Martino Zicchitella – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 30 Apr 2025 21:35:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Al Ticinese, il vicolo con una casa losca e un libraio sovversivo https://www.carmillaonline.com/2018/07/24/al-ticinese-il-vicolo-con-una-casa-losca-e-un-libraio-sovversivo/ Tue, 24 Jul 2018 20:40:29 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=47498 di Fiorenzo Angoscini

Umberto Lucarelli, Vicolo Calusca, prefazione di Tommaso Spazzali, Edizioni Bietti, Milano, maggio 2018, pag.106, € 12,00

Il titolo potrebbe sviare l’attenzione e far pensare a qualcosa di relativo alla toponomastica e circoscritto ad un vicolo, piccolo e secondario, ma quel luogo, proprio per una particolare libreria, è stato molto di più, sicuramente un posto importante, forse anche grande e, come scrive Tommaso Spazzali nella prefazione «…un denso spaccato di un pezzo di storia recente». Magari non nel senso che gli attribuisce l’ufficialità delle cose, della storia accademica ingessata ed istituzionalizzata. La lettura dello scritto confermerà e giustificherà [...]]]> di Fiorenzo Angoscini

Umberto Lucarelli, Vicolo Calusca, prefazione di Tommaso Spazzali, Edizioni Bietti, Milano, maggio 2018, pag.106, € 12,00

Il titolo potrebbe sviare l’attenzione e far pensare a qualcosa di relativo alla toponomastica e circoscritto ad un vicolo, piccolo e secondario, ma quel luogo, proprio per una particolare libreria, è stato molto di più, sicuramente un posto importante, forse anche grande e, come scrive Tommaso Spazzali nella prefazione «…un denso spaccato di un pezzo di storia recente».
Magari non nel senso che gli attribuisce l’ufficialità delle cose, della storia accademica ingessata ed istituzionalizzata. La lettura dello scritto confermerà e giustificherà questa affermazione.

Ma, già un’analisi più attenta della copertina lascia intendere che il contenuto della pubblicazione è particolare. Si intravede, a sinistra, proprio sotto l’intestazione, quasi in filigrana, una falce e martello e, nonostante il chiaro/scuro che un po’ confonde e nasconde, si coglie la presenza di un magnetofono (registratore portatile) con ben visibile al suo interno un’audiocassetta. Si tratta di storia orale, naturalmente di parte, vissuta e raccontata. Anzi, di tante storie che si sviluppano ed intersecano in una porzione particolare di Milano, il quartiere (anche se, forse, è limitativo definirlo così) del Ticinese. Quel grande agglomerato di monumenti, costruzioni e canali che l’attraversano, cresciuto attorno a

“Porta Ticinese, Porta Cicca, dal masticare tabacco, ciccà: dallo spagnolo Chica, ragazza, in quanto era zona di postriboli a buon mercato per operai e soldati. Il più noto era nel vicolo Cà Lusca, Cà Losca, oggi Calusca. Porta Cicca, con la variante di Porta Cina altro nome che la mala, una vecchia malavita che non esiste più, dava a Porta Ticinese dal dialetto cinès.
L’antica porta medioevale è ancora visibile all’angolo di via De Amicis-Molino Delle Armi: fu restaurata e in parte ricostruita,con variazioni non consone all’originale, da Camillo Boito. Alle spalle della porta medioevale vi sono le colonne di San Lorenzo che sono il più significativo resto delle opere milanesi in epoca romana.[…] Alla fine del Corso di Porta Ticinese, nel Piazzale XXIV maggio, vi è l’Arco di Porta Ticinese denominato di Porta Marengo e iniziato nel 1801 dall’architetto Luigi Cagnola per festeggiare la vittoria di Napoleone, nella battaglia svoltasi nella cittadina alle porte di Alessandria…Originariamente la porta era posta sopra un ponte del canale Ticinello, ora coperto, svetta sopra la confluenza di tre vie d’acqua, Olona, Naviglio Grande e Naviglio Pavese”.1

Sempre Spazzali, ricorda che le parole scritte in questo libro «occupano quarant’anni di storia». Parte all’inizio dei settanta e arriva fino ad oggi «attraversando quel lasso di tempo che ha portato la città, Milano, a trasformarsi da teatro di un conflitto sociale2 aspro ma al contempo espressione di grandissima vitalità ed energia, in simulacri di locali dove, come proprio Primo (Moroni) diceva, ‘si vendono vino e panini senza amore e senza memoria’».
Anche l’autore di questo promemoria scritto lo sottolinea: «Il Ticinese è una fiera e un fracasso con migliaia di persone che si aggirano come ebeti lungo il Naviglio verde e torbido immaginandosi d’essere lungo la Senna a Parigi…»

Quegli stessi luoghi già a metà degli anni sessanta erano stati un crocevia di incontri, di consolidate amicizie e germogli di cultura. Simili, ma diversi, da altre zone, come Brera e i suoi bar (Jamaica il più famoso) ‘templi’ della vita mondana di allora, dove artisti stravaganti, pittori, fotografi-paparazzi, attrici e registi famosi facevano sfoggio di eccentricità. Al Ticinese, scrittori partigiani come Salvatore Quasimodo e intellettuali dissidenti come Elio Vittorini, condividevano idee, esperienze e difficoltà con cantautori militanti e controcorrente come Ivan Della Mea.

“La sera (Elio Vittorini) gioca a carte in una crota3 di ligera4 all’inizio di Alzaia Naviglio Pavese, con Salvatore Quasimodo e Ivan Della Mea,5 che gli dedicherà la canzone ‘A quell’omm’” .6

Quello che è stato una fucina di cultura, arte e politica, deve sopportare lo scempio attuale «intorno alle Colonne di San Lorenzo impera la ‘movida’, coi suoi riti intesi ad occultare le sgradevoli condizioni sociali e a illudere che sia sempre festa…».7

L’estensore dell’elaborato, Umberto Lucarelli8 che sin da giovane aveva una passione ed un’ambizione: fare lo scrittore,9 tanto da meritarsi il soprannome di il Werther della Barona, si è deciso ed è riuscito dopo anni di rinvii e di oblio involontario, a sbobinare decine di audiocassette con la registrazione dei ‘racconti’ di Primo Moroni.

“Ricordo di aver ritrovato finalmente in cantina le audiocassette con la voce di Moroni, registrate fra la metà e il finire degli anni ottanta del secolo scorso, avvoltolate in un foglio di carta ingiallita con una scritta vergata con la stilografica che dice Intervista a Moroni per Una vita di carta… ascoltare quelle registrazioni è stato faticoso anche se Moroni sembrava vivo vicino a me”.

Nel libro non c’è solo Moroni, non solo i suoi ricordi, e «non si tratta solamente di una biografia» si precisa nella prefazione, «è un libro sulla memoria». E’ vero: c’è tratteggiata gran parte della vita dell’ Ho Chi Min meneghino, come veniva anche chiamato Primo Moroni (altri soprannomi erano, ‘l’autodidatta di grande cultura’ e lo storico del Ticinese) ma ci sono anche le esperienze politiche, intime e personali dell’autore e, senza presunzione, intromissioni e invadenza, la lettura di queste pagine ha fatto riaffiorare anche i miei ricordi, per quei luoghi e di quei periodi. Inoltre, sono, a volte solo ricordati, altre volte vengono tratteggiati, i profili dei tanti uomini e donne che, per ragioni e motivi diversi, hanno popolato le strade, le case, le botteghe e gli spazi culturali di quella parte di Milano. Forse, l’unica dimenticanza che ho colto, naturalmente tra le più significative in ambito artistico-culturale, magari voluta, riguarda Paolo Baratella, pittore che, nel Ticinese, aveva bottega e galleria espositiva. Da alcuni suoi quadri sono state realizzate copertine per la rivista CONTROInformazione.

Così, oltre ai già citati Quasimodo e Vittorini, a cui Primo, in veste di cameriere, serviva pranzo oppure cena ai tavoli delle trattorie gestite da suo padre, attraversavano il quartiere attori come Gian Maria Volontè, ci abitavano letterate come Ada Merini, la poetessa dei Navigli, abituale frequentratrice della «libreria Pontremoli con i suoi libri antichi e costosi». Stazionavano militanti politci come Andrea Bellini (del Collettivo del Casoretto) e Oreste Scalzone (Comitati Comunisti Rivoluzionari). Ancora, tra via Cicco Simonetta, via Marco D’ Oggiono e via Ascanio Sforza vagava il poeta bandito, voce della ligera, Bruno Brancher, autore, tra gli altri, di Disamori e di L’ultimo Picaro10 oltre a vantare di aver conosciuto Martino Zicchitella, appartenente ai Nuclei Armati Proletari, rimasto ucciso durante un’azione armata. «Personaggi particolari di una Milano ai margini, osannati a tratti e poi dimenticati e poi ancora ricordati, si parlava di loro come dei geni, dei cialtroni, dei matti…».
E quanti panini si sono mangiati (autore di queste righe compreso) al bar Rattazzo, quando era ancora in Corso di Porta Ticinese, proprio in parte all’ingresso della redazione della rivista CONTROinformazione.

Come ricorda anche la pubblicazione, in zona Ticinese-Genova, ci sono state numerose sedi politiche, di diverse organizzazioni: dal MS-MLS, agli anarchici; da Lotta Continua ad Avanguardia Operaia, poi Democrazia Proletaria, Rosso, altri vari collettivi di Autonomia Operaia organizzata e anche organismi autonomi meno ortodossi. Alcuni centri sociali autorganizzati ed occupati.
Da un certo periodo della sua vita, dopo aver abitato in ‘centro’ (via Larga) Primo Moroni11 si è trasferito ad abitare, vivere, lavorare, lottare a Porta Cica.

