Mosul – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 17 Aug 2025 20:00:38 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Bambini https://www.carmillaonline.com/2017/04/25/bambini/ Tue, 25 Apr 2017 00:48:58 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=37895 di Alexik

missili-siria“Nessun bambino dovrebbe soffrire come hanno sofferto quelli siriani !”

Con queste parole Donald Trump ha esternato, il 5 aprile scorso, la sua incontenibile indignazione davanti alle immagini dei bambini di Idlib. Esternazione seguita dal rituale lancio di missili contro il mostruoso assassino, e dalla corale piaggeria degli alleati europei, estasiati dal tuonar delle cannoniere. Dalla Merkel alla May, da Hollande all’ex pacifista Gentiloni, tutti si sono affannati a dimostrare a Trump il proprio incondizionato consenso, pronti a spergiurare che dietro tanto amore per l’infanzia non si [...]]]> di Alexik

missili-siriaNessun bambino dovrebbe soffrire come hanno sofferto quelli siriani !

Con queste parole Donald Trump ha esternato, il 5 aprile scorso, la sua incontenibile indignazione davanti alle immagini dei bambini di Idlib. Esternazione seguita dal rituale lancio di missili contro il mostruoso assassino, e dalla corale piaggeria degli alleati europei, estasiati dal tuonar delle cannoniere.
Dalla Merkel alla May, da Hollande all’ex pacifista Gentiloni, tutti si sono affannati a dimostrare a Trump il proprio incondizionato consenso, pronti a spergiurare che dietro tanto amore per l’infanzia non si celi alcun secondo fine e che, questa volta, la faccenda del sarin di Assad non sia un’altra montatura.

Del resto non si può certo affermare che gli USA e i loro alleati non facciano di tutto per evitare ai bambini inutili sofferenze.
Al contrario delle armi chimiche, infatti, le bombe convenzionali lanciate sul Siraq dalla Coalizione a guida americana (CJTF-OIR) sortiscono spesso l’effetto di ucciderli sul colpo, risparmiandogli l’orribile agonia.

Come nella cittadina irachena di Tal Afar (l’areoporto di Mosul), bombardata dalla Coalizione giusto il 4 aprile, il giorno prima che l’inquilino della Casa Bianca si accorasse per le stragi degli innocenti.
A Tal Afar fonti locali hanno denunciato la morte sotto le bombe di 20 civili, bambini compresi, mentre i portavoce della Coalizione recitavano la classica versione di circostanza: “Near Tal Afar, one strike engaged an ISIS tactical unit and destroyed an ISIS-held building”.1

Al Tafar1

4 aprile 2017: Tal Afar, dopo il bombardamento.(Fonte: Iraqi Spring Media Center)

Chi avesse sperato, a Mosul, che tanto interesse presidenziale per la salvaguardia degli infanti fosse il segnale di una svolta umanitaria nella politica statunitense, è certo andato incontro ad una cocente delusione: proprio il 5 aprile – più o meno in contemporanea alle dichiarazioni di Trump – nel quartiere Rifai, la famiglia del barbiere Nizar Mahdi veniva annientata da un bombardamento della Coalizione, con un bilancio di due genitori uccisi assieme ai due figli piccoli.

Stesso giorno e stessa sorte per 16 civili, tutti membri della stessa famiglia, ad Al Shafa, un altro quartiere di Mosul ovest, e per 40 civili del villaggio di Mayouf, a nordovest della città, che si erano riuniti nelle loro case in attesa di poter fuggire. Il 6 aprile è stato il turno di una madre e due bambini, uccisi in casa propria nel quartiere di Zanjili.2

Tutti avevano obbedito ai volantini, lanciati a migliaia dagli aerei, che invitavano gli abitanti di Mosul ovest e dintorni a rimanere chiusi in casa, allontanandosi unicamente dai centri di comando del Daesh. ‘Solo quelli‘ – si annunciava – ‘sarebbero stati bombardati3 Per questo intere famiglie sono morte tutte insieme nella distruzione delle loro case.

14 aprile 2017. Mosul, bombardamento del quartiere di Mahatta. (Foto: Jérémy André)

14 aprile 2017. Mosul, bombardamento del quartiere di Mahatta. (Foto: Jérémy André)

Nulla di nuovo per Mosul. Da quando è in atto l’offensiva della Coalizione per la riconquista della città occupata dal Daesh le vittime civili dei bombardamenti si contano a migliaia. L’emittente Al Araby, riportando i dati di un’anonima fonte dell’esercito iracheno,  ha stimato in 3.864 le vittime civili causate da metà febbraio a fine marzo nell’offensiva su Mosul (comprendendo, probabilmente, anche chi è rimasto ucciso nell’attacco via terra).

