Marlane – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 30 Apr 2025 21:35:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 L’attualità del Vajont https://www.carmillaonline.com/2015/10/14/linfinito-vajont/ Wed, 14 Oct 2015 06:50:09 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=25996 di Alexik

lapide_paiolaluiginoIl 9 ottobre è passato, e con lui il 52° anniversario della strage del Vajont, quasi assente quest’anno dai telegiornali e dai quotidiani nazionali. Come era prevedibile, una volta spenti i riflettori del cinquantennale, il silenzio ha ricoperto ciò che era già stato sepolto dal fango. Fango materiale, ma anche morale e politico.

Devo dire che a volte è meglio il silenzio piuttosto che la retorica. Se non altro quest’anno ci siamo risparmiati (ad esclusione di una rapida sortita della Serracchiani) il mantra del “Che non succeda mai più !”, [...]]]> di Alexik

lapide_paiolaluiginoIl 9 ottobre è passato, e con lui il 52° anniversario della strage del Vajont, quasi assente quest’anno dai telegiornali e dai quotidiani nazionali. Come era prevedibile, una volta spenti i riflettori del cinquantennale, il silenzio ha ricoperto ciò che era già stato sepolto dal fango. Fango materiale, ma anche morale e politico.

Devo dire che a volte è meglio il silenzio piuttosto che la retorica. Se non altro quest’anno ci siamo risparmiati (ad esclusione di una rapida sortita della Serracchiani) il mantra del “Che non succeda mai più !”, recitato dagli stessi soggetti che nemmeno un anno fa hanno deciso, col decreto ‘sblocca Italia’, un salto in avanti nella devastazione dei territori.

Ci siamo risparmiati le commemorazioni edulcorate, che rievocano ‘l’immane tragedia del Vajont’ dopo averla asetticamente ripulita da una serie di dettagli: la complicità fra potere politico e industriale, le violenze contro le popolazioni, la connivenza dei media e dei ceti accademici con i monopoli dell’energia, la corruzione degli organi di controllo, i conflitti di interesse, la privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite1. Dettagli su cui è meglio sorvolare, casomai risvegliassero analogie col presente. Con la storia, per esempio, di un’altra valle, dove la devastazione è imposta per legge e difesa manu militari.

L’attualità del Vajont

Giorgio Dal PiazOggi come allora, lo Stato fa muro attorno alla grande opera. Esimi scienziati la difendono, come è successo ad un convegno della Società Geologica Italiana, dove si è decretato che la produzione di 300.000 metri cubi di detriti contenenti amianto, prevista per la perforazione del tunnel in Val di Susa, non costituisce un problema per la salute pubblica2. Era il 2006, ma sembrava di tornare ai bei tempi di Giorgio dal Piaz, il luminare della geologia le cui perizie diedero ‘rigore scientifico’ al progetto della diga del Vajont3. Del resto al convegno di Torino relazionava anche suo nipote, Giorgio Vittorio Dal Piaz, responsabile degli studi geologici di base per il Traforo del Brennero (perché la grande opera è una passione di famiglia).

Oggi come allora, si usano i tribunali per far tacere gli oppositori alla grande opera, come successe a Tina Merlin, inquisita per “diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico”. Oggi come allora, i media decantano la grande opera, con la stessa subalternità e servilismo dimostrati all’indomani della strage del Vajont, quando sfoderarono le più grandi firme del giornalismo nazionale per assolverne d’ufficio i responsabili e tacciare di sciacallaggio chi ne indicava i nomi:

Dino BuzzatiUn sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua e l’acqua è traboccata sulla tovaglia. Tutto qui. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri e il sasso era grande come una montagna e di sotto, sulla tovaglia stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi. Non è che si sia rotto il bicchiere, quindi non si può … dare della bestia a chi l’ha costruito. Il bicchiere era fatto a regola d’arte, testimonianza della tenacia, del talento e del coraggio umano… Sconfitta in aperta battaglia, la natura si è vendicata attaccando il vincitore alle spalle” (Dino Buzzati, Corriere della Sera, 11 ottobre 1963).

