Miniere – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 18 Sep 2025 12:52:28 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 E le stelle non stanno solo a guardare. Il Cronin politico https://www.carmillaonline.com/2025/05/10/e-le-stelle-non-stanno-solo-a-guardare-il-cronin-politico/ Fri, 09 May 2025 22:01:03 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=88333 di Sergio Cimino

Archibald J. Cronin, E le stelle stanno a guardare, Bompiani, 1970.

Grazie anche al grande successo ottenuto dalle trasposizioni cinematografiche e televisive dei suoi principali romanzi, quando si pensa ad Archibald J. Cronin è quasi automatico associargli accanto alle doti di abile narratore, la connotazione di autore dal forte taglio sociale. La lettura dei romanzi nei quali è maggiormente presente questo aspetto può tuttavia restituirci una caratterizzazione meno generica e politicamente più significativa dello scrittore. È il caso, ad esempio, del romanzo E le stelle stanno a guardare, pubblicato nel 1935 ed ambientato in una cittadina mineraria inglese, nel [...]]]> di Sergio Cimino

Archibald J. Cronin, E le stelle stanno a guardare, Bompiani, 1970.

Grazie anche al grande successo ottenuto dalle trasposizioni cinematografiche e televisive dei suoi principali romanzi, quando si pensa ad Archibald J. Cronin è quasi automatico associargli accanto alle doti di abile narratore, la connotazione di autore dal forte taglio sociale.
La lettura dei romanzi nei quali è maggiormente presente questo aspetto può tuttavia restituirci una caratterizzazione meno generica e politicamente più significativa dello scrittore.
È il caso, ad esempio, del romanzo E le stelle stanno a guardare, pubblicato nel 1935 ed ambientato in una cittadina mineraria inglese, nel periodo che va dagli anni che precedono il primo conflitto mondiale, fino al principio degli anni Trenta.

