Malcom McLaren – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Tue, 29 Apr 2025 20:00:41 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Elogio dell’eccesso / 7: David Johansen (1950-2025) and the New York Dolls https://www.carmillaonline.com/2025/03/04/elogio-delleccesso-7-david-johansen-1950-2025-e-i-new-york-dolls/ Tue, 04 Mar 2025 21:00:51 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=87178 di Sandro Moiso

Something must have happened over Manhattan Who can expound all the children this time? (Frankenstein – New York Dolls, 1973)

E’ morto il 28 febbraio l’ultimo superstite della band che forse, più di ogni altra chiamata successivamente in causa, ha contribuito in largo anticipo alla rifondazione del rock’n’roll attraverso il punk. A settantacinque anni, dopo cinque anni di silenzio e allontanamento definitivo dalla scena musicale in seguito al cancro che lo aveva colpito, l’ex-front man e cantante dei New York Dolls ha raggiunto i suoi ex-compagni, tutti già scomparsi da anni, in qualche punto di un universo [...]]]> di Sandro Moiso

Something must have happened over Manhattan
Who can expound all the children this time?

(Frankenstein – New York Dolls, 1973)

E’ morto il 28 febbraio l’ultimo superstite della band che forse, più di ogni altra chiamata successivamente in causa, ha contribuito in largo anticipo alla rifondazione del rock’n’roll attraverso il punk. A settantacinque anni, dopo cinque anni di silenzio e allontanamento definitivo dalla scena musicale in seguito al cancro che lo aveva colpito, l’ex-front man e cantante dei New York Dolls ha raggiunto i suoi ex-compagni, tutti già scomparsi da anni, in qualche punto di un universo in cui ancora la provocazione si accompagna alla rabbia e alla disillusione con esiti tutt’altro che scontati.

Oggi è facile, troppo facile, presentarsi sui palchi finti-rock con atteggiamenti ambigui, reggicalze indossati da uomini truccati e bassiste a seno scoperto, per fingere di rappresentare una “novità” o, peggio ancora, una “provocazione”, ma, che dio ce ne scampi, non sono altro che rifritture di quanto avvenuto sulla scena musicale anglo-americana ad inizio anni Settanta con l’esplodere del fenomeno glam-rock, di cui l’esponente di maggior spicco fu certamente Marc Bolan (1947-1977) e che per David Bowie (1947-2016) avrebbe rappresentato soltanto uno dei momenti di passaggio di una più che camaleontica carriera,

Le date di nascita dei protagonisti sembrano parlare, per i giovani d’oggi, di un’età lontana e di dinosauri e non a caso, forse ancora, lo stesso Marc Bolan, dopo una breve esistenza del suo primo gruppo di ispirazione psichedelica, i John’s Children1 avrebbe raggiunto il successo con un gruppo denominato nella sua prima formazione acustica Tyrannosaurus Rex e successivamente, nella fase elettrica, più semplicemente T.Rex.

Sì, ma che dinosauri e tirannosauri! Come impararono rapidamente gli adolescenti dell’epoca che, per la prima volta, colsero in quelle espressioni, a metà strada tra provocazione e vena intimistica proiettata con forza fuori dal misero sé, con un nuovo e semplificato stile musicale e di abbigliamento transgender, un ulteriore passo verso la liberazione individuale e di genere. Come ha affermato Dick Hebdige, non solo il glam, dai Roxy Music a Bolan, passando per David Bowie:

era apertamente disinteressato sia alle questioni politiche e sociali dell’epoca sia alla vita della working class in genere, ma tutta la sua estetica veniva affermata evitando deliberatamente il mondo “reale” e il linguaggio prosaico in cui quel mondo veniva abitualmente descritto, vissuto e riprodotto. […] Quando si affrontava la “crisi” contemporanea”, ciò accadeva in maniera così indiretta che veniva rappresentata in forma metaforica come un mondo morto di umanoidi, ambiguamente piacevoli e oltraggiosi. […] cionondimeno si dovette [al glam] se furono sollevati per la prima volta problemi di identità sessuale che erano stati precedentemente repressi, ignorati o appena ccennati nel rock e nella cultura giovanile. Nel glam rock, almeno fra quegli artisti che si collocavano, come Bowie e i Roxy Music, all’estremità più sofisticata di quello scintillante spettro, l’enfasi sovversiva si spostò dalla classe e dai giovani sulla sessualità e sulla tipologia sessuale. Benché Bowie fosse ben lontano dalla liberazione intesa nel senso radicale corrente, dando la preferenza al dandysmo e al travestimento – a ciò che Angela Carter ha descritto come “l’ambivalente trionfo dell’oppresso”2 – più che un”autentico” superamento dei ruoli sessuali, egli e per estensione quelli che copiavano il suo stile “misero” effettivamente “in discussione il valore e il significatondell’adolescenza e il passaggio al mondo adulto del lavoro”. E lo fecero in un modo singolare, per mezzo di una confusione arificiosa delle immagini maschili e femminili, tramite le quali si compiva tradizionalmente il passaggio dall’infanzia alla maturità3.

In quel contesto e in quegli anni, però, continuando con la metafora preistorica, i New York Dolls formatisi e cresciuti nella Grande Mela, rappresentarono i velociraptor della scena musicale. Poco romantici e retrò, ma autentici assassini di chitarre e note, con un sound ispirato ai Rolling Stones più selvaggi e ai Velvet Undergroundi, autentici santi patroni dei bassifondi della città4, i Dolls ebbero all’inizio vita difficile.

La facile sistematizzazione “rockettara” li ha spesso inseriti nel genere glam, quello di Bolan, dei T.Rex, Gary Glitter, Roxy Music e, per un periodo come si è detto, anche di Bowie, ma si tratta soltanto di una forzatura. Basta infatti ascoltare anche una sola nota uscente da una delle loro canzono più famose, come Personality Crisis, Vietnamese Baby oppure Frankenstein, per capire che siamo già da un’altra parte, su un altro pianeta: quello del punk.

David Johansen (voce e armonica a bocca, 1950-2025), Johnny Thunders (chitarra e voce, 1952-1991), Sylvain Sylvain ( chitarra, tastiere e voce, 1951-2021), Arthur Harold “Killer Kane” (basso elettrico, 1949-2004) e Jerry Nolan (batteria, 1946-1992), dalla meravigliosa copertina del loro primo album, intitolato semplicemente New York Dolls, già promettevano sfracelli. Cinque potenziali juvenile delinquent travestiti e truccati, con scarpe dai tacchi a spillo, rivolgono uno sguardo minaccioso all’intero ordine macho e perbenista del mondo.

In realtà abiti e trucchi provenivano, almeno per alcuni di loro, dai guardaroba e dalle toilette delle madri, come avrebbero poi confessato in alcune interviste5, ma l’ispirazione e la postura, oltre che dai già citati Rolling Stones, discendeva direttamente da quelle di Iggy Pop e dei suoi scelleratissimi, almeno per i benpensanti e i “brown shoes” di cui già aveva cantato Frank Zappa6, Stooges della Detroit ancora fiammeggiante di rivolte e musica heavy metal7.

Come ci spiega Steven Blush:

Nel 1970 New York era caduta in rovina. Il dissesto economico aveva catapultato ls capitale americana del business e della cultura in un inferno criminale popolato di rapinatori, prostitute, senzatetto, ladri e truffatori. Il braccio violento della Legge e Kojak ne coglievano la ferocia e il degrado, ma non il sovraccarico olfattivo causato da spazzatura, gas di scarico ed escrementi di origine ignota. […] Mentre l’America attraversava lo sfinimento post-Vietnam, il rock dopo la morte di Jimi, Jim e Janis, risentiva dello stress post-Woodstock. Il rock era diventato autentico e introspettivo [e] raggiunse il suo punto più basso con il Concert for Bangladesh di George Harrison che si tenne nell’agosto del 1971 al Garden (il primo evento di beneficenza di una rock star), una faccenda autoreferenziale e mal gestita che intimidì il pubblico e i cui proventi non arrivarono praticamente mai ai bambini affamati. Il “flower power” sembrava già una storia di secoli prima. Erba e acidi cedettero il posto a cocaina, speed ed eroina8.

