lato oscuro – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 17 Aug 2025 20:00:38 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 La guerra e il lato oscuro dell’Occidente/ 4: a caccia di mostri https://www.carmillaonline.com/2022/07/06/la-guerra-e-il-lato-oscuro-delloccidente-4-a-caccia-di-mostri/ Tue, 05 Jul 2022 22:10:18 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=72780 di Fabio Ciabatti

I periodi bellici non sembrano adatti al tentativo approfondire l’analisi. La propaganda non va tanto per il sottile. I nemici diventano mostri, il male assoluto. Parlando di nemico come lato oscuro si potrebbe dare l’impressione che stiamo menando il can per l’aia di fronte alla domanda pressante che viene rivolta a tutti noi: tu da che parte stai? Ma è proprio a questa domanda che bisogna sottrarsi. Perché, comunque si sviluppi nel breve periodo, il conflitto è destinato a far emergere i fondamenti mostruosi del nostro mondo. Un modo per [...]]]> di Fabio Ciabatti

I periodi bellici non sembrano adatti al tentativo approfondire l’analisi. La propaganda non va tanto per il sottile. I nemici diventano mostri, il male assoluto. Parlando di nemico come lato oscuro si potrebbe dare l’impressione che stiamo menando il can per l’aia di fronte alla domanda pressante che viene rivolta a tutti noi: tu da che parte stai? Ma è proprio a questa domanda che bisogna sottrarsi. Perché, comunque si sviluppi nel breve periodo, il conflitto è destinato a far emergere i fondamenti mostruosi del nostro mondo. Un modo per provare a disertare il campo di battaglia è proprio quello di riconoscere che il nemico non rappresenta un’alterità incommensurabile rispetto alla nostra identità (stiamo parlando di una diserzione ideale ben consapevoli che quella reale cosa assai diversa). In questo modo possiamo mettere in questione la logica assoluta dell’“amico-nemico” che ci viene imposta e contrastare gli slanci bellicamente eroici che essa porta con sé. Si tratta certamente di un primo passo necessario perché ci consente di capire che, al di là delle manifeste differenze, esiste un sostrato comune tra i contendenti.1

Adesso, però, è venuto il momento di chiederci se questo passo sia anche sufficiente. La suggestione del lato oscuro l’abbiamo ripresa da uno dei manuali di sceneggiatura più diffusi di Hollywood, Il viaggio dell’eroe di Christopher Vogler. Qui l’antagonista è considerato come l’“insieme degli aspetti negativi dell’Eroe stesso”, come la “dimora dei mostri che reprimiamo dentro di noi”. Il nemico non è altro che l’eroe al rovescio, il suo lato oscuro, appunto. In questo contesto, la sconfitta dell’antagonista deve passare necessariamente per una trasformazione dell’eroe, perché la vittoria contro il male che è rappresentato esteriormente dal nemico significa anche la sconfitta del male che si cela in profondità nel protagonista stesso. La domanda da porsi a questo punto è la seguente: a partire da questa dinamica si può immaginare che la trasformazione dell’eroe possa produrre qualcosa di realmente nuovo?
Per rispondere occorre storicizzare la concezione del nemico che abbiamo ripreso da Vogler. E a tal fine occorre porsi un’ulteriore domanda: non è che questo modo di concepire il nemico si può affermare quando si è consolidata, fino a diventare senso comune, la convinzione che il nostro mondo non è solo quello più giusto, ma anche l’unico realmente esistente? Quando siamo oramai convinti che “there is no alternative”, né all’interno delle nostre società occidentali né al di fuori? Se esistiamo solo “noi” l’unico nemico può stare solo dentro di noi.
Insomma, il nemico vogleriano fa parte di un tipo di narrazione adeguato ai tempi del neoliberismo trionfante e della globalizzazione rampante. Tempi in cui il nemico storico del sistema capitalistico, quello interno rappresentato dall’Unione Sovietica e quello interno formato dalla classe operaia, sono stati sconfitti. Sulla scena rimane soltanto “il mondo libero”, destinato ad espandersi su tutto il globo. Rimane solo il capitale.

