Istanbul – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 30 Apr 2025 21:35:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Il nuovo disordine mondiale /3: i discorsi della guerra https://www.carmillaonline.com/2022/03/02/il-nuovo-disordine-mondiale-3-i-discorsi-della-guerra/ Wed, 02 Mar 2022 21:00:22 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=70714 di Sandro Moiso

Si è conclusa l’era della pace (Mateusz Jakub Morawiecki, primo ministro polacco – intervista al «Corriere della sera»)

Data per scontata la fine della pace illusoria che ha dominato il discorso politico degli ultimi decenni in Italia e in Occidente, a seguito degli avvenimenti degli ultimi giorni in Ucraina, occorre per meglio comprendere i reali sviluppi degli stessi esporre alcune considerazioni di carattere politico, economico e militare. In particolare sul concetto di guerra-lampo e sulla strategia militare russa; sul riarmo europeo e in particolare tedesco; sull’andamento delle borse [...]]]> di Sandro Moiso

Si è conclusa l’era della pace (Mateusz Jakub Morawiecki, primo ministro polacco – intervista al «Corriere della sera»)

Data per scontata la fine della pace illusoria che ha dominato il discorso politico degli ultimi decenni in Italia e in Occidente, a seguito degli avvenimenti degli ultimi giorni in Ucraina, occorre per meglio comprendere i reali sviluppi degli stessi esporre alcune considerazioni di carattere politico, economico e militare. In particolare sul concetto di guerra-lampo e sulla strategia militare russa; sul riarmo europeo e in particolare tedesco; sull’andamento delle borse che hanno premiato le industrie produttrici di armi o collegate al settore degli armamenti e, infine, sulle ritorsioni di carattere economico adottate dall’Occidente nei confronti della Russia putiniana e delle loro possibili conseguenze sul piano interno russo e su quello militare, guerra nucleare compresa. Compreso, last but not least, un sintetico commento sul linguaggio di guerra dei media di ogni parte coinvolta e di quelli occidentali in particolare.

Linguaggio, propaganda e guerra sono assolutamente indivisibili poiché mentre le esigenze dell’ultima rimodulano obbligatoriamente i primi due elementi, questi, a loro volta, foraggiano e rivitalizzano in continuazione la stessa. In un girotondo in cui i termini tecnici perdono il loro reale significato, distorto a scopo propagandistico, e l’emozionalità sostituisce la razionalità di qualsiasi discorso inerente ai fatti reali. In cui la costante denigrazione e demonizzazione del “nemico” avviene in un contesto in cui, come già affermava Hannah Arendt ai tempi della guerra in Vietnam e dei Pentagon Papers, la “politica della menzogna” è destinata principalmente, se non esclusivamente, ad uso interno e alla propaganda nazionale1.

Iniziamo, quindi, da ciò che con sempre maggior frequenza viene presentato come uno degli elementi certi del fallimento di Putin in Ucraina: la guerra lampo. Dopo sei giorni di guerra infatti, al di là della girandola di cifre, spesso iperboliche, sulle perdite e i danni subiti dai russi, ma molto più “contenute” per quanto riguarda quelle subite dalle forze ucraine, si sentono e si leggono sempre più spesso, ma lo si sentiva già dopo due o tre giorni, affermazioni riguardanti il fallimento militare russo nell’ambito della guerra lampo. Bene, cotali esperti e cronisti dimenticano due o tre cosucce riguardanti la stessa, sia sul piano storico che tecnico.

L’esempio classico di Blitzkrieg è sicuramente quello dell’occupazione tedesca della Francia nella primavera del 1940. Quell’operazione, che costituì l’esemplare applicazione dei metodi appresi dagli ufficiali tedeschi, durante la collaborazione tra Germania nazista e Russia staliniana dopo il patto Ribbentrop-Molotov del 1939, alla scuola di guerra sovietica e da generali innovativi come Michail Nikolaevič Tuchačevskij (poi eliminato durante le grandi purghe staliniste del 1937), iniziò il 10 maggio 1940 e raggiunse il proprio risultato, occupazione del territorio francese a seguito della capitolazione del governo e delle armate schierate sullo stesso, il 22 giugno dello stesso anno.

All’incirca 45 giorni di quella che fu definita la guerra strana, balorda se non addirittura “buffa” (drôle in francese) per assumere il pieno controllo di un territorio appena un po’ più grande di quello ucraino attuale2. Durante la quale le colonne corazzate e meccanizzate tedesche si rifornivano direttamente ai distributori di carburante incontrati e sequestrati sul loro cammino, mentre le truppe britanniche venivano costrette ad evacuare rapidamente e disordinatamente le spiagge di Dunkerque tra il 27 maggio e il 2 giugno.

