La sirenetta – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 06 Dec 2025 21:23:20 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Divine Divane Visioni (Cinema porno 08/11) – 71 https://www.carmillaonline.com/2015/05/14/divine-divane-visioni-cinema-porno-0811-71/ Thu, 14 May 2015 21:00:36 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=22211 di Dziga Cacace

So join the struggle while you may, the revolution is just a t-shirt away

ddv7101788 – Grandissimo Sandokan del compagno Sergio Sollima, Italia/Francia/Gran Bretagna/ Repubblica Federale Tedesca, 1976 Presa per mano Sofia coi suoi cinque anni, a Sandokan ci arriviamo passin passetto. Innanzi tutto vediamo la prima puntata di Gian Burrasca, del 1964, per la regia della Wertmuller, con protagonista la diciottenne Rita Pavone che dovrebbe essere Giannino Stoppani di anni dieci. Vabbeh. Ma il vero problema è che lo sceneggiato è letteralmente insopportabile, un cacamento di cazzo teatrale, lentissimo, zeppo di dialoghi verbosi e ripetitivi, con [...]]]> di Dziga Cacace

So join the struggle while you may, the revolution is just a t-shirt away

ddv7101788 – Grandissimo Sandokan del compagno Sergio Sollima, Italia/Francia/Gran Bretagna/ Repubblica Federale Tedesca, 1976
Presa per mano Sofia coi suoi cinque anni, a Sandokan ci arriviamo passin passetto. Innanzi tutto vediamo la prima puntata di Gian Burrasca, del 1964, per la regia della Wertmuller, con protagonista la diciottenne Rita Pavone che dovrebbe essere Giannino Stoppani di anni dieci. Vabbeh. Ma il vero problema è che lo sceneggiato è letteralmente insopportabile, un cacamento di cazzo teatrale, lentissimo, zeppo di dialoghi verbosi e ripetitivi, con messe a fuoco precarie e montaggio inesistente: teatro filmato, ma di quello peggiore (se mai ne esiste uno buono, eh?). E poi la Pavone – quella che ritiene di essere stata citata dai Pink Floyd – canta (continuamente) con le “O” e le “E” chiuse come se venisse dal basso Piemonte. A fine puntata ci guardiamo negli occhi, Sofia ed io, e decidiamo che no, vaffanculo, no. E allora lei mi chiede, con falsa noncuranza, com’è la storia invece di “quel Sandokan là”, se si tratta di quello famoso che “sale e scende la marea, Sandokan ha la diarrea…” e che poi “Marianna, con piacere, gli pulisce il…”. La fermo e mi chiedo come sappia già queste cose: evidentemente il mito ha travalicato le generazioni. O avrò canticchiato io l’azzeccatissima sigla dei fratelli De Angelis, cioè gli Oliver Onions (con clavinet bassissimo e sitar che sferraglia). Fatto sta che le propino il primo episodio e le piace (e non è il migliore). Siccome è figlia mia le viene subito la scimmia e puntata dopo puntata conosciamo uno dopo l’altro il cattivissimo Brooke (dalla piacevole ambiguità), l’astuto Yanez, il ciccione Sambigliong, i compari Giro Batol e Ragno di mare, la virginale e curiosa Marianna, l’elegante colonnello Fitzgerald (con pantaloni così attillati che gli si vede il pitone, manco fosse Mick Jagger) e ovviamente, lui, la Tigre, Sandokan. Che viene subito tradito da un infame e, ferito gravemente, casca in mare. Recuperato a riva ridotto come uno straccio finisce nella casa del ricco commerciante Lord Guillonk, dove passa per essere un nobile locale d’alto rango cui si devono ospitalità e cure. Se ne occupa la giovane Marianna che è turbata dal bel manzo, riconosciuto dalla servitù che non lo tradisce.
Festa dei 18 anni di Marianna e caccia alla tigre, alé. Tremal Naik ne fa secca una, ma quando ne arriva un’altra ancora si fa sotto il recuperato Sandokan. Tremal Naik ammette sportivamente: “Conosco solo due persone che affrontano una tigre corpo a corpo. Una sono io, l’altra è la Tigre della Malesia!”. Baci e abbracci e Sandokan, in volo, apre una bella cerniera addominale al felino. Ma caccia un verso che Tarzan al confronto è un principiante e Sir William Fitzgerald, non di gran cervello ma di udito fine, esclama: “Ti ho riconosciuto dall’urlo!”, manco girasse con Shazam sul cellulare. La Tigre – il magnetico Kabir Bedi – riesce a scappare, imbarcando seco Marianna e siccome i 18 anni sono giusto dell’altro ieri, le rifà la festa, ma sotto coperta. È amore grande, al punto che incappati in mare aperto in Brooke – la sfiga! – Sandokan, per salvare la sua bella, che bella in effetti è (Carole André), pronuncia la fatidica frase: “La Tigre si arrende!”.
ddv1001bPerò nell’anello ha una polverina bianca – avantissimo! – che dà la morte apparente e dopo tre ore, non un minuto prima né uno dopo, chi se l’è pippata si risveglia. Per cui la Perla pretende da Brooke (il maestoso Adolfo Celi) il funerale vichingo esattamente tre ore dopo, non un minuto prima né uno dopo, e quando il malese cala in acqua in un sudario, riesce a liberarsi e a scappare un’altra volta. Torna a Labuan, rapisce Marianna, Yanez (il beffardo Philippe Leroy) li sposa su un praho e i due vanno a vivere felici e contenti a Mompracem. Qui avviene la definitiva maturazione politica della sposa che, a fianco del suo Che (da notare come la fascia intorno ai capelli della Tigre assuma sempre le sembianze di un basco a incorniciare il capello zozzo e lo sguardo fiammeggiante), comprende e appoggia la lotta contro l’imperialismo britannico, prodigandosi a insegnare agli abitanti di Mompracem a leggere e scrivere perché l’emancipazione passa attraverso la consapevolezza, cribbio. Ma il Capitale gioca sporco e l’isolotto subisce una vigliacca epidemia di colera, l’agente arancione de noartri, e poi l’invasione a base di esercito, dayachi tagliatori di teste e navy seals – giuro – che fan gran strage di donne, vecchi e bambini. Sandokan, Yanez e fedelissimi scappano e Marianna ci rimane secca. Lacrimuccia di Sofia. Infine i superstiti prendono il mare, sconfitti e disperati. Ma il popolo ha capito e gli va incontro da tutto il Sud est asiatico sollevato. S’alza la bandiera rossa e Sandokan promette: “La Tigre è ancora viva!”. GRANDISSIMO e Sofia in estasi. Sceneggiato agile, comprensibile da tutti, con sottotesto politico puntuale ed evidente (a guerra del Vietnam appena conclusa: peccato non fosse già portavoce Capezzone, perché si sarebbe scagliato anche contro Sollima) e con buona alternanza di azione e riflessione, aiutato da efficaci ellissi narrative e sostenuto da recitazioni congrue, con un po’ di humour (Yanez) e tanta epica (Sandokan). Mettiamoci poi una musica in cui senti la vanga ma che tutto incornicia perfettamente e alla fine ottieni un capolavoro. Popolare, ma capolavoro. Giuro. (Dvd; agosto 2010)

ddv7102Rock al bacio
Siamo tutti cresciuti coi dischi dei nostri genitori e io sono stato fortunato. Pochi vinili, ma buoni, dall’aulico al burino, ma di qualità: Santana, Creedence, Deep Purple, Emerson Lake & Palmer, Grand Funk, Battisti e Beatles. La mia primogenita, Sofia, ha 5 anni e l’imbarazzo della scelta tra circa 3000 titoli in Cd. Chiaro che allora la copertina di un album diventi il primo indizio per decidere cosa assaggiare e quando ha potuto non ha mostrato dubbi: “Voglio ascoltare quello!”. Quello con le facce truccate dei Kiss, cioè. A 2 anni, del resto, chiedeva insistentemente di vedere i video dell’omo nudo, cioè dell’esibizionista Freddie Mercury. Ora, in un singolare percorso di maturazione musicale mi fa sciroppare i Dvd dei Kiss a rullo (e volete mettere rispetto alla trentesima visione de La sirenetta?). E anche in macchina, solo Kiss. Macchina galeotta dalla quale, quest’estate, ha adocchiato un cartello che annunciava le Kissexy in concerto a Lesa, sul Lago Maggiore. Per Sofia real thing o tribute band non fa differenza (anche per Gene Simmons, si direbbe) e alle 21.30, munita di tappi e previa dormita pomeridiana forzata, la porto al campo sportivo dove Barbara, Sara, Elena e Sergio (la chitarra solista rimane privilegio maschile) porgono il loro omaggio al femminile alla band di Paul Stanley e compagnia dipinta. Le Kissexy se la cavano amabilmente, con repertorio classico, make up fedele, voglia di divertirsi e una bassista linguacciuta che sputa sangue com’è d’obbligo. L’accento lombardo e la bonomia ben poco macha della bella leader danno un sapore casereccio al concerto, ma la messa in scena funziona. Sofia non è l’unica bambina, anzi: di bimbi, sul prato e sulle transenne, è pieno e alcuni hanno anche 50 anni. È chiaro perché i Kiss continueranno ad avere successo: la loro musica è un innocente e pagano ritorno alla nostra infanzia edenica. Imbattibile, specie quando si conclude un gig urlando a squarciagola I-I-I Wanna Rock’n’roll Aaall Night…And Party Every Day! Sofia è contenta e io ripenso al mio primo concerto: già dodicenne, vidi Franco Battiato bedduzzo mio, rimasto poi pietra angolare del credo musicale che informa tutti i miei scritti (e a chi storce il naso ricordo che con Franco c’era la chitarra rovente di Alberto Radius). Sofia ha esordito così, coi Kiss o il loro sembiante, e son sicuro che crescendo non si farà infinocchiare da qualche poser o da una boy band messa su dal marketing di una major. O perlomeno spero. E prego. (Agosto 2010)