Innumerevoli le testimonianze:
“Erano circa le 2 del pomeriggio quando la casa venne bombardata e collassò su di noi… Vennero uccisi quasi tutti, 11 persone. Solo io sono sopravvissuta. Ci sono voluti sei giorni per trovare tutti i pezzi dei corpi, che abbiamo bruciato in una fossa comune nelle vicinanze. Non so perchè ci hanno bombardato. So soltanto che ho perso tutte le persone che amavo4

Il 6 gennaio scorso, un attacco aereo sul quartiere di Hay al-Mazaraa, a Mosul est, ha provocato 16 morti nella distruzione di edifici dove non era presente nessun militante del Daesh.
Fra le vittime i tre figli piccoli e la madre di Shaima’ Qadhem, una donna arrestata e uccisa l’anno prima dai miliziani di Al Baghdadi: “Questa famiglia è stata colpita da tutti. L’anno scorso il Daesh ha arrestato e giustiziato la madre dei bambini che oggi sono stati uccisi da un bombardamento della Coalizione. I civili sono intrappolati in questa guerra e nessuno li aiuta”, ha testimoniato un parente ad Amnesty International.

Sempre a Mosul, fra il 20 e il 21 febbraio, i bombardamenti a tappeto della zona ovest della città hanno ucciso un’ottantina di civili, fra cui 32 bambini.5 Dodici giorni dopo, l’airstrike sui quartieri di Mills e Fatah ha lasciato sul terreno una quarantina di morti e più di 70 feriti fra i civili.6
Anche questa volta i portavoce della Coalizione hanno descritto l’accaduto come segue: “Near Mosul, three strikes engaged an ISIS tactical unit and an ISIS staging area.”
Altri invece ne hanno mostrato le immagini:

4 marzo 2017. Bombardamenti su Mosul. (Foto: Iraqi Spring Media Center)

4 marzo 2017. Bombardamenti su Mosul. (Foto: Iraqi Spring Media Center)

Ma il contributo di sangue più alto è stato pagato dalla città sotto i bombardamenti del 17-22 marzo, che hanno colpito, fra gli altri  un palazzo dove avevano trovato rifugio centinaia di profughi nel quartiere di al Jadida. Alcuni giorni dopo l’emittente Al Araby stimava in 511 i corpi estratti dalle macerie, fra cui 185 sotto i 15 anni.7

We probably had a role in those casualties“, ha affermato per l’occasione il generale americano Stephen Townsend8, comandante della Combined Joint Task Force – Operation Inherent Resolve (CJTF-OIR).
Ci si poteva aspettare che Donald Trump, l’amico dei bambini, dopo 185 ragazzini uccisi lo cacciasse a calci nel culo, facendolo appendere al pennone più alto.
E invece sta  ancora lì, Stephen Townsend, al suo posto.

Forse perchè il problema sta a monte. Dal gennaio 2017, data dell’insediamento di Trump alla presidenza degli Stati Uniti, i cd ‘effetti collaterali’ dei bombardamenti della CJTF-OIR sono aumentati vertiginosamente, sia in Siria che in Iraq.
Nei primi 4 mesi del 2017 il numero delle vittime civili in Siria già supera quello raggiunto nell’intero anno 2016, mentre quello iracheno è più del doppio.

Gli attacchi aerei vengono diretti sempre più verso centri abitati piuttosto che su obiettivi militari.
Facile prevedere che altri corpi di bambini verranno occultati dalle macerie e dal buio dei nostri teleschermi. Altri invece verranno ostentati di nuovo, per giustificare nuove escalations militari.

Intanto, chi pensava che Donald Trump non sarebbe riuscito ad eguagliare l’attitudine guerrafondaia di Hillary Clinton dovrà purtroppo ricredersi.


  1. Reported civilian and ‘friendly fire’ deaths from Coalition airstrikes April 2017, Airwars.org. 

  2. Idem. 

  3. Iraq urges west Mosul residents to shelter at home, Al Araby, 6/04/17. 

  4. Testimonianza di Hind Amir Ahmad sul bombardamento di Mosul est del 13 December 2016, rilasciata ad Amnesty International

  5. Reported civilian and ‘friendly fire’ deaths from Coalition airstrikes January February 2017, Airwars.org. 

  6. Reported civilian and ‘friendly fire’ deaths from Coalition airstrikes March 2017, Airwars.org. 

  7. Vedi anche Al Jazeera e Iraq Provincial Council.  

  8. US Coalition admits possible role in Mosul civilian deaths, Al Araby, 28/03/17. 

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Agnelli sacrificali https://www.carmillaonline.com/2016/03/27/agnelli-sacrificali-2/ Sun, 27 Mar 2016 04:17:12 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=29446 di Alexik

Agnello sacrificaleGli attentati di Bruxelles hanno lasciato sul terreno i corpi di 31 persone inermi e più di 100 feriti negli ospedali. A reti unificate, in questi giorni, ne stiamo conoscendo i volti, le storie. Possiamo rimpiangerne i desideri spezzati, identificarci con loro.

