Marisa Salabelle – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 14 Jun 2025 20:00:29 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 La scrittrice obesa di Marisa Salabelle https://www.carmillaonline.com/2022/11/17/la-scrittrice-obesa-di-marisa-salabelle/ Thu, 17 Nov 2022 21:30:27 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=74771 Arkadia editore, Cagliari 2022, pp. 160 € 15,00.

Abbiamo chiesto all’autrice una nota sul suo ultimo lavoro narrativo. Segue un estratto del libro.

La scrittrice obesa, uscito il 21 ottobre scorso, ha avuto una genesi un po’ particolare. Ho iniziato a scriverlo circa dieci anni fa, in un periodo di grande frustrazione, in cui non riuscivo a trovare un editore per certe cose che avevo scritto e che erano, secondo me, meritevoli di pubblicazione. Non si pensi però che si tratti di un puro e semplice “sfogo”: si tratta infatti di un [...]]]>
Arkadia editore, Cagliari 2022, pp. 160 € 15,00.

Abbiamo chiesto all’autrice una nota sul suo ultimo lavoro narrativo. Segue un estratto del libro.

La scrittrice obesa, uscito il 21 ottobre scorso, ha avuto una genesi un po’ particolare. Ho iniziato a scriverlo circa dieci anni fa, in un periodo di grande frustrazione, in cui non riuscivo a trovare un editore per certe cose che avevo scritto e che erano, secondo me, meritevoli di pubblicazione. Non si pensi però che si tratti di un puro e semplice “sfogo”: si tratta infatti di un vero e proprio romanzo adeguatamente strutturato e articolato; inoltre ho avuto un lungo periodo di tempo, costellato di soddisfazioni e di momenti di amarezza, per farlo decantare e per purgarlo dagli aspetti troppo personali.
La protagonista, Susanna Rosso, è una donna ossessionata da due passioni: quella per il cibo e quella per la letteratura. Non si tratta di un’accoppiata tanto peregrina: Honoré de Balzac, tanto per dirne uno, soffriva delle medesime passioni. Susanna legge, scrive, mangia, praticamente non fa altro. È scontrosa, sgarbata, al punto che le poche persone che le stanno vicine, sua madre, la vicina di casa, l’amica dei tempi di scuola e una gentile suorina, per non parlare dell’unico uomo col quale sia riuscita ad intrecciare una parvenza di relazione, prima o poi si stufano di lei, della sua mania di persecuzione e delle sue maniere eccessivamente ruvide. Susanna è convinta di avere un vero talento letterario e si impegna partecipando a concorsi, scrivendo a scrittori affermati, spedendo i suoi manoscritti a case editrici, imperversando sui social come un vero e proprio troll. Ogni suo sforzo è inutile. Intanto, col passare degli anni, i suoi aspetti caratteriali problematici si trasformano in gravi disturbi fisici e mentali: diventa una superobesa, inizia a confondere la realtà con la fantasia, è perseguitata dai fantasmi dei suoi personaggi che le si materializzano davanti e la rimproverano di averli creati strani e sventurati.
Ma Susanna è o non è il genio che crede? Le sue opere sono dei capolavori misconosciuti o dei polpettoni indigeribili? Gli editori che le oppongono netti rifiuti hanno le loro buone ragioni o sono condizionati da pregiudizi e interessi personali?