Precedentemente, era stato un militante della Federazione Giovanile Comunista Italiana e del Pci; è un ‘ragazzo con le magliette a strisce’ durante gli scontri di Genova del giugno 1960,12 partecipa alla manifestazione a favore di Cuba del 27 ottobre 1962, quando viene ucciso Giovanni Ardizzone e a quella per la liberazione del comunista spagnolo Juliàn Grimau, cameriere nei ristoranti-trattorie del padre, poi commis, demi-chef. A Cannes si merita la promozione a chef de rang. Ballerino ed investigatore privato, agente librario e direttore editoriale. Sul finire del 1967 abbandona la carriera dirigenziale e, con la liquidazione, apre un club, il “Sì o Sì” che «non era un club politicizzato, ma soltanto largamente democratico, per l’occupazione del tempo libero, aperto dalle nove del mattino alle quattro del mattino successivo».13

Quando intraprende la ‘nuova vita’, oltre ad essere il sovraintendente della Calusca, è anche editore (Primo Maggio14 ), collaboratore di riviste (tra le tante CONTROinformazione, Altreragioni, Millepiani, Il de Martino, DeriveApprodi, Alfabeta, Metroperaio, Solidarietà Militante, 150 ore, Decoder, lo stesso Primo Maggio), autore di ricerche, 15 studi e pubblicazioni organiche,16 scritti vari.17 .

La prima sede della libreria Calusca è stata inaugurata in Corso di Porta Ticinese n.106, angolo Vicolo Calusca, nell’ inverno 1971-1972 poi, nel 1978 si trasferisce al civico 48 (verso via Molino delle Armi) dello stesso Corso. Vi rimane fino all’estate del 1986 quando «chiude a causa dell’esaurimento delle energie soggettive, della sostanziale scomparsa della produzione editoriale legata alla ‘stagione dei movimenti’ e di gravi problemi economici, cagionati anche dalla repressione (la libreria conta sei o settecento arrestati tra la sua clientela più stretta)».18

Nel suo primo periodo, più precisamente tra il 1975 e i primi quattro mesi del 1978, le mie visite alla libreria, sono state abbastanza frequenti. In una sola occasione ho anche incrociato il compagno-avvocato Sergio Spazzali, il genitore dell’autore della prefazione di questo Vicolo Calusca. In quegli anni ero iscritto (più che assiduo frequentatore di corsi e lezioni…) all’Università degli Studi di Milano, facoltà di Lettere, in via Festa del Perdono. Sfruttavo i pochi e piccoli vantaggi del mio stato di studente universitario, in particolare l’abbonamento agevolato alle Ferrovie di Stato. Così, partivo dalla città di provincia (Brescia) e mi dirigevo nella metropoli, capitale morale, in quegli anni anche politica. I miei interessi, però, mi portavano a visitare le varie librerie e depositi librari, piuttosto che seguire seminari ed insegnamenti. In una sorta di percorso obbligato, le tappe erano queste: Centro Libri (un ingrosso non proprio aperto al pubblico ma a cui, grazie ad un amico e compagno, avevo libero accesso) dove acquistai le opere complete di Ernesto Che Guevara ; proseguivo per la Feltrinelli di via Santa Tecla-via Larga per, poi, approdare alla Statale, quasi sempre solo per un’ occhiata alla libreria della Cooperativa Universitaria Editrice Milanese (la casa editrice-libreria del Movimento Studentesco). Una rapida colazione in mensa e via, a piedi, verso via Molino delle Armi e la libreria Sapere. Infine, l’approdo da Primo alla Calusca.

A questo percorso classico, qualche volta aggiungevo una capatina alla Feltrinelli di via Manzoni, alla Ringhiera di viale Padova e alla Libreria Proletaria di via Spallanzani (Buenos Aires). Dall’inverno 1976 ho anche iniziato a frequentare la sede del ‘Consorzio Punti Rossi’19 di via Cicco Simonetta n.11, sempre zona Ticinese, gestito da Renato Varani. Se qualche mese non rinnovavo (causa ristrettezze economiche…) l’abbonamento alla ‘ferrovia’, il sabato pomeriggio, con Lidia, la compagna di una vita, andavo in bottega e sequestravo l’automobile a mio padre: una 1100 bianca, con cambio al volante e le portiere che non erano ancora controvento, antica, ma non nel senso di auto storica, oppure d’epoca, bensì asfittica e sempre in procinto di cedere, esalando l’ultimo respiro. Mio padre, conoscendo le nostre abitudini, ce la faceva trovare sempre con il serbatoio pieno, o quasi. Partivamo dalla ‘Leonessa d’Italia’ e raggiungevamo la città meneghina percorrendo la SS 11, niente autostrada, mancanza fondi. Meglio, preferivamo investire quelli (pochi) che avevamo a disposizioni per acquistare libri, opuscoli e pubblicazioni varie.

Proprio in una di queste occasioni, davanti la seconda sede della Calusca in Corso di Porta Ticinese, risaliti in auto dopo il nostro ‘shopping’ culturale, la 1100 non voleva saperne di ripartire. Con Lidia provvisoriamente al volante, la vettura in direzione S.Eustorgio (leggerissima discesa), spinsi a mano il ferrovecchio finché, ruggendo, riuscì ad accendersi, permettendoci così di riprendere la strada di casa. Alè, spediti (?) verso Brescia senza fermarsi né farla spegnere. Esperienze simili anche in direzione nord-est, quando andavamo dall’editore Giorgio Bertani, a Verona.

Dal maggio 1978 iniziai l’attività lavorativa, abbandonando, anche burocraticamente, l’Università e le visite alla Calusca diventarono molto rare. Solo quando, per motivi professionali transitavo per Milano, oppure ero nelle vicinanze, cercai di concedermi dei ritagli di tempo per tornare ai vecchi amori. Proprio in una di queste occasioni, dopo la riapertura di fine 1987 in piazza Sant’ Eustorgio, andai da Primo. Erano i primi giorni di marzo del 1988. Era mattina, in libreria c’era solo lui e stava ‘sballando’ un bancalino pieno del suo libro: L’Orda d’ Oro. Sulla parete di fondo campeggiava il grande quadro, a semicerchio, di Paolo Baratella: L’Internazionale futura umanità, con in primo piano un soldato dell’Armata Rossa che, pistola in pugno, va all’assalto; sullo sfondo, davanti ad una testa-teschio in decomposizione di Benito Mussolini, Paperon de’ Paperoni legge un libro dalla copertina rossa con sopra impressa la S di dollari, e dal titolo ‘Il Capitale’, ma non è quello di Carlo Marx…
Naturalmente chiesi di acquistarne una copia, Primo me la porse, non senza aver prima scritto un’osservazione: «Marzo ’88. E’ un po’ noioso qua e la, però ci sono quasi tutti i ‘MEGLIO’ di quegli anni», seguita dalla sua firma autografa.

Purtroppo, anche la terza gestione viene interrotta, la libreria chiude di nuovo nel settembre del 1990. Cerca di concretizzare una nuova esperienza di attività libraria all’interno dell’occupazione ‘Acquario’, nel piazzale Stazione di Porta Genova, ma gli sforzi vengono vanificati a causa di un incendio doloso.
Infine, nel febbraio 1992, trasferisce la libreria all’interno del Centro Sociale Occupato Autogestito di via Conchetta 18 e la ribattezza ‘Calusca City Lights’, in onore del poeta-libraio-editore, di origini bresciane, Lawrence Ferlinghetti.
In COX 18 20 ha sede anche l’Archivio Primo Moroni.
La narrazione di Lucarelli non racconta solo il lato politico-militante, di libraio diffusore ed organizzatore21 di cultura dello ‘storico del Ticinese’, ma mette in risalto, come già accennato, anche aspetti e risvolti meno conosciuti, più intimi, direi privati se fossi sicuro di non essere frainteso. Parla di sua moglie, della seconda compagna, delle figlie che ha generato con loro, di qualche amore passionale e relazione ‘clandestina’. Del tentativo di suicidio della prima moglie. Descrive la cattiveria e le botte ricevute da sua madre. Moroni parla anche di altri: dei morti ammazzati da mano poliziotta,22 dei compagni suicidati, di quelli che si sono uccisi indirettamente iniettandosi eroina o altre sostanze, degli esuli e di quelli in galera.. «Degli avventori della sua libreria, un micromondo di individui che passavano di lì per nutrirsi di un’ altra storia».
Ma, Moroni (qui), seduto sulla sua sedia rossa da barbiere,

“non parlava mai di se stesso intimamente, non si apriva mai veramente…Metteva sempre davanti il suo personaggio, parlava della sua storia, di cosa aveva fatto e detto incrociando gli avvenimenti storici, era un gran affabulatore, spaziava, faceva digressioni, riprendeva il tema da cui era partito, inseriva storie su storie”.

Credo in molti,come me, ti ricordino ancora così.
Anche quella mattina del 31 marzo 1998 quando, davanti alla basilica di Sant’ Eustorgio, ai tuoi funerali laici, si sono sparati fuochi d’artificio.
Condividendo le ultime righe della prefazione di Tommaso Spazzali dobbiamo, tutti, consapevolmente e convintamente sapere che «…è la vita delle persone e la loro memoria a far girare la ruota del tempo».