Si può dunque sostenere, utilizzando le categorie di Frederic Jameson, che l’idea del nemico come lato oscuro dell’eroe rappresenti una soluzione immaginaria ad una contraddizione reale che può essere posta in questi termini: come è possibile che esista ancora il male quando il bene ha oramai trionfato? Si tratta di una soluzione che occulta le radici storiche del problema cui cerca di dare una risposta: il problema stesso viene infatti rappresentato come espressione delle eterne contraddizioni della natura umana. Detto in altri termini, il male persiste perché luce e ombra fanno parte dell’essenza immutabile dell’umanità. L’unica soluzione possibile sembra stia nel prevalere del lato positivo su quello negativo. Il primo deve riuscire a inglobare e governare il secondo. Quest’ultimo, però, può sempre risorgere perché imperituro. L’eterno ritorno del conflitto tra luce e tenebre finisce però per offuscare la necessità di un superamento della contraddizione reale si concretizzi in una nuova configurazione storica. Quando le contraddizioni di un periodo storico si incancreniscono, infatti, è inutile sperare che uno dei poli esca vincitore dalla lotta senza che questo comporti la riproposizione di un medesimo ordine in forma sempre più marcescente. Non era questa la lezione di Marx quando sosteneva che la classe operaia deve negare sé stessa per poter trionfare, pena la comune disfatta delle classi in lotta?
Solo attraverso una soluzione immaginaria si può pensare di evitare questo esito riproducendo un vecchio mondo già condannato. In effetti nella narrazione che contiene il moderno archetipo del nemico come ombra, la già richiamata saga di Star Wars, c’è il trucco che consente al mondo di ritrovare il suo perduto equilibrio. Il lato oscuro della forza, Dart Fener, riconosce alla fine la sua manchevolezza e si sacrifica per il trionfo della luce. In fin dei conti la speranza in un regime change in Russia sembra rimandare a questo tipo di epilogo. C’è purtroppo un altro esito possibile che la serialità televisiva ci suggerisce. Dexter, il famoso serial killer che uccide solo serial killer (state forse pensando agli Stati Uniti e alla Russia?), alla fine non riesce più a convivere con il suo “passeggero oscuro”, il suo irresistibile impulso omicida. Le regole del suo “codice” che lo obbligano ad uccidere solo i malvagi sfuggiti alla giustizia ordinaria non sono più sufficienti a impedire che la sua oscurità faccia del male agli innocenti (danni collaterali?). L’unico modo per evitarlo è uccidere il “passeggero oscuro” insieme a chi gli dà il passaggio. Siamo destinati ad un suicidio collettivo? Magari con una guerra nucleare in cui il Sansone occidentale perisce insieme a tutti i filistei russofoni? Forse per evitare questo tragico esito dobbiamo andare a caccia di mostri, quelli veri, non gli spauracchi che ci vengono spacciati come tali. 

Uno che di mostri se ne intende, il romanziere marxista China Mieville, afferma: “La massima ‘Abbiamo visto i veri mostri e siamo noi’ non è né una rivelazione, né una cosa intelligente, interessante o vera. È un tradimento del mostro e dell’umanità”.2  Il mostro, in senso forte, è infatti ciò che è completamente altro da noi. E come tale è inafferrabile, inconoscibile, irrazionale. Il mostro nella sua totale alterità sembra venire dall’esterno: è un’entità extraterrestre (la cosa venuta dallo spazio), extramondana (il demone), extraumana (la catastrofe naturale). Ma, in un senso forse ancora più forte, il mostro, nella sua completa indecifrabilità, non ci rivela la sua origine. Non riusciamo a sapere se provenga da un qualche altrove o se sia un parto del nostro mondo. Il mostro, sostiene sempre Mieville, è l’impossibile eppure necessaria incarnazione dell’inconoscibile. Tale incarnazione è talmente necessaria che “La storia delle società fino ad ora esistite è la storia di mostri”. O, detto altrimenti, “Le epoche generano i mostri di cui hanno bisogno. Dei mostri e attraverso di essi può essere scritta la storia”. Una cosa necessaria richiede una spiegazione, ma una cosa impossibile la rifiuta. Da questa tensione scaturisce l’irresistibile tendenza all’esemplificazione del mostruoso. “Una cosa così evasiva rispetto alla categorizzazione provoca – e si arrende a – un desiderio famelico di specificità, di elencazione del suo corpo impossibile, di genealogia, di un’illustrazione. Il telos dell’essenza mostruosa è l’esemplificazione”.

