Marte – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 02 May 2024 00:30:26 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.25 Le cronache marxiane di Bogdanov https://www.carmillaonline.com/2021/04/26/le-cronache-marxiane-di-bogdanov/ Sun, 25 Apr 2021 22:01:04 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=65999 di Walter Catalano

Aleksadr Bogdanov, Su Marte ! : L’opera narrativa completa, Agenzia Alcatraz, pp. 376, €. 16,00.

Aleksandr Aleksandrovič Malinovskij, detto Bogdanov (1873 –1928), non è certo noto solo come scrittore di fantascienza. Medico, autore ancora in gioventù, del Breve compendio di scienza economica, un manuale economico indirizzato agli operai; successivamente primo traduttore in russo de Il Capitale di Marx, sviluppa, tra il 1903 e il 1906, una revisione del marxismo che definisce empiriomonismo intesa ad applicare alle scienze sociali i principi dell’empiriocriticismo di Ernst [...]]]> di Walter Catalano

Aleksadr Bogdanov, Su Marte ! : L’opera narrativa completa, Agenzia Alcatraz, pp. 376, €. 16,00.

Aleksandr Aleksandrovič Malinovskij, detto Bogdanov (1873 –1928), non è certo noto solo come scrittore di fantascienza. Medico, autore ancora in gioventù, del Breve compendio di scienza economica, un manuale economico indirizzato agli operai; successivamente primo traduttore in russo de Il Capitale di Marx, sviluppa, tra il 1903 e il 1906, una revisione del marxismo che definisce empiriomonismo intesa ad applicare alle scienze sociali i principi dell’empiriocriticismo di Ernst Mach e Richard Avenarius – e in parte dello studioso del linguaggio Philippe Noirè – che consideravano quanto prescinde dalla percezione umana come non verificabile e quindi estraneo al campo scientifico. Un tentativo di conciliare il marxismo con la fisica e l’epistemologia europea. In sostanza Bogdanov, passando attraverso l’idea della contrapposizione tra cultura borghese e cultura proletaria, cerca di elaborare un sapere di tipo monistico, che riassuma in sé l’esperienza organizzativa dell’umanità, sistematizzandola in modo scientifico. Non è sufficiente quindi trasferire i mezzi di produzione nelle mani della classe operaia: si deve prima investire sulla formazione intellettuale dei lavoratori.

Nel 1904 Bogdanov è in Svizzera, dove incontra per la prima volta Lenin e si schiera con lui contro i menscevichi avviando il primo organo di stampa bolscevico, che esce il 4 gennaio 1905 con il titolo “Vperëd” (L’Avanti) -pubblicato a Genova con finanziamento offerto da Maksim Gor’kij – a cui segue più tardi “Proletarij” (Il Proletario).

Al III congresso del Partito, che si tiene a Londra dal 25 aprile al 10 maggio 1905, Bogdanov viene eletto membro del Comitato Centrale e nominato responsabile principale del settore letterario in Russia. Nel 1905 per la polizia zarista Bogdanov e Lenin sono i due rivoluzionari russi più pericolosi: uno dalla Russia e l’altro dalla Svizzera, guidano la neonata frazione dei bolscevichi durante la rivoluzione del 1905. Bogdanov sarà rappresentante del primo Soviet dei deputati e degli operai a San Pietroburgo e, con Leonid Krasin, organizzerà i primi gruppi tecnico-militari del Partito.

Dal 1907 però entrerà in forte conflitto con Lenin. Le loro divergenze, dal punto di vista dell’azione politica, prendono origine dal diverso atteggiamento assunto verso la partecipazione alle elezioni per la III Duma. Lenin, ora in accordo con i menscevichi, sosteneva l’utilità della presenza dei deputati socialdemocratici, Bogdanov invece, con l’appoggio di Lunačarskij e Aleksinskij, riteneva necessaria la continuazione dell’attività rivoluzionaria boicottando le elezioni. A suo avviso la Duma rappresentava l’espressione di un regime pseudocostituzionale che avrebbe bloccato ogni possibilità di sviluppo dell’azione rivoluzionaria. Bogdanov all’epoca, era molto più conosciuto di Lenin tra gli operai, avendo partecipato direttamente alla rivoluzione del 1905 mentre Lenin era rientrato in Russia solo nel novembre di quell’anno: le sue posizioni trovano quindi un più vasto seguito tra gli operai che si astengono in massa dalle elezioni.

I seguaci di Bogdanov costituiscono l’ala sinistra della frazione bolscevica, sostenendo una concezione del marxismo diversa da quella di Lenin e ‘antiautoritaria‘, ad esempio nella diversa concezione del ruolo guida degli intellettuali. Lenin propone una struttura di partito fortemente centralizzata nella quale ammettere solo rivoluzionari di professione, un’avanguardia intellettuale capace di organizzare e guidare il movimento operaio opposta allo spontaneismo della base proletaria; Bogdanov, al contrario, partendo dall’analisi delle cause che hanno portato al fallimento della rivoluzione e della incapacità delle organizzazioni locali di strutturarsi autonomamente, ritiene che il proletariato debba creare una propria intelligencija, reclutata tra gli stessi operai. Gli intellettuali di origine borghese dovranno fare da ponte tra la vecchia cultura e la nuova: in questo senso l’autoritarismo dei capi resta una caratteristica borghese che deve essere eliminata. Per una reale emancipazione della classe operaia si deve sviluppare una cultura autonoma del proletariato attraverso l’apertura di scuole di partito.

Nell’aprile 1908 Bogdanov, Lunačarskij, Bazarov e Pokrovskij, si riuniscono a Capri su invito di Gor’kij, che organizza un incontro con Lenin per tentare di riconciliarlo con i bolscevichi di sinistra evitando il pericolo una nuova scissione. Le posizioni dei due gruppi si mostrano, però, inconciliabili e il terreno di scontro si sposta, a partire da quel momento, dal piano pratico-tattico a quello filosofico-teorico. Le tesi di Bogdanov saranno confutate da Lenin nel suo pamphlet Materialismo ed empiriocriticismo. Osservazioni critiche su una filosofia reazionaria del 1909 in cui Lenin accusa l’avversario di eresia, definendola “bogdanovismo” e sostenendo la superiorità del progetto rivoluzionario rispetto a qualsiasi altro: l’edificazione di una nuova cultura proletaria è dunque un punto di arrivo e non un presupposto ex ante come nella visione di Bogdanov. L’empiriomonismo, che Lenin considera estraneo alla concezione marxista, viene equiparato alla “costruzione di Dio” (bogostrojtel’stvo), condivisa da Gor’kij e Lunačarskij, che vedono nel socialismo una sorta di religione laica, dottrina in realtà profondamente criticata da Bogdanov che partiva invece da un’idea del socialismo coerentemente razionalistica e che non intendeva allontanarsi dal marxismo, pur dandone un’interpretazione diversa da quella di Plechanov e di Lenin, soprattutto dal punto di vista della prassi rivoluzionaria.

L’attualità del loro dibattito in senso filosofico è confermata dal fatto che recentemente anche Carlo Rovelli nel suo ultimo libro Helgoland (Adelphi, 2020), dedichi tutto il capitolo 5 alla disputa tra Lenin e Bogdanov, vista come dialettica fra idealismo e materialismo: la sua simpatia va a Bogdanov le cui idee, secondo il fisico, anticipano approcci e intuizioni della teoria della relatività di Einstein e della fisica dei quanti. Così Rovelli: “Se esistono solo «sensazioni», argomenta Lenin, allora non esiste una realtà esterna, vivo in un mondo solipsistico dove ci sono solo io con le mie sensazioni. Assumo me stesso, il soggetto, come unica realtà. L’idealismo è per Lenin la manifestazione ideologica della borghesia, il nemico. All’idealismo Lenin oppone un materialismo che vede l’essere umano, la sua coscienza, lo spirito, come aspetti di un mondo concreto, oggettivo, conoscibile, fatto soltanto di materia in moto nello spazio.” […] Bogdanov rimprovera Lenin di fare della «materia» una categoria assoluta e astorica, «metafisica» nel senso di Mach. Gli rimprovera soprattutto di dimenticare la lezione di Engels e Marx: la storia è processo, la conoscenza è processo. La conoscenza scientifica cresce, scrive Bogdanov, e la nozione di materia propria della scienza del nostro tempo potrebbe rivelarsi solo una tappa intermedia nel cammino della conoscenza. La realtà potrebbe essere più complessa dell’ingenuo materialismo della fisica settecentesca. Parole profetiche: pochi anni dopo Werner Heisenberg apre le porte al livello quantistico della realtà” (Carlo Rovelli – Helgoland).