ESTRATTO – SECONDA PARTE, CAP. 14

La notte, Susanna non riusciva a dormire. Per prima cosa, ormai aveva perso completamente il controllo del ciclo sonno-veglia, per cui dormiva e si svegliava nelle ore più impensate; nella sua casa dalle persiane perennemente accostate, notte e giorno si distinguevano a malapena. Anche gli spazi avevano perso ogni tratto distintivo, per cui le capitava di trascorrere la giornata in camera, semisdraiata sul letto, circondata da tutte le sue appendici cartacee e digitali, e la notte in salotto, sul divano, con la televisione accesa. Dopo aver sonnecchiato nel pomeriggio, digerendo il cibo ingurgitato in grandi quantità, vegliava a lungo oltre le due, le tre di notte; si appisolava, si riscuoteva all’improvviso; pensieri incontrollati le affollavano la mente: accendeva il portatile, che teneva sul comodino, sul tavolino accanto al divano o direttamente sul letto, entrava nel suo account di posta elettronica e scriveva mail infuocate che inviava a caso a qualcuno dei nominativi della sua rubrica: dopo essersi sfogata chiudeva tutto e si rimetteva a dormire; la mattina, quando si svegliava, non ricordava nulla, e non si sarebbe mai resa conto di quello che faceva nel dormiveglia se non avessero cominciato ad arrivarle mail di risposta da parte dei suoi involontari contatti: qualcuno allibito le scriveva «Dev’essersi verificato un errore, ho ricevuto questo messaggio che le rimando indietro e del quale non mi riconosco in alcun modo destinatario», altri rispondevano per le rime ai suoi insulti, c’era chi la minacciava di “adire le vie legali” se lei “si fosse ostinata a importunarlo”. Leggendo quelle missive, Susanna non si raccapezzava: cosa diavolo aveva fatto? Cominciò a scorrerle una per una verso il basso: trattandosi di risposte, riportavano anche il messaggio originario. E così si rese conto di aver scritto testi ingiuriosi, osceni, incomprensibili, a una serie di soggetti quali scrittori più o meno famosi, editori, cantanti e uomini politici, oltre che ad alcuni suoi conoscenti dei quali aveva l’indirizzo. “Bene”, pensava man mano che li rileggeva, “ben detto: gli sta proprio bene”.

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Il ferro da calza, di Marisa Salabelle https://www.carmillaonline.com/2022/06/20/il-ferro-da-calza-di-marisa-salabelle/ Mon, 20 Jun 2022 20:30:41 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=72352 Tarka editore, Mulazzo (MS) 2022, pagg. 168 € 16.50

di Marisa Salabelle

Il ferro da calza, il mio nuovo romanzo, è un “giallo appenninico” che si ricollega al precedente L’ultimo dei Santi. Tarka è una piccola casa editrice della Lunigiana, il cui catalogo è in gran parte dedicato ai temi dell’ambiente e del territorio; nel 2019, con la supervisione di Paolo Ciampi e Marino Magliani, è nata la collana Appenninica. Ad oggi ha pubblicato sette libri, tra romanzi e Itinerari alla scoperta delle tante meraviglie dell’Appennino; il mio romanzo sarà l’ottavo. Si tratta [...]]]> Tarka editore, Mulazzo (MS) 2022, pagg. 168 € 16.50

di Marisa Salabelle

Il ferro da calza, il mio nuovo romanzo, è un “giallo appenninico” che si ricollega al precedente L’ultimo dei Santi. Tarka è una piccola casa editrice della Lunigiana, il cui catalogo è in gran parte dedicato ai temi dell’ambiente e del territorio; nel 2019, con la supervisione di Paolo Ciampi e Marino Magliani, è nata la collana Appenninica. Ad oggi ha pubblicato sette libri, tra romanzi e Itinerari alla scoperta delle tante meraviglie dell’Appennino; il mio romanzo sarà l’ottavo. Si tratta come dicevo di un giallo: una giovane donna è stata assassinata proprio mentre si preparava per inaugurare un importante evento, nella cittadina termale di Porretta Terme, nella giornata dedicata ai Diritti umani, il 10 dicembre 2002. È passato poco più di un anno dai terribili avvenimenti di Genova 2001 e Marianna, un’attivista di Amnesty International, in collaborazione con l’amica Ginevra che rappresenta l’associazione “Il granello di senape”, ha organizzato un convegno: ospiti, il giornalista Saverio Giorgianni, il fotografo Felix Osabuohien, Francesco Gesualdi del Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Nerys Lee di Amnesty e alcune autorità locali. Marianna ha a cuore i diritti umani ma soprattutto ha a cuore la sua carriera: purtroppo non potrà presenziare all’evento che ha fortemente voluto perché qualcuno le conficcherà un sottile ferro da calza nella schiena, colpendola al cuore.