ddv7103789 – Lo strepitoso Anvil! The Story of Anvil di Sacha Gervasi, USA 2008
Gli Anvil sono una band canadese di heavy metal dei primi anni Ottanta. Rock zarro, urlato e fracassone, con testi insensati, zuppo di sudore ma suonato con l’anima. Trent’anni fa hanno assaggiato il successo, finendo immediatamente in una spirale discendente che li ha portati ad affrontare tour disastrosi e umiliazioni continue. Anvil! racconta la calata agli inferi e la resurrezione, grazie all’impegno, la testardaggine e anche l’ingenuità di chi, passati i cinquant’anni, non vuole arrendersi e abdicare al suo sogno rock and roll. Il film è splendido, commovente, intenso e vive di due straordinari protagonisti: il primo è il chitarrista Lips, cocciuto cuore d’oro incapace di arrendersi e pronto a ricominciare dopo ogni clamorosa batosta (e nel film se ne vedono di tremende, come suonare davanti a cinque persone, tra l’altro disinteressate), coinvolgendo familiari e amici; e poi c’è Robbo, il batterista malinconico e cinico che fuma un joint dopo l’altro e dipinge improbabili nature morte, inseparabile da Lips. Ne viene fuori una storia che racconta la miseria del business, ma anche la grandezza del sogno e la forza della volontà a dispetto di ogni evidenza. Il documentario è costruito drammaturgicamente da dio (sospetto rifacimenti e accordi, ma chi se ne frega) e si arriva al finale col cuore in gola: ce la faranno, stavolta? L’ho visto – assente Barbara – con la cugina Alessandra, che s’è fidata di me ma che ha anche vacillato alle prime battute: rock durissimo in documenti sgranati d’epoca e testimonianze di Lemmy (Motorhead), Lars Ulrich (Metallica) e Slash (Guns n’Roses). Ma ci vuole poco a comprendere che non conta il genere musicale e che non si tratta di un documentario per appassionati metallari: questo capolavoro di Sacha Gervasi (il colpevole di The Terminal: chi l’avrebbe mai detto?) è un film per tutti perché racconta una storia universale. L’heavy metal è solo il contesto e, anzi, dà più sapore. Come l’impagabile, improvvisata e improbabile manager veneta che accompagna la band: non sa l’inglese, non saprebbe fare il suo mestiere neanche parlando italiano e bestemmia tutto il tempo come un carrettiere. E come puoi non voler bene anche a lei? (Dvd; 30/8/10)

ddv7104790 – L’abisso e l’estasi di Man on Wire di James Marsh, USA/Gran Bretagna 2008
Il sogno e la follia di camminare sospesi per aria, di volare dove nessun altro uomo è in grado di farlo. Questo l’obiettivo di Philippe Petit, il funambolo che il 7 agosto 1974 ha tirato un cavo tra le due torri gemelle di New York, non ancora inaugurate, e poi ha fatto avanti e indietro per 45 minuti, con la polizia in attesa che si stufasse per poterlo arrestare. Oggi lo seccherebbero con una fucilata dopo 5 minuti. Ma anche il fatto che “oggi” le torri non esistano più dà un sapore diverso al documentario e soprattutto una dimensione metafisica alla stravagante impresa, misto di ambizione suprema, visionarietà, egocentrismo e coraggio al limite della stupidità. Per dimostrare cosa, poi? Il film di Marsh investiga sia la psicologia del protagonista (affetto da sicuro delirio d’onnipotenza) che dei suoi compagni d’avventura, gente di cui all’epoca non si seppe più nulla e dei quali invece oggi vediamo le conseguenze a livello umano. Petit trascinò gli amici più cari (tutti disgraziati, che spariscono di fronte alla sua personalità debordante) e tutti si misero a disposizione, rischiando in proprio per lui: c’è chi andò via, chi continuò ad appoggiarlo in sfide assurde (ma mai come questa), chi ancora oggi piange a ripensarci. Per cui Man On Wire racconta anche di potere, forza di persuasione e tradimento, con Petit diventato ricco e famoso e tutti gli altri caduti nel dimenticatoio. Il racconto è teso come il filo su cui Philippe cammina, costruito in maniera intelligente, con materiali originali splendidi (e incredibili: ‘sto qua lavorava alla costruzione del mito di se stesso già prima dell’esibizione definitiva) e da ricostruzioni che non disturbano, ma legano meglio il racconto quando mancano i raccordi originali. E poi siamo sospesi nella musica di Erik Satie a 450 metri di altezza o baldanzosi nel farci 110 piani a piedi incalzati da quella di Michael Nyman. Un film bellissimo e anche se sai fin dal manifesto/spoiler del film come andrà a finire, continui a dirti: no, è impossibile, non ce la farà mai. E invece. Pazzesco. (Dvd; 31/8/10)

ddv7105792 – ‘Na pallata La storia infinita di Wolfgang Petersen, Repubblica Federale Tedesca/USA/Gran Bretagna 1984
Dunque: a 13 anni lo avevo schifato e avevo già ragione da vendere; ovviamente a Sofia è piaciuto moltissimo mentre io ho rantolato per buona parte della pellicola. Dal romanzo di Michael Ende (che non ho letto né mai lo farò) è venuto fuori un film evocativo, lento, con l’eroe – alter ego del piccolo Bastian che sta leggendo un libro magico – che affronta diverse prove non particolarmente memorabili o tese, a dir la verità, per fermare il Nulla che sta invadendo il regno di Fantàsia. Sento la consueta mano pesante tedesca e a parte il protagonista – che però non sa recitare – i bambini hanno facce orrende. I mostri da combattere, in compenso, non possiedono alcun fascino e sfiorano il ridicolo (un cane-drago che sembra un peluche, un uomo di pietra che pare uscito da una parodia, cose così). L’improbabile Limahl (dei Kajagoogoo) sottolinea il tutto con una canzonaccia che solo a nominarla poi ti rimane in testa per una settimana. Ecco, infatti. Mah. Era un film per bambini, per cui avrebbe dovuto scriverne direttamente Sofia, però ho ragione io. (Dvd; 5/9/10)

ddv7106793 – Telefonato ma perdonabile: Le concert di Radu Mihaileanu, Francia 2009
Trappolone emotivo inevitabile! Era un grande direttore d’orchestra, Andrey, ma il compagno che sbagliava Brezhnev lo ha rovinato e ancora oggi è costretto a pulire i cessi del Bolshoi per vivere. Grazie a un sotterfugio s’imbarca in un’operazione impossibile: riprendere a Parigi il concerto interrotto 30 anni prima a Mosca, con la vecchia orchestra e una giovane, nuova, violinista (Mélanie Laurent, sono ufficialmente innamorato). Si ride e ci si commuove per un finale preparato a puntino, che più ricattatorio non potrebbe essere, accompagnati da un Čajkovskij ineludibile. Il concerto un film caruccio, furbo, ma anche – nella sua svagatezza e nei suoi eccessi sparsi qui e là – ben fatto. Io l’ho visto in francese ma per curiosità ho rivisto alcune parti in italiano, con una resa linguistica che definire allucinante è un eufemismo. I russi – ma neanche tutti! – parluano cuosì, come in brutto film della guerra fredda. Senza parole, ma del resto abbiamo i migliori doppiatori del mondo. Come gli arbitri e i portieri, insomma. (Dvd; 5/9/10)

ddv7107794 – Il lacerante Videocracy di Erik Gandini, Svezia 2009
Non un documentario, un horror. E un film a tesi, ahimé, e scrivo ahimé perché a tanto siamo dovuti arrivare per raccontare la genesi e l’ascesa del regime berlusconiano, alimentato da dosi massicce di nudo femminile in tivù. Ora, chi vuol chiamarsi fuori offeso (leggi Antonio Ricci) fa le pulci a Videocracy e sottolinea i tanti errorini storici, che però non sono sostanziali. È inutile dire “non ho cominciato io”, il problema è che tu hai proseguito, caro mio, altro che satira dell’allora presente. E il problema non è soltanto la mercificazione della donna ma tutta la televisizzazione della società e pensare (perché è questo l’inganno in cui spesso si cade) che la televisione metta in scena solo la realtà, mentre purtroppo la produce e riprendendola la amplifica, in un loop mortale. Il monito o la constatazione serve e servirà, ma per fortuna non è ancora solo così (credo, spero), ma questo è quello che appare e anche Gandini sembra cascare nell’equivoco che la rappresentazione sia la realtà. Però questi son discorsi che non so affrontare, dài. Penso che una sana prospettiva storica dovrebbe ricordare come nel fermento di fine anni Settanta fosse cominciata un’esibizione del corpo femminile che per alcuni era liberazione, per altri trasgressione, per altri ancora provocazione e per i più furbi semplice sfruttamento di un’onda lunga inizialmente sincera e libertaria. Poi ha vinto la linea marpiona, ma non credo si possa leggere dietro un complotto berlusconiano preciso, mi sembra invece una naturale evoluzione capitalistica: vado dove si fa denaro. E il sesso – sinché il portafogli lo gestisce il maschio – produce denaro, molto. E consenso, ipocrita ma palpabile. Simple as that. Berlusconi non è la causa (o la sola causa), ma piuttosto lo strumento, l’espressione, l’interprete perfetto (e l’effetto) di questa Italietta che non impara mai, che perde la testa davanti a una tetta e si corrompe non appena circolano un po’ di soldi. E che preferisce apparire che essere, tanto che la messa in scena è arrivata al governo e spadroneggia da 15 anni. Ci siamo americanizzati al peggio, senza quelle due o tre regolette etico-morali fondamentali cui gli americani tengono molto, ipocritamente, ma molto. Nella carrellata di mostri, oltre al ducetto che sappiamo, anche Lele Mora (agente di spettacolo e veicolatore di monnezza) e Fabrizio Corona, paparazzo e orchestratore di gossip nonché protagonista in proprio di vita da divo gossipabile. E Corona che si sgrulla l’uccello per farlo sembrare più grosso e lungo è la sintesi perfetta dell’italiano di oggi: uno sfigato che si mena il belino per sentirsi superdotato e non ha letteralmente più un cazzo, se non l’apparenza. In questo senso è volutamente emblematica la clamorosa scena finale delle aspiranti veline che ballano indipendentemente, come se fosse la volata finale di tappa, ognuna impegnata a dare il meglio (e il peggio) di se stessa, senza neanche ascoltare la musica, una contro le altre, per l’occhio del selezionatore. Diventare visibili, prendere vita nella rappresentazione catodica. Un momento di televisione che diventa cinema altissimo. Film bello, non risolto e anche impreciso ma lacerante e che rivisto tra trent’anni ci farà chiedere quale (ulteriore) sorta di ipnosi avesse soggiogato il Belpaese. (Dvd; 8/9/10)