Cerchiamo di applicare queste idee alla guerra che, in fin dei conti, potrebbe essere considerata uno dei peggiori mostri di cui possiamo fare reale esperienza. Prendiamo gli Stati Uniti, la nazione guida del “mondo libero” che senz’altro influenza più di ogni altra il nostro immaginario collettivo. Dal 1776, anno della dichiarazione di indipendenza “solo 18 anni su 245 sono trascorsi in completa pace”.3 La guerra è dunque necessaria perché viene praticata in continuazione. È il passeggero oscuro della nazione americana, il suo irresistibile impulso omicida. Ma essa è al contempo impossibile perché gli USA sono il faro della democrazia, la terra delle opportunità per tutti, il campione dell’autodeterminazione dei popoli. E allora sorge la necessità di esemplificare la guerra attraverso una sequela di nemici cattivi, anzi cattivissimi che possano rientrare nel novero degli assassini meritevoli di essere uccisi secondo il “codice” del serial killer statunitense. Dopo la Seconda guerra mondiale, in ogni conflitto arriva immancabile la reductio ad Hitlerum. Il primo prototipo di questa illustrazione è L’URSS che viene assimilata alla Germania nazista attraverso un utilizzo disinvolto della categoria di totalitarismo.
Ma il nemico, anche se cattivissimo come può essere un Putin qualsiasi, rimane una cosa diversa dal mostro, almeno nel senso forte che abbiamo attribuito a questo termine. Il nemico è qualcosa con cui siamo in grado di fare i conti perché possiamo comprenderlo o quantomeno collocarlo in uno spazio conoscitivo oscuro, ma delimitato. Per questo, quando affrontiamo un nemico, la nostra identità e le nostre coordinate esistenziali non sono messe in discussione fino alla loro radice ultima.  Questo scontro, almeno fino a quando pensiamo di poter essere vittoriosi, ci impone solo di rafforzare la nostra identità, cambiandola quanto basta per sconfiggere l’avversario, qualora necessario. Il mostro ci pone di fronte a un compito ben più difficile: ci obbliga a negare radicalmente il nostro mondo e dunque noi stessi. Poiché la sua minaccia è al tempo stesso inafferrabile e mortale, nulla di ciò che sappiamo o siamo in grado di fare ci può salvare. La catastrofe che incombe manifesta i limiti invalicabili del nostro universo, dal punto di vista pratico e da quello conoscitivo. Pensare di sconfiggere il mostro significa cercare di oltrepassare questi confini provando a immaginare un altro mondo possibile, un’esigenza che appare al contempo impossibile e necessaria. Mi verrebbe da dire che si tratta di una dialettica aperta. Senza garanzie. Anche questo fa paura.