In quel contesto anche l’adolescenza doveva perdere la sua innocenza, vera o presunta che fosse mai stata. Lo stesso David Johansen avrebbe ricordato in un’intervista rilasciata nel 1997:

Quando si sono formati i Dolls, era il tempo in cui tutti, almeno nell’East Village, prendevano un sacco di acido, ed erano in fissa con questa utopia dell’androgino. E’ stato allora che si è formato il femminismo radicale e il collettivo “Up Against the Wall Motherfuckers” – anche io me la facevo con quella gente. Ci vestivamo sempre in quel modo. Non è che ci siamo riuniti e abbiamo deciso: “Vestiamoci in modo provocatorio” – è stata la cosa che ci ha accomunati tutti fin dall’inizio. […] Certa gente ci molestava, ma finiva inevitabilmente per pentirsene9.

Come i Fugs e i Velvet Underground prima di loro, rappresentavano una nuova specie di rocker newyorkesi. Uno dei primi gruppi a esibirsi nei locali come Max’s Kansas City, Mercer Arts Center, l’Hotel Diplomat, i drag bar dell’East Village e il Mother’ in prossimità del Chelsea Hotel. I cinque mettevano in scena un rock fatto di Off Off Broadway, Rhythm and Blues della vecchia scuola, nichilismo tossico e l’estremizzazione del bad boy travestito da donna. Per l’epoca una miscela potenzialmente esplosiva. E’ ancora una volta Johansen a descrivere quella scena:

Eravamo decisi ad annientare quella sensazione di “gabbia dorata” da rock star. Quando suonavamo la Mercer, il pubblico saltava sul palco e ballava. Volevamo essere diversi perché odiavamo tutti quei fottuti tizi che pensavano di essere migliori di chiunque altro. Per quanto ci riguardava erano solo un branco di idioti10.

Mentre sulle origini effettive della band ci rammenta poi ancora che

St. Marks Place, da ragazzino quella strada era tutta mia. Conoscevo un mucchio di gente, ed erano tutti artisti alternativi. Quello era il vero underground; non era tutto omologato. Quando avevo circa diciassette anni lavoravo in un negozio di cianfrusaglie chiamato Matchless a St. Mars Place: facevano orecchini con lattine di birra. Il proprietario era anche un costumista e scenografo che lavorava con il Ridiculous Theatre. Ho iniziato a lavorare per lui e la paga faceva schifo, ma grazie a lui ho conosciuto tutta qquesta gente del Ridiculous Theatre che frequentava il negozio. All’inizio era una specie di tuttofare del Riculous. Luci, suono […] ho anche scritto delle canzoni per loro. A volte suonavo – male- la chitarra. […] La sera andavamo al Max’s. Nessuno aveva un soldo e lì si potevano mangiare gratis panini e insalata. E’ stato più o meno in quel periodo che ho conosciuto Thunders e gli altri. Un tizio nel mio palazzo conosceva BillyMurcia. Mi aveva detto che c’era una band a cui serviva un cantante. Un giorno qualcuno ha bussato alla mia porta, erano Arthur e Billy. Sono andato a casa di Johnny e ci siamo messi a suonare. La band è nata il giorno stesso11.

Il primo album ufficiale, nonostante esistano un gran quantità di demo session, registrazioni dal vivo e in studio precedenti quella data, uscì nel 1973 con una produzione suddivisa tra Marty Thau, Paul Nelson, Steve Leber e Todd Rundgren, che risulterà essere nelle note di copertina il produttore ufficiale. Ma nonostante questo la vita del gruppo non divenne più facile, come ricordava Sylvain Sylvain, in realtà Sylvain Mizrahi, in un’intervista del 1998.

La gente crede che la cerchia di Warhol abbia accolto i Dolls. In realtà i Velvet Underground erano la vecchia generazione, mentre noi eravamo le nuove leve dei club, e stavamo invadendo il loro territorio. Non erano esattamente accoglienti. Ci sono state delle volte in cui abbiamo suonato al piano superiore del Max’s perché eravamo banditi dal bar al piano terra. Non eravamo ammessi al piano di sotto. Ecco a che punto eravamo arrivati12.