Giorgio Bocca“… si potrebbe dire che questa è una sciagura pulita, gli uomini non ci hanno messo le mani, tutto è stato fatto dalla natura, che non è buona e non è cattiva, ma indifferente. Non c’era niente da fare, non ci sono colpevoli” (Giorgio Bocca, Il Giorno, 11 ottobre 1963).

“… nella vita delle Nazioni ci sono anche le tragedia spaventose, le carestie, pestilenze, i cicloni, i terremoti. Ciò che conta è di saperle affrontare con coraggio, senza farne pretesto di odi e di divisioni interne … Se certe reazioni sbagliate venissero dai poveri sopravvissuti che nella catastrofe hanno perso tutta la loro famiglia, non dico che le approverei, ma le comprenderei e giustificherei. MontanelliMa qui vengono invece dagli sciacalli che il partito comunista ha sguinzagliato, dai mestatori, dai fomentatori di odio. E sono costoro che additiamo al disgusto, all’abominio e al disprezzo di tutti i galantuomini italiani” (Indro Montanelli, La Domenica del Corriere, novembre 1963).

Di certo gli sciacalli c’erano, ma non quelli indicati da lui. Dopo la strage strani individui cominciarono a circolare a caccia di sopravvissuti. Erano gli avvocati del ‘Consorzio dei danneggiati del Vajont’, un organismo creato dalla stessa Enel per dissuadere i superstiti dall’intento di costituirsi parte civile. Un’operazione decisa dai vertici dello Stato, che vedeva coinvolti alti esponenti della DC e del Partito Socialista4. “A voi superstiti non spetta niente” dicevano gli avvocati. Del resto a chi chiedere i danni se è colpa della natura, come dicono anche Buzzati, Bocca, e Montanelli ? “Vi conviene accettare quello che ora vi viene offerto, altrimenti non avrete niente». In cambio l’Enel offriva una transazione sulla base di un tariffario predefinito: 3 milioni per un coniuge, 2 milioni per un figlio unico, 800.000 lire per un fratello …

Al massimo 33.000,00 euro, ai valori attuali.  Più o meno quanto offerto due anni fa dalla Marzotto in cambio del ritiro dal contenzioso giudiziario delle famiglie degli operai morti alla Marlane di Praia a Mare. Un’altra analogia con il presente: i prezzi della carne umana un tanto al chilo, da allora, non sono cambiati di molto, né le pressioni sulle parti lese nei processi che coinvolgono il potere industriale, come si evince da questo servizio della RAI:

Anche l’epilogo giudiziario del Vajont ha forti affinità coi giorni nostri, con quell’impunità ribadita l’anno scorso dalla sentenza di Cassazione del processo Eternit. Lievissime furono le condanne e colpirono solo i livelli tecnici. Indenni, nemmeno inquisiti, la proprietà della Sade5 (il conte Vittorio Cini) i vertici dell’Enel, ed i padrini politici della ‘diga più alta del mondo’. Dal resto l’Enel/Sade aveva ottimi avvocati.

Qualche giorno dopo la strage, mentre i sopravvissuti scavavano nel fango, scese dall’elicottero il Presidente del Consiglio Giovanni Leone, promettendogli giustizia.

Scaduto il suo mandato di governo, l’avvocato Giovanni Leone Oliviero Zanni - Leone - Vajontandò a presiedere il collegio di difesa dell’Enel, contro quegli stessi superstiti a cui aveva promesso giustizia. Pare sia stato lui a scovare, nel codice civile, il cavillo della ‘commorienza’, cioè quel meccanismo per cui se muoiono contemporaneamente i nonni e i genitori, i nipoti perdono ogni diritto ai risarcimenti per la vita dei nonni. Grazie alla ‘commorienza’, Leone riuscì a far risparmiare all’Enel una bella fetta di risarcimenti agli orfani del Vajont. Poi lo fecero Presidente della Repubblica.

Più di recente anche i vertici di Marzotto, Solvay, Thyssenkrupp, Eternit, inquisiti per disastri ambientali e morti operaie, si sono avvalsi dei migliori legali sulla piazza. Che ora capisco, non accettavano l’incarico per soldi: puntavano al Quirinale !