Cosa c’è, nel Ferro da calza, oltre a una trama che spero non banale e alle tipiche indagini su un caso di omicidio? Direi l’ambientazione appenninica, come prescritto dalla collana alla quale il libro appartiene: un Appennino in disarmo, ripiegato su se stesso, su certe glorie novecentesche ormai dimenticate. I personaggi ricorrenti, rappresentati da Saverio e dalla sua complicata famiglia, che seguo da un romanzo all’altro nel loro percorso individuale e nel mutare delle loro relazioni; e due tra i principali moventi dell’agire umano, l’amore e il potere, declinati in diverse modalità che il lettore, se avrà il desiderio di leggere, non tarderà a scoprire.

Il ferro da calza è un romanzo di intrattenimento, vorrebbe appassionare e divertire, ma per chi è interessato ad andare un po’ più a fondo offre anche qualche spunto di riflessione. Ve ne propongo un piccolo assaggio.

* * *

 
Intanto a Casa Arancio la gente cominciava ad arrivare, parecchie persone entravano dal massiccio portone, percorrevano il cortile e salivano al primo piano, dove nell’auditorium le poltroncine iniziavano a riempirsi. Saluti, scambio di cortesie tra conoscenti, presentazioni; Ginevra si trovò imbottigliata tra amici che volevano salutarla, volontari che le chiedevano consigli, rappresentanti delle istituzioni e la delegazione di Amnesty, tutta una quantità di persone da gestire, gli ospiti da far accomodare, e Marianna che non dava segni di vita… Le aveva telefonato, lasciato messaggi in segreteria, inviato SMS, senza ricevere segnali di sorta. Si erano fatte le cinque e un quarto, la sala era piena, come previsto i posti a sedere erano tutti occupati e molte persone erano in piedi, erano arrivati tutti, anche la tipa di Amnesty, Nerys Lee, un pezzo grosso che era stato davvero un colpaccio riuscire a portare lì, bisognava iniziare e Marianna non si vedeva. Alle 17.35 Ginevra decise che era ora di cominciare. I relatori presero posto al tavolo, che, pur essendo abbastanza lungo, li conteneva a malapena. I politici erano alle due estremità: a destra l’assessore alla cultura, a sinistra la consigliera regionale. A fianco al primo sedeva Gesualdi, a lato della seconda stava Nerys Lee, vicino alla quale si sarebbe dovuta sedere Marianna, la cui sedia rimase temporaneamente vuota. Ginevra prese posto accanto a Francuccio Gesualdi, le due postazioni centrali erano infine occupate da Felix Osabuohien e Saverio Giorgianni. Ginevra picchiettò sul microfono per ottenere attenzione: il brusio nella sala strapiena si attenuò fino a cessare del tutto. Quando il silenzio fu totale la ragazza prese la parola: era contrariata, perché quel compito sarebbe dovuto toccare a Marianna, molto più spigliata di lei, che non amava parlare in pubblico; a quel punto, tuttavia, vista la situazione, qualcuno doveva pur dare inizio alle danze. Ginevra strinse i denti e iniziò, sperando di ricordarsi di dire tutto. Doveva salutare il pubblico e gli ospiti, annunciare il tema della serata, nominare uno per uno i diversi relatori e… dio, non ce la poteva fare! A un tratto sul display del cellulare, silenziato sul tavolo, vide lampeggiare il nome di Nicola. Avrebbe voluto rispondere, ma non poteva: stava citando i vari enti organizzatori dell’evento, tra i quali non doveva dimenticare l’associazione di cui faceva parte, Il Granello di Senape. Doveva essere successo qualcosa, se Nicola la chiamava in quel momento, eppure non riusciva a credere che la sua amica non sarebbe arrivata di lì a poco: già se la vedeva apparire in fondo alla sala, col suo vistoso abito rosso e i suoi tacchi altissimi, percorrere il corridoio centrale tra gli sguardi ammirati del pubblico, salire la scaletta del palco e prendere posto, scusandosi per il ritardo con uno dei suoi sorrisi più seducenti. Invece, nel giro di pochi minuti, dal fondo della sala arrivarono due poliziotti in divisa, che a loro volta attraversarono il corridoio nello stupore generale, salirono sul palco e andarono a confabulare con la consigliera regionale, che, a torto o a ragione, ritennero essere la personalità più autorevole tra i presenti. Ginevra, che si era zittita non appena aveva visto i due tutori dell’ordine, seguiva con sgomento la pantomima, cercando di capire cosa avessero da dire, quei due, alla consigliera. A un tratto uno degli agenti si avvicinò a lei, le chiese «permette, signorina», afferrò il microfono e disse che a causa di un imprevisto il convegno era annullato; invitò i presenti a lasciare Casa Arancio, rassicurandoli allo stesso tempo che non correvano alcun pericolo; infine invitò i relatori e gli organizzatori a trattenersi per rispondere ad alcune domande.