Altri morti di questa sporca storia non hanno avuto tanti riflettori. Nella migliore delle ipotesi, hanno dovuto accontentarsi di essere rappresentati da un numero. Molto più spesso la loro fine è stata oscurata dal buio dei nostri teleschermi. Il cordoglio e lo sdegno sono ‘privilegi’ riservati solo ai nostri morti, e vanno sapientemente amplificati, [...]]]> di Alexik

Agnello sacrificaleGli attentati di Bruxelles hanno lasciato sul terreno i corpi di 31 persone inermi e più di 100 feriti negli ospedali. A reti unificate, in questi giorni, ne stiamo conoscendo i volti, le storie. Possiamo rimpiangerne i desideri spezzati, identificarci con loro.

Altri morti di questa sporca storia non hanno avuto tanti riflettori. Nella migliore delle ipotesi, hanno dovuto accontentarsi di essere rappresentati da un numero. Molto più spesso la loro fine è stata oscurata dal buio dei nostri teleschermi. Il cordoglio e lo sdegno sono ‘privilegi’ riservati solo ai nostri morti, e vanno sapientemente amplificati, per spingerci attorno a una bandiera e motivare nuove avventure militari.

Avventure come queste: “Near Mosul, six strikes struck two separate ISIL tactical units and destroyed an ISIL assembly area, an ISIL supply cache, and three ISIL vehicles and damaged an ISIL-used bridge section and suppressed an ISIL fighting position” (19 marzo 2016).

Dovrebbe rassicurarci questa nota del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, che sintetizza la cronaca di uno dei tanti attacchi aerei sull’Iraq. Rincuorarci sulla geometrica potenza, sulla precisione chirurgica della risposta occidentale al terrorismo. Se non fosse che a Mosul, occupata dal Daesh, ci abitano un milione e mezzo di persone, e che il bombardamento in questione ha ucciso, oltre a 40 combattenti jihadisti, decine di civili. Alcune fonti parlano di 25 civili morti, altre ne calcolano più di cento per l’attacco al campus universitario. I nostri media non si sono scomodati a contarli.

In teoria i bombardamenti sulle città sarebbero vietati dalla Convenzione di Ginevra (Protocollo aggiuntivo del ’77), ma già da lungo tempo gli U.S.A. ci hanno dimostrato che con i trattati internazionali ci si può spazzare allegramente il culo. Nel 1986, con raid su Tripoli e Bengasi, e poi con la prima guerra del Golfo, è stata interrotta quella relativa tregua che dalla fine del conflitto in Vietnam inibiva ai nordamericani la pratica degli ‘airstrikes’ sui centri abitati. E’ da allora che Libia ed Iraq rientrano nella categoria dei ‘target’, con i bei risultati che vediamo.

Ed è da allora che chiunque, dal ‘nemico russo’ ad Israele, dagli alleati europei alle satrapie medio orientali, si sente legittimato a sganciare ordigni sui civili seguendo l’esempio della più grande democrazia occidentale .

Ultimi, in ordine di tempo, i nostri amici Sauditi, che continuano a scaricare sui villaggi dello Yemen le bombe che noi gli vendiamo. Più o meno in questo modo:

L’attacco, ripreso nel video nel villaggio di Dhayan, risale al 21 gennaio scorso. Vi è stata colpita anche un ambulanza proveniente dall’ospedale di Al Gomhoury, supportato da Medecins sans Frontieres. Si è trattato infatti di un ‘dual tap strike’, una modalità che prevede che ad un primo attacco ne segua un secondo per uccidere anche i soccorritori. In questo caso gli attacchi sono stati tre, e nel terzo è stato ucciso anche Hashim al-Homran, il ragazzo di 17 anni che ha girato le riprese.

Hawijah, 3 giugno 2015. Fonte: Iraqi Spring

Hawijah, 3 giugno 2015. Fonte: Iraqi Spring

Ma non divaghiamo. Torniamo all’Iraq e alla nostra guerra contro il terrorismo

Il 19 marzo è stata una pessima giornata anche ad Hawijah, una cittadina occupata dal Daesh nel governatorato di Kirkuk. Hawijah non è nuova ai bombardamenti. Il 3 giugno 2015 l’attacco aereo contro  una fabbrica in mano agli jihadisti ha provocato 70 morti e 150 feriti fra i civili che abitavano e lavoravano lì intorno. Tutta la zona è stata rasa al suolo. È stato uno degli ‘effetti collaterali’ più gravi dall’inizio dell’offensiva occidentale contro il Daesh.

Il 19 marzo scorso i caccia occidentali sono tornati ad Hawijah: 41 civili morti e 53 feriti nel bombardamento dell’ospedale e del mercato principale della città. Fonti della coalizione occidentale hanno descritto laconicamente l’accaduto: “Near Al Huwayja, one strike destroyed an ISIL anti-air artillery piece.”  Questa, invece, la ricostruzione video di Al-Jazeera (le immagini e il parlato si riferiscono anche al bombardamento di Mosul):

Bombardamento su Mosul, 11 gennaio 2016. Fonte: NRN News.

Mosul, 11 gennaio 2016. Fonte: NRN News.