Ottobre 1963: muore Longarone, nasce il Nord Est

Quello della ‘commorienza’ fu solo uno degli innumerevoli oltraggi subiti dai superstiti del Vajont. Ce ne furono altri:  il processo tenuto a l’Aquila per ostacolarne la partecipazione. Il trasferimento forzato dei sopravvissuti di Erto e Casso a Vajont – un paese anonimo creato per l’occasione – che ha determinato la perdita, per questa gente, dei propri luoghi e punti di riferimento, in aggiunta a quella dei propri cari6. La sparizione dei fondi delle donazioni private. I sussidi da fame, insufficienti per gente che ha perso ogni cosa, e tali da indurla ad accettare l’offerta di transazione dell’Enel. L’assenza di qualsiasi supporto psicologico dopo un trauma così profondo. L’adozione degli orfani da parte di famiglie che avevano il solo scopo di incassarne i sussidi, senza nessun controllo da parte di un giudice tutelare. L’interruzione delle ricerche dei corpi (centinaia mancano all’appello). La costruzione (con i contributi della Legge Vajont) di un salumificio in un’area del comune di Erto sotto la quale, probabilmente, giacciono ancora delle vittime.

Renzi a Longarone2Fino all’ultimo insulto del 2004: la ‘ristrutturazione’ (costata 4 milioni di euro) ad opera dell’ex sindaco De Cesero, del cimitero di Fortogna, che raccoglieva i resti ritrovati di quei poveri corpi. La rimozione delle croci, delle foto, delle lapidi con le iscrizioni poste dai parenti, distrutte in parte dalle ruspe e sostituite da cippi di Stato, tutti uguali, ai quali non si può aggiungere una foto o porre un fiore, e che non coincidono più con la posizione dei corpi 7. La creazione di una sorta di sacrario istituzionale, che cancella la memoria viva dei sopravvissuti per sostituirla con una memoria fittizia, come la commozione dei politici che l’usano, di tanto in tanto, come passerella. Nuovo dolore per gente che non ha più nemmeno una tomba su cui piangere (nella foto in alto una lapide del cimitero originario).

Ma uno degli oltraggi più abnormi fu certamente la gestione del fiume di denaro della cd ‘Legge Vajont’. Un massiccio trasferimento di ricchezza sottratta all’assistenza ai sopravvissuti a favore del capitale privato.

Col pretesto della strage, la Democrazia Cristiana ha provveduto a nutrire la propria rete clientelare del Triveneto, finanziando con una massiccia iniezione di denaro pubblico quell’imprenditoria nordestina che stentava ad agganciarsi al ‘miracolo economico’. Alla faccia del mito del Nord Est e del suo sviluppo nato dall’operosità ! Di quelli che ‘si son fatti da soli’, senza l’aiuto dello Stato, che esecrano l’assistenzialismo meridionale ! Qui se non interveniva Roma ladrona con gli schei se lo scordavano il mito! E a proposito di ladroni: bella figura fottere i propri vicini vittime di una strage ! Perché andò esattamente così la nascita di un modello fondato sul cinismo.

L'onda lungaLa ‘Legge Vajont’ (n. 357/1964) – emanata dal governo di centrosinistra presieduto da Aldo Moro – prevedeva per la ricostruzione o l’ampliamento delle attività distrutte dalla catastrofe, finanziamenti pubblici a fondo perduto e prestiti a tasso agevolato praticamente illimitati, oltre a forti agevolazioni fiscali. La legge non obbligava, per ottenere i benefici, a ricostruire lo stesso tipo di attività, né a farlo a Longarone e dintorni. L’azienda poteva essere ricollocata in qualsiasi parte delle provincie di Belluno, Udine e limitrofe … vale a dire Trento Bolzano, Gorizia, Vicenza, Treviso e Trieste … praticamente mezzo Triveneto. Dulcis in fundo, i diritti acquisiti con la legge Vajont erano cedibili, assieme alle licenze,  a terzi, sia che fossero persone fisiche o giuridiche.

