Malatesta – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Fri, 01 Aug 2025 20:00:30 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Al ladro! Anarchismo e filosofia di Catherine Malabou https://www.carmillaonline.com/2024/04/08/81947/ Mon, 08 Apr 2024 18:30:56 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=81947 Elèuthera, Milano 2024, 374 pagine, 23 euro

di Marc Tibaldi

Non è un libro per gli anarchici, è per tutti, proprio perché segnala spie d’allarme, nodi da sciogliere, connessioni necessarie, che possono servire a ogni individuo o gruppo sociale che voglia agire in maniera efficace nella realtà. Qual è il nocciolo duro dell’anarchismo politico? L’anarchismo condivide con altri pensieri politici concetti, tensioni, pratiche: solidarietà, mutuo appoggio, autogestione, federalismo, non sono patrimonio esclusivo del movimento che fa riferimento a pensatori quali Proudhon, Bakunin, Kropotkin, Malatesta, Goldman, eccetera. Quello che invece è peculiarità del solo anarchismo è la messa in discussione, la [...]]]> Elèuthera, Milano 2024, 374 pagine, 23 euro

di Marc Tibaldi

Non è un libro per gli anarchici, è per tutti, proprio perché segnala spie d’allarme, nodi da sciogliere, connessioni necessarie, che possono servire a ogni individuo o gruppo sociale che voglia agire in maniera efficace nella realtà. Qual è il nocciolo duro dell’anarchismo politico? L’anarchismo condivide con altri pensieri politici concetti, tensioni, pratiche: solidarietà, mutuo appoggio, autogestione, federalismo, non sono patrimonio esclusivo del movimento che fa riferimento a pensatori quali Proudhon, Bakunin, Kropotkin, Malatesta, Goldman, eccetera. Quello che invece è peculiarità del solo anarchismo è la messa in discussione, la negazione, di ogni autorità, potere, dominio (su differenze e analogie tra questi concetti è ancora dirimente il saggio di Amedeo Bertolo, pubblicato nel 1983 e disponibile in “Anarchici e orgogliosi di esserlo”, Elèuthera: “Il dominio è possesso privilegiato del potere. I detentori del dominio si riservano il controllo del processo di produzione di socialità, espropriandone gli altri”). Ora, si può deridere questa idea come sogno utopico, chi invece vuole ragionare in maniera non banale, senza ripetere gli errori del passato, è obbligato a prenderla in considerazione.

Come fa questo libro che inizia con una definizione precisa dei termini “anarchia” e “anarchismo” e della loro storia, e una panoramica delle questioni politiche contemporanee che rendono necessario un ripensamento di questi termini e del loro potenziale emancipatorio. Malabou presenta la riflessione di alcuni filosofi proprio sulla questione del potere. “La mia analisi del dominio si concentra su sei pensatori cruciali per la filosofia contemporanea che hanno posto l’anarchia al centro della loro riflessione smarcandosi però dal suo esito, l’anarchismo politico. Ed è questo che accomuna l’anarchismo ontologico di Schürmann, la responsabilità anarchica di Lévinas, la decostruzione di Derrida, l’anarcheologia di Foucault, il potere destituente di Agamben e l’uguaglianza radicale di Rancière: l’aver attribuito all’anarchia filosofica un valore determinante, senza tuttavia giungere a destituire una volta per tutte il principio archico”, scrive l’autrice.

Malabou si chiede perché alcuni dei filosofi radicali del Novecento abbiano sviluppato concezioni forti di anarchia stando ben attenti a non dichiararsi anarchici, “rubando” – da qui il titolo – suggestioni e stimoli, spesso senza dichiararlo esplicitamente, al movimento ribelle nato tra la rivoluzione francese e i movimenti socialisti e di classe dell’Ottocento. Sembra quasi che l’anarchismo sia qualcosa di inconfessabile, qualcosa da occultare anche quando gli si ruba l’essenziale: la critica del dominio e della logica di governo. Questa dissociazione viene analizzata assieme alla rimozione di quello che è il nocciolo duro dell’anarchismo: la praticabilità politica dell’assenza di governo. Sebbene questi filosofi abbiano tutti concorso a smantellare il principio archico (il principio del dominio), nondimeno hanno costruito il loro discorso, nascondendo lo scippo da cui deriva e rifiutandone gli esiti.