Alla fine però vince Lenin: il 18 dicembre 1909 l’esperienza della “Scuola di Capri” promossa da Bogdanov, Gor’kij e Lunačarskij, e che vide sull’isola l’intelligencija bolscevica al lavoro con operai rivoluzionari provenienti dalla Russia, si chiude definitivamente. Bogdanov viene espulso dalla corrente bolscevica, ma continuerà a sviluppare le sue idee all’interno del Proletkult, organismo indipendente dal partito bolscevico fondato nel 1917 e promotore di corsi e seminari nei quali i lavoratori avranno la possibilità di ricevere gratuitamente lezioni di oratoria, politica e scrittura. È proprio in questo periodo che Bogdanov diventa uno dei primi autori di fantascienza.

Scritto all’indomani della rivoluzione del 1905, La stella rossa racconta l’esperienza come ambasciatore terrestre su Marte di Leonid, un giovane rivoluzionario pietroburghese. Leonid è stato selezionato tra migliaia di possibili candidati, perché dotato della predisposizione mentale che gli avrebbe permesso di passare indenne dalla società terrestre, segnata da instabilità e conflitti e dall’individualismo, a quella marziana, organizzata su base rigorosamente collettivistica. Su Marte, infatti, la rivoluzione è avvenuta duecento anni prima e il socialismo è realtà consolidata. Secondo la linea empiriomonistica di Bogdanov, però, e non secondo quella leninista: le differenze di classe non sono state abbattute con la violenza, ma con l’istruzione delle masse, nell’arco di un processo di graduale formazione del proletariato.

Dopo due mesi di viaggio durante i quali studia la lingua marziana Leonid, su una nave interplanetaria che si sposta grazie alla scoperta della negamateria in grado di vincere la gravità in virtù di un principio di repulsione, sbarca sul Pianeta rosso. Accompagnato dai suoi anfitrioni marziani, fra i quali si distingue l’ingegner Menni, l’inviato terrestre inizia l’esplorazione della civiltà aliena.

Leonid visita fabbriche perfette, perché “Il lavoro è una necessità naturale di un uomo socialista evoluto, e qualsivoglia costrizione nascosta o palese per noi è del tutto superflua”. Apprende che i marziani lavorano in media due ore al giorno, senza retribuzione, e hanno diritto di spostarsi da un settore produttivo all’altro a piacimento, dato che il consumo dei prodotti non è limitato in alcun modo e ognuno prende ciò di cui ha bisogno nella quantità che desidera, mentre l’Istituto di Statistica calcola in maniera esatta cosa e quanto sia necessario produrre in un determinato periodo e quante ore di lavoro servano per farlo. Viene accolto nella “Casa dei bambini”, dove i piccoli marziani vengono cresciuti tutti insieme e i genitori possono scegliere se, quando e per quanto tempo stare con i loro figli vivendo in appositi residence separati. Si informa sull’arte marziana nei musei e sulla medicina nelle case di cura, dove si pratica l’eutanasia libera per chi la richieda e ci si mantiene giovani tramite la scambievole pratica della trasfusione sanguigna. Scopre, tra l’altro, che le differenze tra maschi e femmine marziani sono quasi irrilevanti, al punto da accorgersi solo dopo mesi che due dei suoi compagni di viaggio dalla Terra, l’astronoma Enno e il medico Netti, sono donne. Nonostante l’indifferenza marziana per i generi sessuali, fin nella loro lingua – “Nelle vostre lingue, nominando un oggetto, vi date un gran daffare a stabilire se questo sia maschile o femminile, il che, in sostanza, non è fondamentale, e per gli oggetti inanimati è addirittura strano… Per voi ‘casa’ è maschile e ‘barca’ è femminile, per i francesi è il contrario, e questo non cambia proprio nulla” – si innamora prima dell’una e, dopo la partenza di lei per una missione su Venere, dell’altra.

Fin qui il romanzo ha tutte le caratteristiche dell’utopia classica, ma Bogdanov non è un propagandista banale e la sua analisi è molto più sottile: tutto il finale dell’opera – che non svelo per non rovinare al lettore il piacere della sorpresa, essendo l’opera invecchiata decisamente bene anche sul piano letterario – accentuerà gli aspetti critici e negativi con un vero e proprio colpo di scena. In sostanza il problema – il tema protoecologistico è molto sentito dall’autore – è quello dell’equilibrio tra sopravvivenza del sistema e della natura da esso sfruttata: la longevità degli abitanti – raggiunta anche grazie alle trasfusioni sanguigne oltre che alle condizioni ottimali della società – ha prodotto un sovrappopolamento insostenibile, l’enorme quantità di risorse che l’industria rigidamente pianificata consuma quotidianamente ha portato al disboscamento di intere foreste, l’agricoltura impoverisce i campi e logora le scorte idriche e, secondo le stime dell’Istituto di Statistica, nell’arco di vent’anni il pianeta si troverà ad affrontare una crisi irreversibile: i rimedi prospettati dall’astronomo Sterni, ex marito di Netti, saranno altrettanto drastici (ma qui taccio…). L’attenzione riservata da Bogdanov alla questione ambientale, tradisce un marcato scetticismo nei confronti del socialismo di stato e di quella pianificazione che sarà la costante della società sovietica nei successivi 80 anni. Un esempio ulteriore della modernità di Stella rossa.

Anche Antonio Gramsci si interessò a Stella rossa. Pare che sia esistito il manoscritto di una sua traduzione del romanzo, ma non ne restano purtroppo tracce. Bene ha fatto comunque la sempre puntualissima Agenzia Alcatraz Editore a riproporre in un unico volume, nella bella collana Solaris dedicata alla fantascienza sovietica, non solo il titolo più famoso, del quale già esisteva una vecchia edizione pubblicata da Sellerio nel 1989, ma l’opera letteraria completa del tutto inedita in Italia. La traduzione è a cura del Kollectiv Ulyanov e la prefazione di Wu Ming (che al Proletkult di Bogdanov aveva già dedicato un romanzo) e oltre a Stella rossa vi compaiono il seguito (in realtà un prequel) pubblicato nel 1912, Ingegner Menni, anch’esso ambientato su Marte, e dove si descrive il passaggio dalla società vecchia alla nuova basata su una scienza alternativa accessibile alla classe operaia ed espressione diretta dei suoi bisogni; il racconto La festa dell’immortalità, sul problema della morte – come dice Bogdanov, “la più grande nemica del comunismo”; e un poemetto del 1920, Un marziano abbandonato sulla terra. Una breve nota autobiografica del 1925 chiude il volume.

Come accenna proprio nelle poche pagine di questo testo, Bogdanov tornerà in Russia nel 1913 e allo scoppio della Prima guerra mondiale sarà inviato per un anno al fronte come medico, dove si ammala e viene ricoverato in una clinica neurologica. Una volta guarito si immerge nella scrittura di una delle sue opere maggiori Tektologija (La Tettologia, o Scienza generale dell’organizzazione), che pubblica a sue spese. Dopo la rivoluzione del 1917 contribuisce all’apertura dell’Accademia Socialista, del cui Presidium resta membro fino alla morte e collabora attivamente alla creazione del Proletkul’t, da cui si allontanerà invece nel 1922, quando il movimento inizierà ad essere controllato sempre più direttamente dal Partito. Nel 1923 è arrestato con l’accusa immotivata di essere complice di un piano cospirativo contro lo Stato sovietico. Liberato, avendo dimostrato l’infondatezza delle accuse, si ritira totalmente da ogni attività politica e torna ad occuparsi esclusivamente della sua professione di medico.