Vanno sottolineati questi aspetti perché alcune fonti di informazione mainstream hanno sottolineato come i mezzi russi abbiano “razziato” i distributori di carburante ucraini, scandalizzandosene. Mentre il vero scandalo, per l’occhio attento di chi un po’ di storia militare l’ha studiata, è dato dal diffondere l’idea che una guerra lampo possa durare 48 o 72 oppure 150 ore. Fatto ancora più scandaloso se si considera che le stesse fonti hanno appoggiato incondizionatamente guerre come quelle in Iraq e in Afghanistan dover gli occidentali e la Nato sono rimasti impantanati per vent’anni senza ottenere alcun risultato se non la distruzione di economie, Stati e di un numero esorbitante di vite umane, soprattutto civili.

Diffondere, dunque, l’idea di un fallimento della guerra lampo russa a nemmeno due settimane dall’inizio costituisce per questo motivo soltanto un elemento propagandistico ad uso degli spettatori e lettori occidentali per tranquillizzarli sulle possibili conseguenze e i possibili sviluppi di una guerra appena iniziata. Così come l’insistere sulle difficoltà dell’avanzata russa significa nascondere il fatto che, dal punto di vista della dottrina militare russa, un avanzamento di 30-35 chilometri al giorno costituisce di per sé un fattore di successo, mentre nei primi giorni del conflitto le truppe russe hanno, in diversi casi, ampiamente superato le distanze effettivamente percorse. Senza dimenticare, infine, che l’intensificazione dei bombardamenti sulle reti di comunicazione e gli obiettivi sensibili distribuiti sul territorio ucraino potrebbero indicare che la “vera guerra” è iniziata solo ora.

Sullo scandaloso fatto, inoltre, che le operazioni militari russe continuino durante le trattative intavolate tra le due parti a partire del 28 febbraio, occorre semplicemente osservare che, storicamente, è proprio durante le trattative che le operazioni militari vengono intensificate dai contendenti, proprio per portare al tavolo delle stesse risultati destinati a porre i negoziatori su un piano di maggior forza. Naturalmente ignorando sempre il punto di vista della maggioranza dei civili, per cui la soluzione migliore è sempre rappresentata dalla cessazione delle ostilità o, come sta avvenendo anche oggi, dalla fuga per cercare rifugio in aree non ancora coinvolte dagli scontri e dalla guerra, alla faccia della retorica che vorrebbe tutti gli ucraini intenti a fabbricare molotov e ad arruolarsi nelle milizie volontarie. Tutto il resto è chiacchiera e, per giunta, nemmeno così tanto umanitaria come si vorrebbe invece dare a intendere.

Il solito rivoluzionario dagli occhi da tartaro affermava che «la verità è sempre rivoluzionaria» e per una volta tanto non aveva affatto torto. Perciò le righe che precedono e quelle che seguiranno avranno infatti questa intenzione, quella di disvelare, ancora una volta poiché ce n’è purtroppo bisogno, il cumulo di menzogne e falsità che coprono l’attuale conflitto e le sue possibili conseguenze future, mentre non hanno affatto quella di giustificare le imprese militari di Putin oppure enfatizzare le scelte del suo avversario Zelensky.

Se le fotografie dei danni apportati a numerosi mezzi russi attestano un uso massiccio di droni e armi tecnologicamente avanzate impiegate sul terreno dalle forze ucraine, fino ad ora probabilmente fornite dagli americani in precedenza (insieme ai droni turchi forniti da un’azienda specializzata in tale settore tra le più grandi del mondo, di cui proprio il genero di Erdogan è a capo ), è anche vero che la possibilità per i russi di creare colonne di mezzi lunghe decine di chilometri sulle strade ucraine attesta l’inagibilità dello spazio aereo per l’aviazione ucraina, così come dichiarato dalle fonti russe e come attestato dal fatto che alcuni aerei militari ucraina abbiano trovato rifugio in Romania.

Grande è il disordine quindi sul terreno dell’informazione e della propaganda, ma anche su quello delle alleanze, considerato che lo stesso Erdogan, che ha rifornito gli ucraini di droni, ha permesso un abbondante traffico di mezzi navali militari russi nello stretto del Bosforo che attraversa la stessa Istanbul, dividendola in parte europea ed asiatica. Il cui governo, nonostante le dichiarazioni di Zelensky che aveva dato per scontata l’idea di una Turchia vicina all’Ucraina, deve ancora accertare sul piano giuridico se quella in Ucraina sia davvero una guerra, mentre ha già affermato di non voler applicare sanzioni contro la Russia. Questione non del tutto indifferente se si considera che, non soltanto in teoria, la Turchia costituisce la seconda forza militare della Nato.

Rimanendo ancora sul terreno del linguaggio della propaganda e della necessità di creare consenso intorno alla guerra va notato come per Putin stesso le attuali operazioni militari non costituiscano un’aggressione militare, ma un’operazione “speciale” di ordine pubblico e disarmo internazionale, così come già tante guerre dichiarate dalla Nato e dall’Occidente hanno nel recente passato assunto la denominazione di “missioni di pace” oppure di “polizia internazionale”. Cambiano quindi i promotori, ma non il linguaggio utilizzato, cosa che dovrebbe sempre far drizzare le orecchie di chi ascolta tali fandonie, qualsiasi sia la fonte da cui sono espresse.