Il secondo album, ed ultimo per la formazione originale, intitolato profeticamente Too Much Too Soon, sarebbe uscito nel 1974 e sarebbe stato necessario attendere trent’anni prima di quello successivo, apparso nel 2004 con una formazione rivisitata a causa dei malumori sorti tra i componenti e la morte sopraggiunta nel frattempo per alcuni di loro. Il produttore del secondo album, George “Shadow” Morton avrebbe spinto ancora di più l’acceleratore su temi e composizioni blues e Rhythm and blues, senza però alterare le linee musicali essenziali del gruppo, anzi finendo col rafforzarle. Certo la cosa strana a dirsi è che questi precursori di ogni efferatezza punk ebbero come produttori, prima, un raffinato ricercatore di suoni perfetti come Todd Rundgren e, successivamente, un ottimo produttore di gruppi degli anni Sessanta come le Shangri-Las o i Vanilla Fudge

Tre anni dopo il loro secondo disco, i Sex Pistols non riuscirono a inventare nulla di musicalmente altrettanto viscerale e pericoloso. Forse è per questo che i Dolls non hanno mai trovato il loro pubblico nei primi anni ’70: non solo erano punk rock prima che il punk rock fosse di moda, ma sono rimasti più indigesti e idiosincratici di qualsiasi altra band che è seguita. Oltre ad avere anche suonato più forte, molto più forte.

Sex Pistols che, spacciati come fondatori del genere punk, altro non fecero che rubare, grazie alla “creatività” del loro produttore Malcom McLaren, ogni riff di chitarra a brani come Looking for a Kiss, Frankenstein, Chatterbox, Jet Boy e il profetico, per tutti quelli che sarebbero arrivati dopo, compresi i Ramones. It’s Too Late, è troppo tardi. Nei fatti, mentre si trovava a New York per una fiera dell’abbigliamento, McLaren incontrò i membri del gruppo e alla fine del 1974 ne assunse la gestione, vestendoli di pelle rossa e usando il simbolo della falce e martello dell’Unione Sovietica nelle loro scenografie e nelle fotografie pubblicitarie. Il concetto non si adattava certo bene all’America, dove il comunismo rimaneva un anatema, ma non ebbe un grande impatto sulla carriera dei Dolls, che erano comunque agli sgoccioli.

Così Malcom tornò al business dell’abbigliamento londinese nel maggio 1975 e usò ciò che aveva imparato con loro per aiutare a mettere insieme i Sex Pistols: ovvero The Great Rock’n’Roll Swindle, la grande truffa del rock’n’roll, come sarebbe stato intitolato il film sugli stessi diretto dal regista Julian Temple e prodotto da Don Boyd e Jeremy Thomas nel 1980.

Ma i Dolls erano già finiti da un pezzo, vuoi per gli abusi di sostanze, vuoi per le inevitabili rivalità sorte all’interno di un gruppo nato senza troppo cura per i ricami artistici e diplomatici. Ancora Johansen ricordava:

Non ho idea di quante copie abbiamo venduto all’epoca, non moltissime. Se eravamo fortunati ci piazzavamo al centoventesimo posto in classifica. Decisamente non eravamo una band per tutti i gusti, non il tipo di cosa da impatto sulle masse. Ci andava bene dove c’era un sacco di ragazzini alienati13.

Ma, oltre allo scarso successo commerciale, ci furono anche altre cause per lo scioglimento del gruppo, come avrebbero raccontato in successione Jerry Nolan, Sylvain Sylvain e lo stesso David Johansen.

Jerry (1977): «David aveva il brutto vizio di dettar legge su cose di cui non sapeva niente. Sceglieva il produttore e si accontentava di un missaggio scadente. Tutte le mosse sbagliate sono imputabili a lui che ha mandato tutto a puttane. I primi due album sono stati massacrati. C’erano delle gran belle canzoni, e avremmo potuto interpretarle alla grande, ma David era un tipo di persona che in studio non voleva rifare due volte lo stesso pezzo. Bastava che lui cantasse bene, non gliene importava un cazzo che gli altri facessero una buona performance.»

Sylvain (1998): «Stavamo a casa della madre di Jerry Nolan e Johansen si sbronzava di brutto. Era un alcolizzato violento. Diceva che non contavamo niente, che lui era il cantante e che poteva andare avanti senza noi a creargli impedimenti e altre stronzate. Praticamente ce l’ha detto una sera dopo cena, e Johnny e Jerry, dopo aver sentito per l’ennesima volta che potevamo essere rimpiazzati, se ne sono andati. Li ho portati io all’aeroporto.»