  1. Marco Caccamo, Milano, il dialetto nelle parole, Edizioni Colibrì, Paderno Dugnano-Milano, novembre 2005, pag. 112  

  2. “Milano allora era un bel posto per chi credeva nella rivoluzione”, Rossella Simone, anch’ella frequentatrice del Ticinese  

  3. bettola, osteria di basso rango, nda  

  4. leggera: per il modo di camminare leggero e furtivo; Gadda nell’Adalgisa dice: “La lingèra è la teppa, la malavita: in una sfumatura espressiva piuttosto blanda e scherzosa” , Marco Caccamo, op.cit., pag. 112  

  5. Giancarlo Ascari, Matteo Guarnaccia, Quelli che Milano: Storie, leggende, misteri e varietà. Un viaggio ironico e curioso nello spazio e nel tempo. Luoghi celebri e sconosciuti, personaggi famosi e gente comune, storie incredibili e aneddoti buffi, giochi, canzoni, curiosità, primati, segreti e spigolature, BUR Extra-Rizzoli, Milano, novembre 2010  

  6. A quel omm, che incuntravi de nott in vial Gorizia, là sul Navili, quand i viv dormen, sognen tranquili e per i strad giren quei ch’inn mort – Quell’uomo, che incontravo di notte in viale Gorizia, là sul Naviglio, quando i vivi dormono, sognano tranquilli e per le strade girano quelli che sono morti. Ivan Della Mea, A quell’omm, 1965  

  7. Marco Caccamo, op.cit., pag. 110  

  8. Militante del Collettivo Autonomo Barona, viene arrestato, insieme ad altri, il 18 febbraio 1979. L’accusa, infondata, è di essere responsabile dell’assalto ad un gioielleria, con conseguente morte del titolare, Pier Luigi Torreggiani. Lucarelli, con altri due compagni, sarà scarcerato il 24 febbraio “per assoluta mancanza di indizi” . Purtroppo, in quei ‘Sei giorni troppo lunghi’, subirà pestaggi e torture psico-fisiche che gli cambieranno la vita. Per approfondire si veda: Paolo Bertella Farnetti-Primo Moroni, Collettivo Autonomo Barona: appunti per una storia impossibile, Primo Maggio n. 21, primavera 1984  

  9. Non vendere i tuoi sogni: mai, Tracce, 1987 e Bietti, 2009; Ser Abel va alla guerra, Tranchida, 1991 e Bietti, 2009; Il quaderno di Manuel, Tranchida, 1994; Fossimo fatti d’aria, BFS, 1995; Nulla, BFS, 1999; Pavimento a mattonella, BFS, 2001; Sangiorgio il drago, IBS, 2008; Rivotrill, Bietti, 2011; Commiato, Bietti, 2014  

  10. Disamori, Squilibri Edizioni, Milano, 1977; L’ultimo Picaro, l’uomo delle biciclette gialle, All’Insegna del Pesce D’Oro di Vanni Scheiwiller, Milano, 1991  

  11. Da “Don Lisander” alla Calusca . Autobiografia di Primo Moroni, [raccolta e redatta da Cesare Bermani], in Primo Maggio, Saggi e documenti per una storia di classe, Milano, n. 18, autunno inverno 1982-83 poi Da “Don Lisander” alla “Calusca”. Autobiografia di Primo Moroni, postfazione di Cesare Bermani e profilo biografico a cura dell’Archivio Primo Moroni, Archivio Primo Moroni – CSOA Cox 18-Calusca City Lights – Cox 18 Books, Milano, 2006  

  12. Il Movimento Sociale Italiano, voleva svolgere il proprio congresso a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza. I partiti della sinistra: Pci e Psi, la CGIL, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, i camalli-portuali genovesi, i giovani e la popolazione della città della lanterna, si opposero e ingaggiarono duri scontri di piazza con le forze dell’ordine. Il congresso venne vietato. In molte città d’Italia ci furono proteste, manifestazioni e violenti scontri con carabinieri e polizia. Purtroppo molti morti: solo tra gli antifascisti. Cinque a Reggio Emilia, quattro a Palermo, due a Catania, uno a Licata, centinaia i feriti da armi di polizia  

  13. Da “Don Lisander” alla Calusca, cit.  

  14. Cesare Bermani (a cura di) La rivista Primo Maggio. Saggi e documenti per una storia di classe. (1973-1989), Dvd con la raccolta completa della rivista, DeriveApprodi, Roma, maggio 2010. Un numero speciale della rivista è stato pubblicato nel marzo 2018, per iniziativa della Fondazione Micheletti di Brescia, a vent’anni dalla scomparsa di Primo, ed è a lui dedicato  

  15. John N. Martin, Primo Moroni, La luna sotto casa. Milano tra rivolta esistenziale e movimento politico, Editore ShaKe, Milano, 2007  

  16. Nanni Balestrini, Primo Moroni, L’Orda d’Oro, 1968-1967. La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, Editore SugarCo, Milano, febbraio 1988  

  17. Cà Lusca. Scritti e interventi di Primo Moroni, Archivio Primo Moroni – CSOA Cox 18-Calusca City Lights – Cox 18 Books, Milano, marzo 2001; seconda edizione, riveduta e aumentata. Contiene il dvd del film Malamilano (1977) di Tonino Curagi e Anna Gorio, Milano, marzo 2016  

  18. “E’l Primin l’è on che legg” in Da “Don Lisander” alla Calusca, cit.  

  19. P. Moroni e Bruna Miorelli, Dieci anni all’inferno. Storia dell’altra editoria, in Pasquale Alfieri e Giacomo Mazzone (a cura di), I fiori di Gutenberg. Analisi e prospettive dell’editoria alternativa, marginale, pirata in Italia e Europa, Arcana, Roma, 1979  

  20. Cox 18. Archivio Primo Moroni. Calusca City Lights. Storia di un’autogestione, Edizioni Colibrì, Paderno Dugnano (Mi) marzo 2010  

  21. Primo Moroni e IG Rote Fabrik, Konzeptburo (a cura di), Le Parole e la lotta armata. Storia vissuta e sinistra militante in Italia, Germania e Svizzera. Materiali tratti dal Convegno di Zurigo “Zwischenberichte”, 1997, Shake Edizioni, Milano, 1999  

  22. Francesco Guccini, Libera nos domine, 1978  

]]>
Le mele “marce” https://www.carmillaonline.com/2017/06/14/le-mele-marce/ Tue, 13 Jun 2017 22:02:12 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=38842 di Fiorenzo Angoscini

Giorgio Panizzari, L’albero del peccato, Colibrì edizioni, Paderno Dugnano (Mi), marzo 2017, pp. 208, € 14,00

Quella condotta dall’autore in questa ricostruzione criminologica, economica, sociale e politica sul proletariato marginale ed extralegale, è una ricerca-contributo realizzata dall’interno, in presa diretta ed in prima persona. Per questo è necessario soffermarci sulla biografia di Panizzari e sulla genesi del suo lavoro.

Ragazzo di strada, potenziale ergastolano Giorgio Panizzari nasce e cresce in una delle ‘barriere’ operaie e popolari di Torino. Adolescente durante l’inizio degli anni ’60, quelli del boom economico, della seicento, della lavatrice, della televisione comprata a riscatto [...]]]> di Fiorenzo Angoscini

Giorgio Panizzari, L’albero del peccato, Colibrì edizioni, Paderno Dugnano (Mi), marzo 2017, pp. 208, € 14,00

Quella condotta dall’autore in questa ricostruzione criminologica, economica, sociale e politica sul proletariato marginale ed extralegale, è una ricerca-contributo realizzata dall’interno, in presa diretta ed in prima persona.
Per questo è necessario soffermarci sulla biografia di Panizzari e sulla genesi del suo lavoro.

Ragazzo di strada, potenziale ergastolano
Giorgio Panizzari nasce e cresce in una delle ‘barriere’ operaie e popolari di Torino. Adolescente durante l’inizio degli anni ’60, quelli del boom economico, della seicento, della lavatrice, della televisione comprata a riscatto e che funzionava con l’introduzione delle cento lire, come i jukebox, e quando esauriva la carica di tempo (decine di minuti) le trasmissioni si interrompevano, lo schermo diventava nero e se volevi continuare a ‘goderti’ lo spettacolo, dovevi introdurre nell’apposita fessura altre monete. Il fasullo benessere economico aveva beneficiato anche le fasce a reddito medio-basso della popolazione italiana. Ma non tutta.

Rimanevano esclusi i soliti, gli ultimi in tutti i sensi, i senza lavoro, i nuovi disoccupati, gli emarginati politici e sociali. O anche quelli che non volevano sottomettersi al giogo di un lavoro alienante, ripetitivo e che ritenevano inutile. Nascevano e crescevano le bande irregolari di quartiere (batterie o ‘batere‘)composte prevalentemente da giovani non ancora lavoratori garantiti, non più ‘scolarizzabili’ per loro rifiuto, anarchici nel senso di contrari ad ogni forma di potere costituito, ribelli refrattari ad ogni legge. Piccola malavita che ‘delinque’ per sopravvivere, alcuni dei suoi componenti anche perchè non volevano, e non sopportavano, l’idea di svolgere un lavoro in cattività. Panizzari è uno di questi nuovi proletari emarginati: un teppista di strada.

Compie scippi, furti e rapine. A 15 anni varca per la prima volta le soglie di un istituto punitivo: il carcere minorile Ferrante Aporti. Poi, il reparto di “Osservazione” adiacente alla Casa di Rieducazione e, successivamente, viene ospitato nella Casa Benefica per Giovani Derelitti a Pianezza, nella cintura periferica torinese. Da questa ‘benefica’ istituzione decide di fuggire, così, quando lo riacciuffano, viene classificato come “socialmente pericoloso” ed assegnato,”per motivi di sicurezza”, ad una Casa di Rieducazione: il correzionale di Bosco Marengo (To), il peggiore del nord Italia.

Tra scarcerazioni, evasioni e nuovi arresti, arriva all’età di 17 anni (giugno1967), quando lo arrestano nuovamente, affibbiandogli l’articolo 10: irrecuperabilità sociale. Questo gli evita l’internamento in una Casa di Rieducazione e lo rispediscono al “Ferrante Aporti”. Ma la sua “irascibilità” viene curata con l’invio al Centro di Osservazione Manicomiale delle Carceri “Le Nuove”. Appena compiuti i 18 anni (ottobre 1967) viene arrestato con l’accusa di furto in un deposito di pellicce e rinchiuso proprio a “Le Nuove”.

Nel reclusorio torinese conosce e stringe amicizia con Giuseppe Avattaneo, comandante ‘Caino‘ “ex Partigiano temutissimo da guardie e detenuti…Finita la Resistenza, ‘Caino’ l’aveva continuata per i fatti suoi, andando a scovare alcuni collaborazionisti, gente che aveva torturato Partigiani nella famigerata caserma di via Asti, e li aveva poi ‘giustiziati’ con l’aiuto di qualche altro Partigiano”.1 Dai 15 ai 20 anni, resta libero per non più di due anni.