Così recita un’informativa della Polizia tributaria: “Di queste disposizione approfittarono diverse persone le quali providero a rintracciare e avvicinare i sopravvissuti già titolari di licenze per l’esercizio di qualsiasi impresa o eredi di questi, facendosi nominare ‘procuratori speciali’ per la cessione dei diritti dietro compenso di somme esigue… Una volta in possesso della procura, tali persone, per la maggior parte liberi professionisti, proponevano a grossi complessi industriali, a commercianti che volevano ampliare le proprie aziende o a persone facoltose che avessero intenzione di far sorgere una qualsiasi attività, l’acquisto dei diritti dei quali erano venuti in possesso”.8

Poteva quindi accadere che il sig. Giuseppe Corona, artigiano e ambulante, cedesse i suoi diritti per meno di trecentomila lire alla Arredamenti Morena Spa. di Gemona, che ne avrebbe ricavato quasi 503 milioni (dell’epoca) fra finanziamenti a fondo perduto e mutuo agevolato. Al lordo, si intende, della parcella di 21 milioni al mediatore, tal rag. Aldo Romanet (Romanet diventerà famoso, per aver – in concorso con altri – sottratto e convogliato in conti svizzeri, un miliardo e duecento milioni dai fondi destinati alla ricostruzione). La Zanussi Mel, fabbrica di compressori del gruppo Zanussi, ricevette più di sei miliardi di finanziamenti e prestiti agevolati grazie all’acquisto delle licenze dagli eredi di un commerciante di calzature di Longarone, di un rivenditore di elettrodomestici e di un oste. La Indel Spa di Ospitale di Cadore ottenne tre miliardi e 222 milioni comprando le licenze di un geometra e di un fotografo. La Filatura del Vajont, comprando la licenza di una segheria, ricavò tre miliardi e 190 milioni. La Confezioni SanRemo Spa, una delle aziende italiane del tessile più grandi dell’epoca, beccò 2 miliardi e 300 milioni, comprando la licenza di un falegname. Ottenne anche forti agevolazioni IGE (poi IVA), e grazie alla Legge Vajont costruì uno stabilimento e un magazzino centrale a Belluno. Stesso discorso per le Industrie meccaniche di Alano di Piave (un miliardo e 125 milioni grazie alla licenza di un commerciante di legname), per le Ceramiche Dolomite (un miliardo e 200 milioni per le licenze di una sarta e di una carpenteria), per le Industrie San Marco Spa (4 miliardi con la licenza di un albergo e di un impiantista idraulico). Per capire pienamente il valore di tali cifre, relative a stanziamenti degli anni ’60-’70, bisogna riparametrarle ai valori attuali, moltiplicandole anche fino a venti volte, a seconda dell’anno di erogazione.

Centinaia di aziende ottennero contributi (circa trecento solo nel bellunese), in zone che non c’entravano nulla con i luoghi della strage, e quelle dei sopravvissuti erano un’esigua minoranza9. Che fine han fatto queste attività?

Alcune chiusero subito. “Nel 1968 ero una sindacalista, capo della Commissione interna di una fabbrica di manifattura nata con i soldi dei morti e finita male, come molte altre aziende che hanno chiuso non appena sono cessate le sponsorizzazioni per il Vajont10.

Italian Wanbao - ACCLa Filatura del Vajont ha chiuso dopo aver campato per anni solo grazie ai finanziamenti pubblici. Nel ’75 veniva segnalata da un’interrogazione parlamentare perché non pagava gli stipendi11. La San Remo ha chiuso definitivamente nel 2004. La Ceramica Dolomite è stata acquisita dal fondo americano Bain Capital, che le ha riversato addosso i suoi debiti, e l’anno scorso lo stabilimento di Trichiana ha rischiato la chiusura. La Zanussi Mel è stata da poco acquistata dal colosso cinese dei compressori «Wanbao», acquisizione che ha evitato la chiusura dello stabilimento ma con 142 dipendenti in meno. A Ospitale di Cadore, nello spazio della vecchia Indel, la Società Italiana Centrali Elettrotermiche (SICET), pensa di costruire un nuovo inceneritore.

C’è caso che della Legge Vajont ci rimanga soltanto il fango.


