De los pasos perdidos del palazzo del Governo dell’Uruguay, tenutosi il 29 aprile 2009, in vista delle elezioni presidenziali dell’ottobre dello stesso anno. La traduzione è a cura di Filippo Puzio, Silvia Guarnieri e Cristina Guarnieri. Le note sono a cura di Riccardo Ferrigato.

[1] La cosiddetta admirable alarma fu l’appello che diede inizio alla guerra di indipendenza contro gli spagnoli, nel 1811.

[2] Carlos Quijano (1900-1984) è stato un politico e un giornalista, fondatore del settimanale «Marcha», pubblicato dal 1934 al 1974. Di sinistra, indipendente, fu un periodico molto influente in Uruguay e nell’intero Sud America. Nel 1973 denunciò il colpo di Stato di Juan María Bordaberry: fu chiuso dalla dittatura uruguayana l’anno seguente, mentre il suo fondatore fu costretto all’esilio in Messico.

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L’anno di Mújica e dell’Uruguay https://www.carmillaonline.com/2014/01/01/lanno-di-mujica-e-delluruguay/ Tue, 31 Dec 2013 23:00:48 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=11787 di Fabrizio Lorusso

mujica rojo

Il presidente dell’Uruguay, l’ex guerrigliero José “Pepe” Mújica, vive in una fattoria alla periferia della capitale Montevideo con sua moglie, la senatrice Lucía Topolansky, guida un vecchio maggiolino e si dichiara vegetariano sfegatato. Salvo un paio di poliziotti di guardia all’entrata, cosa peraltro molto comune quasi ovunque nelle città latinoamericane, non si serve di particolari protezioni o scorte e conduce una vita umile e dignitosa, senza eccessi né lussi. Mújica dà in beneficienza il 90% del suo stipendio di 12mila dollari al [...]]]> di Fabrizio Lorusso

mujica rojo

Il presidente dell’Uruguay, l’ex guerrigliero José “Pepe” Mújica, vive in una fattoria alla periferia della capitale Montevideo con sua moglie, la senatrice Lucía Topolansky, guida un vecchio maggiolino e si dichiara vegetariano sfegatato. Salvo un paio di poliziotti di guardia all’entrata, cosa peraltro molto comune quasi ovunque nelle città latinoamericane, non si serve di particolari protezioni o scorte e conduce una vita umile e dignitosa, senza eccessi né lussi. Mújica dà in beneficienza il 90% del suo stipendio di 12mila dollari al mese, un gesto piccolo rispetto ai costi generali della politica o al bilancio statale, ma di certo molto significativo e simbolico, soprattutto in una regione come il Sud America  che è al primo posto per le disuguaglianze nella distribuzione del reddito, cioè per la breccia tra ricchi e poveri. Per lui questo è un modo di “restare libero” e non un escamotage per creare un “personaggio” e ottenere riconoscimenti. Infatti, Mújica non ama essere chiamato “il presidente più povero del mondo”, un titolo affibbiatogli dalla stampa internazionale negli ultimi anni.

“Non sono povero, ma poveri sono quelli che hanno bisogno di molto per vivere, quelli sono i veri poveri”, replica il presidente parafrasando Seneca. Molti reportage e interviste tendono a esaltare il suo stile austero e sobrio, la sua vena contadina e la sua vita da persona “normale”, in controtendenza con una politica insultante e sempre più distante dalla gente in tutto il mondo. Tutto vero, ma si parla poco della sua storia politica e combattente, delle prigionie e delle sofferenze e dei successi ottenuti dopo la fine della dittatura che durò dal 1971 al 1984. Quegli anni Pepe li passò prevalentemente in carcere. Fu arrestato quattro volte in quanto membro del Movimiento de Liberación Nacional-Tupamaros e l’ultima prigionia durò 13 anni, per cui fu liberato solo nel 1985 e si reintegrò alla vita politica dopo l’approvazione delle leggi di amnistia e il ritorno a un regime democratico.