I massacri del 19 marzo sono solo gli ultimi in ordine di tempo. Il 15 marzo il bombardamento della Gulf Commercial Bank di Mosul ha causato la morte di 13 civili e il ferimento di 25, fra cui le solite donne e i bambini. Le banche di Mosul sono fra i target prediletti dalla coalizione internazionale. Il Daesh vi conserva nei caveau i proventi del traffico di petrolio, e le usa per distribuire il soldo ai miliziani. L’11 gennaio due bombe da 900 kg sono state sganciate sulla Rasheed Bank, situata in un’area residenziale. Un obiettivo importante dato che, a detta della CNN, i comandanti statunitensi erano disposti a mettere in conto una cinquantina di vittime civili per la sua distruzione. Durante l’attacco dell’11 gennaio di civili ne sono morti ‘pochi’, solo due.

Bombardamento su Mosul, 5 marzo 2016. Fonte: NRN News.

Mosul, 5 marzo 2016. Fonte: NRN News.

Anche le fabbriche di Mosul sono un obiettivo appetibile . Il 5 marzo scorso gli aerei della coalizione hanno bombardato un vecchio impianto industriale nella zona est della città, sospettato di essere utilizzato dal Daesh per la produzione di armi. Nel complesso avevano trovato rifugio dei profughi. Oltre a 10 miliziani, sono rimasti sotto le bombe anche Ali Fathi Zeidan Al- Manaawi e sua moglie, Hussein Ali Fathi Zeidan sua moglie e sei bambini,  Hassan Ali Fathi Zeidan, sua moglie e tre bambini, Ghazala Ali Fathi Zeidan, sua sorella di 10 anni, suo marito e i loro tre figli.

Spostiamoci ora a sud ovest, nella provincia irachena di Al-Anbar. Il 28 febbraio l’agenzia Al Araby ha pubblicato le testimonianze sui fatti di Alvahilat, un villaggio vicino ad Ar Rutbah.   Ad Alvahilat sotto le bombe sono rimasti 26 civili, tra cui nove bambini e sei donne, e 31 feriti. Fra le dichiarazioni raccolte, quella del colonnello Mohammad Obeid, dell’ Anbar Operations Command, che descriveva l’accaduto come uno “sfortunato incidente“: “Sì, abbiamo ricevuto informazioni sull’uccisione di civili da parte di  raid aerei condotti dalla coalizione internazionale nell’Anbar occidentale“.

Questo è il commento di Hatem al-Issawi, membro del consiglio tribale di Al-Anbar: “La gente macellata, i bambini recuperati a pezzi, e tutto col pretesto di combattere Daesh. E’ diventato irrazionale, demolire una casa al fine di prendere un topo, e uccidere la nostra gente per una manciata di uomini armati”.

Thaiyala, 1 gennaio 2016. Per terra: Ismail Taha Hussein Amiri e famiglia. Fonte: Al Anbar News.

Thaiyala, 1 gennaio 2016. Per terra: Ismail Taha Hussein Amiri e famiglia. Fonte: Al Anbar News.

Ed ha i suoi buoni motivi per essere incazzato, visto che ad Al Anbar gli “sfortunati incidenti” sono tutt’altro che rari. Il primo gennaio la provincia ha inaugurato l’anno nuovo con il massacro di Thaiyala. Dodici morti, nello specifico: Ismail Taha Hussein Amiri e nove membri della sua famiglia, Ashjan Taha Ismail Darraji e una donna di nome Yana. Il 7 marzo, stesso copione nella cittadina di Hit, con 12 civili ammazzati. Fra questi Hadi Hassan Jihad, Fadel Awad Alasaffi e sua moglie, Bashar Hadi Jihad e cinque membri della sua famiglia feriti.

La lista dei massacri è ancora lunga. Quelli elencati sono solo i principali fra gli ‘sfortunati incidenti’ della ‘lotta al terrorismo’ in Iraq dall’inizio del 2016. Le annate 2014 e 2015 si possono consultare sul sito di Airwars, dove un gruppo di giornalisti tenta di tenere il conto  delle vittime civili prodotte dalle varie aviazioni che infestano i cieli del Siraq.

Fino ad ora il bilancio di Airwars sulle ‘civilian casualties’ della coalizione occidentale dall’agosto 2014 in Siria ed Iraq è di almeno mille morti (limitandosi a quelli accertati sulla base di fonti attendibili), che si sommano ai 2.900 attribuiti ai raid russi sulla Siria.

Almeno mille morti di cui i paesi della coalizione negano ogni esistenza, forse per non ammettere che la loro strategia di contrasto agli jihadisti di oggi nutre le radici dell’odio degli jihadisti di domani. L’odio di quei sopravvissuti che ogni giorno estraggono i corpi dei loro cari dalle macerie delle loro case.

Un odio simile a quello cresciuto anni fa sotto i bombardamenti al fosforo bianco di Falluja, o fra le torture di Abu Ghraib, o negli altri centri di detenzione gestiti dagli americani (Al Baghdadi viene da lì), dove la sconfitta sunnita si è caricata di nuovo rancore. Su questo rancore ha fatto presa il califfato.

