Julia Roberts – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Mon, 08 Dec 2025 23:01:48 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Un weekend del 1993 – 5/5 https://www.carmillaonline.com/2014/08/28/weekend-1993-55/ Thu, 28 Aug 2014 21:00:52 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=15670 di Filippo Casaccia

[Qui le altre puntate, la 1, la 2, la 3 e la 4]

Dio c’è

weekend5La coppia anonima si rivela subito pericolosissima. Lui è un trentenne, che parla con voce soporifera. Alla povera amica che gli sta a fianco racconta del portafogli rubato sabato sera dal cruscotto della macchina. Deve rifare i documenti ed è molto scocciato. Conclude che saranno stati tossicodipendenti. Vorrei interloquire: “Magari negri”. Comunque non si può andare avanti, continua, perché è tutto tassato e non vale più la pena di lavorare. [...]]]> di Filippo Casaccia

[Qui le altre puntate, la 1, la 2, la 3 e la 4]

Dio c’è

weekend5La coppia anonima si rivela subito pericolosissima. Lui è un trentenne, che parla con voce soporifera. Alla povera amica che gli sta a fianco racconta del portafogli rubato sabato sera dal cruscotto della macchina. Deve rifare i documenti ed è molto scocciato. Conclude che saranno stati tossicodipendenti. Vorrei interloquire: “Magari negri”. Comunque non si può andare avanti, continua, perché è tutto tassato e non vale più la pena di lavorare. Non esprime motivazioni politiche: è il vero fascista inconscio, che non ha opinioni se non quelle che richiedono meno sforzi mentali e presuppongono il miglior ritorno personale. Poi, questo curioso tuttologo, attacca a parlare della calvizie ed è sicuro che alimentazione, inquinamento e soprattutto stress siano letali per il capello. A questo punto temo di tornare a Genova completamente pelato.
Continua parlando pianissimo, senza variazioni tonali: scommetto che chi lo conosce lo definisce il classico ‘pezzo di pane’. Al curaro, però. L’amica chiude gli occhi e prova a dormire, lui va avanti imperterrito e racconta del suo cane che “dà tanto affetto gratuito, mica come gli esseri umani” e io mi immagino la povera bestia che deve ascoltare il vaniloquio di questo imbecille. Poi si spegne. Per dieci secondi e riparte: è un Ariete e in famiglia son tutti segni di fuoco. Ah beh. Poi arriva il melodramma. Il padre ‘buonanima’, farebbe gli anni a breve se fosse ancora vivo, “e sarebbero pochi”. Silenzio. Poi, finalmente, scopro cosa ha fatto a Milano: un’audizione per Sanremo — tutto torna — ma dice d’aver cantato male perché gli sta venendo un’afta in bocca e che una volta ne ha avuta una che gli ha impedito di parlare per alcuni giorni. Gliene auguro una immediata e letale. Per fortuna i due scendono a Voghera.
Rimaniamo io e la dolce lettrice; sembra Julia Roberts, appena sfigurata dalla quotidianità. È silenziosa e a questo punto leggo anch’io. Finché arriva la tragica smentita: Pavia non è l’unico collettore di studenti cazzoni. Anche Genova fa la sua parte. Infatti la sconosciuta attacca a parlare con un ragazzo seduto in un altro scompartimento, suo compagno di studi, che ora sfumazza nel corridoio. La quiete è interrotta e lo stupendo libro delle critiche cinematografiche di Pasolini diventa illeggibile. Ma è una fortuna: il tizio aderisce perfettamente allo stereotipo del ‘Teatrante Pieno di Sé’ e parla con voce stentorea come se fosse sul palcoscenico. Berretto da marinaio, basetta lunga e orecchino, studia teatro a Genova ed è il sacco di merda più immenso che abbia mai incontrato dal vivo.
Poco vale il fatto che provenga dalla Val d’Ossola: studia a Genova ed è un frutto impazzito del mio ateneo. Introduce ogni discorso con una serie di roboanti IO: io qui, io là, io su, io giù… io non posso impegnarmi sentimentalmente (“Lo studio del teatro assorbe la mia concentrazione”), io sono cresciuto in un ambiente cattolico e devo appagare il mio lato pagano, io sogno consessi sibaritici, io combatto gli abbonati alla stagione teatrale, io bevo tanta birra: “Una volta, all’Oktoberfest, ne ho bevuto sette litri!”. Ma brutto babbeo, il mio amico Pitta ne ha bevuto undici e se ti piglia ti scaraventa a terra con un rutto!
Poi, con posa vissuta, indica fuori dal finestrino. C’è la statale che costeggia la ferrovia. “Vedi? Vedi, là? Sui cavalcavia, quelle scritte?”. La ragazza annuisce senza capire cosa ci sia di così importante. “Dio c’è!”. Quando mi rassegno al fatto che l’incommensurabile coglione stia per cominciare una pippa religiosa, peraltro contraddittoria con quanto sin qui declamato, si chiarisce il mistero. “Dio c’è! Vuol dire che è arrivata la droga! Ma non fare quella faccia, amore: anch’io credevo che fossero degli integralisti cattolici, però poi…”. E spiega che lui sa questa cosa perché ha un giro di amici con cui, nel rispetto del corpo e in accordo con la mente, ci scappa il pippotto ricreativo… oh: mica è un vizio, eh? Poi come se la cocaina annunciata dai graffiti ‘Dio c’è’ avesse esaurito il suo potere euforico, il patetico guitto arriva all’apice del delirio e inizia a sdilinquirsi sulla natura dell’amore, anzi dell’Amore, perché da come pronuncia la parola, beh, c’è chiaramente la maiuscola. “Per me, dopo tutto, c’è l’Amore Assoluto”. Ma come, tu, così maudit, ti cali le braghe davanti all’Amore? E giù tutte le più solenni castronerie a mascherare che sei un infantile stronzo, pieno di sé, presuntuoso e ignorante, che vorresti solo trombarti la poveretta e — parola mia — ho più possibilità io, in questo stesso preciso momento, di ingravidare Sharon Stone. Ma levati dai piedi.
Macché: inizia a raccontare dei suoi training da attore, della volta che ha sentito l’Energia (maiuscolo, è chiaro) fluire nel suo corpo. E la volta che gli si è acuita la vista o quell’altra in cui non ha parlato per due giorni… fino all’incredibile “erano quattro anni che non piangevo e tale era il senso di comunità…”. Ma questa è la ‘Testa di Cazzo Assoluta’! Se fosse la ‘Testa di Cazzo Corrente’ non ricoprirebbe alcun valore antropologico, ma, così, mi rendo conto di avere davanti un esemplare unico. Mentre la sventurata non riesce più a tenere gli occhi aperti e le oscilla la testa, arriviamo finalmente a Genova. Lascio lo scompartimento e un po’ mi dispiace, perché certe occasioni sono uniche.
Arrivo in fondo al vagone, pronto a scendere. Mi giro e vedo per l’ultima volta la poveretta tormentata dal teatrante; mi lancia un’occhiata quasi a scusarsi, poi uno strepito e vedo il dionisiaco testone di cazzo che, stretto nella sua giacchetta blu da marinaio, s’è fatto tutto rosso in faccia e sbraita. Tornato nel suo scompartimento a prendersi la divisa da Corto Maltese dei poveri, ha scoperto che gli hanno rubato il portafogli. Altro che la poesia, il teatro e l’assalto al pubblico borghese: la voce impostata e roboante si dispera per cinquantamila misere lire! Finalmente un po’ di sano e sperimentale teatro-verità!
È stato un weekend intenso, fiducioso nel futuro e sconcertante sul presente, ma alla fine vedendo il poveretto che si sbraccia da far pietà, degno di un attore del cinema muto, penso che in questo Italia incerta io finalmente una certezza ce l’ho: Dio c’è, ma sul serio.