Il secondo elemento, che è stato prima anticipato, è quello del riarmo europeo, indice sia della frenesia di guerra che è sotteso sia al discorso sulla “pace” che della necessità di trovare uno sbocco produttivo sicuro per settori importanti dell’industria pesante, ma non solo, europea cui evidentemente la promessa del rinnovo del mercato dell’auto attraverso versioni ibride o elettriche della stessa non da ancora sufficienti garanzie di sviluppo dei profitti, mentre, soprattutto in Germania, fa già prevedere un’enorme riduzione di posti di lavoro nel settore, anticamera di possibili conflitti sociali che vanno sopiti ancor prima di un loro possibile inizio.

Da qui discende un passo che non bisogna esitare a definire “storico”: il riarmo tedesco annunciato dal cancelliere federale Olaf Scholz, con una previsione iniziale di spesa di cento miliardi di euro.
Una decisione che non può essere stata presa a sorpresa e soltanto a causa della situazione venutasi a creare sulle frontiere orientali, ma che deve covare da tempo nel governo e nella direzione economica del capitale tedesco. Decisione che prelude non solo alla necessità della “difesa” degli interessi tedeschi ad Est, ma inevitabilmente ad una ripresa, in chiave forse più aggressiva e marcata, della politica di potenza germanica, condotta fino ad ora soltanto con strumenti di ordine finanziario e legislativo oggi forse ritenuti non più sufficienti.

Considerazioni che non possono, oltre tutto, essere slegate dalla lentezza e dalle difficoltà che hanno invece caratterizzato qualsiasi provvedimento economico europeo nei confronti della pandemia e delle spesso drammatiche esigenze sanitarie, sociali ed economiche che ne sono derivate. Prova ne sia, a titolo di esempio, l’andamento delle borse in questi giorni dove, solo in Italia sia Leonardo che Fincantieri, aziende coinvolte nel settore degli armamenti e della cantieristica militare, hanno visto crescere i loro titoli di più del 15% in un solo giorno.

Ancora più significativi appaiono, poi, i provvedimenti di ordine economico e militare presi da numerosi stati europei della Nato, italietta nostalgica in testa. Un autentico gettarsi a capofitto nella fornace della guerra, che richiama una somiglianza con l’affermazione marinettiana «guerra sola igiene del mondo!», che perde però la carica provocatoria del primo manifesto futurista e sembra assumere una carica messianica di risoluzione e cancellazione dei problemi politici ed economici, oltre che potenzialmente sociali, che attanagliano i governi, e in particolare e su tutti i fronti quello italiano.

Governo che, PD in testa, dopo aver posto ogni possibile e irragionevole fiducia nell’azione di un deus ex-machina come Mario Draghi, l’ha prima affondato nelle elezioni presidenziali e l’ha visto poi sparire dall’orizzonte internazionale, nonostante le trionfalistiche dichiarazioni a favore del suo operato diplomatico venute da un “genio politico” quale Romano Prodi; unico tra i maggiori leader politici europei a non essersi recato a Kiev e Mosca, per lasciare il posto ad un tizio di nome Luigi Di Maio, inadeguato anche soltanto a preparare un caffè. Atto caratterizzato dalla tipica furbizia gesuitica ed italica che, nella sostanza, avvicina l’operato dell’attuale presidente del consiglio a un servilismo atlantico mai neppure lontanamente immaginato o voluto dalla DC di Giulio Andreotti più che a quello di un grande statista, come egli stesso si vorrebbe invece rappresentare.

Cosa che non gli ha impedito di rivendicare la necessità della riapertura delle centrali a carbone, e forse anche ad oli combusti, e la decisa affermazione della necessità di inviare altri soldati e mezzi ai confini orientali d’Europa e rifornire di armi il regime di Kiev, aggirando la legge 185 approvata nel 1990. Cose che, a parte le finte svenevolezze cattolicheggianti di Salvini sulla questione delle armi letali (ne esistono forse di non letali, a partire da scarponi e manganelli considerate le esperienze della Diaz e d ei detenuti massacrati troppo spesso tra le mura delle carceri italiane?) ha trovato tutti i rappresentanti della democrazia parlamentare uniti e saldi nell’urlare armiamoci e partite!3. Opposizione compresa, anzi più scalpitante che mai nel volersi rappresentare come degna erede del fascismo. E che proprio per questo, messa da parte la stagione della protesta contro il green pass, non si scandalizza certo più per l’ulteriore prolungamento dello stato di emergenza fino alla fine di settembre per motivi legati alla difesa della sicurezza nazionale.

Andiamo in guerra ma non lo diciamo; spingiamo in quella direzione ma lo facciamo in nome della pace e della democrazia ci dicono i governanti europei ed in primis quelli nostrani. Sventolando un umanitarismo peloso che ricorda troppo le fake news che precedettero l’entrata nel primo conflitto mondiale, quando si raccontava sui giornali italiani che i soldati tedeschi, in Belgio, tagliavano le mani ai bimbi per poi inchiodarle sulle porte delle case. Oppure durante l’azione mercenaria in Congo, contro Lumumba e l’indipendenza africana, nel 1960, quando invece si raccontò che gli aviatori italiani uccisi a Kindu trasportavano giocattoli per bambini invece che armi per i ribelli secessionisti e filo-occidentali del Katanga che già si erano macchiati le mani con il sangue di Patrice Lumumba. Oppure, ancora oggi quando sulle pagine dei nostri quotidiani, appaiono le notizie di giocattoli esplosivi donati dagli “infernali” russi ai bambini ucraini. Benvenuti nel mondo della stampa democratica e liberale. Non soltanto italiana, se questo può consolare il lettore.