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Gli ingranaggi dei ricordi, di Marisa Salabelle https://www.carmillaonline.com/2020/10/20/gli-ingranaggi-dei-ricordi-di-marisa-salabelle/ Tue, 20 Oct 2020 20:30:38 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=63178 Arkadia, Cagliari 2020, pagg. 184 € 15

(Pubblichiamo una nota dell’autrice e il capitolo IV)

di Marisa Salabelle

Gli ingranaggi dei ricordi è un romanzo, come direbbe il vecchio don Lisander, “misto di storia e d’invenzione”. Come si usa dire oggi, è “ispirato a una storia vera”.

Affronta, alternandole nella narrazione, le vicende di due gruppi familiari: i Dubois e gli Zedda-Serra. All’interno di ciascuno dei due filoni si alternano a loro volta due diversi piani temporali: il 1943-44 e il 2015-16. Il gruppo dei Dubois è rappresentato dall’anziana Demy e da sua [...]]]> Arkadia, Cagliari 2020, pagg. 184 € 15

(Pubblichiamo una nota dell’autrice e il capitolo IV)

di Marisa Salabelle

Gli ingranaggi dei ricordi è un romanzo, come direbbe il vecchio don Lisander, “misto di storia e d’invenzione”. Come si usa dire oggi, è “ispirato a una storia vera”.

Affronta, alternandole nella narrazione, le vicende di due gruppi familiari: i Dubois e gli Zedda-Serra. All’interno di ciascuno dei due filoni si alternano a loro volta due diversi piani temporali: il 1943-44 e il 2015-16. Il gruppo dei Dubois è rappresentato dall’anziana Demy e da sua nipote Carla, che si divide tra la Toscana, dove vive, e Cagliari, dove si reca spesso per prendersi cura della zia inferma. È lei che le racconta di quando, durante la guerra, si è fatta la Sardegna a piedi con la sorella Bella e il fratello Felice, padre di Carla. Il gruppo degli Zedda-Serra è costituito da Generosa e suo marito con la loro numerosa famiglia: anche loro devono affrontare i disagi della guerra, i bombardamenti, lo sfollamento. Il fratello più giovane di Generosa, Silvio, vive a Roma, è arruolato nei Gap e prende parte all’attentato di Via Rasella. Sulla vera storia di Silvio Serra indaga un giovane laureando in storia, Kevin, pronipote di Generosa.