David (1997): «Non ricordo esattamente la sequenza degli eventi, ma eravamo giù in Florida, in un posto tipo Bates Motel gestito dalla madre di Jerry. C’erano delle vecchie roulotte che fungevano da stanze d’albergo e avremmo dovuto stabilirci lì, per poi andare a suonare dappertutto. La band si è sciolta perché alcuni ragazzi non ce la facevano senza la roba, quindi la situazione era diventata ingestibile. Sai, le grandi rockstar hanno infermieri e galoppini, ma noi non li avevamo. Quei ragazzi volevano essere come Bela Lugosi.»14.

Effettivamente, dopo lo scioglimento dei Dolls, David avrebbe continuato una discreta carriera solista, sospesa tra rock, rhythm’n’blues e blues strapazzato, con qualche cover di gruppi degli anni Sessanta, sia a nome proprio che con quello di Bruce Pointdexter (pseudonimo con il quale rivelerà insospettate doti da crooner e con cui aveva già firmato alcune canzoni dei New York Dolls) oppure in anni più recenti come David Johansen and the Harry Smith, gruppo ispirato al nome di uno dei più importanti musicologi e collezionisti americani che contribuì fin dagli anni Sessanta al rilancio del blues e del country blues degli anni ‘20, ‘30 e ‘40.

Ma dopo la reunion con Arthur Kane e Sylvain Sylvain per The Return of the New York Dolls: Live from Royal Festival Hall, 2004, prodotto da Morrissey, l’esperienza sarebbe ancora continuata con numerosi concerti e almeno altri tre album in studio. One Day It Will Please Us to Remember Even This (2006), soltanto più con Sylvain Sylvain vista la scomparsa di Kane nel 2004, ma con ospiti quali Iggy Popo e Michael Stipe dei REM; ‘Cause I Sez So (2009), ancora una volta con Todd Rundgren alla produzione dopo trentasei anni, e Dancing Backward in High Heels (2011), arricchito da inaspettati arrangiamenti per archi e fiati.

Oggi, con la dipartita di David, si è definitivamente chiusa l’era dei dinosauri androgini, di cui rimarranno solo pallide e insignificanti copie riprodotte in un universo pop privo di storie da raccontare e di genio vero. So long David, so long Dolls…so long rock’n’roll.


  1. Di cui va almeno ricordato l’album Orgasm, registrato nel 1967 prima che Bolan si unisse alla band, ma pubblicato soltanto nel 1970, che aveva anticipato e dilatato all’infinito i sospiri e i gemiti di piacere di Je t’aime… moi non plus di Serge Gainsbourg e Jane Birkin, pubblicato nel 1969.  

  2. A. Carter, The Message in the Spiked Heel, «Spare Rib» 16 settembre 1976.  

  3. D. Hebdige, Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale, Costa &Nolan, Ancona 2000.  

  4. Si veda in proposito, e a solo titolo di esempio, S. Blush, New York Rock. Dalla nascita dei Velvet Underground al declino del CBGB, Goodfellas Srl, Firenze 2016 (ed. originale 2016).  

  5. Si veda il fondamentale: L. McNeil, G. McCain, Plese Kill Me. Il punk nelle parole dei suoi protagonisti, Baldini Castoldi Dalai editore, Milano 2006 (ed. originale 1996)  

  6. Brown Shoes Don’t Make It è il titolo di un brano di Zappa e delle sue Mothers of Invention inciso per la prima volta nell’album Absolutely Free, pubblicato nel 1967, e in cui le infami scarpe allacciate di colore marrone erano indicate come il modo migliore per riconoscere i tutori dell’ordine che cercavano di infiltrarsi nelle manifestazioni e nei movimenti; un po’ come da noi il famigerato “borsello” che avrebbe caratterizzato e fatto riconoscere immediatamente gli agenti della Digos negli anni Settanta.  

  7. La definizione heavy metal era stata utilizzata già molto tempo prima della comparsa delle band che si sarebbero definite come appartenenti allo stesso canone, poiché per la critica musicale statunitense potevano già essere heavy metal sia Jimi Hendrix che i Blue Oyster Cult e le band di Detroit come Stooges, Grand Funk Railroad e molte altre ancora.  