Ma se, per contrastare la jihad, semplicemente si smettesse di alimentarla? Astenendosi, per esempio, dall’utilizzarne i gruppi al fine di destabilizzare altre entità statuali ? Evitando di finanziarli e di riempirli di armi, come è successo innumerevoli volte, dall’Afghanistan del 1979 alla Siria di oggi ? Riportando efficacemente all’ordine chi li sostiene materialmente, come i nostri graziosi alleati turchi, sauditi e qatarioti ?

Sorge il dubbio che non sia una strategia funzionale ai reali interessi di chi bombarda. Del resto, la jihad è il nemico ideale. In poco tempo è riuscita a far attuare in Europa misure altrimenti inaccettabili, come la messa in stato d’assedio di interi quartieri o la schedatura del DNA, e la progettazione di infrastrutture repressive sovranazionali. Tutti strumenti che, in tempi di crisi economica permanente, potranno sempre tornare utili, un giorno o l’altro, contro chi non vuole pagare la crisi, o non vuole accettare la guerra.

Per ora la jihad è il lupo più utile per spaventare il gregge, stringerlo attorno al pastore che lo porterà al macello.

]]> Ora che la guerra sta accadendo https://www.carmillaonline.com/2015/11/24/paradossi-di-una-guerra/ Tue, 24 Nov 2015 17:00:06 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=26796 di Sandro Moiso

Made_in_France_posterParigi – Londra, patto di guerra. Così titolava in prima pagina il “Corriere della sera” ieri mattina. Poi, nella stessa giornata, un caccia russo Sukhoi 24 è stato abbattuto nei cieli turco-siriani su ordine del premier Ahmet Davutoglu e la Russia ha schierato le proprie navi davanti alla costa turca. L’esplodere dei grandi conflitti è sempre stato preceduto dal manifestarsi di una grande “voglia di guerra”. Voglia che si manifesta nelle dichiarazioni pubbliche e nei discorsi privati, nei quotidiani e, oggi, nei media di ogni genere. Nelle scelte della politica e dell’economia. Nella preparazione delle azioni militari e [...]]]> di Sandro Moiso

Made_in_France_posterParigi – Londra, patto di guerra. Così titolava in prima pagina il “Corriere della sera” ieri mattina. Poi, nella stessa giornata, un caccia russo Sukhoi 24 è stato abbattuto nei cieli turco-siriani su ordine del premier Ahmet Davutoglu e la Russia ha schierato le proprie navi davanti alla costa turca. L’esplodere dei grandi conflitti è sempre stato preceduto dal manifestarsi di una grande “voglia di guerra”. Voglia che si manifesta nelle dichiarazioni pubbliche e nei discorsi privati, nei quotidiani e, oggi, nei media di ogni genere. Nelle scelte della politica e dell’economia. Nella preparazione delle azioni militari e in quelle repressive. Nella designazione di un nemico disumano, meritevole di ogni violenza e di ogni atto di vendetta.

Voglia di armi
“Energia e difesa trainano le borse”. Non erano ancora passati cinque giorni dai fatti di Parigi che, mercoledì 18 novembre, “il Sole 24 Ore” poteva trionfalmente dichiarare in prima pagina la felicità degli investitori per la situazione venutasi a creare per le conseguenze poltico-militari degli attentati messi in atto dai militanti dell’Isis . Come se ciò non bastasse sulla colonna di sinistra un altro articolo dichiarava, quasi spudoratamente: “Europa e conti. Più che la stabilità poté la sicurezza”.

L’appello di lunedì 16 novembre del Presidente della Repubblica francese alla clausola dell’articolo 42, punto 7, del Trattato di Lisbona, riferito al mutuo soccorso europeo, ha aperto di fatto la porta alla possibilità di uscire dai vincoli dei trattati europei, riguardanti la spesa degli stati, per tutto ciò che riguarda la sicurezza ovvero uomini, armi e tecnologie securitarie. Il taglio della spesa pubblica, tanto richiamato da tutti i partiti di governo e di opposizione, in un solo colpo può quindi essere aggirato, grazie sostanzialmente all’appello di François Hollande, a favore delle imprese fornitici di armamenti per gli eserciti e servizi all’intelligence.