Sulla scorta della sua esperienza di ispettore medico minerario, Cronin narra le vicende che si svolgono nella fittizia Sleescale, sulla quale incombono le impalcature della miniera Nettuno, proprietà della famiglia Barras.
Il romanzo si apre subito nel vivo di uno sciopero in atto e sulle durissime condizioni in cui sono costretti a vivere i minatori che hanno aderito alla mobilitazione, guidati da Robert Fenwick.
Già da queste prime pagine, alla parte umanitaria, caratterizzata dall’adozione di un punto di vista che spinge il lettore all’empatia con i minatori, segue quella più politica, costituita da una chiara descrizione delle dinamiche dello sciopero, evento cardine per la comprensione dello scontro tra le classi.
Da una parte i lavoratori, che basano la propria resistenza sulla capacità di superare le ristrettezze dovute alla mancanza del salario; dall’altra la possibilità del padrone di far durare la chiusura delle attività facendo affidamento sul “gruzzolo” accumulato, frutto dello scambio diseguale insito nel sistema capitalistico.
Se un importante snodo risulta essere l’incidente nella miniera causato dalle scarse misure di sicurezza approntate da Richard Barras, l’anima politica del romanzo acquisisce una forte accelerazione quando la narrazione arriva agli anni della Prima guerra mondiale.
David Fenwick, affrancatosi dal lavoro della miniera grazie alla prosecuzione degli studi fortemente voluta dal padre Robert, vede la guerra come un effetto del difettoso sistema politico e le condizioni in cui sono costretti a vivere i minatori, come un effetto del difettoso sistema economico.
Ma la radice comune dei due eventi è resa paradossalmente in modo ancor più convincente dalle vicissitudini di Arthur Barras, figlio del proprietario della miniera.
Ossessionato dai morti del disastro minerario, Arthur rifiuta di partire per la guerra, ritenendo inaccettabile lo spreco di vite umane che essa comporta. Per questa sua scelta verrà processato e condannato a due anni di prigione.
Nella sua sensibilità, esaltata dal trauma vissuto, Arthur concepisce la guerra, seppur in modo istintivo, naturalistico, come un’espansione della strage dei minatori. La guerra e la strage sono due modi in cui lo stesso soggetto, la classe dominante, succhia il sangue proletario, per la realizzazione dei propri fini.
La narrazione degli anni del conflitto si focalizza sui meccanismi di arricchimento che conseguono all’aumento delle spese militari e alle speculazioni più ardite. Uno dei personaggi principali, Joe Gowlan, proveniente da una famiglia del ceto impiegatizio della miniera Nettuno, proprio grazie alla guerra, metterà a frutto la sua totale mancanza di scrupoli per divenire uno dei principali uomini d’affari a capo dei nascenti trust, destinati a sostituire le proprietà capitalistiche individuali.
Un punto centrale del contenuto politico del romanzo è affidato alla forza della propaganda, destinata a far breccia sulle masse, pur essendo costruita sulle più evidenti ipocrisie, con i lavoratori incensati come eroi, quando si tratterà di persuaderli a fare la cosa giusta per combattere la barbarie dei nemici (è piuttosto impressionante l’analogia di certi proclami tendenti alla demonizzazione del nemico, con le esternazioni mediatiche dei nostri giorni), per poi tornare ad essere feccia refrattaria all’ordine, quando la guerra finirà e la classe operaia cercherà di mantenere alcune delle condizioni migliori figlie dello sforzo produttivo dovuto alla guerra.
Ciò viene posto in modo chiaro nelle parole che il segretario dell’associazione dei padroni delle miniere rivolge ad Arthur Barras, succeduto alla guida della miniera al posto del padre. I lavoratori, dice il segretario, debbono capire che è ora che si torni ciascuno al proprio posto, e che comprendano che sono venute meno le condizioni del conflitto che avevano determinato una singolare coesione sociale.
In questi frangenti, la figura di Arthur sarà ancora determinante nel contribuire alla vera e propria nitidezza analitica sottostante il romanzo.
Deciso ad imporre una svolta “illuminata” nella gestione della miniera, Arthur investirà ingenti risorse per aumentare i salari e per rendere sicura e più salubre la miniera. Questo suo tentativo di capitalismo paternalista sarà tuttavia destinato al fallimento per il concorrere di vari fattori, ognuno dei quali assurge a simbolo delle forze che imperversano nel sistema capitalistico.
Cronin usa in un modo magistralmente efficace le vicende del romanzo, per sviscerare i vari passaggi logici che potremmo trovare in un saggio di un intellettuale marxista.
Nel dopoguerra, l’apertura a nuovi mercati e la concorrenza di un carbone più scadente, costringerà Arthur ad accettare una penale capestro per la fornitura al trust aggressivo di cui è a capo Joe Gowlan, emblema del salto di qualità organizzativo conseguente al processo di concentrazione del capitale. La rinnovata stagione di conflittualità sociale al termine del fittizio idillio interclassista del periodo bellico, lo vedrà costretto ad adeguare i suoi più alti standard salariali al forte ridimensionamento richiesto dalle associazioni padronali, pronte a sferrare la loro risposta reazionaria al protagonismo operaio e a fabbricare gli anticorpi idonei a prevenire il contagio della rivoluzione bolscevica in Europa. La serrata padronale alla quale Arthur non potrà sottrarsi, pena il suo isolamento politico, sarà determinante nel non permettergli il rispetto dei tempi e il pagamento della penale, che si sommerà al forte indebitamento sostenuto per ammodernare la miniera. Colpo di grazia per le sue ambizioni si rivelerà infine il sabotaggio degli impianti da parte della frazione operaia più radicale, che lo obbligherà a vendere a prezzo irrisorio la miniera al gruppo economico di Gowlan, presso il quale troverà lavoro come sorvegliante.
La parabola di Arthur è quella che meglio esprime forse l’aspetto più politico del libro, e cioè l’impersonalità dei meccanismi attraverso i quali funziona il sistema capitalistico.
Sono i nessi sociali che legano i soggetti collettivi a fare la Storia. E nel loro sferragliare sono destinati a essere sminuzzati anche i propositi migliori, eticamente condivisibili.
Seppur in modo diverso, anche David si troverà a veder naufragare il suo personale anelito a una maggiore giustizia sociale. Divenuto deputato laburista si renderà amaramente conto che la realtà delle istituzioni politiche è una palude nella quale possono impantanarsi i progetti più ambiziosi di cambiamento sociale.
E non solo per l’avversione delle forze nemiche. Ma anche per il fuoco amico delle burocrazie collaborazioniste presenti nelle organizzazioni che dovrebbero rappresentare gli interessi della classe lavoratrice.
Così, nonostante il momento relativamente favorevole dei laburisti, il progetto della nazionalizzazione delle miniere, punto di forza della campagna elettorale e di cui David è uno dei principali fautori, verrà prima rallentato e poi fortemente depotenziato nel suo iter parlamentare, fino a divenire un innocuo simulacro, che causerà la disfatta del partito laburista nelle successive elezioni.
David tornerà allora a fare il minatore, accompagnando il figlio del fratello morto in guerra (mentre l’altro era deceduto, “simmetricamente”, nel disastro minerario con il padre), nel suo primo giorno di lavoro. Scenderà nell’abisso del pozzo con il ragazzo, in modo analogo a quanto fatto dal padre con lui ad inizio del romanzo, quasi a continuare un ciclo esistenziale immodificabile, in cui il sospiro dei minatori sembra salire fino alle stelle, che guardano dall’alto, il rinnovarsi dei patimenti e delle sofferenze umane.
Ma la fine non è improntata ad un fatalismo rinunciatario.
Durante il tragitto verso la miniera, David ha modo di riflettere su quanto accaduto. Quello che gli dà forza, è il sentirsi nuovamente parte di una comunità che lo supera. Un soggetto collettivo che gli ridona speranza di lotte future.
Una chiusa che si avvicina a quella del capolavoro di Zola, affine per temi e ambientazione, e nel quale, lo scrittore francese, quasi mettendo a tacere il suo orientamento riformista, lascia che nelle ultime parole si respiri il sentore dell’insopprimibile funzione germinativa della rivoluzione e dell’avanzata della classe lavoratrice.