  1. Per i dettagli: Tina Merlin, Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont, Milano, La Pietra, 1983. Marco Paolini, Vajont, 1993, visibile qui. Renzo Martinelli, Vajont – La diga del disonore, 2001. 

  2. Due convegni su «Amianto e Uranio in Val di Susa». Il contributo della Società Geologica Italiana ad un tema di grande rilevanza sociale, Rend. Soc. Geol. It., 3 (2006), Nuova Serie, 5-8. 

  3. A Giorgio dal Piaz sono tuttora dedicati istituti scolastici e un premio della Società Geologica Italiana. 

  4. Camera dei Deputati, Seduta del 19 gennaio 1968, Interrogazione parlamentare dell’On Busetto

  5. Società Adriatica di Elettricità, fondata dall’industriale Giuseppe Volpi. Fu la Sade a costruire la diga, prima di venire acquisita dall’Enel nell’ambito delle nazionalizzazioni del ’62. 

  6. Officine Tolau, #Ondalunga12 – “Deportati” a Vajont (video). 

  7. Officine Tolau, #Ondalunga17 – Il cimitero di Fortogna è un falso storico (video). 

  8. Lucia Vastano, L’onda lunga, Sinbad Press, 2013, p. 81/82 

  9. Ibidem, pp. 85/93 

  10. Ibidem, p. 179. Testimonianza di Nives Fontanella. 

  11. Camera dei Deputati, VI Legislatura, seduta del 15 gennaio 1975, Interrogazione dell’Onorevole Moro Dino.  

]]>
I pesi e le misure (parte seconda) https://www.carmillaonline.com/2013/07/13/i-pesi-e-le-misure-parte-seconda/ Fri, 12 Jul 2013 23:57:42 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=7607 di Alexik

giustizia_ciecaLa prima parte è stata pubblicata  qui.

“Io ero il legale delle ferrovie “Q” e della Indemnity Company che assicurava i proprietari della miniera. Ho influenzato giudici e giurie, e le alte corti, per sconfiggere le rivendicazioni degli infortunati, delle vedove e degli orfani, e così mi sono fatto una fortuna. L’associazione degli avvocati cantò le mie lodi in un’altisonante delibera. E numerose furono le corone funebri – Ma i topi hanno divorato il mio cuore e un serpente ha fatto il nido  dentro il mio cranio !” 

Edgar Lee [...]]]> di Alexik

giustizia_ciecaLa prima parte è stata pubblicata  qui.

“Io ero il legale delle ferrovie “Q”
e della Indemnity Company che assicurava
i proprietari della miniera.
Ho influenzato giudici e giurie,
e le alte corti, per sconfiggere le rivendicazioni
degli infortunati, delle vedove e degli orfani,
e così mi sono fatto una fortuna.
L’associazione degli avvocati cantò le mie lodi
in un’altisonante delibera.
E numerose furono le corone funebri –
Ma i topi hanno divorato il mio cuore
e un serpente ha fatto il nido  dentro il mio cranio !” 

Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River.

Nei processi per disastri ambientali o stragi di fabbrica le dirigenze e le proprietà dell’industria italiana sfoggiano avvocati di grido, costosi “principi del foro” pagati coi denari risparmiati sulle misure di sicurezza.

Sicuramente da questo punto di vista non bada a spese il conte Marzotto, attualmente imputato per le morti operaie della Marlane, che affida la sua difesa a Nicolò Ghedini – parlamentare PDL e storico legale di Berlusconi –  oltre che a Massimo Dinoia e a Guido Calvi, membro non togato del CSM, docente universitario e senatore PD.  Pisapia, per decenza, dopo la nomina ha rinunciato all’incarico.

Il nome dell’avvocato Dinoia riappare a fianco della Solvay di Spinetta Marengo nel processo in corso contro il polo chimico alessandrino. Il suo è, in ordine di tempo,  l’ultimo incarico di un lungo curriculum forense che parte dalla difesa di più di 200 imputati di tangentopoli, continua con Antonio Di Pietro e con l’ex capo della security di Telecom Giuliano Tavaroli, fino ad approdare a Ruby Rubacuori.  Dinoia è affiancato nel collegio difensivo da Domenico Pulitanò, ordinario di diritto penale presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca. Nello stesso processo la Montedison si è avvalsa di Tullio Padovani, già difensore di Mussari per il caso MPS.