Cerchiamo di approfondire la questione prendendola da un altro punto di vista. L’idea che il nemico sia il lato oscuro dell’eroe, come abbiamo già accennato, rimanda ad una sorta di pessimismo antropologico. Il presupposto è che ci sia un lato oscuro dell’umano in quanto tale da cui scaturisce, tra le sue peggiori manifestazioni, l’incapacità di pensare l’alterità senza mostrificarla. Questo è un dato che possiamo senz’altro ammettere, in considerazione degli orrori ripetuti della storia (dis)umana. Eppure, fermarci a questa considerazione non ci porta molto lontano. Se è vero che il rapporto con l’alterità è sempre stata problematica, non per questo ciò ha dato sempre luogo a esiti estremi come la demonizzazione dell’altro. L’etnocentrismo, che per semplicità possiamo considerare un fenomeno universale, è una cosa, il razzismo è un’altra. Vero è che nel primo possono essere individuati i semi del secondo. Ma non sempre quei semi germogliano. 

Possiamo pensare … che la propensione al dominio e alla violenza, il gusto per la crudeltà e il penchant totalitario facciano parte della natura umana, che siano intrinseci al desiderio che ci muove. È una posizione filosofica fin troppo convincente, molto disperata e infine profondamente reazionaria. Oppure possiamo pensare che violenza, crudeltà, abuso e produzione di miseria siano una possibilità ineludibile, che tuttavia deve ogni volta di nuovo essere scelta. Che siano, cioè, l’esito di una storia.4

La scelta di cui si parla, dunque, avviene ogni volta in condizioni diverse, storicamente determinate e produce effetti di volta in volta differenti. “Le epoche generano i mostri di cui hanno bisogno”, ripetiamo insieme a Mieville. Il mostro, potremmo dire, è un modo per raffigurare ciò che le categorie con cui si autorappresenta una data epoca non possono concettualizzare; un modo per narrare allegoricamente le conseguenze più disumane che scaturiscono da un dato sistema sociale e che questo stesso sistema non può riconoscere come propri frutti necessari. Perché se li riconoscesse come tali verrebbe meno quell’etnocentrismo che appare come momento necessario per cementare una qualche forma di solidarietà e di unione di un dato gruppo umano. Il mostro non è solo l’essere spaventoso che minaccia di divorare qualche malcapitato, ma quello che preannuncia la possibile distruzione di un intero mondo. È ciò che, per dirla con De Martino, minaccia la presenza e annuncia l’apocalisse culturale.
Nella concezione di Mieville il mostro deve rimanere qualcosa di inspiegabile, una sorta di imperscrutabile divinità malevola. Rimanendo nell’ambito della narrazione romanzesca, ciò evita il rischio di scadere nel didascalico. Ma se usciamo dalla fiction, siamo sicuri che non possiamo fare qualche passo ulteriore per affacciarci al di là delle categorie con cui si autorappresenta una data epoca? Scrivere la storia attraverso i mostri che di volta in volta essa ha generato non prelude proprio a questo tipo di tentativo?

Ritorniamo alla guerra. Lo sviluppo della cosiddetta globalizzazione avrebbe dovuto portare al mondo la “pace perpetua” perché, secondo uno stereotipo fondante dell’ideologia moderna reso celebre da Kant, lo “spirito commerciale” non può coesistere con la guerra. E invece ci ha condotto alle soglie di un conflitto mondiale. Non dobbiamo perciò pensare la guerra come l’esito delle scellerate azioni del mostriciattolo di turno che interrompe il normale funzionamento di un sistema altrimenti destinato a diffondere la pacifica e fattiva coesistenza tra i popoli. Queste azioni sono solo le cause immediate di un conflitto. Dobbiamo pensare la guerra come un fenomeno mostruoso in senso forte, come raccapricciante conseguenza dei fondamenti indicibili del nostro mondo. In altri termini, con buona pace di Kant, dobbiamo pensare la “guerra come inevitabile punto di arrivo di tutte le contraddizioni di un sistema basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo per conseguire come fine ultimo l’accumulo privato di profitti e capitali”. 5
Ovviamente la guerra non l’ha inventata il capitalismo. Ma la guerra in grado di distruggere, letteralmente, l’intera umanità (un conflitto mondiale, a maggior ragione se nucleare) è impensabile senza il capitalismo. Cannoni, missili, carri armati sono le zanne e gli artigli più visibili del capitale totale che ci sta divorando. Ciò detto è evidente che una cosa è individuare la genesi dei mostri che appartengono al nostro mondo e pensare le condizioni di una società libera dalle loro minacce, altro è riuscire a immaginare un mondo che sia privo da qualsiasi mostro. Insomma, liberarci da un male storicamente determinato non è lo stesso che liberarci da ogni male. Un mondo libero dalla minaccia di una guerra totale può ben essere costellato da una serie di feroci battaglie locali, tribali, sociali. Anche in questo senso la dialettica di una possibile liberazione non può che rimanere aperta. 