  8. S. Blush, op. cit., pp. 99-101.  

  9. Cit. in S. Blush, op. cit., pp. 100-102.  

  10. D. Johansen in S. Blush, op. cit., p. 119.  

  11. Ivi, pp. 119-122.  

  12. S. Sylvain in S. Blush, op. cit., p. 122.  

  13. D. Johansen, cit. in S. Blush, op. cit. p. 133.  

  14. Tutte e tre le dichiarazioni sono contenute in S. Blush, op. cit., pp. 134-135.  

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L’anno degli anniversari / 1971 – 2021: FUORI tutti! https://www.carmillaonline.com/2021/10/06/lanno-degli-anniversari-1971-2021-fuori-tutti/ Wed, 06 Oct 2021 20:00:43 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=68386 di Sandro Moiso

I met her in a club down in old Soho Where you drink champagne and it tastes just like Cherry Cola C-O-L-A Cola She walked up to me and she asked me to dance I asked her her name and in a dark brown voice she said, “Lola” L-O-L-A Lola, lo lo lo lo Lola (Ray Davies, the Kinks – Lola, 1970)

Ray Davies, cantante, chitarrista e leader dei Kinks, uno dei più longevi gruppi rock inglesi, ricorda come ad un concerto a New York della band, durante [...]]]> di Sandro Moiso

I met her in a club down in old Soho
Where you drink champagne and it tastes just like
Cherry Cola
C-O-L-A Cola
She walked up to me and she asked me to dance
I asked her her name and in a dark brown voice she said, “Lola”
L-O-L-A Lola, lo lo lo lo Lola

(Ray Davies, the Kinks – Lola, 1970)

Ray Davies, cantante, chitarrista e leader dei Kinks, uno dei più longevi gruppi rock inglesi, ricorda come ad un concerto a New York della band, durante gli anni ’70, al momento dell’esecuzione del brano “Lola”, uno dei primi a parlare apertamente di un rapporto omosessuale, centinaia di drag queen newyorkesi si levassero in piedi, tutte insieme, per cantare, parola per parola, ancheggiando e ballando, l’intera canzone insieme a lui e al gruppo.

Per avere un’idea più precisa di cosa ciò significasse, almeno sul piano dell’immagine, occorrerebbe far riferimento alla copertina del primo disco dei New York Dolls (1973), antesignani del punk di quella stessa città1, al travestitismo provocatorio del glam rock oppure alle scorrerie proto-punk di Wayne County (che in seguito avrebbe cambiato il suo nome d’arte in Jayne County) e i suoi Electric Chairs con brani dal titolo più che esplicito come Cream in My Jeans e Toilet Love.

Senza poi dimenticare che il tutto era stato preceduto e accompagnato dalle straordinarie provocazioni artistiche, filmiche e musicali di Andy Warhol e della sua Factory; a testimonianza di una sfida che nel suo manifestarsi in pubblico con tutta la forza di un’autentica e incontenibile joie de vivre rappresentava, prima di qualsiasi altra cosa, un’aperta e trasgressiva rivendicazione di alterità e libertà.

Well, I’m not the world’s most physical guy
But when she squeezed me tight she nearly broke my spine
Oh my Lola, lo lo lo lo Lola
Well, I’m not dumb but I can’t understand
Why she walked like a woman but talked like a man
Oh my Lola, lo lo lo lo Lola, lo lo lo lo Lola

Un atteggiamento che esplodeva e si dichiarava proprio in virtù di un clima “rivoluzionario” che in quegli anni percorreva l’Occidente; in cui le lotte degli studenti, degli operai, degli afro-americani (solo per citarne alcune) aprivano conseguentemente le porte ad una radicale presa di coscienza di sé e dei propri inalienabili diritti da parte delle donne e di tutti coloro vivessero, nel loro intimo e sulla propria pelle, tutte le conseguenze dei pregiudizi morali, sociali e famigliari che derivavano da un diverso orientamento sessuale e da una collocazione di genere che usciva dai confini di quella “normalità” che era considerata ancora come l’unica possibile. Creando un clima in cui, per la prima volta, l’unità nella lotta per la liberazione dall’oppressione perbenista borghese e capitalista portava in luce anche quelle, che allora ma troppo spesso ancora oggi, costituivano alcune delle contraddizioni più profonde della società e dei singoli individui atomizzati.