ddv7108795 – L’orrendissimo Sojux 111 Terrore su Venere di Kurt Maetzig, Repubblica Democratica Tedesca/Polonia, 1960
C’è l’Alessandra a cena e dopo esserci saziati con una pastasciuttina da urlo condita con un sughetto surgelato misto mare probabilmente velenoso ma efficacissimo, procedo al consueto rosario di film per la serata. Le due cugine mi schifano tutto, specialmente la mia collezione di oldies but goldies elegantemente in black and white e non avendo nulla di moderno (non contemporaneo, proprio moderno, cioè dai Settanta in poi) allora andiamo sull’originale: fantascienza della Germania Est. Alé: giubilo per l’originale trovata! Pensa domani, in ufficio: “Ieri sera ho visto un film della Repubblica Democratica Tedesca!”. E bastano pochi secondi di titoli di testa per capire che invece abbiamo fatto una vaccata siderale. La vicenda è squallidissima e scopertamente propagandistica: i paesi fratelli del Patto di Varsavia organizzano una spedizione alla volta di Venere per scoprire che l’olocausto nucleare ha annientato i venusiani, monito a tutti popoli a non rifarlo sulla Terra; ma soprattutto il concetto esplicito è: mi sto rivolgendo a te, pezzo di merda americano che sei già stato responsabile di Hiroshima (nome ripetuto nel film almeno 4 volte dalla figlia di una sopravvissuta all’atomica). L’equipaggio della missione è un misto di razze e popoli per dimostrare l’ecumenismo socialista, mica come noi capitalisti razzisti (e in effetti io un astronauta negro non l’ho visto ancora, se non in Capricorn One). L’ambientazione è nel futuro 1982 e son tutti vestiti come negli anni Cinquanta, e vestiti male, come ci si poteva conciare allora in un paese comunista (di quel comunismo lì, intendo). Le divise spaziali, in compenso, anticipano brillantemente quelle dei Teletubbies. Il doppiaggio regala qualche furbata, come la previsione della diplomazia del ping pong del 1972 tra Nixon e Mao (era Chou En Lai: stai a vedere che ‘sti qui ci hanno quasi azzeccato, 12 anni prima… ma no, non è possibile, dài). Gli attori sono di una staticità commovente e con delle facce tristissime, da alimentazione precaria: dentature sconnesse o rade, occhi sporgenti o incavati, e tutti o calvi o con ciuffi assurdi. Ma la vera mazzata è data dallo script, di una lentezza esasperante, senza tensione, ritmo o almeno qualche invenzione futuribile (ah sì, c’è l’incredibile freno a mano dell’astronave, utilizzato mentre s’incappa in una tempesta di meteoriti!) e piagata da dialoghi ridicoli con cifre ed elementi chimici buttati lì, che fanno tanto fantascienza, tipo (invento):“Hai visto la reazione gamma del biofloruro di Izbenio 58?”, “No, dottore, la temperatura pentatonica era ormai prossima alla sublimazione H”, supercazzole così. Insomma, ‘sto Sojux 111 è una tavanata realmente galattica, dal fascino visivo naif e orbo di qualsivoglia drammaturgia. Ispirato al romanzo Il pianeta morto di Stanislav  Lem, che non volle avere niente a che fare, giustamente, con questa stronzata spaziale. Come qualche criticonzo possa parlarne come di un capolavoro è emblematico della ragione mercantile della professione. (Dvd; 18/9/10)

ddv7109Popa Chubby: the Blues is Alright!
Se BB King vi sembra grasso, non avete mai visto Popa Chubby. E se credete che il blues sia un genere vecchio, significa che non lo avete neppure ascoltato. E Popa su disco è una cosa (generalmente buona, molto buona) e dal vivo un’altra, buonissima: sudore e lacrime, rabbia e dolcezza, sigaretta e caffè. Fraseggio fluido, innesti soul, rock e hip hop sulla tradizione, tono Fender inarrivabile. Un autentico bluesman urbano di questi tempi, che commenta ciò che accade sulla terra e non la manda a dire, e suona come se ogni concerto fosse l’ultimo. Ebreo newyorchese con nonni italiani, non è educato, non è elegante, Popa, ma ha una sua tifoseria precisa che ne apprezza la schiettezza e l’irruenza musicale verace. Siccome passa da Milano per un omaggio hendrixiano ricco di ospiti (tra cui Tolo Marton e Vic Vergeat di cui il vostro scribacchino vi ha già parlato in passato), approfitto. Ci dobbiamo incontrare a pranzo ma quando sono in prossimità del suo albergo mi arriva una telefonata: Popa è fuori combattimento, è stato male in nottata. Rinvio a dopo il soundcheck, ma a mezz’ora dall’intervista la vetusta Ka rossa mi molla sotto casa. La mente gira a mille e siccome sono affilato come un bisturi penso: ruote! Prendo la bici che non uso mai e affronto il traffico stocastico di Milano riducendomi il culo come quello di un babbuino, e non solo cromaticamente. Assisto a delle prove dove s’improvvisano assoli celestiali e poi intervisto il bluesman di New York mentre monta le corde della chitarra. Popa ha la faccia tenera da bambinone cresciuto a dolciumi. Ha una voce scartavetrata splendida ed è umile e puntuto, non dice mai una cazzata. In passato si è apertamente schierato contro Bush con testi espliciti e diversi vaffanculo col dito medio (tra l’altro – dopo centomila morti gratuiti in Iraq – perché il tribunale dell’Aia non lo processa, Bush?) e oggi è molto deluso da Obama. È indignato per lo stato della sanità statunitense e tante altre cose che non riescono a cambiare. Azzardo, come Fantozzi col megadirettore: ma sarai mica… comunista? Ride: no, dice di essere un convinto capitalista, dove però non vince uno solo, ma un po’ tutti… “Forse”, aggiunge, “sono un po’ socialista”. Al netto della confusione ideologica e del classico pragmatismo yankee, gli chiedo se ne scriverà e mi risponde che lui cerca solo “un buon riff e una rima che funzioni”. Da buon papà sta imparando dai figli e parla con ammirazione di Dr. Dre e Snoop Dogg, confermandomi che il progetto di fondere blues e hip hop potrebbe avere un futuro. Poi, serata buona ma pubblico milanese un po’ freddo di fronte alla sua chitarra incandescente. Tornerà ancora da queste parti: oh, ci vediamo sotto il palco, ragazzi. (Teatro Ciak, Milano; 22/10/10)

ddv7110798 – Il Labyrinth in cui s’è perso Jim Henson, USA/Gran Bretagna 1986
Film da grandi, Barbara e io, non riusciamo a vederne più, per cui finisce che un Labyrinth evitato accuratamente da adolescente diventi qualcosa da vedere oggi, papà ultraquarantenne, assieme a Sofia. Con grande nocumento, perché questo fantasy infantile, tra ingenui effetti col blue back, pupazzoni da Muppet Show (di cui effettivamente Henson era il creatore) e numeri musicali eterni, è una menata di cazzo labirintica ed estenuante. Dopo un ¼ d’ora ero già scoglionato, sorpreso dalla recitazione urlata e dall’apparizione di un Bowie pettinato a metà strada tra Tina Turner e Solange. Certo, Jennifer Connelly era incantevole anche nei suoi paffutelli quindici anni e c’è pure qualche bella invenzione scenografica (il pozzo di mani o i battiporta parlanti), però, no, io queste cose non le capisco, non ci arrivo. Sofia, ovviamente, ha apprezzato molto. Dopo un clamoroso flop all’uscita, Labyrinth è diventato col tempo un film di culto. Non chiedetemi come e perché. (Dvd; 23/10/10)

(Continua – 71)

Il Cacace mette i dischi su Twitter @DzigaCacace

Qui le altre puntate di Divine divane visioni

]]>
Divine Divane Visioni (Cinema porno 08/11) – 66 https://www.carmillaonline.com/2015/01/15/divine-visioni-porno-66/ Thu, 15 Jan 2015 22:00:37 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=19961 di Dziga Cacace

