Ivo Torello – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Fri, 31 Oct 2025 23:01:57 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 I viaggi strani di Ulysse https://www.carmillaonline.com/2024/04/27/i-viaggi-strani-di-ulysse/ Sat, 27 Apr 2024 20:00:02 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=82033 di Franco Pezzini

 

Ivo Torello, La gorgiera della contessa sanguinaria. Gli strani casi di Ulysse Bonamy. Vol. 1, pp. 128, € 9,90, Hypnos, Milano 2019.

Ivo Torello, L’harem delle vergini dannate. Gli strani casi di Ulysse Bonamy. Vol. 2, pp. 146, € 9,90, Hypnos, Milano 2019.

Ivo Torello, Il maledetto paese che puzzava di pesce. Gli strani casi di Ulysse Bonamy. Vol. 3, pp. 138, € 9,90, Hypnos, Milano 2020.

Ivo Torello, Estasi e tormento a Montmartre. Gli strani casi di Ulysse Bonamy. Vol. 4, pp. 144, € 9,90, Hypnos, Milano 2021.

A spin-off dello splendido La casa [...]]]> di Franco Pezzini

 

Ivo Torello, La gorgiera della contessa sanguinaria. Gli strani casi di Ulysse Bonamy. Vol. 1, pp. 128, € 9,90, Hypnos, Milano 2019.

Ivo Torello, L’harem delle vergini dannate. Gli strani casi di Ulysse Bonamy. Vol. 2, pp. 146, € 9,90, Hypnos, Milano 2019.

Ivo Torello, Il maledetto paese che puzzava di pesce. Gli strani casi di Ulysse Bonamy. Vol. 3, pp. 138, € 9,90, Hypnos, Milano 2020.

Ivo Torello, Estasi e tormento a Montmartre. Gli strani casi di Ulysse Bonamy. Vol. 4, pp. 144, € 9,90, Hypnos, Milano 2021.

A spin-off dello splendido La casa delle Conchiglie (Hypnos, 2018), e a partire dalla stessa Parigi, l’autore Ivo Torello sviluppa questa saga degli Anni Ruggenti, con protagonista un piccolo manigoldo, appunto Ulysse Bonamy, avventuriero di buon cuore, coraggioso e romantico, che ha avuto la ventura di ricevere un’iniziazione magica da un vecchio occultista. Mettiamo da parte Harry Potter: qui, a dispetto di un’ironia diffusa, la magia è quella seria, tocca i gangli dell’interiorità fino alle basse psichiche e conosce dinamiche torbide, a volte terribili. Tanto più che la scena è quella di una Ville Lumière che di occulto gronda (cfr. qui e qui): nei caffè, nei piccoli musei, nelle collezioni private, nelle sale-professori di istituti per ragazzine, nel retro dei teatri – un mondo evocato con straordinaria fantasia ma anche, finemente ed efficacemente, con l’occhio a documenti e realtà d’epoca.

Nella prima, vorticosissima avventura Ulysse Bonamy cerca di sciogliere il nodo della sparizione d’una stellina dei music-hall parigini, un caso che lo condurrà a dover sottrarre a un pericoloso personaggio la reliquia blasfema del titolo – appunto la gorgiera di Erzsébet Báthory. Nel secondo una scuola privata femminile rivelerà un bizzarro doppiofondo: e il gusto dell’operazione non sta tanto nell’imprevedibilità del quadro (dinamiche torbide nei collegi sono un topos, e non sono mancati effettivi sviluppi storici) quanto nella sua godibile, divertita e pirotecnica narrazione. Nel terzo il recupero di un’altra reliquia, la Coda del Leviatano, spingerà Ulysse e la sua alleata d’occasione a una catabasi in un paesotto francese di un’area (al tempo) non ancora turistica. Nel quarto, una guerra occulta esplode a Parigi sullo sfondo di una rivalità tra artisti…

Tassonomizzare tout court storie entro un genere può presentare sempre spazi di discussione, ma il richiamo agli strani casi indirizza immediatamente al weird, assai più che allo “strano” di Todorov: quel che è certo è che raramente ci si imbatte oggi in un mix tanto libero, colto, sottile, lisergico, originale in tema di fantasie sull’occulto & avventure d’azione. Il sordido c’è, ma c’è anche una sensualità frizzante e non torbida, gioiosa, spregiudicata ma sana. C’è la bellezza, non solo la tenebra o il disgusto. E, come l’uso dei dati colti, anche lo humour è sottile.