(4 – fine– le precedenti puntate qui, qui e qui)


  1. Lo abbiamo già detto, ma vale la pena qui ripeterlo. Oggi assistiamo a uno scontro tra potenze che si gioca sulla pelle della popolazione ucraina, vera carne da cannone cinicamente mandata allo sbaraglio dagli USA e massacrata senza pietà dalla Russia. Ciò sia detto senza nulla togliere al fatto che le responsabilità dello scoppio di questa guerra ricadono, nell’immediato, sullo stato guidato da Putin, incapace di rispondere politicamente, con una strategia di tipo egemonico, alla Nato che abbaiava alle sue porte. 

  2. China Mieville, Theses on Monsters, pubblicato in www.chinamieville.net. Le successive citazioni sono tratte dallo stesso scritto (traduzione nostra). 

  3. Questa affermazione non è presa non da un sito filo-Putin, ma dalla sezione Infodata del Sole 24 ore 

  4. Stefania Consigliere, Favole del reincanto. Molteplicità, immaginario, rivoluzione, DeriveApprodi, Roma 2020, p. 72. 

  5. Sandro Moiso, Il nuovo disordine mondiale: chi semina vento raccoglie tempestasu “Carmilla” qui. 

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La guerra e il lato oscuro dell’Occidente/ 3: a proposito di oligarchie https://www.carmillaonline.com/2022/06/26/la-guerra-e-il-lato-oscuro-delloccidente-3-oligarchie-a-confronto/ Sat, 25 Jun 2022 22:10:17 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=72650 di Fabio Ciabatti

Nella saga di Star Wars, vera e propria fabbrica di moderni archetipi, l’intero universo è permeato e governato da una sorta di misterioso campo di energia, la “forza”. Questa però ha anche il suo lato scuro, che, in ultima istanza, genera il più terrificante dei nemici, l’Impero. C’è un momento di verità in questo modo di concepire il nemico. Ed è per questo che può essere utilmente applicata alla Russia di Putin che, al di là dei punti di scontro, condivide con l’Occidente l’accettazione dei principi del capitalismo [...]]]> di Fabio Ciabatti

Nella saga di Star Wars, vera e propria fabbrica di moderni archetipi, l’intero universo è permeato e governato da una sorta di misterioso campo di energia, la “forza”. Questa però ha anche il suo lato scuro, che, in ultima istanza, genera il più terrificante dei nemici, l’Impero. C’è un momento di verità in questo modo di concepire il nemico. Ed è per questo che può essere utilmente applicata alla Russia di Putin che, al di là dei punti di scontro, condivide con l’Occidente l’accettazione dei principi del capitalismo neoliberista, a differenza di quanto avveniva con l’URSS che proponeva un sistema socioeconomico diverso da quello capitalistico (quanto poi fosse migliore è un’altra questione). Rimanendo all’allegoria cinematografica, possiamo considerare la forza come i flussi di valore capitalistici che oramai attraversano e plasmano l’intera realtà producendo anche il tenebroso capitalismo russo. Ovviamente il meccanismo narrativo e quello ideologico funzionano finché lo scontro tra il bene e il male è raffigurata come la lotta tra Davide e Golia. Nella realtà i rapporti di forza sono ribaltati, ammesso che la guerra attuale è uno scontro tra Usa e Russia per interposta Ucraina.