Lo vedi quante cose che ci sono da salvare, con la guerriglia culturale? (A.F.A.)

ddv6601732 – Tant’è, Flags of Our Fathers è un film destrorso di Clint Estwood, USA 2006 Ormai ‘sta faccenda dell’idolatria sbarazzina e manifesta di Eastwood mi pare cominci a diventare proprio una veltronata pericolosa. Perché ci risiamo anche stavolta: come in Salvate il soldato Ryan di Spielberg, qui si racconta tronfiamente dell’ultima guerra “giusta” degli Stati Uniti e, siccome viviamo in anni in cui – tanto per cambiare – gli USA si ritengono in missione per conto di Dio a menare mazzate per il mondo, alla fine l’assunto [...]]]> di Dziga Cacace

Lo vedi quante cose che ci sono da salvare, con la guerriglia culturale? (A.F.A.)

ddv6601732 – Tant’è, Flags of Our Fathers è un film destrorso di Clint Estwood, USA 2006
Ormai ‘sta faccenda dell’idolatria sbarazzina e manifesta di Eastwood mi pare cominci a diventare proprio una veltronata pericolosa. Perché ci risiamo anche stavolta: come in Salvate il soldato Ryan di Spielberg, qui si racconta tronfiamente dell’ultima guerra “giusta” degli Stati Uniti e, siccome viviamo in anni in cui – tanto per cambiare – gli USA si ritengono in missione per conto di Dio a menare mazzate per il mondo, alla fine l’assunto autoassolutorio è che se avevamo ragione da vendere allora – con nazi e musi gialli –, vuoi che abbiamo torto marcio oggi con quegli arabi isterici e puzzoni? E son mica io che mi faccio i film, eh, è Clint, perbacco! Flags of Our Fathers ci racconta di come una foto (quella celeberrima della conquista del monte Suribachi, in quell’isolaccia vulcanica di merda che è Iwo Jima) abbia significato moltissimo per la vittoria finale alleata e per risparmiare vite, anche giapponesi. E allo scopo ci si servì pure della menzogna e della più bieca propaganda… e questa sarebbe la parte più interessante e problematica del film, sennonché c’è una retorica di fondo – le immagini della bandiera, gli sguardi persi nel vuoto, la voce interiore del protagonista – che tutto appesantisce, calcando la mano su aspetti patriottici ed esistenziali che non avevano alcun bisogno di essere spiegati e dispiegati come una gigantesca stars and stripes. E anche il montaggio e la costruzione a incastro della vicenda, con le progressive scoperte e i dolorosi ricordi che affiorano, non mi son piaciuti per niente: meccanici, prevedibili e sempre un po’ fuori luogo. E non mi han fatto impazzire neanche le facce degli attori e la fotografia. E… insomma: ‘sto film mi ha fatto proprio cagare, diciamolo dritto come va detto, esteticamente e politicamente. A proposito della foto famosa, tra l’altro: l’autore, Joe Rosenthal, si è battuto una vita per difendersi dalla diceria che la foto fosse organizzata ad arte. Tutto nasce da un equivoco: il reporter ha visto dei marines che innalzavano la famosa bandiera. È accorso sulla cima del vulcano e ha fotografato un secondo gruppo di soldati che ripeteva (autonomamente) il gesto e dopo gli ha chiesto di posare sotto la bandiera. Quando Rosenthal ha spedito i rullini (non sapendo come avesse fotografato, mica c’erano le digitali, pora stella) ha fatto una sommaria descrizione del materiale e credendo che la foto migliore fosse quella in posa, l’ha indicata come tale. E da lì l’equivoco, corroborato dai sospetti di altri giornalisti e rilanciato più volte nel corso degli anni, al punto che alcuni hanno anche suggerito di ritirare il Pulitzer vinto con lo scatto. E invece era una bella fotina originale, brutti infingardi. Ma ribadisco: il film è confuso, non riuscito, destrorso e imperialista, tiè. (Dvd; 19/1/09)

ddv6602733 – L’isterico Cani arrabbiati di Mario Bava, Italia 1973
Straculto inedito per 25 anni che non riesco ad apprezzare granché (perché lo trovo interessante sì, ma anche bruttino, ecco perché) e che i critici estrosi portano in gran stima, come concentrato pulp ante litteram di efferata ultraviolenza, turpiloquio scatenato e generale insensatezza criminale, cose che – non si discute – 40 anni fa erano decisamente una bella botta. Però del primato me ne frega assai (a me importa chi fa le cose bene, come Pelé col Brut 33, non per primo) e questa regia di Bava padre è lontanissima dal suo classico tocco magico e sognante: è iperrealistica, sadica e compiaciuta di una rozzezza registica sicuramente programmatica ma per nulla affascinante nel suo sgangherato pauperismo. Dunque: c’è la classica rapina a mano armata che va subitissimo in vacca, con strascico di morti e fuga con ostaggio femmineo sulla macchina di uno sfigato che sta portando all’ospedale il figlio malato. Il “Dottore” sembra saperla lunga però si accompagna a due psicopatici, l’esuberante “Trentadue” (al cui confronto i 24 centimetri di Siffredi sono una bazzecola) e il sanguinario “Bisturi” (un inedito Don Backy, che sembra il giovane Stallone, isterico e sudato, tanto quanto il film stesso). Recitazione non particolarmente curata, montaggio scomposto, dialoghi acidi, fotografia lattiginosa, musica di Stelvio Cipriani pessima. Molta azione (anche psicologica) e ritmo non disprezzabile in un’Italia che sembra arcaica: il finale è riuscito, abbastanza inaspettato seppur intelligentemente anticipato dai titoli di testa, ma il film – nel complesso – mi pare che appaghi il gusto per la rarità di certi cinesegaioli piuttosto che essere un capolavoro misconosciuto come si va dicendo. (Dvd, gennaio 2009)

ddv6603734 – Viva Viva Santana! di Tom McQuade, USA 1988
Siccome mi sono imbarcato nella missione impossibile di raccontare la storia dell’incompreso compagno Carlos Santana, non posso esimermi dal vedere alcuni dvd che aspettano nella mia videoteca da eoni. Questo è un documentario che nel 1988 celebrava i vent’anni di carriera della band del magico chitarrista, con tante clip (dal 1969 fino al 1987) tratte da concerti o apparizioni televisive. Ogni tanto Carlos commenta e racconta e magari copre una splendida Samba Pa Ti del 1973 (argh!). Però l’idea è carina, le immagini incredibili, i completini del leader atroci. Per uno come me è il Nirvana, per qualunque altra persona non so. La cosa migliore è il pezzo conclusivo di un concerto tenuto a Santo Domingo nell’arena tipo teatro greco de La Romana (già di per sé una location kitschissima: l’ho visitata con imbarazzo primomondista quindici anni fa e i locali si vantavano che lì si fosse esibito Nicola Di Bari, per dire): un improvviso e violento acquazzone tropicale costringe a chiudere la baracca prima che qualcuno ci rimanga secco, fulminato attaccato allo strumento. Ma i Santana non mollano, le percussioni impazzano, la chitarra è senza freni e il pubblico è galvanizzato e balla nella pioggia, riparandosi con dei cuscini rettangolari che sembrano delle pizze da consegnare. A fine brano l’organizzatore nervosissimo annuncia che il concerto è finito per garantire l’incolumità dei musicisti ma dalle facce contrariate capisci che la band sarebbe andata avanti a rischio scossa mortale. Eccezionale: se il buon gusto latita nell’abbigliamento e in certe esagerate soluzioni musicali, comunque Santana rimane uno dei più grandi di sempre. Siccome non è cool nessuno lo ricorda mai, anzi, semmai ne mette in evidenza i peccadillos, ma per me nessuna musica rock ha corazon y cojones come la sua. Se voglio l’epica vado con lo Springsteen del 1978; se voglio salire a un livello diverso di percezione del reale datemi gli Allman Brothers del 1971; se devo sfogarmi, urlare e ballare prendo i Deep Purple del 1972. Ma se voglio tutte queste cose assieme, un po’ di jazz e anche una spruzzata di orgogliosa cafonaggine, beh, c’è solo Carlito. (Dvd; 23/1/09)

ddv6604735 – Il pessimo Signore e signori, buonanotte di Luigi Comencini, Nanni Loy, Luigi Magni, Mario Monicelli, Ettore Scola, Italia 1976
Un orrendo film a episodi firmato oltre che dai registi anche dai più grandi sceneggiatori nostrani (Age e Scarpelli, Pirro, Maccari, De Bernardi, Benvenuti) tutti riuniti in militante cooperativa e interpretato – tolto Sordi – dai senatori della commedia all’italiana Gassman, Tognazzi e Manfredi, più Villaggio e Mastroianni. Ma il risultato è deludente, freddo, pretenzioso e fuori misura: non fa ridere quasi mai (salvo forse l’episodio “di costume” del Disgraziometro – a me il Villaggio carogna diverte sempre), non fa granché pensare quando c’è un intento satirico esplicito ed è minimamente più interessante solo quando emerge una vena poetica (Tognazzi barbone, per esempio) o semplicemente realistica. L’ideale palinsesto di un futuribile terzo canale – che dà l’ossatura al film – risulta perlopiù una raccolta di sketch e barzellette di scarsa efficacia politica e credibilità, una sorta di qualunquismo “di sinistra” facilone che riesce difficile accettare come impegno reale, anche quando se ne avverte una sincerità (seppure mal espressa, vedi l’episodio napoletano Sinite Parvulos). Per quel che mi riguarda ritrovo quel cinismo di certo cinema italiano anni Settanta, greve e strafottente, col solito umorismo sui dialetti, sui morti di fame, sui difetti fisici, per non parlare delle tette messe lì perché fanno allegria a noi maschiacci che denunciamo i fascisti, la CIA, la chiesa, la tivù, le forze dell’ordine e i politici ma alla maniera nostra, da cazzoni. Mah, una fetecchia di film: solo un anno dopo un film commerciale senza pretese – vituperato dalla critica parruccona – come Il… Belpaese racconta e satireggia gli anni Settanta molto meglio, anche senza vantare i galloni autoriali di questa porcata. E non mi metto a citare neanche i primi Fantozzi, dài. (Dvd, febbraio 2009)