Forse anche per questa vivida originalità le truppe cammellate dell’usato sicuro non hanno mostrato eccessive attenzioni a storie brillanti, in sé naturaliter aperte a un potenziale grosso successo. Torello scrive molto bene, e sa rivelare un passo genuinamente letterario; è capace di declinare le storie, anche quando echeggianti più da vicino le fonti (penso a Il maledetto paese che puzzava di pesce, ammiccante a Lovecraft), con scarti robusti di intelligente autonomia, e giocando con efficacia sull’effetto pastiche; mostra una conoscenza autentica, attraverso ricerche non banali, di sottomondi che gli autori weird, se bravi, orecchiano in genere da lontano. La Parigi degli occultisti anni Venti è descritta con gusto, attenzione filologica, divertimento: e proprio la chiave del divertimento – finalmente!, verrebbe da dire – è ciò che stacca questi testi da tanta produzione corrente anche buona ma, almeno per chi avvicini il genere da mezzo secolo, non troppo ricca di sorprese. Torello conosce i trucchi del feuilleton, sa dispensare delizie di cultura con moti di sprezzatura di rara eleganza, è capace persino di pietas: tutti connotati che dovrebbero premiarlo, ma non forse in questa Italia.

Poi certo, queste avventure – finora ne sono uscite quattro, ma il recensore attende ansiosamente le seguenti – sono memori con vivace citazionismo di un’intera storia del fantastico: dove la lezione meglio appresa si rivela quella che sa smarcarsi dall’imitazione pedestre di personaggi, situazioni, temi per andare oltre. In un panorama dove il registro alto di un tessuto narrativo è considerato troppo spesso bene minore, merita cogliere di queste prove la potenza visionaria (le descrizioni delle esperienze chimiche di Ulysse, per esempio, sono notevolissime) e un’impeccabile qualità stilistica. Un risultato del resto possibile perché l’autore, sanamente, non si chiude nel recinto del fandom ombelicale e a colpi di altre letture – e di un’attenzione militante alla realtà – segue una propria poetica. Sta al lettore che sia davvero libero capire l’operazione e premiarla.

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Da certe conchiglie non è il mare a sentirsi https://www.carmillaonline.com/2022/07/18/da-certe-conchiglie-non-e-il-mare-a-sentirsi/ Mon, 18 Jul 2022 20:00:54 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=72946 di Franco Pezzini

Ivo Torello, La casa delle Conchiglie, prefaz. di Paolo Di Orazio, pp. 420, € 16,90, Hypnos, Milano 2018.

Di norma si può nutrire una certa diffidenza per la letterarizzazione dei bordelli, spregiudicate fabbriche di sfruttamento del corpo femminile. L’arte concede tuttavia dei lasciapassare: pensiamo soltanto a certe pagine del Satyricon, con il sapore onirico e straniante accentuato dalla perdita di interi stralci del testo, o alle fulminanti, meravigliose e terribili scene postribolari evocate da Füssli, colte come da un buco della serratura con quel tanto di febbre sufficiente [...]]]> di Franco Pezzini

Ivo Torello, La casa delle Conchiglie, prefaz. di Paolo Di Orazio, pp. 420, € 16,90, Hypnos, Milano 2018.

Di norma si può nutrire una certa diffidenza per la letterarizzazione dei bordelli, spregiudicate fabbriche di sfruttamento del corpo femminile. L’arte concede tuttavia dei lasciapassare: pensiamo soltanto a certe pagine del Satyricon, con il sapore onirico e straniante accentuato dalla perdita di interi stralci del testo, o alle fulminanti, meravigliose e terribili scene postribolari evocate da Füssli, colte come da un buco della serratura con quel tanto di febbre sufficiente a sprofondarle in una dimensione da incubo. Se del resto a regnare non è un clima di equivoca estetizzazione di un recinto di fantasie maschili, e tanto più quando le letture virano iconoclasticamente sull’ironico e il grottesco, il visionario e il fantastico, possiamo evitarci inutili pruderie nella considerazione che una società possa leggersi anche da quel punto di osservazione.