Liberale e democratica come l’Ucraina dove immigrati africani, asiatici e sudamericani devono lasciare il posto ai bianchi sui mezzi che possono portarli lontani dalla guerra (qui) oppure come i commenti sulla guerra in Europa, apparsi sui media occidentali, infestati di razzismo esplicito.

BBC: «E’ per me molto commovente vedere gente europea dagli occhi azzurri e dai capelli biondi venire uccisa» ( David Sakvarelidze – Ukraine’s Deputy Chief Prosecutor,).

CBS News: «Qui non siamo in Iraq o in Afghanista, qui siano in una relativamente civilizzata città europea» (Charlie D’Agata – corrispondente estero)

BFM TV (Francia): «Siamo nel 21° secolo, siamo in una città europea e abbiamo missili da crociera che ci piovono addosso come se fossimo in Iraq o in Afghanista. Riuscite ad immaginarlo?»

NBC TV: «Per dirla schiettamente, questi non sono rifugiati siriani, questi provengono dall’Ucraina… Sono Cristiani, sono bianchi, sono molto simili a noi» (Kelly Cobiella – corrispondente di NBC News dalla Polonia)4.

Benvenuti sotto le bandiere della democrazia e della libertà!
Benvenuti sotto le bandiere dell’umanitarismo e della pace!
Benvenuti sotto le bandiere di un leader, Zelensky, che in nome della patria chiama, di fatto, il parlamento europeo a scatenare un intervento contro la Russia.
Benvenuti sotto le bandiere del reggimento Azov, formato da volontari neo-nazisti e asserragliato a Mariupol.
Benvenuti nella prossima guerra mondiale, che la retorica odierna, da una parte e dall’altra non fa che preparare.
Benvenuti, quindi, all’inferno!
Motivo per cui non vi è modo di sistemarsi a fianco di una delle due parti in lotta, come tanto antagonismo confuso trova spesso così semplice fare, approfittando di discorsi e movimenti già apparecchiati da altri (ma con ben diversi fini).

Detto questo è utile sottolineare come tutte le sanzioni e tutti i provvedimenti presi o previsti fino ad ora dai paesi europei e della Nato, da quelle economiche alle forniture di arsenali militari, dallo schieramento di nuove forze militari ad Est al permesso per il transito di volontari per le milizie ucraine son tutti passibili di essere interpretati come azioni “belliche” di fatto. E la vergogna maggiore è data dal fatto che la stampa nostrana si sia permessa di tracciare paralleli tra l’odierno volontariato nazionalista e mercenario5, di stampo in gran parte fascista, destinato ad essere integrato nelle milizie ucraine e i volontari internazionalisti che accorsero in Spagna non solo in difesa della repubblica, ma anche con la speranza, poi tradita e distrutta dall’azione di Stalin e dei suoi accoliti italiani (Togliatti e Vidali), di portare la rivoluzione in Europa. Dimenticando, inoltre, il trattamento riservato ai volontari italiani tornati dal Rojava, quasi tutti indagati e di fatto trattenuti ai domiciliari per lunghi periodi.

In questo caso lo schieramento è conservativo, non perché si opponga all’autocrate Putin, ma perché intende rafforzare e ristabilire l’ordine europeo ed occidentale del capitale imperialistico. In ogni modo e in ogni caso. Non c’è attualmente alternativa sul campo. Chiunque vinca, marciando sui cadaveri delle vittime civili e degli illusi di ogni tendenza, lo farà in nome di interessi finanziari, militari, geopolitici, economici e militari che rappresentano la negazione di qualsiasi cambiamento radicale degli assetti politico-sociali presenti.

Tutto ciò, compreso l’esplicito tentativo di rovesciare Putin “dall’interno”, costituisce il vero pericolo futuro, ovvero quello di un conflitto allagato a partire da provvedimenti che, minando la stabilità economica ed interna della Russia, potrebbero portare il leader russo a giocarsi il tutto per tutto in una battaglia a tutto campo. Motivo per cui la messa in allarme del sistema di deterrenza nucleare russo, della flotta del Pacifico e dei bombardieri strategici russi, non costituisce soltanto un’ipotetica minaccia come ai tempi dell’affare dei missili di Cuba nel 1962. Allora, infatti, si avevano margini di trattativa e spazi ancora da conquistare che oggi non ci sono più, per nessuna delle due parti in causa.