Destituzione del paradigma archico, sì, decostruzione del dominio, sì, ma effettiva possibilità che gli uomini possano vivere senza essere governati né governare, no. Ma è appunto qui che il paradigma archico si riattiva, in questa incapacità di abbandonare l’ambito del governabile e di accedere invece allo spazio del non-governabile, ovvero del radicalmente altro, del radicalmente estraneo al rapporto comando/obbedienza.

Come ha tentato di fare l’anarchismo storico. Sostenere che l’anarchismo possa continuare a essere un movimento in continua trasformazione, che sappia trasformarsi e includere nuovi e vivaci contributi è probabilmente una – seppur ammirabile – scontata dichiarazione di volontà. Anche André Breton, che qualche stimolo all’anarchismo classico lo aveva offerto, sosteneva che il “suo” surrealismo sarebbe stato capace di inglobare in sé ogni movimento più emancipatore, ma poi non seppe vedere, anzi contrastò, la novità del situazionismo. Insomma, facile a dirsi, meno a farsi.

Il surrealismo è morto come movimento. Come sono morti tutti i movimenti, anche per l’anarchismo sarà così, infatti solo una convinzione religiosa (o identitaria, come direbbe Laplantine) potrebbe pensare il contrario. E anarchia e religione non sono mai andati molto d’accordo, si sa. L’importante è quello che lasciano in eredità per le lotte, quello che germoglierà dalle loro provocazioni a pensare e ad agire.

Si può notare in questo volume l’assenza di altri filosofi o pensatori che hanno sviluppato parte delle proprie teorie da intuizioni anarchiche. Ricordiamo almeno Paul K. Feyerabend, che in Contro il metodo coniò il concetto di anarchismo epistemologico (“giocare la partita della Ragione allo scopo di minare l’autorità della Ragione”, senza alcun metodo precostituito), o Elias Canetti, che in Massa e potere sviluppa una critica incessante al concetto di comando (“chi vuole riuscire ad aggredire il potere deve guardare negli occhi senza timore il comando e trovare i mezzi per sottrargli la sua spina”). Si potrebbe andare avanti fino ad arrivare almeno a Dominio e sottomissione di Remo Bodei, singolare panoramica a partire dalla tradizione antica della schiavitù, che arriva al preoccupante uso dell’intelligenza artificiale. E – a proposito di “non detti” – come dimenticare altri classici del Novecento che si sostanziano di intuizioni anarchiche, dalla nozione di totalitarismo di Hannah Arendt, alla messa in discussione del principio identitario di Judith Butler e Francois Laplantine, all’immanenza an-archica del Mille piani di Deleuze e Guattari. Contributi a cui i movimenti libertari e antagonisti non possono rinunciare. Invece, nel saggio della filosofa allieva di Derrida, la mancanza di riferimenti al pensiero di Noam Chomsky è certo conseguenza della sua impostazione decostruttivista, ma rivela anche una difficoltà di confronto fra pensieri contemporanei.

Ma torniamo al testo di Malbou. Definendo il “paradigma archico”, il libro cerca di contribuire a un anarchismo che presupponga una rinnovata interrogazione del suo significato originario – l’assenza di governo – alla luce di letture dei filosofi che analizza. Il caos non è necessariamente dove ci si aspetta che sia. Il buon senso statale e il perbenismo vorrebbero che l’anarchia fosse sinonimo di disordine e l’anarchismo un’ideologia che nel peggiore dei casi è sinonimo di terrorismo e nel migliore di un dolce sogno a occhi aperti. Seguendo l’esempio dei pensatori anarchici, Malabou sostiene invece che il caos è inscritto nel potere statale. Lo abbiamo visto negli ultimi anni con la gestione della crisi sanitaria legata alla pandemia e con lo stato di degrado del sistema sanitario pubblico. Questo collasso è in gran parte il risultato dello smantellamento dello stato sociale sulla scia del neoliberismo, che ora è diventato ultraliberismo, ma anche del fatto che le organizzazioni gerarchiche esautorano la base della società, rendendola così permanentemente fragile.