(5 – FINE)

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Tears of Rage https://www.carmillaonline.com/2014/02/28/tears-of-rage/ Thu, 27 Feb 2014 23:20:05 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=12718 di Sandro Moiso

osage county Tears of rage, tears of grief Why am I the one who must be the thief? Come to me now, you know We’re so alone And life is brief1

Rabbia. Il minimo comune denominatore di gran parte del migliore cinema americano dalla fine degli anni sessanta in poi. E nel [...]]]> di Sandro Moiso

osage county
Tears of rage, tears of grief
Why am I the one
who must be the thief?
Come to me now, you know
We’re so alone
And life is brief
1

Rabbia. Il minimo comune denominatore di gran parte del migliore cinema americano dalla fine degli anni sessanta in poi. E nel film di John Wells, I segreti di Osage County, sceneggiato da Tracy Letts che è anche l’autrice dell’opera teatrale da cui è tratto2 , di rabbia ce n’è tanta. Una vera esplosione di rabbia e frustrazione. Tutta al femminile e quasi sempre incompresa nelle sue ragioni profonde.

Rabbia. Intorno e dentro ad una riunione di famiglia in occasione della scomparsa del patriarca (interpretato da Sam Shepard). Morte cercata? Annunciata? Ignorata da chi per troppo tempo aveva condiviso i problemi del matrimonio e della maternità senza, mai, condividerne la gioia? Ma esiste la gioia nel matrimonio e nella famiglia per una donna? Per tutte le donne? La commedia nasconde spesso la tragedia e un’autrice donna può far letteralmente esplodere la poetica aristotelica. Da cui, sicuramente, elimina l’epica.