Tutto si svolge infatti sotto gli occhi di due potenze nucleari ed economiche, Cina e India, che per ora si astengono in attesa di approfittare degli errori dei due contendenti. Non vi sono alleanze sicure date, anche perché il grande blocco asiatico è costretto comunque a fare i conti con la necessaria continuità di presenza sul mercato mondiale. Di modo che se i paesi dell’heartland (Eurasia e Asia continentale) sono oggi interessati a non perdere i vantaggi di una possibile intesa che vada dai confini europei della Russia alla Corea del Nord e dalla Cina all’Oceano Indiano, passando magari per l’Afghanistan, allo stesso tempo, soprattutto la Cina, devono anche tenere d’occhio i loro interessi finanziari e produttivi globali.
Nello stesso tempo, i paesi del rimland (terre che limitano ad Ovest il grande continente euroasiatico e che cercano di limitarlo attraverso il controllo dei mari e degli oceani circondandolo) e della talassocrazia6 hanno ormai troppi punti di frizione da tener sotto controllo. Non ultimi proprio quella Crimea e quella Taiwan di cui tanto si parla quando si parla di guerra.

L’attuale frenesia di guerra da parte europea, ancor più che atlantica, dimostra la debolezza che sta alle basi di tali scelte. Così mentre si parla ad ogni piè sospinto della debolezza e dell’isolamento di Putin, a livello interno ed internazionale, il capitale europeo, schiacciato tra Stati Uniti e Cina, esigenze energetiche e difficoltà di rinnovamento, rivela tutta la sua fragilità7 lanciandosi, quasi inconsapevolmente, in un’avventura che potrebbe deragliare in una catastrofe senza precedenti. Ad accorgersene sembrano essere soltanto alcuni esperti di geo-politica e affari militari, mentre certi filosofi della politica incitano alla creazione di un autonomo arsenale nucleare europeo basato su quello francese, tra gli applausi dei giornalisti embedded dei media nazionali8.

Per noi, a cent’anni dalle mobilitazioni contro la prima guerra mondiale, rimane un’unica certezza ovvero la necessità non di chiedere pace, democrazia e libertà, parole vuote di significato reale se non accompagnate da una reale eguaglianza sociale ed economica, ma di anteporre a tutte le menzogne che la preparano quella spontanea opposizione alla guerra imperialista che mosse i pochi e coraggiosi rivoluzionari anti-militaristi che si incontrarono a Zimmerwal e Kiental, nella neutrale Svizzera, nel 1915 e nel 1916. In tutto 42 delegati nel primo caso e 43 nel secondo, una più che esigua minoranza anche per allora. Ricordando sempre che il primo nemico è comunque e sempre in casa nostra, ma con l’unica e significativa differenza che, oggi, anche la Svizzera non può più essere considerata neutrale dopo i provvedimenti approvati nei confronti della Russia e delle sue banche.

(3 – continua)


  1. Si veda qui  

  2. 675.000 km quadrati per la Francia contro i circa 604.000 dell’Ucraina odierna  

  3. Si veda qui, sulla frenesia europea e italica, un interessante articolo del magazine on line AD Analisi Difesa  

  4. Per altre “perle” del genere si veda qui  

  5. Si veda il tariffario delle ricompense in denaro promesse da Vladislav Atroshenko, sindaco di Chernihiv nell’Ucraina settentrionale: per ogni blindato da trasporto distrutto la ricompensa sarà di circa 4.400 euro, per ogni carro armato il premio sarà di circa 6.000 euro, per una cisterna mobile circa 7.500 euro. Mentre per ogni soldato russo “ucciso o catturato” il primo cittadino promette 300 euro (Fonte: https://www.msn.com/it-it/notizie/mondo/ucraina-soldi-a-chi-infligge-perdite-all-esercito-russo-il-tariffario-della-resistenza/ar-AAUsEjw?ocid=msedgntp)  

  6. Si veda qui  

  7. Tipico il caso di Boris Johnson che non esita ad indossare la mimetica da combattimento per far dimenticare ai suoi elettori lo scandalo dei covid party  

  8. Anche se oggi, 2 marzo, sia Olaf Scholz che il ministro della difesa britannico, Ben Wallace, sembrerebbero iniziare a frenare su un più ampio coinvolgimento della Nato in Ucraina poiché, secondo lo stesso Wallace, una scelta del genere porterebbe direttamente alla Terza guerra mondiale. Mentre il ministro degli esteri russo, Lavrov, avrebbe avvertito l’Occidente che una terza guerra mondiale non potrebbe essere che nucleare.  