Malabou si interroga anche su una coesistenza, fonte di confusione, tra quello che chiama anarchismo di fatto, che mira a eliminare lo Stato in una prospettiva individualista e privatistica, sinonimo di deregolamentazione estrema (uberizzazione) e capitalismo libertario, e quello che definisce anarchismo di coscienza, che percepisce attraverso esperimenti di auto-organizzazione come gli Zad (zone da difendere) o il movimento dei Gilet Gialli. Qui la nozione di classe, pur da ripensare e ridefinire, viste le mutazioni sociali ed economiche, è necessaria per chiarire ogni possibilità di confusione tra l’anarcocapitalismo e le tendenze libertarie dei movimenti di protesta degli ultimi anni. “L’ibrida combinazione di violenza governativa e illimitata uberizzazione della vita” appare sempre più egemonica. E, ovunque, le strutture di dominio, plurali e multiformi, sembrano irrigidirsi ancora di più.

“Paradigma archico” è dunque il nome di una “struttura che, agli albori della tradizione di pensiero occidentale, lega insieme sovranità statale e governo”. Non può esistere uno Stato senza governo, né un sovrano che si sottragga alla logica principale del governo: quella del comando e dell’obbedienza. È la logica di un certo modo di agire e di intendere l’azione, una logica egemonica che affonda le sue radici nel pensiero greco, in particolare aristotelico. All’origine della filosofia politica, come della stessa storia dello Stato, il comando riesce a fondare la sua logica solo se viene preso per un inizio: per l’origine vera e affermata, la prima, che a sua volta permette di giustificare la sua eminenza gerarchica. Come se ci fossero sempre stati ordini ed esecutori obbedienti. È stato Aristotele”, ci ricorda Malabou, attingendo alle analisi di Schürmann, che “fondando in un’unità indissolubile i due significati di inizio e di comando”, il concetto di archè, parola greca che significa “principio”, ha avviato il pensiero in tutte le sue dimensioni – logiche, ontologiche e politiche – sulla strada da cui non riusciamo ancora a districarci. Malabou: “l’anarchia perseguita l’archè non appena emerge, come la sua mancanza di necessità”. L’anarchia è l’assenza di principio, l’impossibile unione di principio e comando. L’ordine pratico, politico, statale è solo contingente: il paradigma archico è contingente, soggetto a un inizio storico che non può essere giustificato. Ha potuto aver inizio solo dominando e solo allora è stato in grado, con il pretesto di governare, di trasformare gli esseri non governabili in soggetti governabili.

Il non-governabile è diverso dal governo. Non è la sua inversione, il suo riflesso negativo. Non può essere amministrato, controllato o governato. L’anarchia, l’ingovernabile, assume spesso il volto della vita, ad esempio della vita animale: non si governa un animale, lo si domina. Allo stesso modo, il filosofo cinico, dice Malabou, attingendo alla potente interpretazione dell’ultima opera di Foucault, “è quell’uomo che non è disobbediente: ha ‘qualcosa in lui [che] è assolutamente estraneo all’ordine gerarchico’. E quel ‘qualcosa’ è la vita. Niente di meno della vita”.

Dovremmo dire che l’anarchia, e quindi l’ingovernabile, è la vita? Non esattamente: è ciò che, nella vita, testimonia un’alterità originale e irriducibile al paradigma archico. L’errore dell’anarchismo storico è quindi quello di aver fatto dell’anarchia un principio. Se l’anarchia non è un principio, è un punto di esteriorità, di alterità: il supporto da cui è concepibile un fuori, che sfugge alla circolarità infinita del governabile e dell’ingovernabile. È la Terra, o la vita, alla luce delle attuali questioni ecologiche: non possiamo governare la Terra, né la vita animale, né la vita vegetale. In questo senso, Malabou sostiene che “l’anarchismo deve costantemente testimoniare la sua realtà. Deve accettare che la sua dimensione incredibile – per la coscienza comune come per la coscienza filosofica – non potrà mai essere dissipata dal fatto, dall’attualità degli avvenimenti”. Un’idea inesauribile.