Well, we drank champagne and danced all night
Under electric candlelight
She picked me up and sat me on her knee
She said, “Little boy, won’t you come home with me?”
Well, I’m not the world’s most passionate guy
But when I looked in her eyes
Well, I almost fell for my Lola
Lo lo lo lo Lola, lo lo lo lo Lola
Lola, lo lo lo lo Lola, lo lo lo lo Lola

Sull’onda di tutto ciò, nasceva a Torino nel 1971 il FUORI (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano) di cui ricorre in questi giorni il cinquantenario della formazione.
L’associazione, inizialmente di ispirazione marxista, era stata fondata dal libraio Angelo Pezzana, cui si doveva anche l’apertura della prima libreria “internazionale”, Hellas, autenticamente alternativa della città, ricca di opuscoli marxisti e giornali, soprattutto in lingua inglese e francese, dediti all’informazione controculturale, ed altri attivisti. L’acronimo faceva riferimento al FHAR francese (Front homosexuel d’action révolutionnaire) e all’espressione inglese coming out.

In realtà era stata preceduta dal lavoro di gruppi di omosessuali di varie città italiane che dall’autunno del 1970 si incontrarono per discutere dei problemi che affliggevano gli omosessuali italiani: il gruppo aveva assunto il nome di ASPS, “Associazione di Studi Psico-Sociali”, quindi ancora nascondendo l’identità gay. Nel Fuori!, intorno alla primavera del 1971, confluì anche il Fronte di Liberazione Omosessuale (FLO) fondato sempre nel 1971, dando così vita alla prima grande associazione gay italiana che, nei primi tempi della sua esistenza, avrebbe posto la questione dei diritti degli omosessuali nell’ambito del conflitto di classe tra borghesi e proletari, operando pertanto una rottura netta e totale con tutto quel che l’aveva preceduta fino a quel momento.

Angelo Pezzana enunciava in un editoriale sul primo numero del Fuori! le rivendicazioni dell’associazione: «Noi oggi rifiutiamo quelli che parlano per noi. […] Per la prima volta degli omosessuali parlano ad altri omosessuali. Apertamente, con orgoglio, si dichiarano tali. Per la prima volta l’omosessuale entra sulla scena da protagonista, gestisce in prima persona la sua storia […]. Il grande risveglio degli omosessuali è cominciato. È toccato a tanti altri prima di noi, ebrei, neri (ricordate?), ora tocca a noi. E il risveglio sarà immediato, contagioso, bellissimo».
La prima uscita pubblica di un certo rilievo avvenne il 5 aprile 1972, con la contestazione del I Congresso Italiano di Sessuologia a Sanremo, mentre in seguito il movimento avrebbe finito col federarsi con il Partito Radicale nel 1974 e la rivista sarebbe stata edita fino al 1982.

I pushed her away
I walked to the door
I fell to the floor
I got down on my knees
Then I looked at her, and she at me
Well, that’s the way that I want it to stay
And I always want it to be that way for my Lola
Lo lo lo lo Lola
Girls will be boys, and boys will be girls
It’s a mixed up, muddled up, shook up world
Except for Lola
Lo lo lo lo Lola

Oggi, presso il “Polo del 900” a Torino (dal 23 settembre al 24 ottobre), una mostra ne racconta la storia, anno per anno, attraverso fotografie, filmati, ricordi e testimonianze (vignette, copertine, manifesti). Il presidente del museo Diffuso della Resistenza, Roberto Mastroianni, ha dichiarato che: «Questa mostra ribadisce come il movimento, alla nascita, fosse autoironico e gioioso. Più di quanto non lo siano adesso certe sfumature e certi accenti. Fu una rivoluzione anche simbolica che ruppe l’ipocrisia nel Paese, anche verso quegli intellettuali che omosessuali lo erano, ma tendevano a non farlo vedere”.