Seguendo le intuizioni già delineate in Stella rossa, si dedicherà agli studi ematologici fondando nel 1926 il primo istituto russo per le trasfusioni del sangue che dirigerà fino alla morte, avvenuta nel 1928 in seguito ad un esperimento praticato su stesso, pare tentando uno scambio di sangue con uno studente ammalato di malaria e di tubercolosi. Molti parlarono di suicidio.

 

 

 

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Nemico (e) immaginario. Alterità marziane e rifondazione dell’umanità https://www.carmillaonline.com/2020/09/29/nemico-e-immaginario-alterita-marziane-e-rifondazione-dellumanita/ Tue, 29 Sep 2020 21:00:01 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=62858 di Gioacchino Toni

Il recente volume di Daniele Porretta, L’altra Terra. L’utopia di Marte dall’età vittoriana alla New Space Economy (Luiss University Press, 2020), propone una ricostruzione critica della storia del mito del pianeta Marte soffermandosi sul suo evocare scenari alternativi alla società terreste e alle sue problematiche politiche, sociali, etiche, tecnologiche, ecc.

Tanto nella fiction quanto nell’osservazione reale, si è spesso guardato a Marte come a una “seconda Terra”, uno specchio della società terrestre. Nella costruzione del mito di Marte a cavallo tra Otto e Novecento, spiega Porretta, hanno un ruolo importante gli studi di Giovanni Virginio Schiaparelli, di Percival [...]]]> di Gioacchino Toni

Il recente volume di Daniele Porretta, L’altra Terra. L’utopia di Marte dall’età vittoriana alla New Space Economy (Luiss University Press, 2020), propone una ricostruzione critica della storia del mito del pianeta Marte soffermandosi sul suo evocare scenari alternativi alla società terreste e alle sue problematiche politiche, sociali, etiche, tecnologiche, ecc.

Tanto nella fiction quanto nell’osservazione reale, si è spesso guardato a Marte come a una “seconda Terra”, uno specchio della società terrestre. Nella costruzione del mito di Marte a cavallo tra Otto e Novecento, spiega Porretta, hanno un ruolo importante gli studi di Giovanni Virginio Schiaparelli, di Percival Lowell e di Camille Flammarion, convinto dell’esistenza di una vita extraterrestre sul pianeta rosso.

C’è […] una corrispondenza fra lo spirito morale dei costruttori della mitologia marziana, Schiaparelli, Lowell e Flammarion, e quello che sarà lo sviluppo letterario del genere ambientato in questo pianeta. Uno specchio in cui guardare la Terra, in cui proiettare i propri desideri e le proprie paure, in cui costruire un mondo alternativo per mostrare ciò che non siamo ma che potremmo essere. Rimane in questi uomini ancora o spirito positivo dell’epoca, quello che vedeva nelle grandi opere dell’ingegneria ottocentesca un primo passo verso una società migliore in cui la tecnologia sarebbe stata parte integrante della società e i sui frutti democraticamente distribuiti fra tutta la popolazione, un sogno utopico che on durerà a lungo, messo in crisi dai due conflitti mondiali, dai nuovi mezzi di distruzione offerti dall’industria bellica alle potenze nazionali e sostituito, nel suo modo di immaginarie il futuro, dalla distopia. (pp. 48-49)

Marte inizia così a essere percepito come luogo abitato da una specie tecnologicamente superiore che ha saputo utilizzare la scienza per salvarsi dall’estinzione e che dunque merita di essere esplorato, a maggior ragione nel momento in cui la Terra sembra ormai conosciuta in ogni sua parte. La volontà di entrare in contatto con gli abitanti del pianeta rosso conduce, nel passaggio tra Otto e Novecento, a svariati tentativi di inviare messaggi verso questa lontana civiltà, compreso il ricorso a pratiche paranormali all’epoca in voga; celebre è il caso della medium Hélène Smith che, con le sue visioni, contribuisce a creare un immaginario dettagliato su questo nuovo mondo.

È proprio a partire da tale periodo che Marte inizia a diviene protagonista di numerose opere narrative tra cui La guerra dei mondi (The War of the Worlds, 1898) di Herbert George Welles, storia capace di mostrare ai lettori inglesi dell’epoca gli effetti di una guerra tra civiltà a potenziale tecnologico decisamente asimmetrico; non è difficile leggervi una denuncia della violenza dell’imperialismo occidentale ai danni dei popoli colonizzati. Si può constatare come a partire dall’uscita di tale libro la figura dell’alieno si carichi di molteplici significati tanto da essere utilizzata per alludere allo “scontro tra razze” ottocentesco, al “pericolo comunista” durante la “guerra fredda”, ecc.

Se per qualche tempo nell’immaginario collettivo gli abitanti di Marte sono visti come creature benevole ed esotiche con cui vale la pena entrare in contatto e fraternizzare, le cose cambiano con la pubblicazione dell’opera di Wells: da quel momento prende piede l’idea che l’incontro con gli alieni avrebbe potuto essere tutt’altro che pacifico. Numerose sono le opere di fiction che, riprendendo il racconto di Wells, contaminano il genere della Future War innestandovi la questione aliena. Si diffondono anche versioni della stessa opera wellsiana che spostano l’ambientazione dall’Inghilterra agli Stati Uniti e prolungamenti delle vicende raccontate, come nel caso di Edison’s Conquest of Mars (1898) di Garrett P. Serviss che mette in scena la ripresa della vita in una Terra devastata dagli alieni e la decisione di prevenire futuri ritorni del nemico attaccandolo in anticipo direttamente “a casa sua”.

Nel romanzo di Serviss non è difficile individuare echi coloniali, celebrazione della superiorità anglosassone e orgoglio a stelle e strisce. Si tratta di elementi ricorrenti all’interno di opere – dette non a caso detto “edisonate” – che a partire dalla fine dell’Ottocento hanno come protagonista un giovane eroe-inventore, maschio, americano, che oltre a preservare se stesso dalla corruzione dei tempi, riesce a salvare la famiglia, la comunità e la nazione intera dall’invasione straniera. Su questa linea l’alieno marziano finisce facilmente per alludere al nemico di turno dell’America.1.

Le vicende che vedono il confronto militare tra alieni ed esseri umani narrate, pur con spirito diverso, da Wells e Serviss non esauriscono di certo le modalità del contatto tra le due parti; vi sono anche storie in cui il pianeta è abitato da società complesse e sfaccettate, come nel caso della saga dedicata a Marte e alla pluralità di razze che lo abitano da Edgar Rice Burroughs, iniziata nel 1912 e proseguita fino agli anni Quaranta, serie venata di nostalgia per i “vecchi tempi” popolati, oltre che da uomini coraggiosi, da donne schiave o principesse; non a caso si è parlato a tal proposito di “retroutopia antifemminista”. Più in generale lo spazio extraterrestre è tratteggiato come qualcosa di complesso e mutevole, non per forza di cosa ostile ai terrestri, anche da diverse opere di Clive Staples Lewis, legato a Tolkien e al gruppo degli Inklings.

Questa idea dello spazio come qualcosa di vivo è parte della costruzione di un mondo cristiano contrapposto alle due forze che Lewis considerava come le componenti distruttrici della società dell’epoca, rappresentate dai due personaggi [che] riassumono, esasperandole, le due facce del capitalismo multiplanetario: il capitalismo estrattivista, che vede nello spazio una fonte di nuovi guadagni, e quello scientifico, infarcito di retorica antropocentrica che vede nella conquista degli altri pianeti una maniera di garantire l’immortalità della specie umana. (p. 72).

I viaggi spaziali intrattengono una stretta relazione con l’utopia a partire dal Settecento, quando il viaggio in direzione delle luna diviene un sottogenere dell’utopia; nel momento in cui si diffonde la convinzione dell’esistenza di vita intelligente su Marte, questo pianeta assume un ruolo di primo piano nella letteratura di fantascienza.