Nell’aprile del ’69 è tra i protagonisti della prima grande protesta carceraria, quella di Torino-Le Nuove. Dopo la rivolta arrivano i trasferimenti in massa. Panizzari intervalla brevi soste in carceri ‘normali’, per poi essere inviato al Manicomio Criminale di Montelupo Fiorentino (Fi). Esce, ma nel 1970, a 21 anni, si costituisce volontariamente per chiarire che non era il responsabile della rapina e omicidio di un orefice. “E’ innocente, sostiene, e si difende vigorosamente. I giornali però lo hanno trasformato in un mostro. Il duello è impari. Da una parte la memoria di un agiato cuneese, dall’altra la presenza di un teppista, un balordo che comunque deve essere messo in grado di non nuocere. Per quattro anni Panizzari si batte, studia legge, imposta la sua difesa, raccoglie testimoni e testimonianze, accetta di essere sottoposto a test psicologici, sempre con la speranza che la società potrà così convincersi della sua verità. Ma per la società un criminale per di più intelligente è insopportabile, è una dimostrazione di colpevolezza”.2 La condanna è: ergastolo! “…dopo che mi ero volontariamente costituito per costrngermi a ‘confessare’ una rapina e un omicidio che non avevo commessi”.3

In appello e Cassazione la pena viene confermata. Panizzari inizia il suo peregrinare tra le varie carceri del ‘Bel paese’, da nord a sud e viceversa, isole comprese. In carcere incontra Adriano Sofri, Guido Viale, Pio Baldelli (‘vittime’ di manifestazioni di piazza e colpevoli di aver compiuti reati d’opinione), Agrippino Costa (‘liberiamo il compagno Costa, rubava quadri da vero artista‘ ), Fiorentino Conti (responsabile della commissione carceri di Lotta Continua). Ad Augusta (Sr) ‘politicizza’ il cappellano del carcere, Padre Giardina, “…un tipo simpaticissimo che accettava di fischiettare ‘Bandiera Rossa‘ in cambio di un salsicciotto e di un bicchiere di vino”.4

Si rapporta con i primi collettivi carcerari: interni (Le Pantere Rosa) ed esterni (I dannati della terra di LC e con i NAP). A Porto Azzurro ritrova il torinese Martino Zicchitella e conosce il ‘torinese’-immigrato Sante Notarnicola. Quando è in ‘cura’ (1974) presso il Manicomio Criminale di Aversa (Cs) lo raggiunge la triste notizia della morte di due suoi Compagni militanti dei Nuclei Armati Proletari, Luca Mantini e Giuseppe ‘Sergio’ Romeo, uccisi durante il tentativo di esproprio di una banca fiorentina pianificato dall’organizzazione.5

Partecipa a rivolte e tentate evasioni: la più ‘possibile’, comunque fallita, quella di Viterbo (maggio 1975, in pieno sequestro Di Gennaro, magistrato di Cassazione, della direzione generale degli istituti e pena del Ministero di Grazia e Giustizia) insieme ad altri due ‘nappisti’, Martino Zicchitella e Pietro Sofia. Quando, luglio 1977, viene ufficializzato il circuito delle carceri speciali, è già detenuto nell’isola dell’Asinara (Ss) dove era arrivato da Poggioreale (Napoli), in cui era stato appoggiato per il processo ai NAP, che gli frutterà la condanna a 16 anni e quattro mesi di reclusione in più.

Dopo il sequestro Moro (16 marzo 1978) è tra i militanti dei Nap, con i soli Pasquale Abatangelo e Domenico Delli Veneri, che aderiscono alle Brigate Rosse. A distanza di un anno anche quasi tutti gli altri militanti dei Nap entreranno nelle BR. Dopo la Settimana Rossa (19-26 agosto 1978 e 21-23 settembre 1978), il 2 ottobre 1979 iniziò la ‘Battaglia dell’Asinara’, “…una lotta che la stampa e i mezzi d’informazione ignorarono accuratamente ‘per ordini superiori’6 e quando i rapporti si deteriorarono sino, quasi, alla rottura, Giorgio Panizzari venne individuato e ‘nominato’ rappresentate dei detenuti per condurre la trattativa con le autorità. A questo proposito è significativa la versione di Pasquale Abatangelo;7…tentammo un riavvio della trattavia, ottenendo di parlare con il sostituto procuratore di Sassari, che era giunto precipitosamente sull’isola. Giovanni Mossa, così si chiamava il magistrato, fece la mossa di accettare il confronto, a condizione di incontrare un nostro delegato. Mandammo Giorgio Panizzari, che era abituato alle missioni impossibili”.

Ancora, sempre da ‘Correvo pensando ad Anna‘, parlando delle diverse caratteristiche e personalità dei detenuti politici e/o politicizzati, scrive “Non spiccavano intellettualmente come Giorgio Panizzari, che a Palmi sapeva tenere a bada brigatisti saccenti e pieni di boria”.
Panizzari, come riconosciuto dal suo Compagno, prima nei Nap, poi nelle Brigate Rosse, il teppista, emarginato e marginale, sapeva coniugare la ‘pratica con la grammatica’, era in grado di svolgere il ‘lavoro intellettuale e quello manuale’.

Proprio nel carcere calabrese, il ‘balordo’ proveniente dalla barriera torinese, incrocia intellettuali e professorini con cui molti volevano regolare i conti: “Ma si riuscì a non ‘fare nessun conto’, nemmeno nei confronti dell’ineffabile Toni Negri, che di ‘storiacce’ alle spalle-e di conti da regolare-ne aveva parecchie e con molti già a quel tempo”,8 ma non è tenero nemmeno con l’antagonista del professore padovano, Alberto Franceschini (che prediceva a Negri la stessa fine di Horst Mahler, ex militante della Raf che era finito a collaborare con il ministero degli Interni…o che si sarebbe suicidato, incapace di affrontare il duro peso della galera) a quel tempo ‘suo’ Compagno: “A posteriori, verrebbe da dire che l’Oracolo Franceschini parlava anche di sé…” .9

Nel corso del 1981 le Brigate Rosse si scindono in Partito Guerriglia e Partito Comunista Combattente dopo uma battaglia furibonda, feroce, accanita e incanaglita all’interno dello ‘speciale’ di Palmi. Panizzari non aderì a nessuno dei due tronconi. “La mia personale posizione era da tempo quella che fu poi assunta dalla frazione ‘Partito Guerriglia’, ma non ritenevo assolutamente che la reale forza socio-politica e quella politico-militare del gruppo che andò poi sotto quella sigla potesse mai minimamente realizzare le tesi e i programmi politici che aveva fatto propri…Per paradosso furono proprio i compagni della frazione PCC, pur consapevoli delle mie posizioni assai diverse dalle loro, che mi chiesero di rimanere con loro anche da posizioni di minoranza , e che soprattutto non mi fecero mancare-come neppure io a loro-un rapporto di immutata stima e rispetto, anche in presenza della più aspra divergenza politica”.10

Ormai, Panizzari, è un cane sciolto, un senza partito. Come ultimo atto di militanza politica sintetizza le sue posizioni in ‘sei tesi’ (L’albero del peccato in nuce?) che divulga dentro e fuori dal carcere. Poi ritorna nell’alveo del solo personale, inizia una lotta contro il sistema martirizzando il proprio corpo. Nel 1983, mentre era ospitato nel penale di Potenza, si taglia la parte inferiore della lingua che gli provoca l’insensibilità permanente di una sua parte. Tornato a Palmi, per protestare contro le limitazioni della vita sociale cui era sottoposto (come tutti gli altri detenuti), nel novembre del 1984 si cuce la bocca e i genitali.

Proprio per la drammaticità e crudezza di tale iniziativa utilizziamo la sua testimonianza diretta: “Mi procurai un ago per suture chirurgiche e del filo biologico, e una sera mi cucii la bocca con quattro punti poco sopra le labbra; quindi mi cucii la pelle del cazzo alla sommità con altri tre punti. Poi ripresi la mia vita di sempre…mi ero cucito bocca e uccello per sperimentare e verificare una cosa della quale ero convinto: che sarebbe stata la stessa cosa!, che non avrei apprezzato alcuna differenza tra corpo cucito e corpo non cucito…Che la bocca l’avevo cucita in quanto fonte e organo principale della comunicazione linguistica, logico-razionale, e il cazzo quale fonte principe (ma non certo la sola) di una comunicazione del corpo, dei suoi sentire, dei suoi desideri…Questo sostenevo. E certo non solo (e non principalmente) per via della condizione carceraria di Palmi”.11

Nel 1993, dopo 23 anni di carcere continuativo, ottiene la semilibertà e il lavoro in una cooperativa informatica. Nuovamente arrestato con l’accusa di aver compiuto tre rapine in banca nell’area romana, viene assolto in Corte d’Appello, ma la semilibertà revocata non gli viene ‘restituita’, per protesta inizia uno sciopero della fame. Nel 1998 il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, gli concede la grazia parziale, richiesta per lui da altri.

Nel dicembre 2000 è nuovamente arrestato per una rapina alla filiale di Todi (Pg) del Monte dei Paschi di Siena. Attualmente è in semilibertà e torna a ‘pernottare’ nel carcere di Bollate (Mi).
Oltre a “L’albero del peccato” ha scritto “La danza degli aghi” (1986) “…il carcere è fatto per questo , per sorvegliare e punire quello che non è addomesticabile secondo le regole del tempo in cui ci è dato vivere” (Rosella Simone);12 la sua autobiografia, “Libero per interposto ergastolo” (1990), “Il sesso degli angeli. Nel labirinto della sessualità carceraria” (1991): “Dieci storie vere, tra mimetismo, sublimazione e dramma, di ordinaria follia carceraria, con al centro la grave, scabrosa, tormentosa deprivazione sessuo-affettiva dei detenuti. Omosessualità latente, masturbazione, autorepressione, alienazione: lo schizofrenico limbo dei “corpi del reato”, condannati anche e soprattutto a un’impossibile eterosessualità e a un’omosessualità comunque inibita e “vietata”. In appendice, un sondaggio tra i detenuti, e la drammatica vicenda di un carcerato transessuale“. (Centro di Documentazione Studi e Ricerca sulla Cultura Laica Piero Calamandrei).13

La pianta e i ‘frutti’ proibiti
Una prima versione, ridotta e parziale rispetto all’edizione attuale, di “L’albero del peccato” è stata pubblicata nel settembre 1983 a cura del Collettivo Rebelles di Parigi e stampato presso ‘L’ateliers graphiques’ di Bruxelles. La firma dell’autore era: Collettivo Prigionieri Comunisti delle Brigate Rosse. Sostanzialmente la quasi totalità dei militanti BR detenuti nel carcere di Palmi (Rc). Un ‘foglietto volante’, inserito all’interno del libro (sicuramente successivo alla stampa dello stesso, quasi come rettifica, preventiva o tardiva?) spiegava le ragioni, la natura ed indicava i tempi di realizzazione dello scritto. “Questo scritto esce a stampa a tre anni di distanza della sua stesura (che risale al dicembre ’80/gennaio ’81) e per iniziativa del Collettivo Rebelles a causa delle difficoltà frapposte dallo stato italiano alla sua pubblicazione”.