A Torino, per il rogo alla Thyssenkrupp, l’amministratore delegato Harald Espenhahn ha scelto Franco Coppi, altro legale di Berlusconi che ha annoverato nella sua clientela anche Giulio Andreotti e Gianni De Gennaro (per il massacro alla Diaz).

L’ex presidente di Italcantieri Giorgio Tupini, imputato per i morti dei cantieri navali di Monfalcone, si è invece rivolto ad Alessandro Cassiani, che fino a pochi anni fa presiedeva a Roma  l’ordine degli avvocati.

Insomma, l’intero gotha dell’avvocatura italiana viene schierato contro lavoratori e cittadini ammalati, contro le associazioni che li sostengono, contro le vedove degli operai.

Un’avvocatura che ha avuto modo di sperimentarsi, nel corso di un ventennio di berlusconismo, all’interno di una particolare “cultura” giuridica che fa della prescrizione l’obiettivo principale della difesa, da raggiungere allungando i tempi del processo con gli artifizi più fantasiosi e pazzeschi.

Per quanto molto meno mediatizzati (anzi, per meglio dire, sepolti nel silenzio) rispetto ai processi che vedono come imputato il nostro patetico ex premier, vari  procedimenti per inquinamento e omicidi sul lavoro sembrano seguire un copione molto simile. Consideriamone alcuni:

Solvay/Ausimont/Montedison di Spinetta Marengo

E’ il caso più eclatante fra i tentativi maldestri di approdo alla prescrizione. Nel procedimento 38 ex amministratori delegati, direttori di stabilimento, dirigenti e tecnici del polo chimico, sono inquisiti per avvelenamento doloso delle falde acquifere e mancata bonifica. Sotto lo stabilimento giacciono ancora almeno 500 mila metri cubi di veleni, quali cromo esavalente, cloro, arsenico, titanio, nichel, cobalto, mercurio, selenio, vanadio, piombo, cadmio, solventi aromatici e clorurati. Percolano in falda, inquinano pozzi. Settantadue i cittadini con pesanti danni alla salute costituitisi parte civile. Lo scorso marzo l’avvocato della Solvay Massimo Dinoia ha sollevato  l’eccezione di incompetenza territoriale della Corte d’Assise di Alessandria, per ottenere il  trasferimento del processo a Milano e far ricominciare tutto da capo.  Motivo ? I magistrati alessandrini – in qualità di potenziali consumatori di quell’acqua inquinata – potevano considerarsi parte offesa e non essere – pertanto –  sufficientemente equilibrati nel giudizio (!!!!). A Dinoia è stato già suggerito di richiedere il trasferimento del processo a Filicudi, visto che la falda inquinata va a finire nel Bormida, e di conseguenza nel Tanaro, nel Po e infine in Adriatico, escludendo dalla competenza qualsiasi giudice della pianura padana e della costa est della penisola. Peccato per lui (e per la Solvay) che il suo tentativo sia stato respinto. In giugno l’epidemiologo Ennio Cadum ha riportato il dibattito processuale su argomenti più seri: la sua indagine sull’intera popolazione di Spinetta (720 persone), confrontata con quella di Alessandria, ha dimostrato un eccesso del 70-80 % di malformazioni congenite, oltre a percentuali rilevanti di tumori alla laringe ed al 30/50% in più di malattie del cavo orale ed esofagee potenzialmente ricollegabili all’acqua inquinata.

Cantieri navali di Monfalcone

Di cosa avranno paura i dirigenti Italcantieri alla sbarra al tribunale di Gorizia ? Degli sguardi dei famigliari di quegli 87 operai ed operaie morti d’amianto in seguito al lavoro nei cantieri navali ? Paura del loro dolore, o della loro dignità ? Italcantieri, che ha ucciso i loro cari, ora accusa le vedove di essere “minacciose”, di non garantire ai giudici la giusta serenità. Perché la violenza non è condurre le persone a morire sputando sangue dai polmoni. Violenza è pretendere giustizia. Per questo l’avvocato Cassiani ha avanzato l‘istanza di trasferimento del processo per legittima suspicione. Lo ha fatto il 25 giugno, proprio nel giorno in cui era attesa la sentenza, lasciando attonite le parti civili. Se la Cassazione gli darà ragione bisognerà ricominciare il processo da zero, rendendo più accessibili agli imputati i termini per la prescrizione.