Ho voluto scrivere questo libro principalmente per due motivi: il desiderio di raccontare la storia di mio padre, adombrato nella figura di Felice, e quello di riportare alla luce la figura di Silvio Serra, che il Dizionario della Resistenza Einaudi definisce “un eroe sconosciuto”. Ho letto e studiato molto, mi sono affidata a racconti e ricordi familiari, ho guardato filmati e fotografie e su queste basi ho sguinzagliato la mia immaginazione, cercando di “vedere” i personaggi durante le loro avventure e di “ascoltare” le loro conversazioni. La materia del romanzo è seria, ma punteggiata di aneddoti, un po’ veri e un po’ inventati, che l’alleggeriscono e creano anche momenti di divertimento. È un po’ questa la mia cifra narrativa, la “leggerezza” in senso calviniano, una punta di ironia: posso dire anche cose molto dure, ma cerco sempre di smorzarle con un sorriso. È un pregio? Un limite? Non so: questo è il mio modo, direi.

Generosa. Cagliari, 1943

 
Antonia e Giannina si precipitarono giù per le scale spingendosi l’un l’altra e ridendo come due sceme. Finalmente una boccata d’aria. Signora Generosa non era la peggior padrona sotto cui potevano capitare, ma Eufemia, che era quella che aveva l’effettiva autorità su di loro, era una vera negriera, le trattava come schiave, facendole sgobbare dalla mattina alla sera. Certo, fosse stato per lei, non le avrebbe mandate in due al mercato, ma signora Generosa era più indulgente, o forse la condizione in cui si trovava la rendeva meno battagliera. Comunque fosse, ce l’avevano fatta, una mezzoretta tutta per sé erano riuscite a rimediarla, e non era poco, a quei chiari di Luna.

La famiglia del dottor Zedda era impegnativa, la casa grande, tante camere da tenere in ordine, tre maschietti pestiferi cui badare, cui presto se ne sarebbe aggiunto un altro che avrebbe urlato a pieni polmoni dalla mattina alla sera, e signora Generosa con le sue paturnie da donna gravida, e le camicie del dottor Zedda da stirare, e le provviste da sistemare in dispensa, aiutare Eufemia a preparare i pasti, apparecchiare, sparecchiare, lavare i piatti, e meno male che il bucato, almeno quello non toccava a loro. Antonia se voleva riposarsi un momento doveva chiudersi in bagno, ma venivano a bussarle pure lì: «E sbrigati, che c’è da fare! Non starai mica leggendo giornaletti, chiusa in gabinetto da mezzora!» Giannina lo stesso, non aveva un minuto di pace, neanche per guardare fuori dalla finestra, in cortile, dove i giovani di studio del notaio uscivano a prendere un po’ d’aria. Il notaio, Ulderigo Zedda, era il fratello del dottor Zedda, aveva casa e ufficio al pianoterra, tutto il palazzo apparteneva alla famiglia: secondo e terzo piano erano occupati da parenti più poveri, anziani che salivano le scale arrancando e famigliole con ancora più figli di quella del dottore; nel sottotetto, oltre a vari locali usati come ripostigli, lavanderia e stenditoio, c’erano le stanze della servitù, in una dormivano le due ragazze, nell’altra Eufemia.

Dal portone grande si usciva sotto i portici: appena fuori, le ragazze quasi si scontrarono con due dei tirocinanti del notaio. I giovani le squadrarono da capo a piedi con un odioso sorrisetto sulla bocca. Cosa si credevano quegli schifosi, solo perché frequentavano la Facoltà di Legge e il notaio Zedda li aveva presi a tirocinio, e nemmeno li pagava, né gli dava vitto e alloggio, almeno Antonia e Giannina mangiavano e dormivano a spese degli Zedda e racimolavano anche qualche soldo da mandare a casa, in paese.

Belle, non erano belle, e lo sapevano senza bisogno che qualcuno glielo facesse capire guardandole con quell’espressione disgustata: ma si erano visti allo specchio quei due? Si credevano belli e aitanti, forse? Giannina era bassa e tarchiata, con le caviglie grosse e il sedere largo, aveva i capelli neri e crespi che teneva raccolti in una crocchia e le sopracciglia folte che quasi si riunivano sopra il naso. Antonia era una spilungona, senza un’ombra di petto, chiara di pelle e di capelli, con il mento sfuggente.