Precisava anche che: “Dal tempo della sua stesura ‘molta acqua è passata sotto i ponti’ sia per il movimento rivoluzionario sia per la controrivoluzione. Il centro dello scontro nel movimento rivoluzionario italiano attualmente si è spostato su temi diversi per molti aspetti da quelli trattati nel libro: la sua pubblicazione in questi mesi potrebbe addirittura essere sentita, a torto, come una presa di posizione del ‘Collettivo Rebelles’ a favore delle correnti ‘soggettiviste’ che si ostinano ancora a porre il proletariato prigioniero come soggetto centrale del movimento rivoluzionario o addirittura a costruire una immagine della società metropolitana a somiglianza di un grande penitenziario…Niente di più estraneo a noi di ciò”.

Da questa quasi presa di distanza dal contenuto del libro, si intuisce come la realizzazione, pubblicazione e diffusione sia stata ‘contrastata’, ed abbia incontrato, probabilmente, forte opposizione politica in campo ‘rivoluzionario’. Come sopra ricordato, nel corso del 1981, le Brigate Rosse si scindono in due tronconi: Partito Guerriglia, i cui principali esponenti e propugnatori sono Renato Curcio e Alberto Franceschini (a questa ‘corrente’, come ricorda Pasquale Abatangelo in “Correvo pensando ad Anna”, aderisce la quasi totalità dei militanti prigionieri); e Partito Comunista Combattente che ha come autorevoli referenti, tra gli altri, Prospero Gallinari, Francesco Piccioni, Bruno Seghetti. Successivamente, alcuni ‘guerriglieri’, Pasquale Abatangelo tra loro, abbandonano la compagine ed aderiscono al PCC.

Tornando alle ‘giustificazioni’ accompagnatorie del Rebelles all’ “Albero”, si concludono così: “Riteniamo utile la sua pubblicazione come strumento per sostenere l’alleanza della classe operaia e dei suoi organismi rivoluzionari con le masse proletarie ‘emarginate’ delle metropoli imperialiste e con i popoli oppressi e sfruttati del Terzo Mondo”.
La struttura della pubblicazione è suddivisa in sei capitoli (tesi) ben definiti e argomentati: I) Le origini e le caratteristiche strutturali del proletariato extralegale; II) Le forme d’organizzazione, di lotta e di coscienza dell’extralegalità; III) Carcere e politica penitenziaria; IV) Carcere e movimento politico del proletariato prigioniero; V) Quattro tesi politiche; VI) Elementi di programma.

Di questo contributo teorico parla anche Pasquale Abatangelo:14Da Palmi era uscito un volume, intitolato ‘L’albero del peccato’, che riuniva i materiali di un lungo lavoro iniziato all’ Asinara (probabilmente si riferisce al cosiddetto “Documentone” e a quello che si considera la sua continuazione ed ampliamento: “L’Ape e il Comunista “ n.d.a.)15nel quale la trasformazione storica dei volti della criminalità veniva proposta come chiave interpretativa del destino del proletariato metropolitano”.

A questi elaborati si affiancano anche altri lavori d’area, intesa come Partito Guerriglia. Oltre al vero e proprio manifesto di fondazione16 il pezzo forte di appoggio è firmato da coloro che vengono considerati i due più autorevoli militanti prigionieri: Renato Curcio ed Alberto Franceschini. Il suo titolo è “Gocce di sole nella città degli spettri” che, dopo una premessa redazionale, una prefazione di Pio Baldelli, ha una pagina titolata ‘Prima di tutto‘ che riporta la citazione di Marx: “…dal tempo di Adamo l’albero del peccato è nello stesso tempo l’albero della conoscenza…17

Pasquale Abatangelo lo definisce “Una ulteriore spinta verso la ‘complessificazione’ del paradigma marxista in direzione di una più attenta considerazione degli elementi sovrastrutturali della lotta di classe18. Uniche voci fuori dal coro, rispetto alla corrente maggioritaria, Andrea Coi, Prospero Gallinari, Francesco Piccioni, Bruno Seghetti delle Brigate Rosse-Partito Comunista Combattente che con Politica e Rivoluzione19 rivolgono “…un’aspra critica, ispirata a un marxismo solido e ‘tradizionale’, delle tesi esposte da Curcio e Franceschini…” (P. Abatangelo, cit.).

L’edizione da poco pubblicata del testo di Panizzari, su iniziativa del Centro Studi Territoriali “Ddisa” di Lentini (Sr) e a cura del Centro d’Iniziativa ‘Luca Rossi’ di Milano che, nella premessa editoriale, ricorda come “una prima versione del libro, corrisponde grossomodo ai capitoli III e IV del presente volume”.
L’autore, nella premessa (redatta nel 2015, due anni prima della stampa effettiva) evidenzia queste caratteristiche relativamente alle sue riflessioni e ricerche, l’ elaborazione “si chiude nel 1989 ma la sua gestazione era durata una decina di anni tra enormi difficoltà…Il testo che segue ha quindi in primo luogo un valore di testimonianza…”. E anche se si ferma alla fine degli anni ottanta mantiene le proprie caratteristiche di interesse e peculiarità, originalità ed attualità. Quindi non un limite, anche se solo temporale, ma l’indicazione di un periodo che abbraccia il ‘peggiore’ decennio che ci sia toccato di attraversare.

Tratteggia, con cognizione di causa, le caratteristiche del ‘crimine’ così come si sono dipanate a partire dalla metà dell’ottocento, le sue modificazioni ed adattamento al mutamento dei tempi, nonché la sua evoluzione. Confronta le varie scuole di pensiero elaborate per contrastare il fenomeno della delinquenza. Dalle più ottuse e retrive fino a quelle ‘illuminate’, contemporanee al “sorgere delle idee socialiste” che ritenevano la delinquenza “…un sottoprodotto delle storture dell’industrializzazione e della degradazione che queste inducevano in alcune classi sociali…e il delinquente era una vittima della società”.

Individua, e segnala, la diversità di ‘classe’ del crimine: “La prostituzione patentata, il furto materiale diretto, il furto con effrazione, l’assassinio e il brigantaggio per le classi inferiori; mentre le abili spoliazioni, il furto indiretto e raffinato, lo sfruttamento sapiente del gregge umano, i tradimenti di alta tattica, le astuzie trascendenti, infine tutti i vizi e tutti i crimini ‘veramente lucrativi’, eleganti, che la legge è troppo ben educata per raggiungere, rimangono il monopolio delle classi superiori”.20
Gli esempi e le considerazioni non riguardano solo il suolo italico, ma abbracciano anche vecchio e nuovo continente.

Così come si ricordano i diversi approcci di criminologi, psicologi e sociologi ‘ante litteram’. Lo svilupparsi del fenomeno di proletariato marginale ed illegale è riconducibile ad alcuni fattori di sovrapproduzione capitalista: le guerre, l’incremento demografico, la disoccupazione, il sottolavoro, quello precario e non garantito (“Modi di produzione della criminalità”). Inoltre “la branca del lavoro extralegale, sotto la pressione dei ‘consumatori senza salario’ negli ultimi venticinque anni si è enormemente dilatata e complessificata”.

Panizzari, nell’analizzare questi mutamenti socio-economico-politici, utilizza gli strumenti classici del marxismo a cui affianca “un affrontamento franco, diretto, rigoroso”. Come direbbe una certa metodologia filologica21 una ricerca effettuata direttamente ‘sul campo’.
Così, maneggia Marx-Engels, Foucault, Marcuse, Lombroso e Beccaria nonché molti altri ‘esperti’, letterati, economisti, e scienziati del crimine. Ma, indirettamente, interpella anche i ‘complici’ di tante scorribande. E, il ‘corpus’ della sua inchiesta è focalizzato sul più debole e vulnerabile del proletariato marginale, quello imprigionato.

I capitoli centrali, non solo tipograficamente, sono dedicati all’individuazione e analisi di come si determinano queste ‘nuove’ figure sociali ed economiche: “Tempi e metodi del lavoro extralegale” (“…extralegale non è extrasociale, non è nemmeno asociale: è prodotto squisitamente sociale”), nonché alla descrizione (non edulcorata) della gran massa di ‘non salariati’ (nel senso classico di chi, lavoratore subalterno, riceve un salario in cambio di una prestazione, perlopiù manuale) incarcerata: “La frazione prigioniera del proletariato extralegale in Italia e i suoi lunghi anni settanta”.

Dopo aver passato in rassegna gli ultimi avvenimenti più politici (rivolte, lotte, tentate evasioni, spaccature ideologiche e divisioni, anche umane, dissociazioni e ‘pentimenti’) l’ultimo paragrafo di questa parte ha il significativo titolo “Ed è ancora mercato”. Che si conclude così: “…il 31 marzo 1988 il ministero della Giustizia informava che i detenuti in stato di detenzione effettiva ammontavano a 36.179, da che nel 1970 erano 35.000! E viene da rammentare i dati rilevati dalla Commissione d’indagine della Presidenza del Consiglio, che nel 1987 individuavano 8,3 milioni di persone povere…Evidentemente, nel corso del ‘secondo miracolo economico’ non tutti i cittadini sono stati miracolati! E nessuna politica penitenziaria, io credo, può surrogare i miracoli”.

All’interno del suo lavoro, Panizzari, delinea anche le caratteristiche particolari delle grandi organizzazioni criminali italiane nell’ambito dell’extralegalità, le“…’tre sorelle’ o, come recita la loro cultura orale, ‘tre cavalieri uniti da un patto di sangue’”: Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra. Così come sottolinea la diversità di pentimento, rispetto ai ‘politici’, degli affiliati a queste ‘multinazionali del crimine’.