Potrebbe sembrare frivolo, di fronte alle tragedie della guerra, chiamare in causa Hollywood, ma la guerra si combatte anche sul piano dell’immaginario. Continuiamo perciò ad approfondire gli elementi che la metafora del nemico come lato oscuro ci consente di cogliere. A questo proposito un’obiezione sorge immediata: cosa c’entra un sistema statalista, oligarchico, autoritario con l’Occidente caratterizzato da mercato, concorrenza e democrazia? Se parliamo di regime politico, bisogna notare che da molto tempo il problema per i paesi capitalisticamente sviluppati non è quello di approfondire la democrazia, ma di limitarla. Già nel 1975 il rapporto della famigerata Trilateral Commision1 parla di un “eccesso di democrazia” che comporta una “carenza di governabilità”. Il problema, in sostanza nasce dal fatto che “Le richieste al governo democratico si fanno più pressanti, mentre le sue possibilità ristagnano”. Il linguaggio è ancora prudente, ma il messaggio è chiaro: lo stato eccessivamente democratico è in difficoltà “in relazione alla sua capacità di mobilitare i cittadini per il raggiungimento di fini sociali e politici e di imporre loro i sacrifici che ciò comporta”. Insomma, le esigenze dello sviluppo economico capitalistico richiedono che la rappresentatività democratica sia sacrificata sull’altare della governabilità. La logica dell’evoluzione delle istituzioni politiche occidentali non è molto diversa da quella che, come abbiamo visto nella prima parte di questo articolo, ha indirizzato lo sviluppo della “democrazia gestita” russa. Una logica “postdemocratica” che, per fare l’esempio forse più drammaticamente evidente, abbiamo visto all’opera quando il governo greco è stato costretto dall’Eurogruppo ad accettare draconiane misure di austerità pochi giorni dopo un referendum che a netta maggioranza le aveva respinte.

Va bene, si potrà ancora obiettare, la nostra democrazia non è più quella di una volta, ma in occidente c’è il libero mercato mentre la Russia è un paese dominato da un pugno di oligarchi che detengono il potere economico e che sono direttamente conniventi con il potere politico. La realtà però suggerisce altro:

oltre l’80 per cento del capitale azionario globale è oggi controllato da meno del 2 per cento degli azionisti, un ristretto manipolo di grandi capitalisti che tende a ridursi ulteriormente a cavallo delle crisi. La tendenza è generale, trova conferma in tutte le aree geopolitiche: negli Stati Uniti, in Europa, persino in Cina. Ed è interessante notare che il nucleo di giganti situati al comando della rete del capitale non muta granché nel tempo.2

La natura sostanzialmente oligarchica del capitalismo contemporaneo non può che influenzare l’intera architettura del potere. Tony Woods, descrivendo il profondo intreccio tra i membri del potere politico e di quello economico in Russia, commenta:

Questo traffico a doppio senso tra il mondo dello stato e quello dell’impresa privata sarà senza dubbio del tutto familiare a molti lettori: lo stesso tipo di porta girevole sostiene notoriamente le élite in gran parte del mondo, consentendo loro di muoversi di qua e di là senza sforzo tra le sale del consiglio di Goldman Sachs e i corridoi del potere a Washington, Londra, Roma e altrove.3