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Chi si arresta oggi in Turchia. Cartoline dal regime di Erdoğan. https://www.carmillaonline.com/2016/12/29/si-arresta-oggi-turchia-cartoline-dal-regime-erdogan/ Thu, 29 Dec 2016 22:55:53 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=35531 di Cassandra Velicogna

schermata-2016-12-30-alle-07-50-40Riceviamo e volentieri pubblichiamo queste tavole di Matchbox Media Collective, progetto di stanza a Istanbul. Per meglio leggere le storie di “chi si arresta oggi a Istanbul” vi consigliamo di cliccare sulle immagini. Nate dalla collaborazione del giornalista Alberto Tetta con il fumettista Gianluca Costantini e la fotogiornalista Francesca Tosarelli, queste “cartoline da Istanbul” dipingono la situazione degli arresti che si stanno susseguendo in Turchia ai danni di moltissimi giornalisti, autori e intellettuali scomodi al regime di Recep Tayyip Erdoğan. Questa nuova forma di [...]]]> di Cassandra Velicogna

schermata-2016-12-30-alle-07-50-40Riceviamo e volentieri pubblichiamo queste tavole di Matchbox Media Collective, progetto di stanza a Istanbul. Per meglio leggere le storie di “chi si arresta oggi a Istanbul” vi consigliamo di cliccare sulle immagini.
Nate dalla collaborazione del giornalista Alberto Tetta con il fumettista Gianluca Costantini e la fotogiornalista Francesca Tosarelli, queste “cartoline da Istanbul” dipingono la situazione degli arresti che si stanno susseguendo in Turchia ai danni di moltissimi giornalisti, autori e intellettuali scomodi al regime di Recep Tayyip Erdoğan. Questa nuova forma di narrazione giornalistica è pensata per implementare la diffusione delle notizie, di conseguenza vi chiediamo di diffondere il più possibile queste tavole, che sono rilasciate in licenza Creative Commons. Per meglio conoscere gli autori, il loro progetto e la licenza Creative Commons, leggi in calce a questa pagina.

Matchbox media collective "cartoline da Istanbul" 1 Matchbox Media collective "cartoline da Istanbul" 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gianluca Costantini è un disegnatore e artista visivo che indaga il reale da più di 15 anni. Insegna Arte del Fumetto all’Accademia di Belle Arti di Bologna.
twitter.com/channeldrawhttps://www.gianlucacostantini.com/

Alberto Tetta/Francesca Tosarelli/Matchbox Media Collective
Alberto è un giornalista e producer freelance. Istanbul è la città che chiama casa.
twitter.com/albertotetta
Francesca è fotogiornalista, camerawoman e crossmedia director.
twitter.com/mskalas http://mskalashnikov.com/

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Üçüncü Dünya Savaşı https://www.carmillaonline.com/2016/07/25/ucuncu-dunya-savasi/ Mon, 25 Jul 2016 20:00:55 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=32171 di Sandro Moiso

ucuncu 4Terza guerra mondiale”, questa è la traduzione del titolo di un best-seller di fantapolitica uscito poco più di dieci anni fa in Turchia. Recep Tayyip Erdoğan, dopo essere stato escluso per anni dalla vita politica (poiché era stato giudicato colpevole di incitamento all’odio religioso e incarcerato nel 1998 per aver declamato pubblicamente, come sindaco di Istanbul, i versi del poeta Ziya Gökalp: “Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati…“), era stato eletto Primo Ministro del 59° governo turco il 4 marzo [...]]]> di Sandro Moiso

ucuncu 4Terza guerra mondiale”, questa è la traduzione del titolo di un best-seller di fantapolitica uscito poco più di dieci anni fa in Turchia. Recep Tayyip Erdoğan, dopo essere stato escluso per anni dalla vita politica (poiché era stato giudicato colpevole di incitamento all’odio religioso e incarcerato nel 1998 per aver declamato pubblicamente, come sindaco di Istanbul, i versi del poeta Ziya Gökalp: “Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati…“), era stato eletto Primo Ministro del 59° governo turco il 4 marzo 2003, dopo la vittoria del suo partito (AKP, Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) nelle elezioni legislative del 2002, e uno giornalista-scrittore trentenne, Burak Turna, raggiungeva, nel 2005, il suo secondo successo editoriale anticipando la storia di una guerra in cui la Turchia si contrappone, dopo anni di acrimoniose trattative, ad una Unione Europea dominata da governi fascisti e xenofobi che respinge definitivamente la domanda del governo di Ankara di diventarne membro. Mentre in Germania, Francia e Austria si scatena una specie di caccia al musulmano, la Turchia si allea con la Russia e, con l’appoggio esterno anche della Cina, invade l’Europa e la riduce in ginocchio, con tanto di commandos turchi che si impadroniscono di Berlino.

Gli Stati Uniti stanno a guardare e sulle rovine della vecchia Ue, che voleva restare un «club cristiano», se ne affaccia una nuova, spostata a Est, e basata sulla riconciliazione tra l’Islam e il mondo ortodosso. In due mesi il libro vendeva in Turchia 130.000 copie, in un paese dove una tiratura di 3 mila copie è già un successo, e si avvicinava ai vertici delle classifiche dei libri più venduti. Tra i quali, va qui subito detto, si trovava proprio il precedente libro scritto dallo stesso autore in collaborazione con Orkun Ucar.