ddv6605736 – Bellissimo, lo ammetto, Letters from Iwo Jima di Clint Eastwood, USA 2006
Più intenso, umano, delicato – e decisamente riuscito – del film dedicato ai soldati americani a Iwo Jima, questo Letters nobilita il dittico di Eastwood. Però non illumina a posteriori Flags of Our Fathers mentre esserne l’ideale controcampo in qualche maniera gli nuoce, perché il dietrologo che s’annida in me ne vede la funzione equilibratrice e democristiana. Là guerra necessaria e giusta, qui guerra imposta e salvata solo dal proprio onore, ma comunque guerra sbagliata. Però dico sempre un sacco di vaccate, per cui non son neanche tanto sicuro di essere d’accordo con ciò che ho appena scritto. Letters from Iwo Jima è narrato pacatamente ed è atroce, lirico e commovente. È bella la struttura, funziona il montaggio, abbacina la fotografia e splendono gli attori, tutti in parte. Bello e straziante, sofferta e doverosa lode a Clint. Boh. Sarà che sono stremato dal sonno. Infatti Elena è molto simpatica, di giorno: amabilmente grassa e ridanciana. La notte però è meno gradevole. Ieri sera è andata a letto alle 20.10 e si è addormentata in pochi minuti in braccio a me che le cantavo Nebraska di Springsteen. Siccome non so andare oltre la seconda strofa, forse è per sapere come va a finire la murder ballad che s’è svegliata alle 21.00. L’ha riaddormentata Barbara, ma alle 22.15 la piccina ha urlato come Bruce Dickinson degli Iron Maiden. Da genitori responsabili l’abbiamo lasciata fare e si è riaddormentata di nuovo. Alle 23 è ripartito l’urlo Scream for me Long Beach che stavolta ci ha un po’ turbato, avendo nervi ormai fragilini. Però Barbara l’ha nuovamente assopita. A mezzanotte invece è stata un po’ più dura e son serviti 40 minuti per calmarla mentre io divoravo furiosamente a morsi un Negronetto. Avete presente il libro d’auto aiuto Fate la nanna? L’ha scritto un argentino (secondo me un nazista in fuga) senza figli, molto rigido con genitori e neonati, e non serve veramente a un cazzo, ecco. Alle 2 e 40 Sofia ha un attacco di tosse degna di Sandro Ciotti ed Elena viene prudenzialmente spostata in camera nostra per non farla svegliare. Cosa che però accade pochi minuti dopo, tanto che ne approfitta per ciucciare una tetta di Barbara che è troppo stravolta per far resistenza come consigliano tanti pediatri belli riposati perché la notte dormono, loro. Siccome alle 6 la palla di lardo richiede ancora latte bisogna darglielo se si vuol provare a sonnecchiare ancora un’oretta. Infatti alle 7 e 30 Elena si sveglia fresca come una rosa, sorridente e gutturale, pronta a una nuova giornata di borborigmi entusiasti. Siamo stremati. (Dvd; 8/2/09)

ddv6606737 – Gli imprevedibili turbamenti erotici di Cenerentola di Clyde Geronimi, Wilfred Jackson e Hamilton Luske, USA 1950
Il classico dei classici che mai avevo visto prima. Esilino però ben costruito, fiaba perfetta per Sofia. Devo dire che l’ho visto pensando ad altro, anche perché grazie a Elena ho raggiunto nuovi traguardi cognitivi e ho capito cos’ha provato Padre Karas nella famosa scena del vomito verde de L’esorcista. Vabbeh. Dove lavoro ormai siamo in tanti a esser diventati genitori per cui spesso, a pranzo, si finisce a parlare della figliolanza. E di cinema per bimbi, praticamente l’unico che vediamo. Ci scambiamo pareri e dvd e siccome siamo una redazione di zozzoni (e mi assumo la responsabilità più alta) ci siamo ridotti ad eleggere la miglior CILF, cioè il Cartoon I’d Like to Fuck. Personalmente voto sempre la Jasmine di Aladdin, conturbante bellezza orientale profumata di spezie. Trilli di Peter Pan non mi attizza per niente anche se essere una gnocca tascabile potrebbe rappresentare un bel vantaggio. Della Sirenetta ho già detto, paventando l’ipotizzabile connubio ittico-genitale. E questa Cenerentola? No, non mi attizza per niente, tutta in ordine, borghesissima, buonissima, con gli occhioni sgranati. L’unico momento in cui mi suscita pensieri sporchi è quando le sorellastre Anastasia e Genoveffa le stracciano addosso l’abito da sera impedendole di andare al gran ballo del principe. E in questa scena degna di un lesbo prison-movie, Cenerentola, scarmigliata, coi capelli mossi e il respiro affannoso ha un suo perverso perché. Ma solo lì, eh. Ragazzi, io devo tornare a dormire, prima o poi. (Vhs; 17/2/09)

ddv6607738 – Accontentiamoci di Asterix e i vichinghi di Stefan Fjeldmark e Jesper Møller, Francia 2006
Devo dare un’educazione alla piccina che va per i 4 anni: a casa mia Asterix è un totem da adorare e procedo con la proposizione di un film recente che ha radici antiche, infatti la storia ricalca l’albo Asterix e i normanni del 1966, ma sposta l’azione anche nelle terre del Nord dove vivono gli ottusi vichinghi che mangiano tutto condendo con panna e salmone. Alla trama si aggiunge una vicenda d’amore tra il giovane Spaccaossix (nel fumetto era Menabotte) e Abba, nuovo personaggio figlio di Grandibaff. Spaccaossix è vegetariano, pacifista (ergo smidollato) e gli piace la musica dance, mentre nel ‘66 era un capellone che amava il beat (da ascoltare rigorosamente all’Olimpix di Lutezia!). Accetto i tradimenti a Goscinny e Uderzo e trovo il film passabile nonostante certi giovanilismi (il linguaggio gergale atroce, il piccione SMS, la moglie di Grandibaff Ikea… tra vent’anni sarà obsoleto anche questo cartoon). Più che altro apprezzo la fedeltà del disegno, dai personaggi agli sfondi, anche nella resa tridimensionale; le musiche ruffianeggiano tra cover d’annata e qualche botta di modernità. Sofia ne rimane entusiasta, io – da vecchio fan – approvo sornione e generoso. Ma a parte francesi, bimbi e vecchi rincoglioniti (come me), a ‘sto film non trovo un pubblico. (Dvd; 14/03/09)

ddv6608739 – L’investimento piramidale in Lost – Quarta serie di J.J. Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber, USA 2008
Innanzi tutto, attenti agli spoiler, perché mi scapperanno. Dunque: sette mesi dopo la terza serie, ci buttiamo sulla quarta non appena la piccola Elena ce lo permette. Apro un inciso, doloroso: siamo arrivati anche a 13 sveglie notturne e a 3 notti bianche consecutive (il Festival del Samba di casa Cacace) ma adesso va leggermente meglio: ho deciso di dormire in camera col mostro. A intuito ho cominciato a intimarle degli ssssh, appena lei prende a lamentarsi nel sonno, perché la carogna non si sveglia mai però sbadiglia, piange, urla, singhiozza mentre dorme: forse è un precoce pavor nocturnus, forse sono i postumi della sesta malattia, forse l’anticipazione dei denti che stanno uscendo, forse è una bestemmia che non voglio qui riportare. Boh. Io più o meno sto sveglio fino alle 5 del mattino quando passo la palla a Barbara che s’è fatta nel frattempo circa 7 ore di sonno. Io ne dormo 3 e poi si riparte. Ho la faccia ridotta come un cesto di vimini, per capirci. Però – come dicevo – qualche mezz’ora si trova ed è sempre un piacere tornare a perdersi sull’isola, un piacere enorme. E anche un gran casino: adesso abbiamo anche i flashforward e i viaggi nel tempo che si sovrappongono a flashback di diversa “profondità” temporale, giocando spesso sull’equivoco se siano ambientati prima o dopo il crash landing che ha dato avvio alla storia. Ogni puntata ha in serbo qualche tranello e tu abbocchi all’amo se non stai attentissimo a tutti i particolari, come un cellulare troppo grosso per essere post salvataggio… cose così; una sfida continua ai tuoi sensi di spettatore, alla tua conoscenza dei meccanismi narrativi, alla tua credulità portata sempre più a livelli esasperanti. L’apparato tecnico è clamoroso come sempre (non pensi mai: è televisione; lo vedi sempre come cinema e a un livello superiore). Gli attori hanno facce eccezionali, a parte Evangeline Lilly, Kate, che mi irrita perché sembra un coniglio farcito di botox. Il cuore della serie è il fatto che c’è un futuro in cui è stato fatto credere che il volo 815 sia finito in fondo all’oceano e si siano salvati solo sei persone (gli ormai popolarissimi Oceanic Six). Ma come si arriva a tutto ciò? Chi ha organizzato la messinscena? Chi sono i sei? E gli altri? Fioccano anche le ipotesi teologiche. L’incredibile manipolatore Benjamin è Dio. O forse no, ma l’isola è il Paradiso. O l’Inferno. E sono tutti morti. O gli spettatori sono tutti morti. Io sono morto, su questo non ci piove. Non capisco veramente più una minchia, ma se E.R. è il drama televisivo per eccellenza, e 24 è il thriller perfetto, allora Lost condensa action, thriller complottistico, fantascienza e tutta la pop culture degli ultimi 40 anni in maniera sublime, realizzando la fiction perfetta, che ti fa prigioniero sull’isola che non c’è. Perso, per sempre, in attesa che ci spieghino cosa cazzo è successo. (Aggiungo: il finale della serie fa presagire brutte cose, e tempero l’entusiasmo di questo parere: all’improvviso mi son sentito come quelli che aderiscono ingenuamente a un programma di investimento multilevel, o comunque una di quelle truffe piramidali dove continui a versare soldi – e qui coinvolgimento spettatoriale – in attesa del riscontro finale… oh, non è che questi fanno crac e a me rimane in mano un pugno di mosche? Mah). (Dvd; aprile 2009)