Come nel bellissimo, coltissimo, fantasiosissimo La casa delle Conchiglie di Ivo Torello: un romanzo di genere non scevro da vere e proprie qualità letterarie, con soluzioni anche di grande eleganza.  Un trionfo di intelligenza, cultura e fantasia nella messa in scena, tra pseudobiblia, afrodisiaci luciferini e sedute spiritiche, dietro il paravento di un bordello assai particolare, la Maison des Coquillages dal salone centrale incastonato di ammoniti fossili e tappezzata di opere di Courbet, Gérôme, Daumier, Chéret e Doré; una mitologica, fantomatica casa di piacere della Montmartre borghese degli anni Sessanta dell’Ottocento frequentata in modo più o meno costante dall’intero panorama di pittori, fotografi, scrittori, musicisti, agitatori culturali che associamo a quella Parigi. Dumas, Nadar, i Goncourt, Bizet, Camille Flammarion, Moreau, ovviamente Courbet in odore di L’origine du monde

A gestire l’intrapresa è una fantastica figura femminile, Madame Dauphine Sabatière che presto diverrà vedova de La Châtre, “una trentenne volitiva, colta e bellissima, elegante e scaltra come una gatta”. Oh, non aspettiamoci che Madame rispetti tutte le norme dei catechismi ecclesiali o laici, e neppure che faccia sempre le scelte giuste – come quando, per un certo orripilante rituale di magia nera consigliato nel Cultes Innommables del von Junzt (il lettore di fantastico dovrebbe già drizzare le orecchie), si procura imprudentemente un cadavere senza informarsi dei trascorsi del medesimo. Ma lei e la sua squadra – quasi tutte donne, comprese le sceltissime ragazze nelle quali ravvisa il petit voyant, “la piccola luce ‘che brilla nell’occhio delle signore quando si accenna loro ai misteri della natura’” e che lì hanno una libertà professionale del tutto inedita per un bordello – riescono a far fronte a un mondo non certo femminista con virtuosistica abilità.

Impensabile banalizzare in un riassunto le infinite avventure offerte da questo tripudio gotico e romantico, in un brillante e originalissimo mix di arte, magia nera, sessuologia e storia della cultura dove il fantastico esonda, compreso quello dell’erotica che ne ricorda le dimensioni teatrali, antinaturalistiche e fittizie, in sostanza fantastiche. Un libro scritto per il puro piacere della scrittura, alieno dal desiderio di compiacere chicchessia, e che dunque si lascia andare al divertimento e allo sberleffo (in chiave erotica, perché no), con una sincerità rara: sberleffo anche a un certo horror alla moda dell’oggi, che celebrando e banalizzando Ligotti e altri alfieri del Nero, celebra l’iperviolenza sterile, il maledettismo ripiegato su se stesso, un certo uso gratuito dell’angoscia e – fuori tempo massimo – dello splatter. Comprese le sacrestie dei finti outsider fitte di devoti a un Lovecraft premasticato: e in effetti qui troviamo – con benvenuta vis polemica – entità paralovecraftiane adorate dai beceri cultisti dell’Ordine del Dio Dormiente o Confraternita di Dagon, evolianamente maschilisti, compiaciuti nella messa in scena distorta e distorcente di copioni che hanno preteso di arraffare, credendo di celebrare il politicamente scorretto e corteggiando solo un modaiolo grottesco. Non è forse un caso che gli odierni cultisti di HPL sminuiscano la carica critica di questo bel romanzo. Regolarmente penalizzato anche dall’algoritmo bacchettone dei social, cieco e idiota come certe entità lovecraftiane: il seno all’aria sulla copertina (“L’orrore. L’orrore…”) sembra recare problemi più gravi agli uomini di Zuckerberg di certi repellenti post o gruppi neofascisti. Il che, diciamolo, stupisce moderatamente.

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