Questo altro testo, anch’esso riconducibile alla fantapolitica, si intitolava “Metal Firtina”, traducibile con Tempesta di metallo (in inglese, appunto Metal Storm) e aveva raggiunto, e forse superato, in pochi mesi le 500.000 copie.
Narra, guardo caso, di un’altra guerra “mondiale” in cui, gli Stati Uniti aggrediscono militarmente la Turchia, dichiarata “Stato canaglia”, per potersi impossessare delle ricchezze minerarie e petrolifere dell’Irak del Nord a discapito degli interessi turchi. Per ottenere ciò, oltre al bombardamento a tappeto di Ankara, Istanbul e Smirne, gli americani promuovono e appoggiano diversi movimenti separatisti destinati ad indebolire e a frantumare lo stato turco.

Metal-storm Ma l’attesa rivolta separatista non si produce, e la guerra si prolunga. I bombardamenti Usa sono spietati e decimano la popolazione, ma risparmiano le centrali elettriche e le stazioni tv, in modo che i turchi continuino a guardare la tv e così ad esporsi alle “armi di illusione di massa”.
Sarà un agente dei servizi segreti turchi ad immolarsi riuscendo a far esplodere, come un kamikaze, due bombe atomiche a Washington.

A quel punto, Putin ammassa truppe russe ai confini della Turchia invasa, pronto a scatenare l’intervento; Francia, Germania, Russia e Cina convocano d’urgenza il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. L’America è bollata come stato canaglia e riceve un ultimatum: o si ritira senza condizioni dallla Turchia, o sarà distrutta dalla coalizione mondiale che s’è formata.1

Fin qui le narrazioni di un autore decisamente nazionalista e con un largo seguito in Turchia. Poiché, però, vado da tempo sostenendo che il politico è soltanto uno dei territori dell’immaginario, vale forse la pena di cogliere i parallelismi e le possibili anticipazioni tra quelle trame e i fatti a cui stiamo assistendo, soprattutto nella Turchia del golpe e dopo golpe. Anche perché, all’epoca della sua uscita e del suo successo, il libro fu letto col massimo interesse negli ambienti militari, di sicurezza e della potente polizia turca e l’ambasciata Usa ne fu molto allarmata, visto che i sondaggi dell’epoca rivelavano che, dopo l’attacco all’Irak, i sentimenti anti-americani in Turchia erano condivisi dall’87% della popolazione.

Così è giunto il momento di riassumere, anche qui brevemente, la trama dei fatti. Quelli reali.
Il 15 luglio scorso si profila, per qualche ora, l’eventualità che il leader islamico e nazionalista Tayyip Erdoğan2 possa essere dimesso dal suo ruolo di governo e di “alleato”.
Le prime reazioni ufficiali di USA ed Europa al golpe si sono avute all’alba, 5 ore dopo l’inizio degli scontri. Dopo che, a detta dei media, le richieste provenienti dall’aereo di Erdogan per un eventuale accoglienza erano state respinte da diversi “alleati” europei.

Prima che questo avvenisse va rilevato un certo imbarazzo occidentale nei confronti non solo di un dittatore abbastanza spudorato nella sua conduzione della “moderna democrazia” turca, ma anche abbastanza avventuriero dal giocare col piede in più scarpe: l’appoggio, più volte provato, dato all’ISIS; l’altalenante posizione nei confronti di Siria, Iran e Russia; il rigurgito di nazionalismo ottomano e contrario ad ogni discorso riguardante i diritti degli Armeni e dei Curdi (questi ultimi autentici miliziani combattenti della causa anti-ISIS in Siria e nel Nord dell’Irak); il ricatto costante, con cui ha taglieggiato l’Europa e la Germania negli ultimi mesi, sulla questione dei profughi dal Vicino Oriente e centro-asiatici e, infine, lo smaccato rifiuto di rispettare qualsiasi forma di diritto umano, alla faccia delle richieste delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea (“We’ll go our way, you go yours”).

Non solo. Un leader che a maggio, in occasione del Congresso straordinario del suo partito (AKP), ha di fatto costretto il primo ministro Ahmet Davutoglu, troppo vicino agli alleati occidentali e da questi ultimi molto stimato, a dimettersi per sostituirlo con Binali Yildirim, curdo e fedelissimo del Presidente.3 Una situazione quanto meno delicata in cui il colpo di Stato, più che preparato dallo stesso Erdogan, come i sostenitori del complottismo ad oltranza sembrano voler riproporre come un vecchio film già visto più volte dall’11 settembre 2001 in poi, sembrava essere una possibile soluzione del problema. Tanto per dimostrare ancora una volta che il super-imperialismo che tutto controlla e determina non è altro che una bufala creata da coloro che rimuovono i rapporti di forza reali e le contraddizioni economico-sociali e geopolitiche che li determinano.