La società anarchica, che deve costantemente reinventarsi per sfuggire alla sclerosi, sembra impensabile, irrappresentabile. Ma, soprattutto, rimane l’oggetto di una preoccupazione viscerale, “l’identità dell’anarchismo e l’esperienza traumatica”, riassume Malabou. Rinunciare al governo significa accettare senza garanzie la “plasticità dell’essere anarchico” e l’imprevedibilità della vita, che duemila anni di pensiero politico hanno ribadito come necessaria per arginare la marea di impulsi morbosi e distruttivi. Nessun filosofo ha preso sul serio la possibilità che la vita senza governo possa svolgersi non come auto-annullamento ma come spontaneo “mutuo soccorso”, per citare Kropotkin. Ci vuole coraggio per fare il passo in più che Malabou ci invita a fare: il passo verso una società fondata sul “rifiuto di qualsiasi ordine” – che, forse, sta già bussando alla porta.

Dopo la lettura del libro, per iniziare un dibattito, si potrebbe rilanciare con un aspetto che
Malabou volutamente non prende in considerazione: la prassi, l’azione. L’anarchismo
infatti non è solo analisi e riflessione sui sistemi di dominanza, ma ribellione ad essi. Anzi
è proprio il confronto tra pensiero e azione che può dare nuovi frutti concettuali e nuove
pratiche di lotta.

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La comodità di un’antologia “scomoda” https://www.carmillaonline.com/2021/05/26/la-comodita-di-unantologia-scomoda/ Wed, 26 May 2021 21:00:22 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=66392 di Gianfranco Marelli

Gian Piero de Bellis (a cura di), Libertaria. Una antologia scomoda. Vol. I, D editore, Roma 2021, pp. 584, euro 23,90

Per la collana “Eschaton” diretta da Raffaele Alberto Ventura, l’editrice romana D editore ha pubblicato il primo dei cinque volumi dell’antologia Libertaria, con l’obiettivo di rinverdire il pensiero libertario – da qui il nome dato all’antologia, sulla scia del Libertaire di Dèjacque e Faure, entrambi presenti nella raccolta dei documenti qui proposti – ponendo a confronto i testi classici dell’anarchismo scritti da Malatesta, Bakunin, Goldman, Kropotkin, Berneri, Nettlau e tanti altri, con autori moderni e contemporanei del [...]]]> di Gianfranco Marelli

Gian Piero de Bellis (a cura di), Libertaria. Una antologia scomoda. Vol. I, D editore, Roma 2021, pp. 584, euro 23,90

Per la collana “Eschaton” diretta da Raffaele Alberto Ventura, l’editrice romana D editore ha pubblicato il primo dei cinque volumi dell’antologia Libertaria, con l’obiettivo di rinverdire il pensiero libertario – da qui il nome dato all’antologia, sulla scia del Libertaire di Dèjacque e Faure, entrambi presenti nella raccolta dei documenti qui proposti – ponendo a confronto i testi classici dell’anarchismo scritti da Malatesta, Bakunin, Goldman, Kropotkin, Berneri, Nettlau e tanti altri, con autori moderni e contemporanei del vasto arcipelago libertario quali Paul Goodman, Amedeo Bertolo, David Graeber, Bob Black.