«Ecco l’articolo “il”», commentò uno dei giovanotti, per ironizzare sulla differenza di statura tra le due. Spiritoso! Le ragazze passarono oltre impettite, ostentando grande dignità. I bellimbusti le guardarono allontanarsi commentando i loro posteriori con parole spregiative. Belli loro! Giannina e Antonia continuarono a camminare come se avessero una scopa nel culo finché non ebbero svoltato l’angolo del Largo Carlo Felice, poi, quando pensarono di essere fuori dalla visuale dei tirocinanti, si rilassarono e rallentarono il passo.

Il mercato coperto si trovava circa a metà strada tra il Municipio e piazza Yenne. A quell’ora della mattina era affollato di donne che giravano tra i banchi in cerca di qualcosa da comprare, ma la merce scarseggiava, in più la qualità del cibo non era granché: frutta marcia, verdura appassita, pesce pudesciu. La roba buona la tenevano nascosta per venderla al mercato nero, ma le ragazze sapevano da chi andare e come rivolgersi: se c’era qualcosa di gustoso, sulla tavola del dottor Zedda ci arrivava, poco ma sicuro.

«Già l’ho visto come l’hai guardato», disse Giannina, che delle due era la più sveglia.
«Chi ho guardato?»
«Mulas.»
«Mulas? Ma se sembra una scimmia! T’arrori…»
«Eja, puoi dire quello che vuoi, tanto lo so che ti piace.»
«E tu allora? Sei innamorata di Setzu…»
«Setzu? Mai’n sa vida!»

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L’ultimo dei santi, di Marisa Salabelle https://www.carmillaonline.com/2019/10/25/lultimo-dei-santi-di-marisa-salabelle/ Fri, 25 Oct 2019 21:00:15 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=55426 Tarka/Appenninica, Mulazzo (MS) 2019, pagg. 240 € 15.68

[Potremmo definirla “narrativa territoriale”. Racconti, romanzi, poesie, in cui i territori, o porzioni di territori, entrano nei testi non come descrizioni, ma come entità, addirittura come personaggi. E interagiscono coi “veri” personaggi. Viaggiano sulle pennellate, più che altro miniature, mai tavolozze elaborate, del narratore. Si fanno “sentire”, coi loro alberi, i loro fiumi, i loro sentieri, e spesso coi loro abitanti, umani e animali. Alcuni autori che ricoprono questo ruolo di trade-union tra i luoghi e le parole, sono Oreste Verrini, narratore dell’Appennino Tosco Emilino; [...]]]> Tarka/Appenninica, Mulazzo (MS) 2019, pagg. 240 € 15.68

[Potremmo definirla “narrativa territoriale”. Racconti, romanzi, poesie, in cui i territori, o porzioni di territori, entrano nei testi non come descrizioni, ma come entità, addirittura come personaggi. E interagiscono coi “veri” personaggi. Viaggiano sulle pennellate, più che altro miniature, mai tavolozze elaborate, del narratore. Si fanno “sentire”, coi loro alberi, i loro fiumi, i loro sentieri, e spesso coi loro abitanti, umani e animali. Alcuni autori che ricoprono questo ruolo di trade-union tra i luoghi e le parole, sono Oreste Verrini, narratore dell’Appennino Tosco Emilino; Vincenzo Celano, dal sud lucano; Marino Magliani, scrittore emigrato in Olanda ma che ha portato con sé l’entroterra della Liguria (curatore, con Paolo Ciampi, della collana Appenninica); Bruno Morchio, da Genova; Giuseppe Conte, forse il più grande cantore del mare; Vincenzo Pardini, l’uomo dei lupi e delle lande selvagge dell’alta Garfagnana.