L’epica resta per gli uomini: l’eroismo, il sacrificio volontario, il conflitto con il padre. Tutto ciò che sa di sublime è destinato agli uomini. Edipo, da Sofocle a Freud, è dramma e problema maschile. Come nella lettera al padre di Kafka o in decine di altre opere. La donna, la moglie, la figlia si sacrificano per dovere. Tale è la condizione femminile. Sembrerebbe per natura oggettiva. E quindi non può esserci eroismo, non può esserci pathos.

Il conflitto madre-figlia, spesso il più drammatico poiché si svolge all’ombra dell’apparentemente imperturbabile autorità maschile, resta troppo spesso fuori dal campo visivo. Nascosto, escluso, proibito. E’ il non detto dell’anoressia, è la ribellione silente di coloro che, non potendo scalzare il dominio patriarcale, sono costrette a rivolgere gli artigli verso le proprie simili. Così il dolore diventa furia, scherno, odio. Di solito rimosso o trattato come follia.

Rabbia e follia. Il destino delle donne forti. Più forti dei loro uomini anche se la società, anche quella di oggi, non vuole davvero sentirlo dire. E loro non lo possono dire. Devono chiudersi in difesa e rasentare la follia. Oppure volare via con la testa con la dipendenza dai farmaci. O dall’alcol. Perché la famiglia è, comunque, sacra. Per l’uomo, altrimenti a cosa varrebbe ancora la sua autorità? Uomo cui si può e si deve perdonare qualsiasi debolezza e qualsiasi viltà, mentre per la donna non è perdonabile nemmeno l’invecchiamento fisico.

Invecchiamento fisico, che fa scontare alle donne troppo forti il loro peccato principale: la forza di carattere appunto. Quella che non può essere perdonata o ammessa. Che se si manifesta nell’adolescenza deve essere derisa, mentre nella maturità deve essere trattata come una malattia. Anche nel cristianissimo ed evoluto occidente. Anche nell’estremo occidente della provincia americana. On the Great Plains of Oklahoma. Dove la moglie di uno scrittore e docente universitario, poeta colto ed intelligente, resta comunque e sempre, prima di tutto, una moglie.

Rimane il problema della colpa originaria che, proprio nel cristianesimo, viene attribuita alla donna. Tentatrice e irresponsabile se non lavora, ma, allo stesso tempo, colpevole e deprecabile se per il lavoro trascura affetti e doveri famigliari. Colpevole sempre e guai a lei se si ribella contro un’attribuzione di colpa troppo spesso profondamente interiorizzata dalle stesse interessate. Colpa che produce frustrazione, paura ed è causa di conflitti. Anche tra sorelle.

Sorelle in lotta per lo stesso uomo. Sorelle che si amano e si odiano. Sorelle vittime della stessa colpa e, magari, dello stesso uomo. Non occorrono i serial killer per far soffrire le donne. Possono soffrire in ambito domestico anche senza violenze. Anche se quelle sono state sofferte in gioventù, in una società arcaica, e non durante l’età adulta. Vittime del fascino maschile. In nome del perbenismo e della norma occorre digerire tutto. Ma fin dove e fino a quando?

E poi ci sono tutte le altre donne: le figlie deboli, impaurite, incerte, smarrite. Non c’è pietà nemmeno per loro. Se vogliono possono accompagnarsi ad un imbecille o a un cretino pieno di soldi. Naturalmente mettendo da parte orgoglio, speranze e rassegnandosi. Così è, così è stato e così sempre sarà. Solo rabbia e follia sembrano poter sfuggire a tale destino. Anche se colei che le manifesta è condannata, inevitabilmente, alla solitudine.

Tutto ciò, e molto altro ancora, è evidenziato in quella che per ora si è rivelata la miglior pellicola dell’attuale stagione cinematografica. Bravi tutti gli interpreti, anzi le interpreti, da Juliette Lewis a Julianne Nicholson. Bella la fotografia con un che di anni settanta nel taglio delle inquadrature e nella scelta della luce. Standing ovation, infine, per Meryl Streep e Julia Roberts. Magnifiche interpreti di una madre e di una figlia “vittime” dello stesso carattere forte ed accomunate da un identico destino di solitudine.


  1. Lacrime di rabbia, lacrime di angoscia / Perché devo essere l’unico colpevole / Vieni da me adesso, tu lo sai / Siamo così soli / e la vita è così breve (Bob Dylan, Richard Manuel, Tears of Rage, The Basement Tapes, 1967-1975)  

  2. Tracy Letts, Agosto, foto di famiglia, Rizzoli 2014, pp. 208, euro 10,00  

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