Ci possiamo forse dimenticare che Mario Draghi, prima di diventare Presidente del Consiglio italiano è stato Direttore Esecutivo della Banca Mondiale, Direttore Generale del ministero del Tesoro, membro del Comitato esecutivo di Goldman Sachs, Governatore della Banca d’Italia e Governatore della Banca Centrale Europea? Di esempi di questo tipo se ne potrebbero fare a bizzeffe, ma andiamo al cuore del problema. Nel “mondo libero” l’azienda si è fatta modello istituzionale e in questo modo i suoi valori, strumenti e obiettivi sono stati introiettati dal mondo politico. Il neoliberismo condivide con il liberalismo classico l’idea che il pubblico sia inefficiente al contrario del privato, ma da ciò non discende necessariamente il ritorno allo stato minimo. Una cosa, infatti, è sostenere che lo stato non debba occuparsi di questioni economiche e che i titolari di incarichi pubblici debbano mantenersi separati dagli uomini d’affari, altro è affermare, come fa per esempio la scuola del New public management, che una serie di servizi e produzioni debbano essere finanziati dallo stato e gestiti dai privati, e che le imprese devono poter influenzare il governo, ma non viceversa. Un’influenza che tende ad autorafforzarsi perché, con il depauperamento delle competenze statali conseguenza delle esternalizzazioni, il regolatore deve fare sempre più affidamento sul sapere specialistico del regolato: è il fenomeno noto come regulatory capture.4
Questa dinamica in Occidente si è imposta con la forza di una sorta di processo naturale, una volta che i nemici storici, interni ed esterni, del capitalismo sono stati sconfitti. Gli analoghi processi in Russia, dato il minor radicamento del modo di produzione capitalistico, sono avvenuti attraverso un ruolo più manifesto del potere statale. Di conseguenza in Occidente si è potuta mantenere una distinzione formale più marcata tra istituzioni politiche ed economiche rispetto a quanto accade nelle cosiddette democrature, anche se si tratta di una membrana sempre più sottile e permeabile. Il fatto che la commistione tra oligarchia economica e ceto politico rimanga più opaca produce un indubbio vantaggio: l’élite economico finanziaria capitalistica non appare direttamente responsabile del benessere dei cittadini. Può sempre scaricare sulla classe politica di turno le responsabilità della macelleria sociale che essa stessa sostiene e promuovere alla bisogna un ricambio del ceto politico: cambiare tutto (politicamente), per non cambiare nulla (socio-economicamente). L’estrema personalizzazione della politica accomuna l’Occidente democratico e la Russia autocratica, ma le leadership carismatiche da noi sono più facilmente sostituibili. Morto un pupazzo se ne fa un altro! Quello che è stato definito “capitalismo politico” è più vulnerabile nei confronti del conflitto economico-sociale perché quest’ultimo diventa immediatamente politico, nel senso che si scontra direttamente con le istituzioni statali.
Ma c’è il rovescio della medaglia. Le istituzioni del “mondo libero” sono costrette a mantenere un livello minimo di mediazione con le istanze che si esprimono attraverso la rappresentanza politica, per quanto essa sia estremamente depotenziata. In Italia, prima di arrivare al Governo Draghi si è dovuti passare per l’apparente autocombustione delle esperienze di governo gialloverde e giallorossa. Formalmente si è costretti a riconoscere anche la legittimità delle istanze provenienti dalla cosiddetta “società civile”, anche se queste possono trasformarsi in movimento reale e antagonista (in quest’ultimo caso, però, la carota si rimpicciolisce fino quasi a scomparire mentre il bastone si ingrandisce a dismisura). Quando la crisi morde i polpacci, la classe capitalistica diviene sempre più insofferente rispetto a ogni forma, per quanto tenue, di mediazione e agogna al potere diretto che le democrature sembrerebbero assicurare. Per quanto depotenziata, la democrazia è sempre in eccesso. È questo il punto in cui siamo. È questo il punto in cui il mostro che l’Occidente nasconde dentro di sé si rivela essere l’oggetto oscuro del suo desiderio.