Nel 1989 i Tupamaros entrarono a far parte della coalizione di partiti del Frente Amplio, al governo dal 2004, e si trasformarono nella sua anima maggioritaria e progressista con la fondazione dell’MPP, il Movimiento de Participación Popular. Pepe fu eletto deputato nel 1994 e poi senatore cinque anni dopo. Durante la presidenza del medico Tabaré Vázquez (2004-2009) Mújica diventa ministro dell’agricoltura, l’allevamento e la pesca ed entra quindi nel primo governo del Frente Amplio. Questa forza politica è nata nel 1971, ma è stata proscritta e i suoi esponenti perseguitati durante la dittatura. Ad oggi ne fanno parte numerosi partiti, ben sedici liste, in rappresentanza delle principali anime della sinistra ma anche di alcune forze d’ispirazione democristiana e di tradizione liberale.

Coerentemente col suo passato e il suo presente Mújica ha formulato discorsi energici e decisi nei summit internazionali contro il consumismo e il modello di sviluppo capitalista, con le sue espressioni ed eccessi degenerati e aberranti, e a favore dell’integrazione latino-americana e di una rivoluzione culturale ed educativa profonda: “Il mondo è prigioniero oggi della cultura della società dei consumi e ciò che sta consumando è la vita umana, in quantità tremende” per cui la gente ormai “non compra con i soldi, ma con il tempo che ha dovuto spendere per avere quei soldi. Non si può sprecare, quel tempo, va lasciato del tempo alla vita”. Di seguito incorporo un video, sottotitolato all’italiano da Clara Ferri, col discorso tenuto dal presidente uruguaiano alla conferenza della CELAC (Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi) del 26-27 gennaio 2013.

Il 22 marzo 2012 il presidente ha letto un discorso in cui lo stato uruguaiano riconosceva pubblicamente la sua responsabilità nelle violazioni ai diritti umani durante la dittatura. In più occasioni Mújica, insieme a una parte della sua coalizione, ha promosso attivamente sia la revisione che la cancellazione della Ley de Caducidad, la legge che nel 1986 concesse l’amnistia ai repressori del regime dittatoriale, ma le misure adottate dal parlamento hanno subito in varie occasioni la bocciatura da parte della Corte Suprema (Costituzionale) che ne ha annullato gli effetti. Quindi la questione resta ancora in sospeso e, nonostante l’appoggio di Onu e Corte Interamericana dei Diritti Umani, sembra difficile che Mújica e la sua maggioranza, divisa su questo punto, riescano a trovare una soluzione e far riaprire i processi proprio a pochi mesi dalle prossime elezioni presidenziali.

Andando oltre i discorsi e le dichiarazioni, la novità rappresentata dall’esperienza dei governi del Frente Amplio e specialmente di José Mújica risiede nei fatti concreti, nella politica sociale ed economica, rivolte verso i più poveri, e nelle misure coraggiose approvate negli ultimi anni che stanno cambiando il volto del paese sudamericano e ravvivando le speranze dell’ondata progressista in America Latina.

Sicuramente i provvedimenti più trascendenti, che sono stati anche al centro delle cronache e delle inevitabili polemiche internazionali, sono quelli dell’anno che s’è appena concluso e che riguardano i matrimoni tra persone dello stesso sesso e la legalizzazione della marijuana.

Nello scorso mese di dicembre è stata promulgata la legge che legalizza e regola la produzione, il consumo e la vendita di marijuana nel paese, primo e unico caso in America Latina. Il consumo era già permesso, anche in luogo pubblico, ma restavano dei vuoti per le altre attività che da quest’anno saranno sotto il controllo statale. L’Uruguay è il primo paese al mondo a mettere sotto il controllo dello stato tutti gli aspetti legati alla vendita e produzione di cannabis e dei suoi derivati attraverso la creazione di un Istituto per la Regolazione e il Controllo della Cannabis dipendente dal Ministero della Salute. Potranno comprarla in farmacie autorizzate gli uruguaiani e gli stranieri residenti maggiori di 18 anni, ma potranno anche coltivarla privatamente (al massimo sei piante e 480 grammi di raccolto all’anno) o in club speciali riservati agli iscritti con un minimo di 15 soci e un massimo di 45.