Secondo una concezione ampiamente diffusa nell’epoca vittoriana, Marte era sia un luogo del presente che una proiezione della storia dell’umanità, un’idea determinata da una concezione evoluzionista dei processi sociali. Marte divenne quindi, a partire dalla fine del Diciannovesimo secolo, un topos per la costruzione di una società immaginaria da contrapporre a quella umana, e generò quell’estraniamento che è la condizione sine qua non dell’utopia. (p. 75)

Se, come detto, il mito di Marte diviene popolare soltanto a partire dall’ultimo decennio dell’Ottocento, occorre ricordare che già negli anni precedenti il pianeta faccia da sfondo alle vicende narrate in alcuni romanzi. Nella fiction narrativa e cinematografica Marte viene scelto in diversi casi come luogo di ambientazione tanto dal sottogenere delle “edisonate”, quanto da quello delle “robinsonate”, incentrate sulla sopravvivenza di un essere umano sul pianeta, come nel caso del film Robinson Crusoe on Mars (1964) di Byron Haskin o del recente romanzo The Martian (2011) di Andy Weir, trasformato in film da Ridley Scott nel 2015.

Tra e prime opere narrative di ambientazione marziana Porretta cita Across the Zodiac: The Story of a Wreckes Record (1880) di Percy Greg e A Plunge into Space (1890) di Robert Cromie. Diffusa in molti racconti è l’idea che le società tecnologicamente avanzate comportino un inaridimento delle passioni; esemplare in tal senso Noi di Evgenij Zamjatin, uscito nel 1924 anche se scritto alcuni anni prima.

In generale la letteratura utopica a cavallo tra Otto e Novecento riflette le preoccupazioni e le aspettative di progresso sociale del tempo. Il pianeta rosso come luogo di realizzazione di società migliori è presente anche in To Mars via the Moon: An Astronomical Story (1911) di Mark Wicks e in Unveiling Parallel: a Romance (1893) di Alice Ilgenfritz Jones ed Ella Merchant, in cui si prospetta una società paritaria per uomini e donne. In ambito cinematografico Porretta cita la pellicola danese Himmelskibet (1917) di Holger-Madsen, girata nel corso della Grande guerra con evidenti intenti pacifisti.

Illustrazione di un Tripodi da La guerra dei mondi edizione francese del 1906

Persa la fiducia nella scienza come motore di miglioramento in voga agli albori della Rivoluzione industriale, l’immaginario legato allo società del futuro è ben descritto dallo scrittore e illustratore francese Albert Robida: «da una parte c’è un’immaginaria borghesia del futuro, che avrebbe affollato i cieli con le sue macchine volanti per andare all’opera, e dall’altra i moderni mezzi di distruzione che avrebbero progettato chimici, medici e farmacisti» (p. 58). Tale immaginario di distruzione futura riflette le ansie della società vittoriana timorosa di trovarsi presto coinvolta in qualche conflitto, tanto da determinare il successo del genere Future War che prende il via con La battaglia di Dorking (1871) di Geroge Tomkyn Chesney narrante di un’invasione tedesca dell’Inghilterra. Ai timori per guerre internazionali si aggiungono presto i timori per un invasione di popoli orientali capace di annientare la civiltà europea. È attorno a tali ansie generate dai fenomeni migratori di massa che si strutturano stereotipi razziali destinati a durare nel tempo. Non è difficile che le tensioni razziali entrino in gioco nella fiction catastrofista.

Il romanzo scientifico e la letteratura fantascientifica ottengono un certo successo anche in Russia ove, sull’onda della Rivoluzione il progresso tecnologico diviene uno degli elementi simbolici della nuova era socialista. Se tradizionalmente l’utopismo russo tende a focalizzarsi sulla fondazione di comunità religioso-spirituali, sostiene Porretta, con il passaggio tra Otto e Novecento l’immaginario dell’industrializzazione e del progresso tecnologico prendono piede anche nell’immaginario russo.

Tra gli esempi in cui si ricorre al pianeta rosso come luogo immaginario per produrre discorsi utopici o per rappresentare società distopiche, lo studioso fa riferimento alle due opere di Aleksandr Bogdanov La stella rossa e L’ingegner Menni, pubblicati rispettivamente nel 1908 e nel 1912, esempi di romanzo utopico in cui si ripone estrema fiducia nel progresso tecnologico e in cui viene tratteggiata una società comunista realizzata. Se il ricorso a Marte può darsi per mostrare un esempio di società di stampo comunista realizzata, il film Аėlita (1924) di Aleksandrovič Protazanov, tratto dal romanzo omonimo di Aleksej Nikolaevič Tolstoj, utilizza invece il pianeta rosso per mostrare una rivoluzione in corso contro la tirannia e la schiavitù.

A cavallo tra le due guerre mondiali cambia la rappresentazione di Marte; la tecnologia inizia ad essere osservata con minor entusiasmo avendo nel frattempo evidenziato il portato distruttivo. «È terminato il tempo dell’utopia ed è il suo contrario, la distopia, a diventare lo strumento più utilizzato per la descrizione del futuro» (p. 90).

Nei primi anni Cinquanta, pochi anni prima dell’avvio dell’era spaziale, se il romanzo Le sabbie di Marte (1951) di Arthur C. Clarke tenta di immaginare in maniera realistica il processo di colonizzazione del pianeta, lo scienziato tedesco Wernher von Braun, l’ideatore dei razzi V-2 per il regime nazista, dopo essersi messo al servizio dei vincitori statunitensi, lavora a un progetto finalizzato alla colonizzazione di Marte. Pur rivelatosi di impossibile realizzazione, il progetto evidenzia come, giunti a metà Novecento, l’idea di un viaggio verso Marte non riguardi più esclusivamente le fantasie narrative si scrittori e registi.

Durante la guerra fredda la fantascienza tende a focalizzarsi sulla paura dell’attacco straniero/comunista e sul pericolo di una graduale sostituzione dell’umanità con “altri esseri”, come ne Gli invasori spaziali (Invaders form Mars, 1953) di William Cameron Menzies e L’invasione degli ultracorpi (Invasion of the Body Snatchers, 1956) d Don Siegel.

A resistere nel tempo, anche quando il mito marziano inizia ad affievolirsi, è la raccolta di racconti Cronache marziane di Ray Bradbury, pubblicata la prima volta nel 1950, il cui successo è però forse dovuto soprattutto «alla sua capacità di incarnare lo spirito americano, esattamente come La guerra dei mondi di Wells aveva rappresentato mezzo secolo prima l’imperialismo inglese tardo-vittoriano» (p. 103).

Sin dai primi anni Sessanta lo scrittore inglese James Graham Ballard ritiene terminata l’epoca della narrativa spaziale, tanto che preferisce indagare l’inner space dell’essere umano. Il calo di interesse per il pianeta rosso coincide con l’arrivo delle prime immagini ravvicinate di Marte a metà degli anni Sessanta, quando per qualche tempo il centro della scena viene lasciato alla Luna. Nonostante la Space Age possa dirsi davvero conclusa attorno alla metà del decenni successivo, ultimamente il pianeta rosso sembra di nuovo interessare la letteratura, il cinema e l’economia. Marte ricompare non solo nella fiction o nella docu-fiction – oltre al film The Martian (2015) di Ridley Scott, si pensi alle serie televisive Mars (2016) della National Geographic, The Mars Generation (2017) di Michael Barnett, The First (dal 2018) di Beau Willimon – ma anche in ambito economico e con esso si ripresenta anche l’idea, evidentemente legata a una “utopia della ricostruzione”, di una sua futura terrificazione.