Esplodeva la società ed esplodevano le contraddizioni, individuali e collettive, trascinando le lotte in un flusso generale e diffuso in cui l’individualità e il diritto individuale diventavano per forza di cose diritto collettivo all’espressione della propria classe, della propria generazione, del proprio genere e sesso e della comune e vitalistica volontà di vivere una vita che fosse finalmente altra e degna di tal nome in ogni sua manifestazione.

Well, I’d left home just a week before
And I’d never ever kissed a woman before
But Lola smiled and took me by the hand
She said, “Little boy, gonna make you a man”
Well, I’m not the world’s most masculine man
But I know what I am and I’m glad I’m a man
And so is Lola
Lo lo lo lo Lola, lo lo lo lo Lola

Ora, però, Angelo Pezzana ricorda:

“ho fatto il libraio per 23 anni in una città molto provinciale. Ed essendo un omosessuale che non ha mai avuto intenzione di nasconderlo, ho subito dato un’impostazione di questo genere al mio negozio. La clientela, però, era assolutamente etero (portavo anche copie di Playboy che all’epoca non era distribuito in Italia). Presto è diventata un’alleanza naturale senza ideologie, lontana anche dalle forze di sinistra che all’epoca erano considerate rivoluzionarie. Ma eravamo considerati inutili. Anche nelle manifestazioni per il 25 aprile o il 1° maggio venivamo lasciati al fondo. Noi non abbiamo mai inventato una teoria o una ideologia, non abbiamo mai avuto una linea e si spaziava dai marxisti ai liberali. Quando sento parlare di teoria gender, mi tiro indietro. […] Sembra di parlare di secoli fa, ma basta pensare che anche solo 50 anni fa non si era mai scritta la parola ‘omosessuale’ su un giornale Italiano”2.

Certamente rimane un fondo di amarezza nel ricordo di come certa sinistra, prima degli ulteriori sconvolgimenti portati dal ’77, non avesse il coraggio di affrontare questioni che il movimento generale della società nel suo insieme già poneva all’ordine del giorno e che furono pienamente comprese soltanto da sparuti gruppi del comunismo critico radicale.

Ma ancora più amaro è il calice che occorre oggi ingerire sugli stessi fenomeni e bisogni che, nonostante una maggior visibilità sociale del movimento LGBTQ, sono stati troppo spesso trasformati in rivendicazioni, queste sì oggi digeribili dalla stessa ipocrita sinistra che in quegli anni non seppe e non volle farsene carico in maniera conseguente, tese a riproporre la famiglia borghese monogama e perbenista come base di ogni riconoscimento. Con buona pace del mio amico Arnaldo che ancora, nei primi anni ’80, rivendicava: «Noi omosessuali siamo gli unici veri rivoluzionari, poiché miniamo la società fin dalle sue fondamenta patriarcali e famigliari.»

Così, nonostante una certa trasgressività formale e una certa tolleranza esibita nei giorni dei “pride” ma circondate ancora dal buio del pregiudizio diffuso, all’epoca del ritorno ad una concezione del diritto che, ancora troppo spesso inteso soltanto come specifico e strettamente individuale, diventa la vera tomba di ogni ipotesi rivoluzionaria, di quella intensa e infervorata stagione sembrano rimanere soltanto le ceneri ipocrite.

L’insipido dibattito parlamentare sul disegno di legge Zan, l’ulteriore abuso ai danni del corpo femminile operato per mezzo della pratica, data per scontata, dell’utero “in affitto”3 e l’aspirazione alla formazione “ad ogni costo” di una famiglia mononucleare e borghesissima, della quale, in un tempo non lontano, si sarebbe invece rivendicata la soppressione definitiva. Peccato, davvero, per una grande occasione mancata.


  1. Il cui manager Malcom McLaren avrebbe trasmesso la propria e loro esperienza ai Sex Pistols, ancora in formazione, negli anni immediatamente successivi  

  2. Intervistato in: Torino va “Fuori!”: una mostra al Polo del 900 per i 50 anni del primo movimento omosessuale in Italia, TorinOggi.it, 23 settembre 2021  

  3. Sull’argomento si confronti almeno: Melinda Cooper, Catherine Waldby, Biolavoro globale. Corpi e nuova manodopera, DeriveApprodi 2015 (qui la recensione su Carmilla).  

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