L’attuale edizione di “L’albero del peccato” si conclude con l’autore che ricorda tutta una serie di dinamiche e di ‘valori’ propri dell’ extralegale per rimarcare che “Chi è cresciuto nell’etica della strada, nei linguaggi gergali della notte, nei riti dei riformatori e degli interrogatori di polizia può ben dire di aver compiuto una prima liturgia iniziatica per l’appartenenza a pieno titolo a un certo mondo adulto”.


  1. Giorgio Panizzari, Libero per interposto ergastolo. Carcere minorile, riformatorio, manicomomio criminale, carcere speciale: dentro le gabbie della Repubblica, Kaos Edizioni, Milano, gennaio 1990  

  2. Archivio Franca Rame Dario Fo, Soccorso Rosso – 1969. Intervento di Franca Rame alla presentazione del libro di Giorgio Panizzari “La danza degli aghi”, 22.11.1986  

  3. G. Panizzari, Libero per interposto ergastolo, cit.  

  4. G. Panizzari, Libero per interposto ergastolo, cit.  

  5. Vedi https://www.carmillaonline.com/2017/05/17/ribelle-sociale-militante-comunista-senza-perdere-la-tenerezza/  

  6. G: Panizzari, Libero per interposto ergastolo, cit.  

  7. Pasquale Abatangelo, Correvo pensando ad Anna, Edizioni Dea, Firenze, marzo 2017  

  8. G. Panizzari, Libero per interposto ergastolo, cit.  

  9. G. Panizzari, cit.  

  10. G. Panizzari, cit.  

  11. G. Panizzari, cit.  

  12. Giorgio Panizzari, La danza degli aghi, Cooperativa Apache, Roma 1986 ed Edizioni Ddisa, Lentini (Sr) 2015  

  13. Giorgio Panizzari, Il sesso degli angeli. Nel labirinto della sessualità carceraria, Kaos Edizioni, 1991  

  14. P. Abatangelo, Correvo pensando ad Anna, cit.  

  15. Collettivo Prigionieri Comunisti delle Brigate Rosse, L’Ape e il Comunista, Carcere di Palmi 1980, Corrispondenza Internazionale, anno VI , nn. 16/17, Roma, dicembre 1980  

  16. Brigate Rosse-Partito della Guerriglia, Tesi di fondazione del partito, dicembre 1981, in Progetto Memoria, Le parole scritte, Roma, 1996  

  17. R. Curcio e A. Franceschini, Gocce di sole nella città degli spettri, Corrispondenza Internazionale, anno VII, supplemento ai nn. 20/22, Roma, dicembre 1982  

  18. P. Abatangelo, cit. 

  19. A. Coi, P. Gallinari, F. Piccioni, B. Seghetti, Politica e Rivoluzione, Giuseppe Maj Editore, Milano, dicembre 1983  

  20. da “La Phalange”, Parigi, 10 dicembre 1838  

  21. La filologia moderna si articola in due grandi direzioni: da una parte si tende a reperire, ricostruire e interpretare i testi (studio delle testimonianze verbali); e dall’altra a mettere in luce e interpretare fatti di ogni genere che giovino alla comprensione dei testi stessi: studio delle cose  

]]>
Da ribelle sociale a militante comunista, senza perdere la tenerezza https://www.carmillaonline.com/2017/05/17/ribelle-sociale-militante-comunista-senza-perdere-la-tenerezza/ Tue, 16 May 2017 22:02:01 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=38180 di Fiorenzo Angoscini

anna Pasquale Abatangelo, Correvo pensando ad Anna. Una storia degli anni settanta, Edizioni Dea, Firenze 2017, pag. 325, € 16,00

Parafrasando Bertolt Brecht, e forse forzandone un po’ l’interpretazione, risalta evidente come ‘il comunismo sia una cosa semplice, difficile a farsi’,1 considerazione adatta al racconto dell’esperienza di vita di Pasquale Abatangelo che finisce anche col coincidere con la storia della nascita, della breve durata e parabola discendente dei Nuclei Armati Proletari.

La storia di un ‘migrante di ritorno’, i cui nonni [...]]]> di Fiorenzo Angoscini

anna Pasquale Abatangelo, Correvo pensando ad Anna. Una storia degli anni settanta, Edizioni Dea, Firenze 2017, pag. 325, € 16,00

Parafrasando Bertolt Brecht, e forse forzandone un po’ l’interpretazione, risalta evidente come ‘il comunismo sia una cosa semplice, difficile a farsi’,1 considerazione adatta al racconto dell’esperienza di vita di Pasquale Abatangelo che finisce anche col coincidere con la storia della nascita, della breve durata e parabola discendente dei Nuclei Armati Proletari.

La storia di un ‘migrante di ritorno’, i cui nonni erano stati costretti ad espatriare in Grecia dalla miseria dispensata a piene mani dalla monarchia sabauda, mentre i genitori (nati a Patrasso) sono stati tra le innumerevoli vittime di un regime criminale, colonialista ma straccione, con ambizioni imperiali frustrate.
Così, gli italiani di Grecia, gli skylofraghi : ‘cani italiani’, dovettero abbandonare la penisola ellenica, poiché “Vent’anni di politica aggressiva del fascismo, l’occupazione del paese e l’alleanza con i nazisti, non lasciava spazio a molti distinguo…La colpa della patria di origine macchiava ogni uomo e ogni donna di provenienza italiana. A causa del fascismo, questa gente perdette la dignità di cittadino, e ben presto anche le case e ogni bene posseduto”.

E’ impressionante constatare, ancor più nell’Italia immemore di oggi che ricopre di epiteti offensivi gli immigrati, come il disprezzo, la xenofobia e il razzismo nei confronti degli emigranti italiani siano stati comuni anche ad altri paesi occidentali: in Grecia erano ‘cani italiani’, in Belgio, quando i nostri connazionali andavano a farsi ‘gasare’ nelle miniere della Vallonia, sulle vetrine di bar, negozi ed esercizi pubblici, campeggiavano cartelli sui quali c’era scritto: ‘vietato l’ingresso ai cani e agli italiani’. Sempre nello stato artificiale belga, ma anche nella civilissima Svizzera, venivano apostrofati con un offensivo ‘italiani, cìngali’ (zingari). Aggiungendo, in questo caso, la discriminazione razziale a quella etnica .

La famiglia Abatangelo, di origini pugliesi, è così costretta a rientrare in Italia.
Sbarcati a Bari, sono trasferiti a Bologna “su un treno merci utilizzato per il trasporto degli animali…furono alloggiati come bestie nelle stalle per cavalli di una caserma militare…dopo sei mesi di permanenza a Bologna in quelle condizioni, intervenne un nuovo trasferimento…la destinazione risultò Firenze, in una vecchia caserma in disuso adibita a centro profughi”.
La famiglia Abatangelo, composta inizialmente da otto persone, cui si aggiungono Nicola e Pasquale (nati rispettivamente nel 1947 e nel 1950, a Firenze), è costretta a vivere per ben dieci anni (1946-1956) dentro un camerone “in coabitazione con altre sei famiglie, per un totale di una cinquantina di persone”.

Finalmente gli Abatangelo, nel 1956, si trasferiscono “nelle nuove case popolari appositamente costruite per i profughi…erano appartamenti di quarantacinque metri quadrati suddivisi in tre vani, più il bagno…a noi che eravamo in dieci, toccarono due appartamenti sullo stesso pianerottolo, comunicanti attraverso un terrazzino”. Delle vere e proprie ‘case minime’, anche se non più un acquartieramento militare. L’indigenza, costringe nell’estate del 1957 la famiglia italo-greca ad inviare Pasquale in collegio, nella Pia Casa del Lavoro di via Montedomini, dove raggiunge Nicola.

Lo stabile era molto grande e accoglieva, se così si può dire, bambini, ragazzi, giovani adulti, anziani e vecchi piuttosto malandati, spesso ammalati e in punto di morte. In quel triste recipiente coabitavano figli di nessuno provenienti dagli orfanatrofi, figli di gente che viveva in povertà, e rottami alla fine della corsa, abbandonati semplicemente a se stessi. Insomma, tutti scarti”. Anticamera del carcere per i giovani, del cimitero per gli anziani. Questa la drammatica, impotente ma realistica testimonianza dell’autore che, in tale ‘limbo terreno’, ci rimane fino al conseguimento della licenza media, ormai quasi sedicenne.

E, non ancora sedicenne, Pasquale, subisce il primo arresto (insieme a Nicola e un cugino) con detenzione in carcere minorile. L’arresto, che ritiene ingiusto, immotivato, conseguenza di verbali manipolati, lo convince sempre più che non vuole inserirsi ‘nel ciclo della fatica e della disciplina sociale’.
In mezzo a tutti questi repentini sconvolgimenti incontra Anna, il suo amore. E racconta lo svolgersi del loro complesso e complicato (fughe, arresti, evasioni, latitanza, militanza politica, carceri speciali con rivolte, pestaggi, isolamento, mancati colloqui dopo giorni di viaggio e chilometri percorsi, oppure solo attraverso un citofono, separati, lei e spesso anche i bambini, da un muro di vetro), ma solido rapporto, che ha attraversato quasi mezzo secolo. Descrive i loro sentimenti, gli affetti, la rabbia e il dolore.

Fuori dai confini del recinto perbenista compie i primi furti e rapine, a beneficio ed ‘uso personale’. Arrestato, incontra in carcere un militante della sinistra rivoluzionaria, Luca Mantini, esponente fiorentino di Lotta Continua, che lo ‘aiuta’ ad andare ancora oltre, a coniugare la ribellione con la lotta e condividere gli ideali autentici di solidarietà, uguaglianza e giustizia.