Non si può evitare di osservare che la costruzione di questa nuova utopia marziana appare in un momento in cui la distopia esercita un dominio pressoché assoluto sull’immaginario collettivo riguardo il futuro dell’umanità. […] Tralasciando l’attrazione morbosa che la prospettiva di una società futura in rovina esercita sul pubblico, oggi la distopia incarna la sensazione di assistere a una fine del mondo al rallentatore. […] La distopia contemporanea ci connette con le nostre più recondite paure: la perdita dei capisaldi della sicurezza esistenziale, lo sfascio dello stato sociale, l’inevitabilità del disastro climatico, la fine della stabilità lavorativa, l’imporsi si un modello di società competitivo e atomizzante. Visto in questa prospettiva, abbandonare il pianeta Terra per andare su Marte non sembra poi un piano così assurdo. (p. 106)

I motivi per cui, da qualche tempo a questa parte, a più di un secolo dalla nascita del mito, il pianeta Marte è “tornato di moda” secondo Porretta sono probabilmente da ricercarsi in una sorta di desiderio di fuga dalla Terra, da una realtà percepita come inesorabilmente incamminata verso l’apocalisse. Se nell’immaginario contemporaneo il pianeta rosso può rappresentare una “utopia della ricostruzione”, un luogo da cui ripartire dopo la catastrofe terrestre, in esso è però possibile vedere anche una sorta di arca di Noè, un rifugio destinato soltanto a una piccola parte dell’umanità alle prese con l’esaurimento delle risorse vitali terrestri.

Illustrazione di un Tripodi da La guerra dei mondi edizione francese del 1906

Il successo di pubblico per il filone catastrofico ha sicuramente a che fare con i timori e con le emergenze del momento, riflettendo il clima di pessimismo di un’epoca in cui non si intravede alternativa a un sistema che mostra tutti i suoi limiti. È in questo clima di sfiducia che permea le opere di fiction che il pianeta rosso torna a conquistarsi spazio portandosi dietro quell’immaginario utopico marziano sedimentatosi nel tempo a partire dall’epoca vittoriana.

A una prima Space Age (1957-1975) inaugurata dallo Sputnik-1, e una seconda età spaziale (1981-1997) identificabile con i voli dello Shuttle, si aggiunge ora l’epoca della cosiddetta New Space Economy caratterizzata dall’apertura ai privati dei servizi di trasporto di merci e persone. La corsa allo spazio non vede più fronteggiarsi Stati Uniti e Unione Sovietica; nella nuova era spaziale a confrontarsi sono alcuni colossi privati spinti da business legati alla ricerca scientifica, al turismo spaziale, allo sviluppo di tecnologie da vendere ai governi e alla possibilità di sfruttare risorse minerarie di altri pianeti. Se ad oggi, sottolinea Porretta, la “terrificazione” di Marte appare estremamente improbabile, il pianeta rosso può però essere visto come obiettivo simbolico di una narrazione volta all’espansione capitalista verso lo spazio, un’ennesima riproposizione della lotta per l’indipendenza degli stati Uniti dall’Inghilterra e della conquista del West.

La colonizzazione dello spazio, a partire da Marte, sembrerebbe avere a che fare con i timori contemporanei per un prossimo collasso mondiale: il pianeta rosso viene identificato come luogo-rifugio per una parte dell’umanità in fuga dalla catastrofe terrestre. Il confine tra utopia e distopia può essere sottile, soprattutto se si cambia il punto di vista. Si potrebbe pensare al pianeta rosso come a un luogo inospitale in cui costringere un proletariato spaziale a lavorare in condizioni di vita terrificanti o, viceversa, come rifugio per una ristretta élite multiplanetaria che da lì sovraintende il lavoro di un proletariato invece costretto a restare su una terra sempre più invivibile.

Vista dall’ottica del capitalismo espansionista, Marte appare sempre di più la possibile utopia del futuro, o meglio, la distopia di una comunità perfettamente vigilata e autosufficiente […] la realizzazione finale del sogno utopico rincorso dalla modernità: la nascita di una comunità perfettamente controllata, pianificata e lamentatone dipendente dalla tecnologia. (p. 115)

In questo recente guardare allo spazio esterno, conclude Porretta, non è difficile vedere un modo per eludere le responsabilità nei confronti della Terra o lo sviluppo inevitabile di un sistema che non può fare a meno di espandersi e occupare nuovi territori.


Nemico (e) immaginario serie completa


  1. Cfr. R. Giacomelli, Nemici dell’America, nemici dell’umanità. Il “nemico” nel cinema fantascientifico americano, Sovera Edizioni, Roma 2014. Di tale saggio si parla negli scritti: G. Toni, Nemico (e) immaginario. Il nemico allo schermo: nemici dell’America, nemici dell’umanità, “Carmilla” e G. Toni, Nemico (e) immaginario. L’Umano e l’Alieno, “Carmilla”. 

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Primi elementi di ballistica spaziale https://www.carmillaonline.com/2019/10/09/primi-elementi-di-ballistica-spaziale/ Wed, 09 Oct 2019 21:01:32 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=55125 di Sandro Moiso

Cobol Pongide, Marte oltre Marte. L’era del capitalismo multiplanetario, DeriveApprodi, Roma 2019, pp. 176, Euro 13,00

Qualche anno or sono, introducendo un più vasto discorso sull’Antropocene e l’accelerazione dell’influenza dell’azione umana sul clima e sull’ambiente a partire dal 1945, John R.Mc Neill e Peter Engelke, nel loro testo La Grande accelerazione (Einaudi 2018), hanno scritto : “Solo una persona vivente su dodici può vantare memorie precedenti al 1945. L’intera esperienza di quasi tutti gli individui che abitano il pianeta si è svolta in questo particolare momento storico, la Grande [...]]]> di Sandro Moiso

Cobol Pongide, Marte oltre Marte. L’era del capitalismo multiplanetario, DeriveApprodi, Roma 2019, pp. 176, Euro 13,00

Qualche anno or sono, introducendo un più vasto discorso sull’Antropocene e l’accelerazione dell’influenza dell’azione umana sul clima e sull’ambiente a partire dal 1945, John R.Mc Neill e Peter Engelke, nel loro testo La Grande accelerazione (Einaudi 2018), hanno scritto : “Solo una persona vivente su dodici può vantare memorie precedenti al 1945. L’intera esperienza di quasi tutti gli individui che abitano il pianeta si è svolta in questo particolare momento storico, la Grande accelerazione, senz’altro il periodo più anomalo e meno rappresentativo dei rapporti tra la nostra specie e la biosfera in una storia lunga 200.000 anni. Ciò dovrebbe renderci tutti piuttosto scettici riguardo al fatto che le tendenze attuali siano destinate a durare a lungo.
La Grande accelerazione, almeno nelle sue modalità attuali, non può durare ancora a lungo: non ci sono abbastanza grandi fiumi su cui costruire dighe, non sono rimasti petrolio a sufficienza da bruciare, foreste da abbattere, pesci da pescare, falde acquifere da prosciugare. In verità, anzi, vedremo che vi sono numerosi segnali di rallentamento, e in alcuni casi di inversione, dovuti a cause diverse”.

Ecco allora che il testo appena pubblicato da DeriveApprodi dimostra invece proprio il contrario, ovvero come l’idra capitalistica non sia affatto intenzionata ad abbandonare il sistema basato sull’estrattivismo e lo sfruttamento dell’ambiente e delle specie che lo abitano su cui ha posto le sue fondamento fin dal XVIII secolo, se non prima.
Quindi se non dovessero bastare le risorse minerali del pianeta, in tale logica, occorrerà trovare il modo, o i modi, di sfruttare quelle presenti fuori da questo.

Vi ricordate l’astronave da trasporto Nostromo, su cui si svolgono le vicende del primo Alien? 1 Le vicende di quell’autentico astro-cargo destinato a portare minerali preziosi estratti su pianeti lontani e che vedrà il proprio, conflittuale equipaggio distrutto da un carico inaspettato e indesiderato, possono servire come punto di partenza per le considerazioni svolta dall’autore nelle pagine di Marte oltre Marte.