Si potranno portare con sé o acquistare al massimo 40 grammi al mese. Il prezzo non è ancora stato definito, ma si pensa per esempio a una media di un dollaro al grammo per poter competere con l’attuale mercato illegale. Le persone che la coltivano in casa e i grossi produttori legali del mercato nazionale dovranno ricevere una licenza statale ed essere registrati. Chiaramente i coltivatori uruguaiani potranno esportare semi e piante nei paesi in cui l’uso medicinale o ricreativo della marijuana è permesso, per esempio negli stati nordamericani di Washington e del Colorado dove dal 1 gennaio è permesso il consumo.

Mujica bochoIl governo farà dei piani di prevenzione e sensibilizzazione ed è stata vietata la pubblicità della marijuana, come succede già con il tabacco in numerosi paesi. Sebbene l’Uruguay non sia uno dei paesi più colpiti dalla violenza della “guerra alla droga”, promossa ipocritamente di paesi proibizionisti come gli Usa e adottata massicciamente come politica di sicurezza nazionale, per esempio, dal Messico e dalla Colombia, la presenza del narcotraffico costituisce un problema grave, considerando anche che i paesi del Corno Sud sono tra i principali punti di transito e d’imbarco della coca diretta in Europa via Africa e Suez.

Una soluzione pragmatica e alternativa, seppur sperimentale, come ha ribadito lo stesso Mújica, rispetto alle fallimentari ingerenze statunitensi nella regione e alle politiche nazionali repressive e militari, corresponsabili di centinaia di migliaia di morti in America Latina, viene quindi da un piccolo paese che ha saputo sfidare l’opposizione interna delle destre e quella della comunità internazionale, in particolare dell’Onu e del suo Ufficio su droga e crimine, l’Unodc, secondo cui si starebbe violando la Convenzione sugli Stupefacenti del 1961.

E anche gli Usa hanno intimato il rispetto della Convenzione e degli impegni internazionali mentre al loro interno i cittadini di due stati hanno scelto di legalizzare l’uso ricreativo della marijuana, sancendo una svolta storica a livello culturale e di politiche pubbliche. Ma l’Uruguay va avanti e se l’esperimento avrà successo (o comunque sia, in realtà), avrà molto da insegnare al continente e al mondo e propizierà il ripensamento dei dogmi sul traffico e il consumo di stupefacenti che risalgono alla metà del secolo scorso e che hanno permesso soprattutto agli Stati Uniti, mossi dalla politica della guerra alla droga, di giustificare il loro enorme potere d’ingerenza negli affari continentali.

Sempre nel 2013 è stata promulgata anche la Legge del Matrimonio Egualitario per cui le coppie di persone dello stesso sesso potranno sposarsi ed è prevista “l’unione di due contraenti, qualunque sia la loro identità di genere o orientamento sessuale, negli stessi termini, con gli stessi effetti e forme di scioglimento che stabilisce il Codice Civile”, recita il testo della norma. S’è anche deciso che il cognome dei figli delle coppie omosessuali sarà stabilito da un accordo tra i due coniugi o da un sorteggio in mancanza di un accordo. Inoltre è stato fissato il diritto dei figli a riconoscere il loro padre biologico nel caso in cui la madre, sposata con un’altra donna, lo abbia concepito con un uomo e non in vitro.

L’Uruguay nel 2012 è diventato il primo paese sudamericano a permettere una depenalizzazione ampia dell’aborto, ora permesso nelle prime 12 settimane di gestazione dalla nuova Legge sul’Interruzione Volontaria della Gravidanza. In America Latina esistono norme simili solamente a Cuba, a Città del Messico, nella Guyana e a Porto Rico. Mújica spiegò in quell’occasione che depenalizzare “sembra molto più intelligente che proibire”, infatti, se “lasciamo sole le donne, se non ce ne curiamo e non diamo loro sostegno, la cosa va male”.