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La maledizione dell’abbondanza https://www.carmillaonline.com/2019/12/26/la-maledizione-dellabbondanza/ Thu, 26 Dec 2019 02:45:41 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=56912 Conversazioni con Alberto Acosta [L’economista Alberto Acosta Espinosa è fra i padri della Costituzione dell’Ecuador del 2008, l’unica a riconoscere la Natura come soggetto di diritto. Sostenitore della prima ora della Revolución Ciudadana, ha ricoperto il ruolo di Ministro dell’Energia e delle Miniere nel primo governo di Rafael Correa, prima di maturare la rottura con il Correismo su posizioni antiestrattiviste ed antiautoritarie. Attualmente è autorevole membro del Tribunale Internazionale dei Diritti della Natura, e pienamente interno al dibattito dei movimenti ecuadoriani che hanno animato la rivolta contro le politiche [...]]]> Conversazioni con Alberto Acosta

[L’economista Alberto Acosta Espinosa è fra i padri della Costituzione dell’Ecuador del 2008, l’unica a riconoscere la Natura come soggetto di diritto.
Sostenitore della prima ora della Revolución Ciudadana, ha ricoperto il ruolo di Ministro dell’Energia e delle Miniere nel primo governo di Rafael Correa, prima di maturare la rottura con il Correismo su posizioni antiestrattiviste ed antiautoritarie.
Attualmente è autorevole membro del Tribunale Internazionale dei Diritti della Natura, e pienamente interno al dibattito dei movimenti ecuadoriani che hanno animato la rivolta contro le politiche del governo di Lenin Moreno e del FMI.
In occasione della sua presenza in Italia all’incontro “Estrattivismo. Diritti della Natura, diritti dei Popoli“, si è confrontato  con i compagni e le compagne della Associazione Bianca Guidetti Serra in merito alle ripercussioni dell’estrattivismo sulle società, sugli Stati e sulle classi sociali, ed ai conflitti ad esso correlati.
Quella che segue è la prima parte di questo confronto.]

[Ass.BGS] Da alcuni mesi l’America Latina è in rivolta, dal Cile all’Ecuador, da  Haiti alla Colombia. Come si inseriscono in questo contesto i conflitti generati dall’estrattivismo?

[Acosta] Il concetto di estrattivismo è un concetto relativamente nuovo.
Quando ci accingiamo ad analizzarlo dobbiamo ricondurlo alla storia dei nostri paesi, di questa regione del mondo e delle sue relazioni con l’economia globale.
L’America Latina è stata integrata nel mercato mondiale circa 500 anni fa come una regione produttrice ed esportatrice di materie prime,  e possiamo dire che questa essenza di esportatrice di risorse primarie della nostra economia si mantiene fino al’attualità.
Ci sono molte storie differenti, ogni paese può contare sulla sua specificità, ma c’è una specie di scenario di fondo che spiega la storia dell’America Latina vista dalla prospettiva dell’estrattivismo.
I paesi dell’America Latina sono “paesi prodotto”: paesi caffè, paesi cacao, paesi bananieri, paesi minerari, paesi petroliferi.
C’è sempre qualche prodotto che caratterizza non solo l’economia ma anche la vita politica e la società di queste nazioni.
Questo è sempre stato un processo carico di violenza, sia contro la natura che contro le comunità.
Ha portato schiavismo, distruzione delle comunità indigene, un processo di deterioramento massivo della natura: deforestazione, perdita di suoli agricoli.
E questi processi  si stanno intensificando, perché negli ultimi dieci anni si è sviluppata una domanda mondiale crescente di prodotti primari che sta provocando un maggior impatto, una pressione maggiore sopra le risorse, sulla natura e sulle comunità in America Latina.