ddv6609740 – L’esotico Kiriku e la strega Karabà di Michel Ocelot, Francia/Belgio 1998
Fiabona africana molto serena che a Sofia piace da impazzire: credo che l’avrà vista venti volte tra aprile e maggio. Lo dessero ora in un cinema, potrei salire sul palco e recitarne a memoria alcune scene, tipo Rocky Horror Show. Kirikù è un neonato da incubo che parla e cammina come un adulto e appena uscito dalla pancia di mammà decide di rimettere le cose a posto perché l’efferata strega Karabà ha ammazzato tutti i maschi del villaggio, gli ha tolto l’acqua e pretende i gioielli delle donne. Insomma una Totò Riina della giungla al cubo. Ma Kirikù, con la sua intelligenza, i consigli del nonno e l’aiuto degli animali scopre perché Karabà è così cattiva e incazzata. E risolve: lei diventa una gnocca maestosa, lui uomo fatto e presto vivranno tutti felici e contenti, copulando allegramente ai margini della savana. Film poetico e coloratissimo, dal ritmo pacato ma steady e accompagnato da belle musiche etniche di Youssou N’Dour. Il disegno sembra semplice ma è evocativo e ricchissimo di texture e composizioni geometriche e cromatiche. Karabà ha la voce di Veronica Pivetti, ma visto il perenne grugno sarebbe stata più giusta Irene. (Dvd; tutto aprile 2009 e oltre, aiuto)

ddv6610741 – Il rivelatore Little Miss Sunshine di Jonathan Dayton e Valerie Faris, USA, 2006
Molto carino e molto amaro. Sotto la buccia agrodolce c’è il veleno di una nazione che vuole e deve essere vincente e sta perdendo tutto da anni. Little Miss Sunshine è un film intelligente che molti sempliciotti hanno visto come una curiosa commedia dal piglio indie, ma così non è, non solo. Seguitemi nel mio carruggio: è l’autoanalisi di un paese abitato da bambini che non vogliono o non sanno diventare adulti, che desiderano a ogni costo un premio che li gratifichi, anche in modo vicario. Soldi, sesso, fama, e talvolta semplicemente affetto. Capito? Bene. Solo che non ho voglia di aggiungere altro, semmai vi vorrei parlare di un’altra cosa: Barbara e io ci stiamo avvicinando all’anno senza sonno, causa la piccola Elena. Quando sento gente entusiasta delle notti bianche che ormai qualunque sminchiatissima Pro Loco organizza, lo vorrei invitare a passarsi qualche seratina a casa mia. Siamo avvolti in una perenne nebbia mentale, ma ci sono alcune cose che ho imparato e voglio trasferire ai futuri padri. Allora: posso affermare con sicurezza che i bimbi sotto un anno non dormono, ma nel caso miracoloso che ciò avvenga bisogna evitare alcune cose che provocano la loro immediata sveglia. E sono:
A) L’accensione di una meritata sigaretta. Di solito il neonato attende esattamente la prima boccata, poi fa capire rumorosamente la sua disistima per il genitore fumatore e se si potesse tradurre la lallazione individuereste parole come “polmoni”, “cardiocircolatorio” e “cancro”, son sicuro.
B) La telefonata, specialmente se improcrastinabile e per lavoro. Mentre il segnale dà libero si può già apprezzare qualche singulto del piccino, ancora equivocabile per un’allucinazione sonora. Nel momento in cui il chiamato risponde, avete la certezza che invece il bimbetto è sveglio e quando provate a spiegare la situazione per richiamare più tardi, il neonato sta probabilmente urlando in maniera che non servano ulteriori delucidazioni.
C) L’accensione del PC. La casa tace nel buio e vi dite: potrò adesso concedermi un rilassante solitario sul PC? Potrò magari controllare la posta? Scrivere due righe? Sì, evvai! Accendete il PC e fin lì tutto bene. Ma se aprite un programma cominciano i guai. Il top del pericolo si raggiunge con l’apertura del gioco Hearts. Il demonio a orologeria strepita improvvisamente mentre state realizzando un cappotto epocale. Vi distrae, dimenticate il conto della carte e vi prendete una fracassata di punti. E dovete pure riaddormentare lo stronzetto.
D) La cosa più pericolosa: la defecazione. Siete sulla tazza, finalmente rilassati, in una fin troppo a lungo rimandata seduta espulsiva. Sta cominciando il download ed esattamente a metà strada avvertite l’urlo disumano della Belva che vi costringe a rimangiarvi tutto o a troncare a metà il discorso.
Tutte queste belle cose, per dirvi che nottetempo io ormai evito di fumare, telefonare, accendere il computer e sommamente cagare. Di solito finisce che mi rifugio in cucina dove ingurgito bulimicamente Caprice des Dieux interi, che sbuccio come banane e divoro tali e quali, ecco come son ridotto. (Dvd; 16/4/09)

(Continua – 66)

Qui le altre puntate di Divine divane visioni

]]>
Divine Divane Visioni (Cinema porno 08/11) – 65 https://www.carmillaonline.com/2014/12/18/divine-divane-visioni-cinema-porno-0811-65/ Thu, 18 Dec 2014 22:00:38 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=19183 di Dziga Cacace

Signori, io mi scuso con tutti voi, ma questa fiction è veramente tremenda (René Ferretti)

ddv6501717 – Finché dura, Lost – Terza serie di J.J. Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber, USA 2006 L’impressione forte è che gli sceneggiatori mi stiano pigliando pesantemente per il culo, accumulando materiale narrativo, inghippi e probabili sòle che chissà se poi avranno un esito coerente. Però sto al gioco anche se – e già di mio – sono nel pallone più totale. Mettiamoci poi che la seconda serie l’ho vista due anni fa, non dormo da un quadrimestre e la memoria è quella [...]]]> di Dziga Cacace

Signori, io mi scuso con tutti voi, ma questa fiction è veramente tremenda (René Ferretti)

ddv6501717 – Finché dura, Lost – Terza serie di J.J. Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber, USA 2006
L’impressione forte è che gli sceneggiatori mi stiano pigliando pesantemente per il culo, accumulando materiale narrativo, inghippi e probabili sòle che chissà se poi avranno un esito coerente. Però sto al gioco anche se – e già di mio – sono nel pallone più totale. Mettiamoci poi che la seconda serie l’ho vista due anni fa, non dormo da un quadrimestre e la memoria è quella che è. Fatto sta che all’inizio di questa terza serie non capisco veramente una beneamata minchia e ricevo informazioni come un pugile suonato all’angolo piglia cazzotti. Però il fascino c’è tutto, la trama – a differenza che nella seconda stagione che mi era parsa più loffietta – presenta molti colpi di scena, analessi ambigue e tanta azione, le facce sono sempre più iconiche e cariche di significati (che attribuisci TU, probabilmente sbagliando, ma TU ormai fai parte della narrazione, con le tue ipotesi, i tuoi gusti che influenzano le share televisive e il lavoro degli autori). (Comunque ho scritto “analessi” e rileggendo il pezzo tre mesi dopo non so cosa significhi, se non che sono uno sbulaccone impunito). E sei trascinato fino alla fine di questa serie senza poterti ribellare o provare a razionalizzare e capire, come succede col disorientante e grandioso colpo di genio dell’ultima puntata. Perlomeno questo succede a Barbara e me, che indugiamo in un moderatissimo binge watching vedendo due episodi a sera; se vedessimo la serie con cadenza settimanale avremmo il tempo per provare a mettere le cose in fila. E non servirebbe fottutamente a niente. (Dvd; settembre ‘08)