Ora si affaccia sulla scena di questa narrativa una scrittrice, nata in Sardegna che vive a Pistoia. Il suo romanzo è un giallo che procede nelle luci, nelle ombre e nei colori di una terra aspra, isolata: i fratelli Santi, anziani abitanti del minuscolo borgo di Tetti, sono morti in circostanze misteriose. Indaga Saverio Giorgianni, giornalista, alle prese a sua volta con una vicenda familiare piuttosto intricata. Tra confidenze, pettegolezzi e un mucchio di vecchie foto giungerà alla soluzione. Sullo sfondo, un Appennino sospeso tra passato e presente, coi suoi pochi bizzarri abitanti, i villeggianti estivi, e la comunità degli Elfi poco distante.

Di seguito pubblichiamo il primo capitolo. MB]

di Marisa Salabelle

Non fu la morte di Romolo Santi, ai primi di gennaio del 1999, a preoccupare i tettaioli. Gli abitanti di quel borgo dimenticato da Dio che risponde al nome di Tetti, un paesino minuscolo su un versante poco popolato dell’Appennino tosco-emiliano, erano abituati a fare ogni anno la conta dei vecchi che non superavano l’inverno, e quell’inverno non aveva fatto eccezione. A febbraio era morto Terenzio Bartoli, tanto per dire, e a marzo la vecchia Sidonia, di novantotto anni, per non parlare di Angela, la sorella scema di Svaldo, che però tanto vecchia non era, a dir la verità. Vero che Romolo non era morto né di vecchiaia né di malattia: una sera era uscito per portar fuori la spazzatura, aveva fatto uno scivolone brutto sul ghiaccio e aveva battuto la testa. Il buio, il ghiaccio, le sue gambe un po’ malferme, chi poteva sapere. L’avevano trovato il giorno dopo, freddo come il marmo.

E nemmeno l’incidente capitato ad Alvaro, il fratello di Romolo, che la mattina del 10 luglio era cascato da un’impalcatura, li aveva sorpresi più di tanto. Che questi vecchi di Tetti ce l’avevano di vizio, di mettersi in situazioni non adatte alla loro età, si sentivano ancora dei giovanotti, salivano sugli alberi, montavano sui tetti e poi… L’unica che ci era rimasta veramente male era stata la sua vicina, Nora, che se l’era visto piovere dal cielo proprio davanti all’uscio di casa, si era presa uno spavento, povera donna.

Ma quando, il 29 luglio, si era sparsa la notizia che anche Ermanno, il più giovane dei tre fratelli Santi, era morto, allora sì che la gente, a Tetti e nelle frazioni vicine, aveva cominciato a mormorare.

Erano le undici del mattino di un giovedì apparentemente tranquillo. In piazza i paesani si scaldavano al sole mentre le donne iniziavano già a preparare da mangiare. Quando, all’improvviso, arrivò sparato il furgoncino di Mohamed, il marocchino, che tutta l’estate faceva il giro dei paesi della montagna col suo assortimento di jeans e magliette a poco prezzo, pantaloni finto militare, bianche­ria, tovaglie. Il furgone inchiodò stridendo e Mohamed saltò fuori spiritato. Alle donne che già si accalcavano per vedere la sua mercanzia urlò:

“Incidente, incidente, bisogna subito chiamare la Misericordia.”
“Incidente? Cosa?”
“Che è successo?”
“Trovato macchina lungo la strada… schiantata contro un albero! Signor Ermanno, dentro! Lui morto! Bisogna chiamare l’ambulanza!”
“Ermanno, dici? Ma come!”
“Via! O se ‘un ci posso credere! L’ho visto quando, un’ora fa… Andava a Pistoia in tutta fretta, era nero come un cappello: l’avevano chiamato dalla banca per il conto del su’ fratello, non so quante volte ci aveva fatto su e giù, almeno così ha detto!”
“Gliel’avevo detto, io che quella macchina non era a posto. Faceva un rumore strano…”
“E così, anche l’ultimo dei Santi se n’è andato. Mi chiedo se non ci sia qualcosa dietro queste morti!”

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