Perù, Cerro de Pasco. La città nella miniera.

Inoltre molti giacimenti minerari dei paesi del nord, come in Canada, sono diventati di più difficile accesso, perché la società si organizza, ed ha stabilito norme ambientali.
Di conseguenza si cercano risorse in altre parti del pianeta, dove si genera un’altra caratteristica di questo tipo di attività: il gigantismo.
Sono progetti giganteschi, enormi, che provocano tremenda distruzione, un tremendo impatto, e per questo le comunità hanno cominciato a resistere con una forza maggiore.
Anche prima c’era resistenza. C’è sempre stata. Ma le resistenze di adesso sono molto più potenti dal momento che le pressioni sono maggiori, e le comunità hanno più coscienza.
Io direi che è anche il risultato degli avanzamenti tecnologici, perché ora la gente ha la possibilità di conoscere più facilmente queste realtà.
Sono resistenze che hanno messo definitivamente in discussione quel discorso dominante che ci diceva che per progredire bisognava fare certi sacrifici.
E invece non è così, perché stiamo vedendo che i sacrifici continuiamo a farli e non progrediamo mai, ma al contrario i problemi continuano ad acutizzarsi.
In questo contesto bisogna collocare l’estrattivismo in America Latina.
Possiamo dire che gran parte dei problemi che sta attraversando l’America Latina nell’attualità, indipendentemente dall’orientamento dei governi, ha a che fare con la problematica estrattivista.

[Ass.BGS] Qual’è la situazione nei singoli paesi ?
Ci sono differenze in base agli orientamenti politici dei governi ?

[Acosta] Ci sono situazioni molto complicate riguardo ai singoli paesi.
Abbiamo visto per esempio resistenze realmente interessanti in Bolivia davanti a un governo progressista, il governo di Evo Morales.
La gente ha resistito davanti all’intenzione di costruire una strada nel TIPNIS, il Territorio Indigeno e Parco Nazionale Isiboro Sécure1. Indigeni che hanno resistito di fronte al governo di un indigeno, perché questo governo approfondiva l’estrattivismo.
Abbiamo un paese con un governo neoliberista, la Colombia, dove le comunità – indigene e non indigene – stanno resistendo all’estrazione mineraria, e lo fanno anche con molta forza.
Ci sono gli esempi di resistenza pacifica in Colombia contro grandi imprese minerarie nel Dipartimento del Tolima, che affrontano una delle multinazionali minerarie più grandi del pianeta, la Anglo Gold Ashanti2.
Sempre in Colombia c’è la resistenza per preservare le lagune del Los Paramos3, e anche in Perù, in tutta la zona di Cajamarca4.

Ande argentine, quota 4000m. La miniera d’oro Veladero, causa di uno dei più grandi disastri ambientali della storia del paese.

Stiamo vedendo anche il caso del Cile5 e dell’Argentina6, dove si lotta per impedire l’ampliamento dell’attività mineraria nel sud, nella zona dei ghiacciai.
Ci sono anche situazioni molto complicate in Ecuador, nel mio paese. E’ il paese che ha inserito nella Costituzione i diritti della Natura, che però non sono rispettati, anche se le comunità li reclamano.
C’è l’esempio della lotta degli Yasunidos [i difensori del Parco Nazionale dello Yasunì.NdR], che hanno fatto un enorme sforzo per proteggere una piccola regione nell’Amazzonia ecuadoriana da un progetto di estrazione petrolifera.
La resistenza non ha raggiunto l’obiettivo  perché il presidente dell’epoca, Rafael Correa, si è opposto alla richiesta di referendum7.

In  vari casi si ricorre a consultazioni popolari per cercare di frenare queste attività, come succede per esempio in Colombia, ed è molto interessante il fatto che queste resistenze siano di diversa natura, spesso muovendosi dentro al “labirinto giuridico”.
Parlo di labirinto giuridico perché i difensori della natura vengono perseguitati, criminalizzati, per il fatto di difendere la natura e difendere la loro vita.
Però questa gente ha anche imparato a muoversi dentro il labirinto giuridico per frenare l’estrattivismo.