Da qui la gioia delle Borse, per le quali, evidentemente, i morti, parigini o siriani che siano, della guerra in atto non sono altro che una forma di interesse da pagare per il buon funzionamento e la ripresa dei mercati. Una specie di keynesismo del sangue che andrebbe di diritto inserito tra i crimini dei potenti e dell’economia di recente analizzati da Vincenzo Ruggiero in alcuni suoi testi.1

Sabato 21 novembre “Repubblica.it” titolava “L’affare della guerra all’Is: boom di Borsa e vendita di armi, l’Italia c’è”, affermando chiaramente che “Domandare, offrire; vendere, comprare. Le regole del mercato sono poche e semplici. E la guerra aperta dalla Francia e dalla Russia dopo gli attentati terroristici ad opera dell’IS non fa eccezione. Per chi domanda sicurezza, c’è chi offre strumenti di difesa; per chi vende armi, c’è chi le compera. Gli stanziamenti degli Stati per armarsi contro la minaccia terroristica cresceranno, questa è una delle poche certezze di questi giorni: Francois Hollande ha già ottenuto da Bruxelles di fare più deficit del previsto e anche la Stabilità italiana si prepara a trovare 120 milioni di nuove risorse.2

Per poi proseguire “Con i lampeggianti delle sirene parigine ancora accese, già si sapeva che gli Usa avevano venduto migliaia di bombe intelligenti all’Arabia Saudita, per 1,29 miliardi di dollari di valore. Per chi avesse dubbi, basta guardare all’andamento di Borsa, dove fiutare l’affare è la regola: aziende come la leader delle armi Lockheed Martin, ma anche altri colossi come Bae System, la Airbus e la Boeing (che non producono solo aerei passeggeri) e la nostra Finmeccanica hanno registrato un balzo in avanti sui mercati. L’indice Bloomberg del settore aero-spaziale e della difesa, dagli attentati di Parigi ha guadagnato il 4,5%, Finmeccanica più dell’8%”.

Per essere bipartisan occorre poi ricordare che Carlo Pelanda, su “Libero” di domenica 22 novembre, non dimenticando che “La grande depressione americana degli anni ’30 finì per la svolta espansiva e mobilitante data dall’entrata in guerra nel 1941”, ha sottolineato come non si veda “una mobilitazione pacifista contro i bombardamenti, manco tanto selettivi, di Raqqa o una condanna morale di Hollande perché, oltre alla parola «guerra», ha anche aggiunto «vendetta». Pare che la percezione sia quella di una Pearl Harbour europea caricata di una forte caratterizzazione del nemico come indegno e non meritevole di pietà”.3 Sintetizzando: il clima favorevole alla guerra c’è, vediamo solo di sfruttarlo al meglio.

Il paradosso sta nei fatti: finita quella che si potrebbe definire come la terza guerra mondiale, con cui sostanzialmente, tra il 1991 e, indicativamente, l’eliminazione di Osama Bin Laden, gli Stati Uniti hanno cercato di ridisegnare a proprio vantaggio il panorama geo-politico venutosi a creare nel quarantennio di divisione condominiale del mondo con l’URSS dopo la fine della seconda guerra mondiale, ha avuto inizio, proprio dall’imbarbarimento di consuetudini e stati seguito alla (fallimentare) balcanizzazione dell’Europa Orientale e del Vicino Oriente voluta e perseguita dai vertici politico-militari ed economici statunitensi, la quarta.

Mentre la terza, però, aveva visto ancora una parte consistente del mondo, sviluppato e non, adattarsi al comando americano sperando di trarre vantaggio sia dal rafforzamento imperialista statunitense che dall’indebolimento e dalla scomparsa dell’imperialismo sovietico in nome di un Nuovo Ordine Mondiale, oggi a seguito della crisi economica, dello sviluppo e della affermazione di varie potenze regionali e mondiali, della debolezza della strategia americana e delle sue possibili prospettive, si ha uno scontro di tutti contro tutti. In cui tutti gli attori sono contemporaneamente possibili alleati e possibili nemici. Dal punto di vista capitalistico, mercantile e finanziario è una situazione magnifica: tutti possono vendere armi a tutti in attesa che i fronti si definiscano meglio e le popolazioni, soprattutto in Occidente, si abituino all’idea dell’inevitabilità dei sacrifici determinati dal clima bellico e della giustezza delle ragioni della propria “patria” o del proprio schieramento di riferimento.

Così la Francia può ballare tra Stati uniti e Russia e l’Italia vendere armi agli Emirati del Golfo e alla Turchia (solo per citare due esempi) continuando a gridare, sempre più forte “Al lupo! Al lupo!” per il nemico alle porte. Quando il vero nemico, il più importante, è costituito proprio da quei governi che ci stanno portando al macello. Così mentre gli Stati Uniti, nel corso della terza, avevano pensato di preparare una situazione utile sia a contenere gli alleati/concorrenti occidentali, sia a circondare strategicamente il colosso cinese, ora si trovano impantanati in una situazione in cui ad ogni falso movimento rischiano di calpestare pericolosamente i piedi di possibili alleati e possibili avversari (ancora una volta i balletti di Kerry e Obama tra Iran, Israele, Turchia, Russia ed Arabia Saudita possono servire da esempio).

Ballando sull’orlo del baratro qualcuno inizierà a scivolare, trascinando con sè tutti gli altri. In Turchia, in Siria, sulle coste del Mediterraneo: dove sarà, sarà. Il luogo non sarà così importante alla fine.4 Per questo ho detto e ripeto ancora che il 13 novembre non corrisponde all’11 settembre 2001 (tutto americano), ma al 28 giugno 1914.