Sarebbe un precedente pericoloso, potrebbe essere usato per inibire le dimostrazioni di solidarietà agli operai e alle loro famiglie (presenza in aula, sit in fuori dal tribunale) anche in altri contesti processuali, e fornire un utile pretesto per l’annullamento di interi procedimenti. Sarebbe un pessimo segnale anche per il territorio goriziano, tenendo conto che il processo in corso è solo un primo atto, visto che quegli 87 operai e operaie fanno parte di una strage molto più vasta.  Nella sola sede Inail di Monfalcone dal 1980 al 2000 sono state riconosciute circa 2000 patologie asbesto-correlate. Dal 2004 al 2013 nel territorio di competenza della Procura di Gorizia ne sono state registrate 1921. Nella provincia l’incidenza di tumori da amianto è di 11,59 ogni 100.000 abitanti – il tasso più alto d’Italia – e il picco deve ancora arrivare. Si prevede che soltanto a partire dal 2020 potremo assistere ad un calo significativo dei casi di mesotelioma nel territorio.

Marlane di Praia a Mare

Si sta svolgendo a Paola il processo alla Marlane di Praia a Mare che vede imputati per disastro ambientale doloso, omicidio colposo plurimo e lesioni colpose il conte Pietro Marzotto, il presidente del gruppo Marzotto (ex vicepresidente di Confindustria Veneto) Antonio Favrin, l’ex sindaco di Praia Carlo Lo Monaco oltre ad altri 10 dirigenti della fabbrica. Centosette gli operai morti o malati per esposizione al cromo, all’amianto e alle amine aromatiche.

Oggi a Praia la Marlane non c’è più, è stata delocalizzata ad est  assieme ai suoi veleni (si dice che sia a Brno, in Cechia). Lascia dietro di se le vedove degli operai, i capannoni diroccati e tonnellate di scorie tossiche sepolte dentro e fuori i terreni dell’azienda, contaminati da nichel, vanadio, cromo, mercurio, zinco, arsenico, piombo e Pcb. Una bomba a tempo per chi, a differenza dei capitali, non può (e non vuole) andarsene via.

Nel corso del processo il collegio difensivo ha puntato da subito sulla prescrizione, contestando la competenza territoriale del Tribunale di Paola e ottenendo continui rinvii (ben 6 fra il 2011 e 2012). Forse in parte ce l’ha fatta: alla fine di febbraio la Procura di Paola ha chiesto di archiviare le posizioni di 41 lavoratori morti per tumore più di 15 anni fa. Il tempo trascorso, infatti, ha mandato in prescrizione per gli imputati il reato di omicidio colposo. Ora l’unica strada percorribile e quella proposta dalle parti civili  di riformulare i capi di imputazione in omicidio volontario. La decisione, che era attesa per giugno, è ancora in sospeso.

Anic – Enichem di Ravenna

Non andrà in prescrizione il processo per 33 morti di amianto e 40 ammalati gravi al petrolchimico di Ravenna. Non ci andrà perché Loris Cimatti, manutentore all’Anic – Enichem per 30 anni, li ha fottuti tutti, resistendo fino al 2011 prima di morire di mesotelioma pleurico. L’inserimento del suo caso ha ampliato il tempo disponibile per lo svolgimento delle udienze, ma è terribile che le speranze di concludere il giudizio siano dipese dalla morte di un uomo.

C’è il rischio però che il processo si estingua per l’estinzione degli imputati: i 25 dirigenti incriminati per disastro colposo, omicidio colposo e lesioni colpose hanno tutti tra i 72 e i 92 anni. Altri 51 non figurano perché stramorti da tempo (da Enrico Mattei a Eugenio Cefis, da Raffaele Girotti e Gabriele Cagliari). (Continua)

]]>