Con Mantini che, abbandonata LC costituisce il Comitato George Jackson, organizzando iniziative di sostegno ai carcerati, inizia ad individuare come ‘complice’ quella consistente parte di proletariato marginale che popola le galere e che ha promosso e sviluppato il movimento di lotta nelle carceri di fine anni sessanta, inizio settanta, nel quale affondano le proprie radici e prendono le mosse i Nuclei Armati Proletari. Proprio in un periodo in cui anche soggetti diversi dagli extra-legali, iniziano a conoscere personalmente la durezza del carcere, conseguenza del ciclo di lotte del ’68-’69. Studenti, operai, insegnanti varcano i cancelli dei vari penitenziari a seguito di scontri con la polizia durante manifestazioni di piazza, occupazioni di scuole ed università, azioni di antifascismo militante e solidarietà internazionalista.

anna1 Molte organizzazioni della sinistra extraparlamentare costituiscono sezioni specifiche che si occupano della questione carceraria. La più attiva e conosciuta è senz’altro quella di LC, che dedica sulla sua stampa periodica una rubrica fissa: ‘I dannati della terra’ . Nel giugno 1972 pubblica un libro, Liberare tutti i dannati della terra, che “raccoglie documenti, lettere, cronache scritte da detenuti che hanno mantenuto un collegamento politico costante con i nuclei esterni di intervento nelle carceri di Lotta Continua”. Un anno più tardi diffonde Ci siamo presi la libertà di lottare. Il movimento di massa dei detenuti da gennaio a settembre ‘73.2

Sempre in quegli inizi di anni settanta, riferendoci solo ad autori italiani, sono pubblicati lavori specifici e mirati, realizzati da un giornalista autore indipendente, da un sociologo ex carcerato ed ex fascista3 ‘riconvertito’ in carcere alla militanza di sinistra e da una militante politica attiva. L’ “Inchiesta sulle carceri” di Emilio Sanna, trasposizione scritta di una trasmissione televisiva, Dentro il carcere, sul sistema carcerario italiano, trasmessa in tre puntate dal secondo canale Rai4 . Giulio Salierno, con Aldo Ricci, realizza poi un’inchiesta sulle carceri italiane, riconosciuta come punto di riferimento nella sociologia della pena in Italia5 . Il solo Salierno realizza infine uno studio sul sottoproletariato “per un approccio politico e metodologico al problema dell’alleanza tra classe operaia e ‘Lumpenproletariat’” e si premura di specificare: “Questo lavoro non è e non vuole avere alcuna pretesa esaustiva, né rappresentare un’ analisi conclusiva sul problema del sottoproletariato-la cui stessa definizione è tutta da valutare e verificare-ma semplicemente costituire un apporto , uno stimolo, un contributo alla discussione e allo studio dello stesso”.6

Chiudiamo questa finestra editoriale con la ricerca di Irene Invernizzi, Il carcere come scuola di rivoluzione, significativamente dedicata ‘Ai martiri di Attica’,7 che precisa: “Se l’organizzazione e la stesura di questo libro sono mie, la sua elaborazione è frutto del lavoro collettivo di un gruppo di militanti di Lotta Continua che, a partire dalla primavera 1971, si sono posti il problema del carcere come oggetto d’intervento politico, e naturalmente di molti detenuti coi quali siamo entrati in contatto”. 8

anna 2 Abatangelo, entrato in galera ‘delinquente’, ne esce con una coscienza politica grazie al movimento che si è sviluppato dentro ed intorno ad essa. Ed è così che nell’estate del 1974 decide, insieme ad alcuni compagni fiorentini del ‘George Jackson’ di aderire ai NAP. Un’organizzazione ancora embrionale ma già presente a Napoli e Roma. Al 2 ottobre data la prima azione pubblica dei neo costituiti ‘Nuclei’: un’automobile, munita di altoparlante, diffonde un audio-messaggio davanti, rispettivamente, le carceri di Napoli, Milano e Roma-Rebibbia. Al termine della registrazione le automobili si distruggono esplodendo. Qualche giorno dopo si tenta la stessa azione alle Murate di Firenze. Per un guasto tecnico non va a buon fine.

Ma è il 29 ottobre che si registra il vero e proprio ‘battesimo del fuoco’. Per reperire il denaro necessario ad acquistare una grossa partita di armi si decide di praticare un ‘esproprio proletario’ ad una banca. Vari motivi e situazioni imprevedibili costringono i nappisti a dirottare l’azione su un istituto di credito diverso da quello individuato e studiato. La scelta cade sulla Cassa di Risparmio di Firenze, agenzia di Piazza Leon Battista Alberti, conosciuta proprio da Pasquale Abatangelo perché rapinata qualche anno prima.

Nel suo libro, Abatangelo, si sofferma sul tragico epilogo del tentato esproprio: “La rapina di Piazza Alberti e la morte di Luca Mantini e di Sergio Romeo destarono una enorme sensazione tra l’opinione pubblica e nel movimento rivoluzionario. Erano i primi morti della guerriglia italiana dopo Giangiacomo Feltrinelli, e la dinamica dei fatti indusse molti ad ipotizzare un agguato dei carabinieri nei nostri confronti. Ma è chiaro che non si verificò niente del genere. La verità è che molto dipese dal caso e dalla nostra cocciutaggine…Ma bisogna avere il coraggio di riconoscere gli errori e di guardare in faccia le cose. Peccammo di frettolosità sia nella riunione plenaria, sia sul terreno di azione. La partita di armi era sicuramente importante, ma non abbastanza da autorizzare una rapina priva di inchiesta seria ed approfondita…E non cademmo in un agguato”.

Rosso, giornale dentro il movimento, nel suo speciale ‘Contro la repressione’, del marzo-aprile 75, aveva dedicato una ricostruzione (pagg. 68-73) ricca di fotografie, disegni, schizzi ed ipotesi ‘fantasiose’ forzando molto anche il titolo: “L’agguato di Firenze”. Adesso, Pasquale Abatangelo, sgombra il campo da equivoci ed immaginazioni, ristabilendo una volta per tutte la verità dei fatti.

anna 3 I NAP sono stati un’organizzazione armata originale e particolare, una miscela interessante di militanti politici ed ex ‘delinquenti’-proletari prigionieri-emarginati, con due (principalmente) centri logistico-operativi: quello di Firenze, al centro nord, e quello di Napoli, al sud. La durata della loro attività, relativamente breve, inizia nell’ottobre ’74 e termina, approssimativamente, nel luglio ’77 con l’uccisione di Antonino Lo Muscio a Roma, ex proletario prigioniero e figlio di una famiglia comunista del Pci. La loro azione politico-militare è costellata, come testimonia e chiarisce Abatangelo, da volontarismo, pressapochismo, improvvisazione e disorganizzazione. Ciò è confermato dalle numerose azioni fallite, oppure finite tragicamente, nonché l’elevato tributo di sangue in termini di vite umane sacrificate: Luca e Annamaria Mantini, Sergio Romeo, Giovanni Taras, Martino Zicchitella,9 Vito Principe, Tonino Lo Muscio, Alberto Buonoconto .

Pasquale Abatangelo ha sperimentato, suo malgrado, tutti i vari gradi di reclusione: dal collegio al super carcere con contorno di articolo 90 e ‘braccetti della morte’. In prigione, dove è rimasto rinchiuso continuativamente per più di 20 anni, è diventato comunista, ha patito il dolore delle separazioni politiche dai suoi compagni.

Sarà tra i tre militanti dei NAP, che considerata esaurita l’esperienza nappista, aderiranno inizialmente alle Brigate Rosse: oltre a lui, Domenico Delli Veneri e Giorgio Panizzari. Poi, anche altri militanti, attueranno la stessa scelta. In carcere ha studiato. Testi ideologici e di teoria politica, ma anche letteratura e poesia. Ha maturato la capacità critica e la più difficile pratica dell’autocritica. Quando le BR si ‘spaccano’, come quasi tutti i militanti detenuti (tranne poche eccezioni: Gallinari, Piccioni, Seghetti e alcuni altri del Partito Comunista Combattente) aderisce al Partito Guerriglia, ma è in grado di capire, dopo alcune azioni ed iniziative ‘esagerate’ compiute dai suoi compagni di ‘corrente’, che “il partito della guerra sociale totale” non fa per lui : “… il caso di Giorgio Soldati, ucciso a Cuneo nel dicembre del 1981, e quello di Ennio Di Rocco, strangolato a Trani nel luglio del 1982, erano roba nostra, e sembravano fatti apposta per generare dubbi e repulsione tra gli stessi fautori del rigore rivoluzionario… 10 Quanto ai deboli, le punizioni erano un dovere, avevo condannato tante volte, ma volevo continuare a giudicare con equilibrio, e anche con quello spicchio di umanità…E poi un avvenimento incredibile, il 21 ottobre a Torino venne eseguita una rapina in banca, nel corso della quale il nucleo operativo del Partito Guerriglia uccise a freddo due agenti della Mondialpol in servizio di guardia alla filiale, al solo scopo di dare risalto a un comunicato in cui si accusava infondatamente di tradimento Natalia Ligas…i nuovi metodi della ‘comunicazione sociale trasgressiva’…Cosa c’entrava tutto questo con l’obbrobrio di Torino?11

Abatangelo, quando necessario, ha saputo essere duro, ma non ha mai perso la tenerezza. ‘Proletario semplice’, in carcere ha incontrato i comunisti ed ha abbracciato il comunismo, si è ‘alfabetizzato’ teoricamente ed ideologicamente, ma non ha mai sopportato i “preti rossi e i professorini saccenti”. Con un’istantanea nitida, non mossa, e senza bisogno di didascalia, individua con precisione le ‘mosche cocchiere’ o, se preferite, i ‘grilli parlanti’ di una certa intellighenzia presuntuosa: i sofistici teorici. “Ma le ’moltitudini’ e l’ ‘impero’ erano parole troppo fragili e acquose per sostenere l’urto della risposta del potere”. Per contro, ha espresso affetto, stima umana e politica nei confronti del comunista di Reggio Emilia: Prospero Gallinari, ed ha apprezzato “la sua umanità, la sua umiltà, e soprattutto lo spessore della sua incrollabile identità comunista”.

anna 5 Nelle ultime pagine della sua testimonianza ricorda chi gli è sempre stato vicino, i ‘complici’ dei primi furti e rapine, i componenti delle bande di ‘malavitosi’ che già combattevano il potere costituito ed arrogante. Ci sono ‘i dannati della terra’, i primi compagni che ha incontrato, quelli con cui ha iniziato a pensare come distruggere il mostro, con i quali ha costituito i NAP. E ci sono anche i compagni con cui ha condiviso la militanza nelle Brigate Rosse, dalle ‘prime’, monolitiche ed autorevoli, ai mille rivoli in cui si sono divise e dissolte. C’è il ricordo dei ‘suoi’ morti. Ancora una volta senza separare il rapporto politico da quello personale. Soprattutto c’è l’attaccamento e l’amore, oltre che per i figli, per le sue donne, Anna “che c’è sempre stata e che ha cresciuto i nostri figli” e per sua madre, “la profuga greca che ci ha partorito nella caserma di via della Scala”. E in questa definizione non c’è razzismo linguistico, né differenziazione, distacco o superiorità, bensì il riconoscimento delle maggiori umiliazioni e discriminazioni subite proprio per la sua condizione di ‘migrante di ritorno’. La propria forza e dignità.