Perché Cobol Pongide (musicista, scienziato e ufociclista come egli stesso si definisce) esprime l’urgenza di descrivere concretamente un nuovo ciclo del modo di produzione e di accumulazione capitalistica, quello “multiplanetario”. Un’urgenza che deriva dalla necessità di delineare scenari di espansione del tutto nuovi, destinati, nell’intento dei suoi promotori, a rompere quella contraddizione esistente tra un capitalismo potenzialmente illimitato nelle sue possibilità teoriche di espansione, ma finito all’interno dei limiti dello sferoide su cui fino ad ora si è appoggiato.

Non a caso il numero di privati interessati alla ricerca tecnologica e scientifica legata all’esplorazione spaziale si è notevolmente ingrandito a partire dagli anni 2000. Il recente annuncio di Elon Musk sull’avanzamento nella progettazione e realizzazione di un nuovo potentissimo razzo destinato a portare gli uomini sulla Luna e su Marte (qui) sembra far parte di questo allargamento della base di coloro che sono interessati e coinvolti nel progetto di espansione multiplanetaria del modo di produzione dominante, per ora, sul solo nostro pianeta.

E, non a caso, sempre il solito Musk ha sostenuto l’utilità di un bombardamento nucleare del pianeta rosso ai fini di una sua terraformazione e adattamento per una futura colonizzazione terrestre (qui). L’imprenditore americano, spesso definito come “visionario”, sembra infatti essere la punta di diamante di una ricerca di espansione degli investimenti destinati alla rivitalizzazione di un capitalismo, esattamente come le aziende dello stesso Musk, oggi piuttosto asfittico, almeno in Occidente.

Non dovrebbe sfuggire ai lettori più attenti che tutto il dibattito è stato particolarmente diffuso dai media proprio a partire dal cinquantenario dello sbarco sulla Luna avvenuto nell’agosto del 1969.
Intessendo, ancora una volta, una sorta di mantra in favore del progresso e delle magnifiche sorti dell’attuale società divisa in classi, in cui il futuro della maggioranza della specie sembra essere, però, più quello disegnato dal film Elysium di Neill Blomkamp (2013) che quello delineato dalle grandi saghe di colonizzazione spaziale ideate da Isaac Asimov e dalla hard science fiction, così tanto innamorata dei dettagli tecnici e scientifici.

Un dibattito che, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, sia negli Stati Uniti che in Russia accompagnò non soltanto una gara spaziale, che in realtà in quel periodo non si allontanò mai più di tanto dall’orbita terrestre, ma anche una competizione economica, tecnologica e militare di non secondaria importanza per le due, allora, superpotenze. Contribuendo ad intessere e arricchire per i primi la promessa della Nuova Frontiera di kennedyana memoria, e quella dell’Uomo Nuovo sovietico per la seconda.

Una frontiera che per diversi anni, a sua volta, non si allontanò molto dall’idea di Jules Verne contenuta nel romanzo Dalla Terra alla Luna del 1865, in cui l’autore prospettava una durata di 97 ore e 20 minuti del viaggio per raggiungere il satellite terrestre per mezzo di un proiettile, con equipaggio, sparato da un gigantesco cannone. Al di là del fatto che Verne avesse sbagliato di poco i tempi di viaggio, abbreviandoli di circa sei ore2 , la tecnica e la meccanica dell’impresa non si erano differenziate molto da quella ideata dallo stesso scrittore francese. Un viaggio in cui l’attrazione gravitazionale dei due corpi (Terra e Luna) ebbe molta più importanza della potenza dei mezzi impiegati.

Come infatti dichiarò Chuck Yeager, il pilota collaudatore americano che nel 1947 con un aereo Bell X-1 aveva superato per la prima volta il muro del suono e che il 12 dicembre 1953 raggiunse Mach 2.44 con un apparecchio X-14, allo scrittore Tom Wolfe per la stesura del libro La stoffa giusta (1979)3 , “un vero pilota come lui non avrebbe mai accettato di farsi sparare nello spazio come un qualsiasi uomo-proiettile da circo”.
Motivando così il suo rifiuto di aderire a quel programma, per il quale pure era stato contattato.

Anche la recente esaltazione italica per la permanenza nello spazio di Samantha “Astro” Cristoforetti, e per l’attuale incarico come comandante della stazione spaziale Iss dato a Luca Parmitano, omette di ricordare che la distanza tra la stazione spaziale orbitante e la Terra è inferiore a 400 chilometri, ovvero la distanza che separa Torino da Venezia, elemento che fa sì che la stazione Iss si trovi ancora tutta all’interno dell’ultimo strato dell’atmosfera terrestre, ovvero l’esosfera che è compresa tra i 200 e i 2500km di altezza.

Il testo di Cobol Pongide, dopo una sintetica definizione del problema contenuta nell’introduzione, si articola in tre capitoli.
Nel primo prende in esame le tre ere della espansione spaziale del capitalismo, delineandone una sintetica storia: quella che va dalla “Machine Age” al 1975, la successiva dal 1981 al 1997 e, infine, quella dal 1997 ad oggi ed oltre (come recita il suo titolo). In quest’ultima parte del primo capitolo si rivelano particolarmente interessanti quelle dedicate alla biologia cosmica e a quelli che l’autore chiama “cadetti spaziali” ovvero la forza lavoro ingegneristica e tecnico-scientifica necessaria allo sviluppo dei progetti spaziali. Forza lavoro intellettuale e non che, nonostante un vasto sforzo propagandistico portato avanti anche dalle agenzie di formazione governative e private, vede ancora una gran parte degli addetti avere un’età media di 40-45 anni, ormai troppo alta per garantire una reale continuità di saperi e pratiche atte alla realizzazione dei progetti collegati ai piani di espansione nell’outer space.

Il secondo capitolo si occupa invece dei problemi e delle prospettive legate alle necessità di terraformazione necessarie per l’adattamento degli uomini ai nuovi “territori” da sfruttare e al cosiddetto transumanesimo.
Mentre il terzo si dedica ai problemi dell’esopolitica necessaria al controllo e allo sfruttamento dei nuovi “territori” destinati allo sfruttamento.

Proprio leggendo le interessanti pagine, le riflessioni e i dati riportati dal testo diventa però chiaro come tutti questi progetti siano destinati a schiantarsi a causa dei limiti del capitalismo stesso.
Una sorta di drammatica space opera che Marx, quando aveva rilevato i limiti all’espansione del modo di produzione capitalistico nel capitalismo stesso, aveva ampiamente anticipato.
Faccio solo un esempio: il capitalismo, estrattivista per sua intrinseca natura, dispone oggi di propellenti, liquidi e solidi, ancora arcaici ed inadatti per una spinta adatta a superare, non con piccole sonde, ma con navi spaziali piuttosto grandi le immense distanza che ancora separano le multinazionali terrestri dai loro obiettivi extra- terrestri. Come rileva infatti un articolo di Sarah Scoles, pubblicato sul numero di ottobre della rivista “Le Scienze”4 , i razzi di oggi non ci permetteranno di arrivare fino alle stelle e, proprio per questo assodato motivo, alcuni ricercatori stanno lavorando, affidandosi non ai prodotti fossili e chimici ma alle scoperte alla frontiera della fisica, per portare gli uomini lassù.
Una contraddizione enorme quella prodotta da una tecnologia che nel fossile e nella chimica, per motivi di profitto, affonda le sue radici e una possibile probabilmente solo a patto che la scienza non sia più controllata da investitori che alle prime sono collegati (anche nelle loro aspirazioni galattiche).

Un altro esempio di limite è dato proprio dai problemi biologici e fisiologici causati negli esseri umani da una lunga permanenza nello spazio, problemi già segnalati dalla letteratura scientifica degli anni ’50 e oggi ancora largamente irrisolti.5
Pertanto tutto tenderebbe a confermare che l’attuale attenzione allo sviluppo capitalistico extra-terrestre non sia che un altro tentativo, come quello degli anni ’50 e ’60, di sviluppare nuove tecnologie e pratiche militari adatte ad essere applicate in maniera profittevole e duratura ancora una volta su questa vecchia esosfera che abitiamo da centinaia di migliaia di anni.