Il progetto, curato da Gian Piero de Bellis, si propone in tempi brevi [il secondo volume è già in stampa] di tradurre oltre trecento documenti suddivisi in più di ventidue temi, fra i più coevi e i più disparati. Infatti, come si evince dal piano dell’opera1 c’è di che far tremare le vene e i polsi, soprattutto per l’eterocliti degli argomenti individuati, sebbene il filo conduttore che li lega, «quello della libertà dell’essere umano, la libertà di sperimentare vari stili di vita e aderire dappertutto a una o più comunità autonome, sulla base di scelte libere e volontarie» abbia la pretesa – secondo De Bellis – di porre in primo piano ciò che accomuna, non ciò che separa, l’anelito di difendere e rivendicare la libertà del singolo come «presupposto, necessario e indispensabile, per la nascita di molteplici e variegate comunità volontarie, al posto degli attuali stati cosiddetti nazionali, che uniformano le persone e centralizzano le decisioni, imposti a tutti coloro che vivono in un dato territorio».

Proprio la strenua difesa della libertà del singolo, strettamente connessa alla più aperta tolleranza nei confronti di tutte le espressioni ed esperienze in grado di praticare forme di organizzazione in cui i singoli associati scelgono liberamente le regole, i vincoli e gli obiettivi che li uniscono – nella libertà, ovviamente, di scindere l’accordo se questo non rispetta i patti comuni, o se il singolo non vi si riconosce più in essi – sembra essere la bussola che guida la presente antologia, al punto da mostrarsi «scomoda», soprattutto a « taluni cosiddetti anarchici, o presunti tali, visti – secondo il curatore di Libertaria – come i sostenitori di un’ideologia inventata (anarchismo) invece di essere gli sperimentatori di una pratica di libertà (anarchia)». Per tacere dei detrattori dell’anarchia, da sempre impegnati nel considerarla un’utopia, cui guardare con tenerezza e compassione, se non temere più della peste, in quanto caos, disordine, violenza.

Sennonché, più della scomodità ci sembra invece la comodità l’aspetto caratterizzante il primo volume di un’antologia che raccoglie 57 testi – scritti fra la fine del XIX secolo e l’inizio del XXI – attraverso i quali gli autori descrivono la loro anarchia e il loro essere anarchici/anarchiche a partire dalle proprie conoscenze, esperienze e considerazioni riguardo al loro propendere per una visione individualista, mutualista, collettivista, comunista dell’anarchia. Ma c’è di più. Nel curare e tradurre i testi antologizzati, Gian Piero de Bellis riassume all’inizio di ogni capitolo lo spirito che ha animato quest’opera ciclopica, sottolineando l’intento ecumenico di presentare l’anarchia come una pratica di libertà individuale che sperimenta la possibilità di trovare piena corrispondenza nelle scelte compiute con altri individui che volontariamente decidono di riunirsi ed organizzarsi al fine di attuare la forma di società più consona alle loro aspettative e ai loro desideri. In tal modo, prediligendo un’anarchia senza “additivi” per evitare che fraintendimenti e contrapposizioni ideologiche possano ostacolare tale ideale pratico «attraverso passaggi prestabiliti e per mezzo di un partito di militanti ben inquadrati», il curatore dell’antologia indirizza le lettrici e i lettori a volgere uno sguardo meravigliato verso i poliedrici esempi libertari già presenti e agenti in ambiti sociali e organizzativi in cui il metodo anarchico supplisce e sostituisce la visione gerarchica, burocratica e autoritaria degli attuali Stati, oggi più che mai incapaci di garantire non soltanto la felicità, ma addirittura la sicurezza per i suoi “sudditi”.