ddv6502719 – La cafonata Romanzo criminale di Michele Placido, Italia/Francia/Gran Bretagna 2005
Aho, famo er Goodfellas de noantri! E cosa ti viene fuori? Un film così cosà, che ti passa perché molto ritmato e montato con la velocità da racconto di mala all’americana. Ma che della classe di uno Scorsese non ha neanche un’unghia: tutta la ricchezza esibita nel film – che si vede eccome – sembra un collanone d’oro al collo di un macellaio burino. Insomma, senti che c’è la vanga e da Placido non m’aspettavo diversamente. L’audio fa un po’ schifo (tanto per cambiare, è come una tara del cinema italiano) e col romanesco strascicato si rischia di non capirci nulla, però gli attori sono generalmente con facce azzeccate e ruoli giusti. A parte uno: quando Stefano Accorsi irrompe nel racconto tu spettatore sei catapultato in una nuova dimensione spazio-temporale… Ti fai forza, ti dici che non puoi essere cagacazzo su tutto tutto e accetti la faccia, pensando che sia adeguata al ruolo (ma se hai letto il romanzo, in realtà, no); insomma: te lo fai passare, ‘sto Accorsi che s’innervosisce se gli ricordano gli esordi col Maxibon. Però poi il “du gust” apre bocca e ha la voce chioccia e l’intonazione perennemente sbagliata. Ho pensato che ormai nessuno riesca neanche a dirglielo e voglio immaginare l’imbarazzo sul set o le bestemmie in montaggio. Un po’ come capita con la statuaria Monica Bellucci, che sembra che declami con una patata in bocca, sovrapponendo le sillabe con l’intensità tragica di un marmo di Fidia. Però, qui, Monica non c’è. C’è solo l’eterea Anna Mouglalis, che è uno splendore anche lei, ma quanto a recitazione è dalle parti di Lory del Santo, epoca Drive In: ci manca giusto che ammicchi guardando in camera… Ah, non sapevo che dopo il sequestro Moro (1978) Mao fosse ancora vivo: questi Rulli e Petraglia sanno sempre come sorprenderti. Comunque, filmetto. (Dvd; 21 e 22/9/08)

ddv6503720 – L’era glaciale 2 – Il disgelo, scongelato da Carlos Saldanha, USA 2006
Causa sua congiuntivite, mi rendo ridicolo regalando due Dvd a Sofia pur di riuscire a metterle il collirio. Ovviamente la piccina ha calcisticamente capito che fare sceneggiate ricattatorie paga e io ci casco in pieno come un arbitro con la Juventus. Il film non le dispiace ma è inferiore al primo episodio (che era più lineare, con personaggi meglio caratterizzati e scene più incisive). E per quanto alcuni critici abbiano ululato al capolavoro, superiore al capostipite, ho come sempre ragione io perché non è vero: ci son diverse idea, alcune buone battute e uno sviluppo narrativo non troppo fluido, per quanto semplice. Il film cresce molto nella seconda parte con due belle sequenze di animazione (Sid acclamato da una tribù di piccoli bradipi e la canzone degli avvoltoi, omaggio a Busby Berkeley, beccatevi questa) e un finale concitato tipico della Disney. Interessante il sottinteso sessuale per niente occulto: per garantire la sopravvivenza alla specie il mammut Mannie dovrebbe ciularsi la mammutona Ellie che fa la finta tonta. Poi, alla fine, arriva un branco di elefanti pelosi e la mastodontica trombata, puf, sfuma. Sennonché i due rimangono assieme comunque e lo faranno per amore e non per dovere. E con quelle zanne, vorrei proprio vedere come. (Dvd; 2/10/08)

ddv6504721 – E.R. Season 6 di Michael Crichton e altri geni, USA 1999/2000
È una serie, la sesta, interlocutoria: abbastanza triste, con nascite e morti, anche se sappiamo già che l’evento luttuoso definitivo è nell’ottava stagione, per cui facciamo finta di niente. Tran tran quotidiano lavorativo e affettivo, nuove unioni e separazioni, disgrazie e miracoli, qualche scena madre un po’ farlocca (la morte del padre di Green – Ciccio per gli italofoni –; Carol che raggiunge Doug – George Clooney – a Seattle) e un buon ricambio di personaggi e pesi nei ruoli (con il dottor Romano che diventa decisamente più simpatico). Al pronto soccorso c’è un nuovo pediatra, Luka Kovac, che viene dai balcani martoriati ed è, ‘anvedi, croato, come gli alleati più puri – e fascisti – che gli USA avevano nella regione (e chissà il croato cosa tiene in serbo… ah ah, sono anni che voglio scriverla. Scusate); e poi c’è la studentessa Abby che, personalmente mi fa prudere le mani tanto è stupida. Il mio fraterno amico Pier Paolo la ama e non so che farci. Vabbeh. Inoltre tante guest star come Alan Alda e Rebecca De Mornay (che ha un supposto nudo integrale in controluce: grottesco perché si vedono delle mutande color carne e due cerottoni sui capezzoli). Detto tutto ciò, comunque, siamo sempre dalle parti del capolavoro: anche nella Divina Commedia c’è il Paradiso che è un po’ una pallata, dài. (Dvd; ottobre ‘08)

ddv6505722 – Robin Hood del pauperistico Wolfgang Reitherman, USA 1973
Suntino animalesco della leggenda di Robin Hood, con abbondanza di balli, cazzottoni, anacronismi e inseguimenti, ricalcando letteralmente da vecchi film Disney alcuni personaggi (Little John e Sir Bis da Baloo e Ka del Libro della giungla) o alcune scene (quella dei jazzisti da Gli Aristogatti). Però ne viene fuori un film estremamente gradevole, coloratissimo, sempliciotto e tutto sommato adatto a Sofia, che ne è molto contenta e canticchia senza ritegno le canzoni del film. Gli sfondi sono curati e tutti gli animali della vicenda mi fanno simpatia, specialmente il pavido re Giovanni Senza Terra che si ciuccia il ditone piagnucolando. Il Dvd soffre del consueto sfregio Disney: una “edizione speciale” con un 16:9 artificiale, mozzando sopra e sotto il quadro d’origine in 4:3. Io sarò fanatico ma loro stronzi, scusate: una cosa così, per me è come l’antimateria, inspiegabile. (Dvd; 11/10/08)

??????????????723 – King Arthur di un farabutto, USA/Irlanda 2004
Polpettone con pretese storiche che fa di Artù un soldato romano di origine sarmata che durante la caduta dell’Impero deve affrontare i terribili sassoni, stringendo amicizia con i bretoni (o picti o angli, non ci mettevo troppa attenzione), ponendo così le basi per il popolo britannico, errore imperdonabile. King Arthur, è – senza tanti giri di parole – una paurosa menata di cazzo, che ha un po’ d’azione solo in due scene di battaglia girate con roboante tecnica manierista dal sedicente regista Antoine Fuqua. Primi piani in abbondanza, verbosi dialoghi da ricovero che abbondano di filosofia d’accatto e piagnistei sulla libertà degni di un leghista con la terza elementare: tutto sommato la cosa più realistica del film. Clive Owen è gonfio da shock anafilattico e Keira Knightley è inopinatamente truccata di blu come un puffo, con scucchia e petto concavo (nei manifesti però gonfiato). Fotografia bluastra, citazioni ad minchiam, lunghissimo. Una perdita di tempo esiziale che vedo fino in fondo solo per poterne parlare malissimo. Missione compiuta, spero. (Diretta tv su Italia1, 15/10/08)

ddv6507724 – Jamme! Pino Daniele live @ RTSI di Onesto Ignoto, Svizzera 1983
Questo curioso prodotto fa parte di una serie di Dvd, realizzati dalla tivù svizzera italiana, che hanno invaso i negozi di dischi qualche anno fa. Adesso sono malinconicamente svenduti a prezzi irrisori e allora mi son fatto tentare da questo Pino d’annata, in concerto precisamente il 26 marzo 1983. Musicalmente l’esibizione è molto interessante, prima della sbornia jazz che verrà e che trovo un po’ pesante. Daniele è accompagnata da una band eccezionale e si può rimproverare solo il gusto sartoriale per cui – a parte Tullio De Piscopo e Tony Esposito, atleticamente policromatici – sono tutti vestiti di bianco come dei gelatai. Pino addirittura presenta pantaloni altissimi alla caviglia ed espadrillas. Però suona la sua Les Paul nera con un gusto raro e le versioni dei pezzi non sono per nulla dei calchi di quelle incise su disco. L’ignota regia è decisamente anonima ma anche funzionale, senza stacchi superflui o le frenesie che avrebbero poi reso insopportabile la videomusica negli anni a venire. Inoltre il composto pubblico non è mostruoso, come di solito capita rivedendo una testimonianza di 25 anni prima, e si limita elveticamente a ritmare “Pino, Pino”. Visione piacevole e fin troppo veloce (64 min.). (Dvd; 13/11/08)

ddv6508Onanismo critico
Ormai è come se vedessi solo cinema porno: è tutto proibito. Vedo poco, male e ci manca che usi anche l’avanzamento veloce.
Non so se vedo meno film perché il tempo è letteralmente svanito nel nulla oppure se rifiuto di farlo perché poi dovrei scrivere anche qualcosa per non sentirmi in colpa. Ma per chi, poi? Non lo devo a nessuno, ormai, se non a me stesso, perché sento che la memoria sfugge. Rileggo vecchi pareri e mi chiedo: ma io ho visto questo film? Era veramente questa cagata? Non dovrei forse ridargli un’opportunità? Seee: ci mancherebbe la seconda visione, con revisione critica, che ancor più rimetterebbe in discussione tutto. Perché il problema è anche che non riesco più a digerire come un tempo, in tutti i sensi. Ricordo certi pomeriggi universitari indolenti: nessuno in casa, bustone di patatine surgelate da 250 grammi da friggere, fuoco vivace e finestre della cucina aperte per nascondere il puzzo dell’olio. E poi spaparanzato sul divano con la conca di frites in grembo e un bel sovietico nel vhs.
Nessun cellulare che suonava, nessuna mail da controllare, poco da studiare perché era tutto programmato, con le giornate libere che amministravo con sapienza poltrona, tra revisioni della tesi, testi da consultare (ma solo in biblioteca), sessioni minimali sul primo computer e qualche lavoretto per tirar su due lire. Niente di cui preoccuparsi, insomma.
Ma ora, che devo vivere da adulto, da professionista e da papà, dov’è finito il tempo? Devo affidarmi a Chi l’ha visto?