Vista la spiccata vocazione rurale, forestale e turistica dell’Uruguay, con l’84,6% del territorio dedicato all’agricoltura (primo posto al mondo) e la storica importanza dell’allevamento, anche in seguito all’incremento esponenziale negli ultimi anni del valore della terra, la stessa è considerata come un elemento strategico fondamentale per cui il governo Mújica ha proposto una legge che limita l’acquisto di terre da parte di imprese o gruppi in cui vi sia la partecipazione di un paese straniero come socio investitore. L’obiettivo è salvaguardare la sovranità alimentare e delle risorse naturali del paese, in controtendenza con quanto accade in altre realtà come l’Italia e il Messico, dove la svendita di spiagge e terreni o del patrimonio artistico e immobiliare si è trasformata in una soluzione facile per i problemi di bilancio o per ottenere l’approvazione di agenzie di rating, troike e business community internazionale. Il problema è che i conti si risanano per un anno o due, gli interessi sul debito si ripagano per un po’, però il patrimonio che viene alienato, invece di essere reso produttivo e valorizzato, è perso per sempre.

Nel 2012 è stata approvata la legge sulla donazione degli organi, pensata per ridurre in breve tempo la lunga lista d’attesa di pazienti in attesa di trapianti, stabilisce che ciascuno dei tre milioni e 400mila uruguaiani diventa un potenziale donatore di organi dopo il decesso, a meno che esplicitamente non decida il contrario e, nel caso dei minorenni, ci vuole il consenso del rappresentante legale.

Alle elezioni presidenziali e parlamentarie dell’ottobre di quest’anno il candidato del Frente Amplio sarà l’ex presidente Tabaré Vázquez che, dopo un quinquennio di pausa, ha annunciato recentemente la sua ridiscesa in campo. Più moderato rispetto a Mújica, che non può candidarsi a un secondo mandato per proibizione espressa della costituzione, e legato all’FMI, in quanto parte del Gruppo di Consulenti Regionale del Fondo per l’emisfero occidentale, il sessantanovenne Vazquez e il Frente sono in testa nei sondaggi. Nel 2008 Vázquez aveva mostrato il suo lato conservatore bloccando la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, anche se dal punto di vista economico nel 2007 aveva implementato una riforma fiscale progressiva che ha prodotto una diminuzione della povertà e delle disuguaglianze.

Inoltre, nonostante le misure “eterodosse” rispetto al dogma neoliberista, i governi del Frente hanno ottenuto buoni risultati economici con il PIL in crescita del 126% dal 2000 al 2011 (anche se una parte di questa crescita ricade negli anni del governo precedente) e del 5,7% e 3,8% nel 2011 e 2012. La riduzione della povertà è stata impressionante, dal 40% della popolazione nel 2005 al 12,5% nel 2012. La povertà estrema o indigenza è stata quasi azzerata. Statistiche a parte, non sembra comunque che ci siano intenzioni da parte del Frente e del suo candidato di fare marcia indietro sulle conquiste sociali dell’amministrazione Mújica, ma il loro destino evidentemente dipenderà anche dalla difesa che ne faranno la società e i movimenti oltre che dai risultati elettorali.

Emir Kusturica si appresta a girare un documentario sulla vita di Pepe Mújica. Mentre aspettiamo l’uscita del film, resta meno di un anno di governo al presidente guerrigliero per consolidare l’opera riformatrice che ha messo l’Uruguay al centro del mondo e ne ha fatto uno dei punti di riferimento in America Latina. Con l’augurio che anche i prossimi continuino ad essere gli anni di Mújica e dell’Uruguay.

LINK

Intervista a Monica Xavier, presidentessa del Frente Amplio  QUI

Video sottotitolati all’italiano:

Discorso di Mújica al vertice Rio+20

Essere di sinistra secondo Mújica

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