L’italietta, intanto, corre gioiosa incontro al proprio destino: soddisfatta degli investimenti arabi sul territorio nazionale e nella sua linea aerea di bandiera, spera di continuare a vendere armi a tutti, facendo girare a mille gli stabilimenti di Finmeccanica e della Beretta e facendo finta che il decreto legge che proroga la partecipazione militare italiana a missioni internazionali approvato alla Camera, con la norma che consentirà agli “007” di avvalersi dei corpi speciali per le operazioni all’estero, non costituisca ancora un atto di guerra.5

In che modo la lotta al terrorismo sia un affare interessante per le aziende del comparto è scritto anche nella relazione al bilancio 2014 di Finmeccanica, portabandiera italiana della Difesa. Già in chiusura dello scorso esercizio, ad assalto a Charlie Hebdo concluso, si registrava che «la spesa per nuovi investimenti tenderà nei prossimi anni a crescere con un ritmo intorno al 2% annuo, grazie al lancio di programmi per lo sviluppo di nuovi sistemi di armamento e allo stanziamento di fondi per operazioni contro il terrorismo organizzato internazionale (circa 40 miliardi di euro tra il 2015 e il 2017)» […]L’azienda della Difesa è presente con dodici siti tra Arabia, Emirati arabi uniti e aree circostanti. Con gli Eau, in particolare, nel bilancio di sostenibilità Finmeccanica ricorda che c’è un interesse «testimoniato dalla più che quarantennale presenza sul territorio degli Eau, con i quali sono stati avviati importanti programmi di sviluppo che hanno condotto alla creazione di una sede ad Abu Dhabi, con funzione di coordinamento di tutte le attività nell’area. Finmeccanica intende rafforzare la partnership con gli Emirati Arabi Uniti mediante la definizione di ulteriori alleanze con il settore pubblico e privato e con importanti enti di ricerca governativi, ampliando la rete di collaborazione con i player di settore locali». A scanso di equivoci, proprio in questi giorni l’ad Mauro Moretti è tornato a chiarire che l’interesse è rivolto in tutte le direzioni: «Fornire armamenti a paesi come Arabia Saudita e Qatar che sono considerati controversi? Sono paesi che sono legittimati dagli Usa ed entrano a far parte del fronte Occidentale in questa vicenda»“.6 Continuando a far finta che un comune fronte Occidentale ancora esista.

… e di petrolio
L’euforia borsistica, come si diceva all’inizio, si è estesa anche all’altro grande protagonista dei drammi mediorientali presenti e passati: il petrolio.
Protagonista indiscusso dello scontro sia mondiale che locale tra potenze imperiali, ma anche tra potenze regionali con aspirazioni globali come ben dimostra il coinvolgimento nel dramma siriano di Arabia Saudita, Stati del Golfo e Turchia, più o meno, dallo stesso lato e Iran dall’altro.7 Petrolio che costituisce anche una delle fonti dirette di finanziamento dello stesso Stato islamico e uno, se non l’unico, dei principali motivi della sua azione nel Vicino Oriente e in Africa.

I proventi vengono per il 27 per cento dalla vendita di petrolio” sostiene in un articolo, sull’Espresso on line del 20 novembre, Gianluca Di Feo a proposito delle finanze dell’Is.8 Mentre Maurizio Ricci, in una più dettagliata analisi, sostiene che, pur essendo limitate le capacità estrattive dei miliziani, lo Stato islamico ha potuto contare sull’estrazione di 50.000 barili giornalieri nei territori occupati in Siria. nella zona orientale di Deir al-Zour, e altri 30.000 nella regione di Mosul.

Una parte di questo petrolio è avviato attraverso mezzi di fortuna, asini compresi, verso la Turchia dove, nel terminale petrolifero di Ceyhan può essere mescolato con il greggio ”proveniente da fonti legittime”. “Di fatto, l’Is può vendere il suo greggio, in condizioni di monopolio, nella regione che controlla, […]Gli esperti calcolano che questo flusso porti oggi l’equivalente di un milione, un milione e mezzo di dollari al giorno nelle casse del Califfato. In prospettiva, un tesoro di 4-500 milioni di dollari l’anno […]L’Is gestisce, però, solo in parte il traffico. I jihadisti hanno il controllo diretto dei giacimenti e quello, diretto o indiretto, di alcune delle maggiori raffinerie.
Ma il trasporto del greggio verso queste raffinerie e le molte piccole e piccolissime, quasi casalinghe, è assicurato da centinaia di operatori indipendenti. Chi ha potuto girare nelle aree controllate dall’Is dice che, fuori dai giacimenti, ci sono code fino a 6 chilometri di camion che aspettano di poter riempire le loro cisterne
”. 9

Solo recentemente, però, l’aviazione americana, forse seguendo l’esempio di quella russa, ha iniziato a bombardare tali raffinerie, spesso mobili, dislocate principalmente lungo il corso dell’Eufrate. Una delle fonti di finaziamento è stata dunque per lungo tempo operativa e, nonostante tutto, continua ad esserlo tutt’ora. Così come il Qatar, che è tra i maggiori indiziati per il sostegno allo Stato islamico (presente probabilmente nella lista dei quaranta paesi finaziatori dell’Isis cui ha recentemente accennato Putin), continua a godere di una fitta rete di relazioni in Europa e in Italia grazie a investimenti milionari nei settori chiave: dalla moda al turismo fino all’alimentare.