Pratiche di sfruttamento e di controllo di territori ricchi di materie prime importanti che potrebbero rivelarsi particolarmente utili nei conflitti, non solo politici, che la progressiva riduzione dei ghiacciai artici e antartici sta già portando alla ribalta e che vede impegnate, per il controllo dei giacimenti artici, fin da ora cinque nazioni: Stati Uniti, Russia, Canada, Danimarca e Norvegia. Cinque paesi che rivendicano, grazie alla loro posizione geografica, una sorta di monopolio delle riserve di materie prime che gli oceani di quelle regioni, in cui già sono cominciati rilevamenti e trivellazioni, ancora nascondono.6

Insomma il gran parlare di conquista dello spazio e del suo sfruttamento, fatto dalle grandi agenzie di ricerca tecnico-scientifica e finanziaria, forse ancora una volta, come già anticipò in alcuni suoi scritti Amadeo Bordiga, servono a rilanciare l’immagine molto terrena di un capitalismo vivo e vegeto, sostanzialmente indistruttibile ed illimitato nelle sue possibilità di soddisfare i bisogni della specie. Soprattutto dopo averli creati e irrorati con enormi sforzi propagandistici.
Ricordiamoci dunque sempre e comunque che: “I racconti-balle preferiscono operare stando a terra”.7

La lettura di Marte oltre Marte può rivelarsi pertanto molto utile per leggere la materialità terrestre dei fatti e dei progetti, che l’autore esplora comunque con una vena critica oggi assolutamente necessaria, per separare, come si diceva un tempo, il grano dalla pula ovvero le possibilità concrete che la scienza e la tecnica potrebbero offrire nel mettersi oggi al servizio dell’umanità e dell’ambiente dall’uso che intendono invece farne il capitale e suoi scherani. Una sorta di grande opera inutile e dannosa come sempre, anche se spaziale.


  1. Ridley Scott, Alien, 1979  

  2. In effetti la capsula dell’Apollo 11 era stata lanciata da Cape Kennedy il 16 luglio alle ore 13:32, per mezzo di un razzo Saturn V, ed era allunata il 20 luglio alle ore 20:17:40, mentre gli astronauti Neil Armstrong e Buzz Aldrin erano scesi sulla supperficie lunare sei ore dopo, il 21 luglio alle ore 02:56.  

  3. Il testo di Wolfe narra la storia del programma spaziale americano attraverso le interviste a piloti, astronauti e tecnici in esso coinvolti. Dal libro il regista Philip Kaufman, nel , 1983, trasse il film The Right Stuff (noto in Italia come Uomini veri)  

  4. Sarah Scoles, Idee pazzesche in senso buono, Le Scienze n°614, Ottobre 2019, pp. 72-79  

  5. Si veda, solo come esempio, V.I. Levantoski, Dagli sputnik al pianeta artificiale, Editori Riuniti 1959  

  6. Si vedano in proposito: Mark Fischetti, Condividere o conquistare e Kathrin Stephen, Uno scontro inevitabile? Entrambi gli articoli sono contenuti nel dossier Ambizioni Artiche, Le Scienze n° 614, cit. pp. 44-63  

  7. A. Bordiga, Selene incocciata e scocciata?, Il programma comunista n° 17 del 1959. Tra il 1957 e il 1967 Amadeo Bordiga scrisse per il giornale “Il programma comunista” una cinquantina di articoli critici nei confronti di quella che allora, in tale contesto, era definita “questione spaziale”. Articoli nei quali l’autore sollevò serissimi dubbi anche solo sul fatto che gli esseri umani potessero, con le tecnologie messe a disposizione dal capitalismo dell’epoca, giungere a toccare il suolo lunare.  

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Il Fantasma della Grande Opera https://www.carmillaonline.com/2015/10/04/il-fantasma-della-grande-opera/ Sun, 04 Oct 2015 18:08:45 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=25752 di Alessandra Daniele

ponteLa conduttrice si gira verso il ministro. – Ancora una volta i voti del suo partito, il Nuovo Centro Destra, sono stati decisivi per il governo. Qualcuno ipotizza che la riproposizione del progetto del ponte sullo Stretto di Messina da voi sempre sostenuto sia in qualche modo collegata all’approvazione della riforma del Senato. Il ministro sgrana gli occhi bulbosi con aria indignata. – Respingo decisamente questa volgare insinuazione, oltretutto basata su una grossolana falsità. Non c’è stata nessuna riproposizione del ponte sullo Stretto. La grande opera attualmente in programma è [...]]]> di Alessandra Daniele

ponteLa conduttrice si gira verso il ministro.
– Ancora una volta i voti del suo partito, il Nuovo Centro Destra, sono stati decisivi per il governo. Qualcuno ipotizza che la riproposizione del progetto del ponte sullo Stretto di Messina da voi sempre sostenuto sia in qualche modo collegata all’approvazione della riforma del Senato.
Il ministro sgrana gli occhi bulbosi con aria indignata.
– Respingo decisamente questa volgare insinuazione, oltretutto basata su una grossolana falsità. Non c’è stata nessuna riproposizione del ponte sullo Stretto. La grande opera attualmente in programma è molto più ambiziosa e innovativa: il ponte con Brooklyn.
– Il ponte di Brooklyn?
– No, il ponte con Brooklyn, che collegherà direttamente la principale comunità italoamericana con le sue radici in Sicilia.
– Ma… c’è di mezzo l’oceano.
– Questo non sarà un problema per la nuova tecnologia modulare architettonica flessibile allo studio della fondazione Bridge is Beautiful, che riceverà i finanziamenti statali e distribuirà gli appalti.
– Una fondazione creata apposta per una sola grande opera?
– Assolutamente no. Dopo il ponte con Brooklyn, seguirà un progetto ancora più rivoluzionario che porterà l’Italia all’avanguardia nel settore. Una grande opera collegata all’attualità.
– Finalmente un rimedio al dissesto idrogeologico in grado di prevenire frane e inondazioni?
– No. Il ponte con Marte.
– Marte?…
Il ministro annuisce deciso.
– Sul quarto pianeta è stata appena individuata acqua salata. La Sicilia è dotata di impianti dissalatori che potranno renderla potabile, facilitando la colonizzazione.
– Ma in quell’acqua potrebbero esserci forme di vita.
Il ministro assume un tono intransigente.
– Eventuali microrganismi alieni saranno considerati clandestini, e perciò immediatamente espulsi nello spazio.
La conduttrice si volta verso la telecamera.
– Quindi, ricapitolando: Messina sarà collegata con Brooklyn, e anche con Marte…
– Non soltanto – la interrompe  il ministro – c’è in programma un terzo fondamentale progetto.
– Quale?
– Il ponte con Narnia. Abbiamo già individuato l’armadio.

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Futuro Breve X https://www.carmillaonline.com/2008/01/01/futuro-breve-x/ Tue, 01 Jan 2008 02:41:32 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=2495 di Alessandra Daniele

Marte.jpgALIENOIR

Quando Ned riprese conoscenza, era bloccato alla sedia e aveva la canna di una pistola pulsar 4G puntata al centro della fronte. Baz lo fissava torvo, col dito sul grilletto. – Perché? — Biascicò Ned, con un brivido violento che gli tagliò il respiro. Senza scostare la pulsar dal bersaglio, Baz estrasse dalla tasca un cd. Ned non riusciva a capire. – Cos’è? – Quante copie ne hai fatte? – Ma di cosa? Baz spostò di scatto la pulsar all’altezza del petto di Ned, e sparò. L’onda di pulsazione gravitazionale sollevò Ned mandandolo a sbattere contro [...]]]> di Alessandra Daniele