Ma proprio questo intento ecumenico di presentare il metodo libertario come una pratica tutt’altro che utopista, bensì afferente al fallimento dello Stato nel gestire centralmente e territorialmente bisogni sociali che nascono da un mondo globalizzato e senza confini, contribuisce a dare dell’anarchia l’idea che sia un rimedio indolore in grado di raddrizzare le storture burocratiche degli apparati statali se lasciato libero di esprimersi nei modi e nei contesti più variegati, così da far prevalere la molteplice varietà della proposta organizzativa anarchica rispetto alla omogeneità monopolistica imposta con violenza tramite il controllo del territorio pubblico da parte dell’autorità statale. Aspetto, questo, che non tiene però in dovuta considerazione la violenza con la quale gli Stati affermano il proprio predominio sul territorio, soprattutto se dovessero perderne il controllo da parte di associazioni e comunità non più convinte e disposte a seguirne i diktat. Di ciò ne sono ben consapevoli gli autori presenti in questo primo volume di “Libertaria|”, al punto da offrire una lettura dell’anarchia affatto idilliaca e conciliante – oseremmo dire di comodo – con gli attuali regimi di governo; infatti, gli scritti qui presentati, pur nelle loro molteplici e differenti sfumature, non solo denunciano l’oppressione e la violenza degli Stati, compresi gli Stati post rivoluzione vittoriosa, ma ripetutamente sottolineano la necessità ineluttabile di doversi difendere dalla violenza statale che, da buon guardiano a tutela della proprietà e degli interessi della classe dominante, vecchia o nuova che sia, per nulla sarà disposta ad ammettere le proprie deficienze e i propri errori al punto da uscire di scena senza colpo ferire.

Così da Kropotkin a Bakunin, da Nettlau a Malatesta, da Goldman a Rocker, da Reclus a Landauer – passando per la Circolare di Sonvilier del 1871 contro l’involuzione autoritaria dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, da allora sotto la direzione del Consiglio Generale di Londra controllato da Karl Marx [non a caso è il primo documento che dà inizio alla presente antologia] – si ha la netta impressione che la selezione operata dal curatore abbia sottaciuto questo importante snodo teorico (vale a dire l’uso della forza per non essere sopraffatti dalla violenza dell’avversario), preferendo sottolineare le esperienze e le pratiche libertarie dalla chiara impronta pragmatista al fine di affermare l’idea anarchia come attività conciliatrice, in grado di prefigurare già da ora il necessario superamento di un quadro politico statuale non più al passo coi tempi, poiché messo in crisi dal progresso tecnologico di un sistema economico, produttivo, finanziario che da tempo ha abolito ogni confine territoriale, operando su scala globale e organizzando i suoi utenti-consumatori affinché si rappresentino appartenenti e solidali a consorzi privati “social”, la cui influenza mediatica è capace di pilotare le scelte degli individui e, di conseguenza, influenzare la politica stessa degli Stati.

Del resto, proprio questa visione conciliatrice, armoniosa e radicalmente tollerante dell’idea anarchica, in grado di stemperare sino a risolvere le tensioni e i conflitti presenti in un mondo multiculturale, dove la globalizzazione del sistema capitalistico produttivo ha praticamente superato i confini nazionali degli Stati, ha fatto da guida al precedente e fortunato studio di de Bellis sulla “Panarchia”, sfociato nel 2017 con la pubblicazione di un’apposita antologia – sempre edita dalla giovane casa editrice romana – in cui sono raccolte le più svariate interpretazioni storiche date a questo concetto, a partire dall’articolo scritto nel 1860 dal biologo belga Paul-Émile de Puydt, il quale per primo teorizzò la Panarchia come un “movimento per i diritti civili” impegnato a spezzare l’intolleranza politica che assegna automaticamente una nazionalità, una religione o un’appartenenza a qualsiasi istituzione (Stato, Chiesa, Corporazione) senza la scelta e l’assenso preventivo della persona. Non per nulla nell’introduzione a Libertaria, il curatore richiama la precedente pubblicazione con il chiaro proposito di rimarcare lo stesso impianto teorico che anima le due antologie, ossia l’idea che «il modo migliore per far convivere, in maniera armoniosa, su uno stesso territorio, persone di diverso orientamento culturale e politico, è far sì che ognuna sia libera di formare o scegliere la comunità di cui vuole far parte, attenendosi alle sue regole e forme organizzative, senza intromettersi od ostacolare i modi di vita dei membri delle altre comunità autonome. Un po’ come si aderisce a una Chiesa, a una religione o come, negli ultimi decenni, si sceglie una tra le tante compagnie telefoniche, la cui sede amministrativa non è o non deve necessariamente essere situata nel paese in cui vive l’utente» [p.13].