Con diversi tipi di governo, con diversi tipi di lotta, in America Latina in questo momento c’è un processo per cercare di recuperare qualcosa di fondamentale: il diritto alla vita.
Perché gli estrattivismi sono stati storicamente, e ora ancor di più, una minaccia permanente per la vita.
Questo sistema vive per soffocare la vita, degli esseri umani e della natura.

[Ass.BGS] Quali sono le conseguenze dell’estrattivismo sulla società e sullo Stato?

[Acosta] Gli estrattivismi caratterizzano l’economia, le società, e la vita politica.
Creano  economie basate sulla rendita, Stati rentiers.
Queste risorse economiche generano logiche sociali clientelari, e questo finisce per debilitare in ambito politico la vita democratica. Non è una caso che la crescita dell’estrattivismo vada di pari passo con la crescita dell’autoritarismo e del presidenzialismo.
L’iperestrattivismo coincide con l’iperpresidenzialismo, caratterizzato da governi autoritari, governi violenti, governi corrotti.

Perù. Protesta contro le repressione di una lotta antiminera.

Gli estrattivismi sono violenti per definizione.
La violenza per l’estrattivismo – questo per me è fondamentale – non è una conseguenza ma una condizione necessaria.
Per provocare simili distruzioni della Madre Terra – come le amputazioni per un progetto minerario, o l’inquinamento tremendo di grandi territori per un progetto petrolifero – è necessaria la violenza.
E le comunità sono le vittime di questa violenza.

Torno al punto iniziale: l’estrattivismo costituisce uno scenario di fondo della storia e della realtà attuale.
E mi pongo la seguente domanda:  i nostri paesi sono poveri perché ricchi di risorse naturali?
C’è forse una sorta di maledizione, la maledizione dell’abbondanza.
Nella teoria economica si parla della maledizione delle risorse e del paradosso dell’abbondanza. Ne ho fatto una sintesi, la “maledizione dell’abbondanza”, per spiegare la realtà di queste economie8.
Però la vera maledizione è credere che non ci siano alternative, una maledizione che ha conformato l’immaginario della gente.
Il caso dell’Ecuador è paradigmatico: paese caffettero, paese cacaulero, paese bananero, paese petrolero, e ora che sta finendo il petrolio vogliamo essere un paese minero.
Non riusciamo ad immaginare un paese che non dipenda da una rendita della natura.
Allo stesso tempo siamo avvinghiati al progresso: non possiamo mettere a rischio il progresso, non possiamo mettere a rischio la crescita economica.
In nome di questo sacrifichiamo delle realtà.

Considero gli estrattivismi al plurale, perché non c’è ne è solo uno: c’è l’estrattivismo petrolifero, minerario,  agroindustriale, forestale …
Ebbene, gli estrattivismi cominciano ad essere presenti anche nei paesi del nord globale.
In Europa e negli USA c’è il problema del fracking, delle attività minerarie, e delle megaopere infrastrutturali collegate a progetti per trasportare gas, per trasportare petrolio, progetti per rendere la vita sempre più rapida, non in funzione di un miglioramento delle condizioni di vita della gente, ma per garantire una maggiore accumulazione del capitale.

[Ass.BGS] C’è una relazione abbastanza stretta con quella che era la maledizione della economia di enclave, soprattutto in Centro America,  dove  per esempio le infrastrutture, porti  o ferrovie ecc., erano esclusivamente finalizzate al trasporto della merce, e non al trasporto delle persone.

[Acosta] Gli estrattivismi, in diversa maniera, finiscono per produrre processi di de-territorializzazione dello Stato, che organizza la società al fine di collocare questi prodotti primari nel mercato mondiale.
Per me è sempre stata motivo di attenzione la rete ferroviaria argentina.
Ora non ne è rimasto molto perché è stata privatizzata e smantellata, però era come un flusso di vene dirette interamente verso Buenos Aires, perché in ogni parte la rete ferroviaria era stata pensata non per integrare l’Argentina con gli argentini, ma per integrare l’Argentina col mercato mondiale.

I.I.R.S.A. Deforestazione.