Marte.jpgALIENOIR

Quando Ned riprese conoscenza, era bloccato alla sedia e aveva la canna di una pistola pulsar 4G puntata al centro della fronte. Baz lo fissava torvo, col dito sul grilletto.
– Perché? — Biascicò Ned, con un brivido violento che gli tagliò il respiro.
Senza scostare la pulsar dal bersaglio, Baz estrasse dalla tasca un cd. Ned non riusciva a capire.
– Cos’è?
– Quante copie ne hai fatte?
– Ma di cosa?
Baz spostò di scatto la pulsar all’altezza del petto di Ned, e sparò. L’onda di pulsazione gravitazionale sollevò Ned mandandolo a sbattere contro la parete di fondo. La sedia si sfasciò, ma il dolore gli impedì di approfittarne. Rimase a terra finché Baz non tornò a puntargli l’arma alla fronte.
– Adesso dimmi quante copie hai fatto di “Diario Alieno” o la prossima cosa a sfasciarsi al muro sarà il tuo cranio.
Ned finalmente capì
– E’ solo un romanzetto!
– E’ la cronaca dettagliata della nostra missione come osservatori di Dramen sulla terra! — ringhiò Baz — C’è tutto. Dalle modifiche genetiche che abbiamo subito per sembrare umani, al modo che usiamo per trasmettere le informazioni al comando, a come siamo costretti a sopravvivere senza aiuti dalla base usando la pulsar solo per le emergenze, fino allo scopo finale della nostra ricognizione.
– Ho bisogno di soldi! — Urlò Ned — E non ce la faccio più a fare lavori di merda per tirare avanti su questo pianeta del cazzo! Non ho intenzione di tradire, o di vendere la nostra tecnologia, so bene cosa mi farebbe il comando. E’ solo che, come vedi, ho acquisito sufficiente padronanza di questa lingua terrestre per fare quello che qui chiamano il “ghost writer” — Indicò il cd — Quella cosa lì è solo una storia, la venderò come romanzo, sarà pubblicata a nome del terrestre Ben Drown, e io potrò sopravvivere qualche mese senza spacciare crack da un tombino o succhiarlo a preti di quattro religioni diverse!
– Ma sputtanerai la missione, stronzo! — Gridò Baz, mostrando altrettanta padronanza della lingua.
– Ma no. E’una storia che nessuno crederà reale, qui sono abituati a inventarsene parecchie così, la chiamano “Fantascienza”.
Baz sembrò riflettere per un attimo. Poi appoggiò la pulsar sulla fronte di Ned.
– Mi dispiace — disse in tono solenne — non posso permetterti di mettere in pericolo la missione.
– Aspetta! — Strillò Ned alzando le mani — Ho un’idea! Posso vendere lo stesso la mia storia senza sputtanare niente. Basta cambiarla un po’, renderla meno realistica.
Baz scostò la pulsar di poco.
— Come?
– Invece di osservatori alieni sulla terra potremmo essere… agenti infiltrati in una feroce mega organizzazione criminale, agenti corrotti, violenti e doppiogiochisti che si spiano anche a vicenda — Baz grugnì. Ned continuò — Ma sì, possiamo riscriverlo insieme, e venderlo come thriller-noir.
– E il tuo cliente, quel Wrong Dumb, se lo comprerebbe lo stesso?
– Certo, e lo pagherebbe anche di più, il thriller-noir si vende molto meglio della fantascienza.
Baz accennò uno strano sorriso.
– Sì, in effetti può funzionare. Ci si può ricavare un po’ di denaro.
Premette il grilletto della pulsar. Il cranio di Ned esplose.
– Però — disse ripulendo con cura il cd schizzato di sangue — preferisco spenderlo da solo. Questo pianeta di merda è troppo costoso. Meno male che stiamo per spazzarlo via.

SOTTO LA CUPOLA

Paul era sicuro che stavolta ci sarebbe riuscito. Avrebbe finalmente smascherato quella cospirazione mediatica, e svelato al mondo che la missione Ares11 era un falso. In realtà nessun uomo aveva mai messo piede su Marte.
Si aggirò soddisfatto per la piccola cupola, calpestando lo strato di sabbia rossastra. L’ambiente marziano pareva ricostruito con la massima cura. “Sicuramente il tipo più solido di plasma olografico che si possa modellare” pensò, toccando una roccia sporgente. Uno sfrigolio improvviso lo fece voltare di scatto.
Un uomo in grigio lo fissava.
Paul estrasse con mani tremanti la pistola-lettore mp3 iGun.
– Ormai che sono arrivato fin qui non riuscirete più a fermarmi! — Armeggiò con l’oggetto luccicante. — Non fermerete la verità!
L’uomo in grigio si infilò lentamente un paio di occhiali dalla montatura pesante.
– Quale verità?
– Quella su questo posto!
– E’ solo un set televisivo.
– Appunto — sogghignò Paul, spianando l’iGun in faccia allo sconosciuto — Che ci fa un set televisivo nel perimetro della Space Agency? — Indietreggiò indicando con la testa una roccia sormontata da una rigida bandierina.
– Che ci fa qui questa roccia?! L’ultima volta che l’abbiamo vista in tv non era su Marte?
L’uomo in grigio sospirò.
– E’ una riproduzione, per i documentari.
– Stronzate! — Disse Paul, puntando l’iGun — Tutto quello che ci raccontate è falso! Approfittate del fatto che nessuno alza più il culo dal divano per andare a verificare di persona le cazzate che raccontate in tv. Ma è ora di fare luce sulla vera attività della Space Agency!
L’uomo cambiò espressione. I suoi occhiali mandarono uno strano riflesso violaceo. L’iGun diventò incandescente. Paul fu costretto a gettarlo con un urlo.
– Quello che devo dirti ti dispiacerà.
Rimasto per un attimo spiazzato, Paul si scosse, e sferrò un pugno dritto in faccia allo sconosciuto. La sua mano l’attraversò come nebbia. Oloplasma a densità variabile.
Sbilanciato, Paul cadde contro le rocce. Si rialzò, e corse verso il tunnel pneumatico che l’aveva condotto alla cupoletta, saltandoci dentro. In breve si ritrovò a sbucare sulla collinetta da cui era partito.
L’uomo in grigio lo stava aspettando.
– Ti stai sbagliando — riprese — la Space Agency è davvero arrivata su Marte.
Paul si precipitò alla sua macchina, l’aprì, frugò convulsamente sotto il sedile.
– Marte è la realtà — continuò lo sconosciuto, in tono incolore, — a essere falsa è la Terra. Quella vera è stata distrutta secoli fa. Tu adesso sei su Marte. La cupoletta pressurizzata che hai appena visitato è l’unico ambiente naturale che tu abbia mai visto.
Paul estrasse da sotto il sedile un piccolo Dissolver a scarica elettrica. L’uomo in grigio continuò.
– Un gruppo di privilegiati ebbe la possibilità di trasferirsi in tempo in questa grande cupola dove sei nato, l’unico posto su Marte dove era stato ricostruito con successo l’ambiente terrestre, con l’aiuto dell’oloplasma. Ma non riuscirono ad adattarsi. Claustrofobia, paranoia. Forse rimorsi. Così decisero di alterare la loro memoria, mentire ai loro figli. E programmare una serie di Ologuardiani del sistema come me. La nuova Space Agency.
Paul puntò il Dissolver contro la sagoma in grigio, gridando:
– Altre bugie!
– Mantenere questa cupola attiva e credibile è la vera attività della Space Agency — continuò l’Ologuardiano — La Terra è perduta. Là fuori c’è il vero Marte, però i terrestri preferiscono continuare a crederlo solo una vaga meta futura. Potrebbero rimodellare in qualsiasi forma questo ambiente oloplasmatico, ma hanno scelto di perpetuare le loro antiche illusioni. Il compito per il quale mi hanno programmato è preservare la loro pace immemore. Quindi, visto che insisti a minacciare la segretezza del sistema, devo eliminarti.
Paul azionò il Dissolver, la scarica colpì la sagoma, trasformandola in una informe nube grigiastra.
Paul saltò in macchina, e partì sgommando. Dalla nube scaturì un lampo violaceo.
La macchina inchiodò di colpo, ribaltandosi. Poi rotolò giù dalla collina, ed esplose.
– Pace immemore — ripetè la massa grigiastra, riassumendo forma apparentemente umana.

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