Pur essendo noto che la sua ostilità nei confronti del regime di Assad, secondo una ricostruzione del giornale britannico The Guardian, , è dovuta al fatto che nel 2009 “il presidente siriano Assad rifiutò la proposta dell’emirato di costruire un gasdotto che si sarebbe collegato all’Europa in concorrenza con il gasdotto della Russia di Vladimir Putin, alleato dei siriani.
Non solo: l’anno successivo Damasco strinse un accordo per un’altro gasdotto con l’Iran, sciita, che avrebbe permesso a quest’ultimo di rifornire l’Europa attraversando Siria e Iraq. […] Il Qatar possiede un terzo delle riserve mondiali di gas, ma ha un bisogno disperato di un mercato come l’Europa per venderle. E la Siria avrebbe ostacolato un possibile sbocco
”.10

Anche in questo caso, non vi è dubbio, tutti vendono a tutti e tutti sono disponibili a comperare. L’unico problema, a Est come a Ovest oppure per gli stati del Middle East, è costituito dal determinare, manu militari, chi gestirà e dove passerà il fiume di petrolio e quello di dollari che porta con sé.

Ora che la guerra sta accadendo ancora tarda a formarsi una coscienza anti-militarista. Per ora ancora niente “guerra alla guerra!“, mentre soltanto qualche debole proposizione di principio sembra costituire la risposta antagonista (?) alla carneficina che si avvicina. Basterà a dar vita ad un movimento unitario o sarà sopraffatta anch’essa dallo sciame sismico della paura e del perbenismo nazionalista ed identitario prodotto e alimentato dall’imperialismo?

N.B.
L’immagine scelta per accompagnare l’articolo costituiva il manifesto pubblicitario di un film francese sul terrorismo islamico nelle banlieu, la cui uscita nelle sale cinematografiche era stata programmata per il 18 novembre. A seguito dei fatti di Parigi l’uscita del film è stata rinviata a data da definire così come anche il poster sarà sostituito da altra immagine (anch’essa ancora da definire)


  1. Vincenzo Ruggiero, I crimini dell’economia. Una lettura criminologica del pensiero economico, Feltrinelli 2013 e Vincenzo Ruggiero, Perché i potenti delinquono, Feltrinelli 2015 (Quest’ultimo recensito su Carmillaonline il 28 ottobre 2015 https://www.carmillaonline.com/2015/10/28/lessenza-criminale-del-potere-v-ruggiero-perche-i-potenti-delinquono-recensione-ed-intervista-allautore/)  

  2. http://www.repubblica.it/economia/2015/11/21/news/armi_isis_guerra_borsa_emirati_arabi-127849393/?ref=HREC1-8  

  3. Carlo Pelanda, La guerra all’Isis può farci guadagnare, Libero, 22/11/2015, pag. 9  

  4. Si veda anche: https://www.carmillaonline.com/2013/09/10/war/  

  5. Il decreto prevede quasi 59 milioni di euro fino al 31 dicembre prossimo per la missione in Afghanistan, 42.820.407 euro per la partecipazione ad Unifil in Libano e 64.987.552 euro per attività della coalizione internazionale di contrasto alla minaccia terroristica dell’Isis. Per quanto riguarda le missioni in Europa, il provvedimento destina, tra l’altro, 4.213.777 euro per la proroga della di Active Endeavour; 33.486.740 euro per la proroga di EUNAVFOR MED, 25.602.210 euro per le missioni nei Balcani, e quasi 70mila euro per la partecipazione di personale militare alla missione dell’Unione europea in Bosnia-Erzegovina, denominata EUFOR ALTHEA“ https://www.lastampa.it/2015/11/19/italia/politica/alla-camera-via-libera-per-la-proroga-delle-missioni-allestero-corpi-speciali-a-supporto-degli-qWwuz8EYSTXIIgVGurvb8I/pagina.html  

  6. Si veda ancora http://www.repubblica.it/economia/2015/11/21/news/armi_isis_guerra_borsa_emirati_arabi-127849393/?ref=HREC1-8  

  7. Si veda in proposito https://www.carmillaonline.com/?s=la+bomba+iraniana  

  8. http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/11/20/news/terrorismo-da-dove-vengono-i-soldi-del-califfo-1.240236?ref=HRBZ-1  

  9. http://www.repubblica.it/esteri/2015/11/19/news/bombe_sul_petrolio_dello_stato_islamico_la_guerra_di_usa_e_russia_al_tesoro_di_al_baghdadi-127679597/  

  10. http://www.repubblica.it/economia/2015/11/20/news/qatar_isis_italia-127717794/  

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