Questa logica è ancora presente in America Latina: si chiama I.I.R.S.A. (Iniciativa para la Integración de la Infraestructura Regional Suramericana), che è un sistema per integrare tutte le risorse naturali dell’America Latina nel mercato mondiale9. E’ un sistema progettato nel 2000 per impulso del Banco Interamericano de Desarrollo10.
In seguito, con i governi progressisti di Brasile, Argentina, Venezuela, Bolivia, Ecuador, e dello stesso Cile, si diede il via al CO.S.I.PLAN. (Consejo Suramericano de Infraestructura y Planeamiento), che è la stessa cosa, non è un cambiamento11.
L’America Latina con i governi progressisti non ha superato la maledizione dell’abbondanza, ma ha approfondito l’estrattivismo.

I problemi non sono stati risolti, la frustrazione aumenta, e questa è una delle principali spiegazioni dei conflitti.
Abbiamo società dove la gioventù sta perdendo la speranza. Non cerca più un’opzione di futuro, non cerca più una proposta politica per una via d’uscita, ma esce in strada a protestare per la frustrazione.
Per questo è importante evitare di costruire le nostre analisi sulla base di vecchi meccanismi, sulle nostre vecchie forme di interpretazione del mondo. Dobbiamo rifondarle, lasciare da parte le semplificazioni, per poter comprendere ciò che sta succedendo nella regione. (Continua)


  1. Video: El TIPNIS y los Derechos de la Naturaleza. 

  2. Video: Profiting from Conflict: Anglo American in Colombia.
    AngloGold suspends Colombia project after anti-mining vote, Reuters, 28 aprile 2017. 

  3. Diez páramos amenazados por minería y ganadería en Colombia, El Espectador, 16 febbraio 2016. 

  4. Cajamarca: el Valle Llaucano continúa lucha contra la Minera Yanacocha, Observatorio de Conflictos Mineros en el Perù, 18 novembre 2019. 

  5. Adele Lapertosa, Cile, lobby minerarie ostacolano legge per proteggere i ghiacciai, Il Fatto Quotidiano, 15 ottobre 2019. 

  6. Storica sconfitta delle compagnie minerarie: i ghiacciai non si toccano!, GreenMe, 6 giugno 2019. 

  7. Verdetto del Tribunale Internazionale dei Diritti della Natura sul caso Yasuni, 15 agosto 2014. 

  8. Alberto Acosta Espinosa, La maldición de la abundancia, Comité Ecuménico de Proyectos CEP, Ediciones Abya-Yala, Quito, 2009, pp. 240. 

  9. Ana Esther Ceceña, Paula Aguilar, Carlos Motto, Territorialidad de la dominación: La Integración de la Infraestructura Regional Sudamericana (IIRSA), Buenos Aires, 2007, 60 pp.
    Video: IIRSA, La Infraestructura de la Devastacion

  10. Il progetto dell’ I.I.R.S.A. consiste nella costruzione di 10 assi multimodali – in Europa li chiameremmo “corridoi” – attraverso il Sud America per collegare i grandi centri di produzione con quelli dei consumi, accelerando i trasferimenti delle merci (petrolio, gas, minerali, commodities agroindustriali, acqua, biodiversità) e rafforzandone il controllo. Nella sua fase iniziale il progetto dell’ I.I.R.S.A. è stato fortemente sponsorizzato dagli Stati Uniti. 

  11. Nel gennaio 2009 la UNASUR (Unión de Naciones Suramericanas), ha istituito il CO.S.I.PLAN., un consiglio che ha incorporato l’I.I.R.S.A. come foro tecnico in tema di pianificazione delle infrastrutture. Nonostante le promesse di un modello di sviluppo differente, i progressismi sudamericani hanno adottato pienamente la progettualità sviluppata nel precedente contesto neoliberista. 

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Marcinelle, 8 agosto 1956: carbone in cambio di vite umane https://www.carmillaonline.com/2016/08/08/marcinelle-8-agosto-1956-carbone-cambio-vite-umane/ Mon, 08 Aug 2016 17:45:55 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=32090 di Fiorenzo Angoscini

libretto 3 [Oggi si sente spesso ripetere che l’attuale Unione Europea avrebbe tradito, con le sue misure economiche draconiane, lo spirito fondatore della stessa. Eppure, esattamente sessant’anni fa, la tragedia mineraria di Marcinelle aveva già rivelato il patto di sangue che fondava la CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio). Il trattato costitutivo della stessa fu firmato a Parigi il 18 aprile 1951 ed entrò in vigore il 24 luglio 1952. Il “mercato comune” previsto dal trattato venne inaugurato il 10 febbraio 1953 per il carbone e il ferro [...]]]> di Fiorenzo Angoscini