NAP: bibliografia essenziale
Per la storia politica dei Nap: origini, sviluppo, attività e processi, sono molto interessanti e ben documentate due pubblicazioni, entrambe riconducibili alla rivista CONTROinformazione. La prima, anche in termini cronologici (anno 1976) di pubblicazione, realizzata dalla redazione della rivista (il contributo maggiore è stato fornito da uno dei componenti, Ermanno Gallo) si intitola semplicemente NUCLEI ARMATI PROLETARI, Quaderno n. 1 di CONTROinformazione. Nella prima parte si mettono a confronto le opinioni (Marxismo e marginalità) diverse e divergenti dei principali ideologi marxisti-leninisti, da Marx ed Engels che stigmatizzano e disprezzano politicamente “Il sottoproletariato, un’accozzaglia di istinti senza storia”, al possibilista Lenin “Il sottoproletariato, un possibile soldato della insurrezione proletaria”, fino al pragmatico-realista Mao Tse Tung “Il sottoproletariato, una componente di classe che esige una rigorosa direzione strategica”, per arrivare agli studiosi moderni del sottoproletariato: Frantz Fanon de I dannati della terra 12 e George Jackson13 e dello ‘Schiavo nero: una bomba innescata contro il fascismo imperialista’. La seconda parte contempla l’ ‘Intervista ai compagni dei Nap’, la cronistoria dell’attività, le azioni, le morti, gli arresti, le biografie di alcuni militanti ‘caduti’. Il ‘quaderno’ si conclude con la proposizione del ‘Comunicato N° 1 nel processo ai NAP iniziato a Napoli il 22 novembre 1976’. L’Unità, nella sua edizione del 30 maggio 1977 (pag. 3) gli ‘dedicò’ una velenosa recensione a firma Duccio Trombadori: “L’arsenale ‘teorico’ dei NAP”, con un occhiello esagerato: ‘Dietro le imprese criminali che hanno colpito il nostro paese’, ed un sommario improbabile, ma di stupefacente fantasia: “Una delirante prospettiva che affida ruoli di avanguardia rivoluzionaria a figure sociali di emarginati, di ‘non garantiti’, di detenuti – Il carcere come luogo privilegiato di formazione e di lotta per ‘portare l’attacco al cuore dello stato’ – I punti di contatto con l’area dell’ ‘autonomia’“. L’altra pubblicazione, edita come supplemento della rivista, è un giornale formato lenzuolo che titola “Sud, proletari in rivolta. Facciamo diventare il processo ai compagni dei N.A.P. base di partenza di un dibattito sulla lotta armata”, realizzato in concomitanza con l’apertura del processo di Napoli.

Così come il ciclo di lotte dentro/contro il carcere di inizio anni settanta aveva stimolato la strutturazione di apposite commissioni in seno alla sinistra ‘estrema’, con conseguente produzione di opuscoli, libri, rubriche giornalistiche attinenti la situazione carceraria; gli arresti di massa conseguenti allo svilupparsi e radicarsi di organizzazioni combattenti verso la metà degli stessi anni, e l’istituzione delle carceri speciali, hanno determinato la realizzazione e diffusione di numerosi ciclostilati, bollettini, riviste, numeri monografici contro l’istituzione totale per antonomasia. Ne ricordiamo alcune. Già nell’estate del 1975 a Milano viene dato alle stampe un bollettino con periodicità incostante: ‘Solidarietà Militante’. Informazioni del Comitato Internazionale di Difesa dei Detenuti Politici in Europa. Nell’inverno 1976 iniziano le pubblicazioni ‘Carcere Informazione’- a cura del Centro di Documentazione di Pistoia fino al n. 16; i nn. 17 e 18 appaiono come supplemento a Stampa Alternativa, così come il n. 19-20 (feb.-mar. ’79) in coedizione con ‘Senza Galere’- nonché ‘Carcere Oggi…e per conoscenza al Ministro di Grazia e Giustizia’ del Soccorso Rosso Milanese. A Livorno, il Collettivo Anarchico ‘Niente più sbarre’ edita il ciclostilato omonimo che, nell’ ultimo numero rintracciato (gennaio 1979) si trasforma in Bollettino del collettivo Anarchico di Livorno. A Torino, il comitato ‘Controsbarre’ diffonde il ‘Bollettino di informazione carceraria’, che poi (nov.-dic. 1977) pubblicherà ‘chiamiamo comunista…una società Senza Galere’, giornale del proletariato comunista detenuto. Numero monografico è ‘Carcere e lotta di classe’, del maggio 1976, ciclostilato in collaborazione tra la sezione torinese del Comitato Internazionale Difesa Detenuti Politici in Europa, Soccorso Rosso Milanese e ‘Solidarietà Militante’ di Trento. Ultimi due riferimenti: nel novembre 1976, a cura del Soccorso Rosso Milanese, viene stampato, per le Edizioni Ghisoni, “non bastano le galere per tenerci chiusi…” e, nell’ottobre 1978, Speciale Asinara. La settimana rossa. 19-26 agosto, 21-23 settembre 1978, Edizioni Anarchismo, Catania. Agli inizi degli anni ottanta iniziano, a Milano, le pubblicazioni de “Il Bollettino” del Coordinamento dei Comitati contro la Repressione.

I NAP. Storia politica dei Nuclei Armati Proletari e requisitoria del Tribunale di Napoli, a cura del Soccorso Rosso Napoletano, Collettivo Editoriale Libri Rossi, Milano, 1976
CHI PROCESSA CHI! Non si può processare la rivoluzione, Collettivo di Controinformazione Napoletano, Napoli, s.i.d.
Criminalizzazione e lotta armata, Quaderni d’informazione politica 1, Collettivo Editoriale Libri Rossi, Milano, s.i.d.
Processo allo stato, Quaderni d’informazione politica 2. Collettivo Editoriale Libri Rossi, Milano, 1977
Processo alla rivoluzione. La parola ai NAP, Quaderni d’informazione politica 3, Collettivo Editoriale Libri Rossi, Milano, 1978
Alessandro Silj, “Mai più senza fucile!”, Alle origini dei NAP e delle BR, Vallecchi, Firenze, 1977
Franca Rame, Non parlarmi degli archi, parlami delle tue galere, Alberto Buonoconto 7.8.1953/20.12.1980, F.R. Edizioni, Milano, 1984
Rossella Ferrigno, Nuclei Armati Proletari. Carceri, protesta, lotta armata, La Città del Sole, Napoli, 2008
Roberto Silvi, La memoria e l’oblio, Colibrì edizioni, Milano, 2009
Valerio Lucarelli, Vorrei che il futuro fosse oggi. Nuclei Armati Proletari. Ribellione, rivolta e lotta armata, Ancora del Mediterraneo, s.i.l., 2010


  1. Bertolt Brecht, “Lode del comunismo” (1933) in “Poesie e canzoni”, Einaudi, Torino, 1975  

  2. a cura della Commissione carceri di Lotta Continua, Edizioni Lotta Continua, novembre 1973  

  3. Giulio Salierno, Autobiografia di un picchiatore fascista, Einaudi,Torino, 1976  

  4. Emilio Sanna, Inchiesta sulle carceri, De Donato, Bari, luglio 1970  

  5. Aldo Ricci, Giulio Salierno, Il carcere in Italia, Einaudi, Torino, 1971  

  6. Giulio Salierno, Il sottoproletariato in Italia. Per un approccio politico e metodologico al problema dell’alleanza tra classe operaia e ‘Lumpenproletariat’, Edizioni Samonà e Savelli, Roma, 1972  

  7. Carcere dello Stato di New York dove a seguito dell’assassinio, avvenuto il 21 agosto nel carcere di San Quintino, di George Jackson militante del Black Panther Party, il 9 settembre 1971 scoppiò una rivolta che fu per sedata con l’intervento di 500 militi delle varie polizie USA, che causarono 40 vittime e 200 feriti. Mentre molti dei rivoltosi sopravvissuti vennero picchiati e torturati  

  8. Irene Invernizzi, Il carcere come scuola di rivoluzione, Einaudi, Torino, 1973  

  9. Memoriale redatto da Martino Zicchitella, Anarchismo, Anno II- n. 10/11, Edizioni La Fiaccola, 1976  

  10. Soldati e Di Rocco, torturati selvaggiamente avevano ‘parlato’ ma poi ritrattato. Erano in ‘sezione’ con i non pentiti, né dissociati, nda  

  11. Sulla costituzione del Partito Guerriglia, sul suo manifesto di fondazione, sugli altri elaborati prodotti in carcere: ‘Il documentone’, ‘L’ape e il comunista’, ’Forzare l’orizzonte’, ‘La volpe e l’uva’, ‘Gocce di sole nella città degli spettri’, ‘Wkhy’, ‘Politica e rivoluzione’, torneremo più diffusamente nel prossimo articolo, quello che prende le mosse dalla riproposizione, ampliata e riveduta da Giorgio Panizzari, di ‘L’albero del peccato’  

  12. Franzt Fanon, I dannati della terra, Einaudi, Torino, 1962  

  13. I fratelli di Soledad. Lettere dal carcere di George Jackson, Einaudi, Torino, 1971; G. Jackson, Col sangue agli occhi. Il ‘fascismo americano’ e altri scritti, Einaudi, Torino, 1972. Il libro porta questa significativa dedica: “Ai giovani comunisti. Ai loro padri. D’ora in poi criticheremo l’ingiustizia con le armi”  

]]>