Non bisogna mai dimenticare che il sistema capitalistico esprime strutturalmente un doppio standard. Nel segreto laboratorio della produzione “il capitale formula come privato legislatore e arbitrariamente la sua autocrazia sugli operai, prescindendo da quella divisione dei poteri tanto cara alla borghesia e da quel sistema rappresentativo che le è ancor più caro”.5 Il rapporto tra capitale e lavoro non però è rilevante soltanto per le relazioni economiche, ma assume un significato politico perché “È sempre il rapporto diretto tra proprietari delle condizioni di produzione e produttori diretti … in cui troviamo l’intimo arcano, il fondamento nascosto di tutta la costruzione sociale e quindi anche della forma politica del rapporto di sovranità e dipendenza, in breve della forma specifica dello Stato in quel momento”.6 È vero che, secondo Marx, per il corso ordinario delle cose l’operaio può rimanere affidato alle “leggi naturali della produzione” cioè alla sua dipendenza materiale dal capitale, senza utilizzare la coercizione extraeconomica. Ma ci troviamo oggi in tempi “ordinari”?
Sembrerebbe proprio di no se è vero, come sostiene Raffaele Sciortino che “la crisi ucraina è la precipitazione di un grumo di contraddizioni che sono ormai sistemiche”.7 I due principali attori sull’agone mondiale hanno infatti interessi opposti: la Cina, che ha nella Russia un partner strategico, vuole risalire le catene del valore, mentre gli Stati Uniti perseguono un decoupling selettivo della Cina stessa, cioè un suo parziale sganciamento dall’accesso a capitali e tecnologie elevate occidentali. Tutto ciò favorisce tentativi di dedollarizzazione dell’economia mondiale, crisi della globalizzazione americana e possibili processi di deglobalizzazione. Senza considerare che il modello attuale della produzione del valore è energivoro come non mai e si sta scontrando con la tendenza storica dell’aumento del costo della materia prima energetica. Per questo il capitale occidentale avrebbe bisogno di una Russia sottomessa alla sua necessità di aumentare il volume della produzione di gas e petrolio.8

Oggi, insomma, non assistiamo ad uno scontro di civiltà tra autoritarismo oligarchico e democrazia di mercato. Siamo di fronte ad uno scontro fra potenze, molto più simili di quanto entrambe siano disposte ad ammettere. Un’oligarchia capitalistica internazionalizzata con base negli USA, espressione autentica della “forza”, si sta scontrando con un’oligarchia semiperiferica, anch’essa capitalistica ma concentrata nel territorio russo, lato oscuro della medesima “forza”. Uno scontro che oggi si gioca sulla pelle della popolazione ucraina, vera carne da cannone cinicamente mandata allo sbaraglio dagli USA e massacrata senza pietà dalla Russia. Con buona pace di Star Wars, la luce non è destinata a sconfiggere l’oscurità. Per quanto possa aiutarci a capire alcuni importanti elementi di realtà, l’espressione artistica si presenta spesso, se non sempre, come una soluzione immaginaria a contraddizioni reali (per dirla con Frederic Jameson). Nella realtà la Russia potrà pure rappresentare l’oscurantismo, ma i lumi dell’Occidente sono sempre più fiochi.

(3 – continua – le precedenti puntate qui e qui)


  1. Michel J. Crozier, Samuel P. Huntington e Joji Watanuki, La crisi della democrazia. Rapporto Rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione trilaterale, Franco Angeli. Milano 1977. 

  2. Emiliano Brancaccio, Democrazia sotto assedio, Piemme, Milano 2022, p. 22. 

  3. Tony Wood. Russia Without Putin: Money, Power and the Myths of the New Cold War, Verso Books, London 2020, edizione Kindle, p. 51 (traduzione nostra). 

  4. Cfr, Colin Crouch, Combattere la postdemocrazia, Laterza, Bari-Roma 2020, edizione kindle, p. 62. 

  5. K. Marx, Il capitale, Libro I, Editori Riuniti, Roma, 1980, pp. 468-69. 

  6. K. Marx, Il capitale, Libro III, Editori Riuniti, Roma 1980, p. 903. 

  7. Raffaele Sciortino, La temperatura del sistema. Guerra e scongelamento della crisi globale, pubblicato in www.infoaut.org

  8. Cfr. La verità in tempo di guerra, pubblicato in https://noinonabbiamopatria.blog/.  

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