libretto 3 [Oggi si sente spesso ripetere che l’attuale Unione Europea avrebbe tradito, con le sue misure economiche draconiane, lo spirito fondatore della stessa. Eppure, esattamente sessant’anni fa, la tragedia mineraria di Marcinelle aveva già rivelato il patto di sangue che fondava la CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio).
Il trattato costitutivo della stessa fu firmato a Parigi il 18 aprile 1951 ed entrò in vigore il 24 luglio 1952. Il “mercato comune” previsto dal trattato venne inaugurato il 10 febbraio 1953 per il carbone e il ferro e il 1º maggio seguente per l’acciaio. Il trattato aveva una durata di 50 anni e la CECA successivamente divenne parte dell’Unione europea. I paesi firmatari erano: Belgio, Francia, Repubblica Federale Tedesca, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. S.M.]

Marcinelle, sobborgo operaio di Charleroi, lembo di terra vallona dove si è combattuto un frammento di guerra di classe, si trova nel cuore del bacino minerario dello stato artificiale belga.
Polvere nera di mina assassina. Umili abitazioni, piccoli esercizi commerciali di poco svago e relativo divertimento, al cui interno, come in tutto il borgo, si respirano miseria, povertà e silicosi.
Nel resto della nazione, quella con spirito fiammingo, sulle porte e vetrine dei pubblici locali, campeggia un cartello perentorio: “vietato l’ingresso ai cani e agli italiani”.

marcinelle interdit A Le Bois du Cazier (nome della miniera vigliacca) torri di estrazione, un’infinità di pozzi innaturali, scavati, violentandola, nelle viscere della terra, ingoiano tutti i giorni, tramite montacarichi criminali, uomini (unici e veri infoibati) e vagoncini da riempire di carbone (coke) da barattare, poi, con le loro vite. Alti camini di ciminiere sputano in continuazione fumo e fuliggine insieme a sudore e sangue di immigrati. Una coltre di polvere grigiastra sporca case, giardini, parchi e monumenti.

Nell’anno 1956, l’ottavo giorno di agosto, lo spregiudicato protocollo d’intesa (siglato il 23 giugno 1946 e che prevedeva, a fronte dell’invio di 50.000 lavoratori italiani, la fornitura annuale, a prezzo preferenziale, di un quantitativo di carbone compreso tra le due e le tre milioni di tonnellate) tra due governi infami, ha provocato la morte di 262 uomini (‘solo’ 136 erano italiani…soprattutto abruzzesi e pugliesi).

Con quanti chili di carbone è stata ri-compensata la loro vita?
Con una vagoncino ogni bara da morto?
La “fruttuosa collaborazione” tra il governo belga e quello tricolore ha permesso di rispedire alle madri, padri, mogli e figli, i cadaveri di ex contadini, pastori, muratori e giovani mariti, adagiati dentro le valigie di cartone con cui erano partiti.

Dicembre 1997. Verso la fine del pomeriggio (non è ancora buio, ma non c’è più la luce naturale anche se di un sole invernale) approdo a Charleroi. In piazza troneggia il monumento ai minatori, mentre piove polvere grigia.
Cerco, con il mio ‘molto poco’ comprensibile francese (fortunatamente, anche se è una delle due lingue ufficiali, nessuno parla fiammingo) notizie sulla dislocazione della miniera, e il modo per raggiungerla. Nessuno (sembra) sapere o ricordare dove sia.

Entro in una farmacia e l’anziano dottore delle medicine, che appare l’unico ancora dotato di memoria, alla mia confusa domanda, risponde: “oui, oui, la mina”. E penso ad una bomba.
Mi riprendo e realizzo (come potrò appurare e capire in seguito) che mina è il nomignolo che tutti (anche i minatori, indigeni o immigrati) utilizzano per indicare la miniera. Seguendo il consiglio del farmacista mi reco in municipio per ottenere maggiori e più dettagliate informazioni.

Qui, con grande sorpresa ed altrettanto stupore, constato che molti (portinai, impiegati e lavoratori in genere) parlano italiano, arrotato e, per me, curiosamente accentato ma che capisco benissimo.
Il mio interlocutore mi spiega che il sito minerario è chiuso, non è abitualmente un luogo aperto alle visite, però si può tentare di telefonare a Mario O. (saprò dopo, da lui stesso, che è originario, e proviene da Mirandola modenese) una specie di custode volontario, ex minatore che, se ha voglia e tempo, mi può far visitare l’area dove sorgeva la miniera, “ma solo l’esterno”, si premura di specificare il mio informatore municipale. Così si degna di fornirmi il numero di telefono a cui contattare il custode “improprio” della mina.