Con questo spirito conciliante con il mondo e alla ricerca di poter conciliare fra di loro le diverse anime che popolano il pensiero libertario, Gian Piero de Bellis ha così deciso di intraprendere una variegata presentazione delle teorie anarchiche, andando a scavare nell’immenso giacimento di scritti prodotti da centinaia di pensatori e protagonisti della storia dell’anarchia, al fine di rimarcare la stretta parentela con la definizione più ampia e inclusiva del termine Panarchia, individuando «nella libera sperimentazione di comunità volontarie a base non territoriale rappresenta la soluzione migliore (più umana e più funzionale) per la vita in società. Soprattutto in società variamente articolate, estremamente complesse e tecnologicamente avanzate». In tal modo, ridotta l’anarchia a una libera sperimentazione di modi diversi di vivere più congeniali a ciascun individuo, inevitabilmente ogni contestazione radicale e violenta nei confronti del sistema capitalista è stemperata, fino al punto da sussumere la tolleranza verso chiunque – anche riguardo a chi non brama né libertà, né autonomia, in quanto ritiene più sicuro e tranquillo essere accudito, guidato, dominato – come il pilastro che, ponendo fine al monopolio territoriale degli Stati «perché negativo, diseconomico e disfunzionale in tutti i campi», condurrà l’intera umanità a combattere l’ulteriore e ultimo ostacolo che impedisce a ciascun individuo di sperimentare l’organizzazione a-territoriale che più gli si confà, scegliendo volontariamente la forma istituzionale più prossima alle sue idee e ai suoi valori nel rispetto delle idee e dei valori altrui.

Utopia o necessità insita nel processo evolutivo dell’umanità che, esausta delle continue tensioni fra stati nazionali e fra culture e religioni differenti, ha saputo trasformare la violenza aggressiva in energia difensiva da optare a favore di una tolleranza radicale di tutti verso tutti? Sì, perché l’ANARCHIA 2.0 – in altre parole, la Panarchia – non è che l’evoluzione armoniosa di un’idea esagerata di libertà che, oltre a distruggere confini statali e barriere confessionali, rompe qualsiasi steccato ideologico che finora ha impedito alla visione liberista del lassez faire lasser passer in economia di essere applicata anche in politica, attribuendo alla libertà del singolo la scelta di quale forma istituzionale preferire e partecipare, assieme ad altri, al suo funzionamento in base ai principi di merito, funzionalità, concorrenza.

La questione, in ultima analisi, concerne il valutare se questa evoluzione dell’umanità nella prospettiva pananarchica possa trasformarsi in un’opportunità per l’emancipazione sociale e il suo diverso sviluppo economico non più finalizzato al profitto proprietario attraverso lo sfruttamento dell’ambiente, o se, al contrario, debba segnalare una realtà che già si è concretizzata a seguito del progressivo predominio a-territoriale dei robber baron di Internet [Amazon, Apple, Facebook, Google, Microsoft] sugli Stati nazionali. Si tratta di una questione scomoda che “Libertaria” ha posto all’attenzione delle lettrici e dei lettori, nella speranza che siano sempre più giovani interessati a occuparsene. Dopotutto, se vuoi essere sempre giovane – ci ricorda Voltarine De Cleyre, tra le tante anarchiche presenti nell’antologia – «diventa un anarchico e vivi una esistenza fatta di fiducia e di speranza, anche quando sei carico di anni».


  1. “Anarchia/ Anarchici/ Individualismo/ Mutualismo/Collettivismo/Comunismo” (vol. I); “Stato/Potere/ Autorità/ Ordine/ Patriottismo/ Nazionalismo/Militarismo/Violenza/Nonviolenza/Spiritualismo” (vol. II); “Democrazia Rappresentativa maggioritaria/ Federalismo/ Organizzazione/ Natura-Ambiente-Spazio” (vol. III); “Istruzione-Educazione/Lavoro-Attività/ Economia/ Proprietà/ Tasse” (vol. IV); “Libertà/Essere Umano/ Futuro/Arte-Creatività/Poesia-Canzoni” (vol. V)  

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