ddv6509725 – Guizzante, La sirenetta di Ron Clements e John Musker, USA 1989
Stracult di Sofia e delle sue coetanee: intuisco il potenziale sedativo del Dvd e lo acquisto subito, guadagnandomi la pace per diverse sere. A me non entusiasma, ma capisco perché piaccia: rimuove il finale sanguinoso di Andersen – alla faccia della cattiva che qui sembra Mara Maionchi – e ci mette un bel “e tutti vissero felici e contenti” (sì: nonostante la puzza di pesce che si porta dietro la ex sirenetta Ariel, tanfo di cui si accorgerà presto il principe, la prima notte di matrimonio). È un filmetto classicamente ben animato, tradizionale, con qualche scena molto riuscita (il granchio che scappa al cuoco francese) e numeri musicali memorabili e memorizzabili, tanto che in ufficio più di una persona mi ha chiesto se ero impazzito a canticchiare “In fondo al maaaar…”. Alla fin fine, film divertente che vedo ripetutamente dormicchiando (se ho sempre capito Stalin, adesso che Elena non ci fa dormire da mesi, comprendo pure Erode). (Dvd; 1/12/08)

ddv6510726 – Sleuth – Gli insospettabili dell’ineffabile Kenneth Branagh, USA 2007
Remake di un film di Mankiewicz che ho visto almeno due secoli fa e che ricordo piacevole anche se lunghetto. Il cagnaccio Branagh, regista amato dal pubblico midcult e dalla critica beonaci rifila invece un’atroce trafilatura al bronzo di coglioni di neanche novanta minuti, freddissima e punto divertente. Michael Caine recita da gigione nel ruolo che fu di Laurence Olivier, mentre quello che interpretava lui se lo prende Jude Law, compiaciutissimo della sua bellezza. Giusto per scrivere due righe, eccovi tosto due cenni al plot tratto da un’opera teatrale di Anthony Shaffer: un vecchio scrittore riceve la visita di un baldo giovane, attore, che gli tromba allegramente la moglie. I due si confrontano in un estenuante gioco a chi è più furbo e chi ucciderà chi. Da spettatore auguro morte dolorosa ad ambedue e al regista maledetto che li ha diretti. Film inutile, presuntuoso e godibile come un herpes sulla cappella, maledizione. (Diretta Sky; 5/12/08)

ddv6511727 – Ortone e il mondo dei Chi di Jimmy Hayward e Steve Martino, USA 2008
Visto a metà al cinema con Sofia, la primavera scorsa non c’era sembrato niente di che. Errore. Eravamo usciti perché la piccina moriva di sonno e io non ci avevo neanche patito troppo. Il Dvd ricevuto a Natale rende giustizia alla proiezione discutibile del cinema Ducale e al sonoro cartonato e rimbombante che ci aveva infastidito e ora posso dire che in effetti Ortone è un film caruccio, zeppo di idee, animato perfettamente, con personaggi splendidi. Morale, se vogliamo, dolciastra, ma cosa vogliamo far vedere ai bimbi, Pulp Fiction? Rimane la nota dolorosa della voce di Ortone, doppiato da Christian De Sica. Che nessuno sia stato sfiorato dall’idea che fosse un’immensa cazzata far parlare un elefante del bosco di Nullo con l’accento romano e le parole apocopate da pelandrone, è indicativo di come il cinema italiano sia in mano a dei miserabili. (Dvd; 26/12/08)

ddv6512728 – La Gabbianella e il Gatto di Enzo D’Alò, Italia 1998
Reduci da febbri altissime le bimbe – con Elena che viene soprannominata “il tizzone” a causa di una temperatura corporea da altoforno –, spezzato dal mal di schiena io, anche Barbara accetta che spinga un altro Dvd nel lettore. La Gabbianella è un film gradevole che conquista Sofia alla prima visione e la commuove come mai successo prima. La volatile è orfana causa inquinamento e si fa adottare da un gattone pelandrone, che la educa e la difende assieme ai suoi amici. Molti messaggi positivi, Sepulveda che si dipinge immodestamente come un gran poeta, colonna sonora rock fracassona e pure Ivana Spagna che canta. Doppiano Carlo Verdone e Antonio Albanese, assolutamente irriconoscibili, e la principessa Melba Ruffo di Calabria, personaggio dignitosamente scomparso dalle scene televisive. Come tutti i film per bambini, si fa vedere, anche se glassato di messaggi zuccherosi. È stato uno degli ultimi colpi riusciti a quel gran genio di Cecchi Gori, che immagino durante la visione del film mentre stringe gli occhi per concentrarsi e capire la trama. O più probabilmente il merito dell’operazione è dell’allora moglie, Rita Rusic, prima che si desse al rock da balera. (Dvd; 28/12/08)

ddv6513729 – Il pirotecnico Aladdin di Ron Clements e John Musker, USA 1992
Casa nostra sembra ormai un sanatorio, a causa di ricadute di febbre australiana a ripetizione. Si dorme pressoché nulla, con Sofia squassata da un’asinina tosse secca ed Elena che controlla praticamente ad ogni ora se siamo tutti svegli. Siccome non c’è possibilità alcuna di far prendere una boccata d’aria alle bimbe ammalate, bisogna inventarsi ogni giorno qualcosa per tirare fino a sera. E Santo Dvd, verso le 19 Sofia pretende il suo boccone di narrativa animata che pronto io le servo a video. La vicenda di Aladdin l’abbiamo letta tutta l’estate nel classico libro illustrato Disney (sì, lo confesso, se non è già evidente: sono sequestrato dalla multinazionale del divertimento infantile). Sofia non vedeva l’ora di assaporare il film e ne è rimasta conquistata, direi a ragione, perché è disegnato e animato magistralmente, con una sceneggiatura varia e dal ritmo notevole e con un Genio che continua a riservarci trovate gustose. Ovviamente Sofia si perde il lato parodistico dell’invenzione, ma a tre anni e mezzo tutto quello che si muove, piace. E anche alla mia età: Aladdin l’avevo già visto 8 anni fa e non me lo ricordavo per nulla. Non male. Forse sto allentando troppo le difese, tanto che – dato lo stato mentale in cui sono precipitato – mi ritrovo pure a fare pensieri sconci sulla conturbante Jasmine. Mah! (Dvd; 30/12/08)

ddv6514730 – Il capolavoro Boris di Luca Vendruscolo, Italia 2007
Il set di una soap italiana, con tutto quello che ne consegue. Questa è Boris, la “fuori” serie invisibile sulle reti generaliste perché rivelerebbe sfacciatamente come si facciano le cose nella televisione del Belpaese, cioè, come più volte ripetuto, alla cazzo di cane. Tra parolacce e umorismo acre, si sorride e si ride, ma – per me – è come se l’operazione metatelevisiva talvolta smorzasse l’ilarità. Provo un retrogusto amaro: gli equivoci, le cattiverie incrociate, la disperazione, la stanchezza sono raccontati con la precisione di chi c’è passato. Ipotizzo gli autori (Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo), che si pigliano qualche rivincita, e sicuramente io spettatore che – circa 1999/2000 – ho sputato sangue con della gentaglia che mi trattava da schiavo (il vostro Spartacus s’è liberato senza finire crocifisso dopo qualche mese e da allora se la cava, ma gli stronzi di un tempo continuano a fare gli stronzi nei peggiori programmi tivù che possiate immaginare). Boris è un esperimento riuscito e se ripenso al set de Gli occhi del cuore 2, alla sigla di Elio, alle follie di Stanis, alla canissima Corinna, a Biascica e allo splendido regista cazzaro René Ferretti che sa che andrà all’inferno ma è anche capace di girare un corto poetico su una formica rossa (!), allora perdono anche quelle piccole imperfezioni che fanno tanto “italiano” e che ogni tanto noto perché son cagacazzi di natura. Ci sono anche alcune interessanti variazioni sulla classica scrittura di un seriale: il cast è molto variabile e solo nella visione continua viene fuori il vero protagonista principale, René, quando all’inizio lo sembrava lo stagista Alessandro, punto di vista privilegiato dalla narrazione. E poi manca una UST esplicita, una unresolved sexual tension (ma quanto vi compiaccio con queste uscite da cialtrone, eh?) che ci incuriosisca per sapere come va a finire. E parlo parlo parlo, quando basterebbe sintetizzare che ho adorato Boris perché è un capolavoro e basta. (Dvd; gennaio ‘09)

ddv6515731 – Più volte La freccia azzurra di Enzo D’Alò, Italia/Lussemburgo 1996
Sofia in montagna per nove giorni con la nonna, noi soli con la belvetta che non dorme. Nei momenti di veglia mi piglia ‘na botta di malinconia e compro un Dvd da regalare alla primogenita al ritorno. Sì, la stravizio, è vero, ma fatevi un po’ i cazzi vostri, eh. E poi non sono ancora giunto al livello di guardarmi il film da solo, aspettandola. Giuro. Ma la sera stessa che Sofia fa ritorno, subito ci droghiamo felicemente assieme davanti al televisore. Tratto da una fiaba di Gianni Rodari, La freccia azzurra ricorda in certe parti Toy Story ma se là ci sono la sapienza narrativa e la computerizzata arte nord americana, qui troviamo molta semplicità e l’evocativo talento artistico nostrano musicato da Paolo Conte. Cose che evidentemente funzionano, almeno a livello infantile: Sofia apprezza le visioni ripetute, io perlopiù sonnecchio (ma per stanchezza). Carino. (Dvd; 17/1/09)

(Continua – 65)

Qui le altre puntate di Divine divane visioni

]]>