Raggiunta la cabina telefonica posta nel piazzale adiacente il palazzo del borgomastro, compongo il numero, ottengo la linea, mi risponde una voce femminile (la moglie) che parla un francese-italiano a me comprensibile ed io, persevero, anche con lei, ad utilizzare l’unico idioma che conosco e chiedo di Mario.

Sento che, in lingua italiana, la signora chiama il marito.
Al telefono, senza convenevoli o riti abituali, Mario accoglie positivamente la mia richiesta. Ponendo una sola condizione. Dovrò rimborsargli il costo del carburante che consumerà per raggiungere, da casa, Marcinelle. La spesa corrisponde, in Franchi belgi, a circa 5.000 lire italiane. Naturalmente, accetto.
Ormai, è quasi buio, l’appuntamento è davanti al cancello (chiuso) divenuto famoso dopo la strage perché immortalato in ogni istantanea ed immagine televisiva, con i parenti schiacciati contro, in attesa di notizie.

Nell’attesa che arrivi, passeggio avanti-indietro. Mario, una volta parcheggiata la sua Simca azzurrina, mi chiede se sono l’italiano che vuole visitare la mina; ci presentiamo in maniera molto informale ed iniziamo il percorso.
Mi precisa che non si può entrare in nessun luogo chiuso (magazzini, stanze, tanto meno porte d’accesso ai pozzi) si visita solo l’esterno, facendo attenzione a dove si mettono i piedi.

La struttura estrattivo-industriale è caratterizzata dai segni dell’abbandono ed è semi-diroccata, c’è ancora l’hangar-dormitorio, una specie di tunnel semi-curvo in lamiera arrugginita e un vagone ferroviario, anch’esso, per un certo periodo, utilizzato come dormitorio.
Andiamo fino all’imbocco del pozzo numero 1 (quello della tragedia), dove ci sovrastano le ciminiere e le colonne d’estrazione. Mi indica, da lontano, le poche strutture in muratura (uffici e ricoveri di motori e centraline elettriche). La visita è terminata.

marcinelle vittime Mentre torniamo verso l’uscita mi invita ad entrare nella guardiola posta a fianco della pesa a ponte (quella che veniva utilizzata per pesare la quantità di carbone estratto, quindi vendibile), apre l’unico cassetto di una vecchia e malandata scrivania pieno di un certo numero di libretti di lavoro, in doppia versione linguistica: fiamminga e francese ( Werkboekje, Livret d’ Ouvrier).
Prendine uno”, mi dice con fare e voce complice.

Con timidezza, e rispetto, allungo la mano e pesco quello di Pinto (che emozione mi rievoca questo cognome)1 Giovanni, charbonnage, nato a Mola di Bari, il 3 maggio 1918, assunto a Bois du Cazier il 15/12/1953, con tanto di timbro dell’azienda che lo certifica.
libretto 1 Gasato a Marcinelle il giorno 8 agosto 1956. Nonostante una moglie e quattro figli. Queste ultime due considerazioni, naturalmente, il libretto non le riporta….

Ho guardato gli occhi del custode-volontario-emiliano e non c’è stato bisogno di chiedergli il motivo di tale straordinaria concessione.
Dal nostro incontro, e per tutto il tragitto compiuto insieme a Bois du Cazier, avevo sulla testa il cappello che, solitamente, portavo in quel periodo.
Al centro c’era posizionato un distintivo: una stella rossa a cinque punte con, inserito nel mezzo, il simbolo di lotta e riscossa internazionale, una falce e martello incrociati.

marcinelle funerali Provenienza geografica degli ostaggi assassinati:
7 molisani, 60 abruzzesi, 4 calabresi, 2 campani, 5 emiliano-romagnoli, 7 friulani, 3 lombardi (un bresciano, due bergamaschi) 12 marchigiani, 22 pugliesi, 5 siciliani, 3 toscani, 1 trentino, 5 veneti. Il triste computo di 136 ostaggi, barattati con qualche quintale di carbone.

E nella democratica Europa neanche allora, come oggi per i morti della Thyssenkrupp o per la Eternit di Casale e di tanti altri casi ancora, i colpevoli pagarono per i loro crimini.


  1. Luigi Pinto, pugliese di Foggia, è uno degli otto antifascisti massacrati in Piazza della Loggia a Brescia il 28 maggio 1974  

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