D’altra parte, checché se ne voglia pensare, il golpe non è stato solo e sempre uno strumento di cui gli americani si sono serviti per eliminare governi “avversi”, ma spesso anche un mezzo per rimuovere “alleati” divenuti scomodi. Basti pensare alle rimozioni violente di governi nel Pakistan della fine del secolo scorso.4 Mentre occorre sottolineare come la rapidità decisionale con cui Erdogan ha agito, dal punto di vista repressivo nei giorni seguenti, ancora una volta sbandierato come prova della premeditazione dello stesso, è riconducibile sostanzialmente a due fattori: dimostrare in casa e all’estero la propria forza e sicurezza e al fatto che qualsiasi Stato, compresa sicuramente l’Italia, ha già pronte da sempre le liste dei possibili nemici da rinchiudere o eliminare in caso di precipitare della o di una crisi politica, sociale o militare.5

D’altronde, sarebbe impensabile immaginare che un colpo di Stato militare, indipendentemente dalla presenza o meno di Fethullah Gülen nelle file del complotto, possa essersi sviluppato all’interno degli ambienti militari della NATO, soprattutto quelli dell’aeronautica militare, senza che l’intelligence statunitense non ne avesse alcun sentore .

Anche al di là delle accuse mosse da Erdogan agli Stati Uniti per aver rifornito i caccia golpisti con aerei cisterna decollati proprio dalla base di Incirlik. La stessa da cui decollano gli aerei americani che vanno a bombardare le posizioni dell’Isis, lasciata senza energia elettrica per alcune ore dopo il golpe sventato, e di cui è stato arrestato il generale turco che la comandava come uno degli artefici del golpe.6 Accuse rafforzate proprio oggi da quelle ulteriori alla CIA.7

Quindi nulla di nuovo sotto il sole…tranne che questa volta l’azione di forza è andata a gambe all’aria.8 E qui, infatti, si giunge alla parte più interessante della questione.
Il golpe non ha funzionato perché ha dovuto essere anticipato ovvero scattare prima che tutte le operazioni che dovevano essere portate a termine per farlo trionfare si realizzassero. Invece che alle tre del mattino, come alcune fonti sostengono, ha dovuto essere anticipato di diverse ore.

Secondo un’informazione diffusa dai media la sera del 20 luglio, i servizi segreti russi avrebbero avvertito il Presidente della Turchia del golpe militare che stava maturando, cosa che gli avrebbe consentito di salvarsi e di conservare il potere. Tuttavia, è difficile stabilire quanto le notizie sul presunto aiuto fornito dalla Russia a Erdogan possano essere attendibili. […]Secondo la versione diffusa dai media, il servizio di intelligence militare russo in Siria nella base di Hmeimym sarebbe riuscito a intercettare e a decodificare i radiocomunicati militari. Gli autori del complotto avevano progettato di inviare degli elicotteri all’hotel in cui alloggiava Erdogan a Marmaris per catturare e uccidere il Presidente. Il Ministero della Difesa russo avrebbe trasmesso questa informativa sui loro piani al Mit, l’intelligence nazionale turca, consentendo a Erdogan di fuggire in tempo e di intervenire.9

Non solo. Secondo altre fonti, in base a ricostruzioni provenienti da ambienti vicini al Svr, i servizi di intelligence russi per l’estero: “ci sarebbe stato un intervento degli Specnaz, le forze speciali russe che avrebbero scortato e difeso il presidente Erdogan dal golpe militare, accompagnandolo dal luogo in cui era fallito l’attentato, che doveva eliminarlo, all’aereo che lo ha riportato ad Ankara.10

Anche se lo stesso Presidente turco, in un’intervista rilasciata all’emittente televisiva del Qatar Al Jazeera, ha fornito una versione diversa, attribuendo il merito dell’anticipazione del golpe al M.I.T.l’Organizzazione di Intelligence nazionale Turca, “i media hanno diffuso la versione della corresponsabilità della Russia nella vittoria di Erdogan sulla base di notizie diramate da Fars, la principale agenzia d’informazione iraniana, a loro volta provenienti da fonti arabe (in particolare, dall’agenzia sudanese Al Sudan Al Youm). Come fonte i media arabi hanno citato dei diplomatici turchi che hanno preferito rimanere anonimi.11

Qualche lettore a questo punto si chiederà: “Ma Russia e Turchia, soprattutto dopo l’abbattimento dell’aereo russo sui cieli della Siria, non erano ai ferri corti?
Certo, almeno nelle apparenze, ma un accordo diplomatico e politico è sempre possibile e, in questo caso, conviene ad entrambi nell’attuale caos geo-politico che si va delineando in cui, come è stato scritto appena quattro giorni prima del fallito colpo di Stato, “appare evidente come Erdogan si sia ritrovato schiacciato dall’isolamento diplomatico internazionale, e abbia dovuto in qualche modo mettere da parte la retorica e fare un bagno di realismo: troppe le minacce che stavano accerchiando la Turchia, che pur avendo potenti alleati, benché sempre più riluttanti, ha l’imperativa necessità di non fomentare vecchie inimicizie.12

Infatti Erdogan nei giorni precedenti non solo aveva ripreso i rapporti con la Russia (non dimentichiamo che egli si incontrerà con Putin entro le prime due settimane di agosto), ma anche raggiunto un accordo con uno degli altri protagonisti dei giochi mediorientali: Israele.
Tale accordo, annunciato da Benjamin Netanyahu, Primo ministro israeliano, e Binali Yildrim, Primo ministro turco, è frutto di diversi compromessi, come è del resto il destino di ogni accordo diplomatico che voglia essere credibile e duraturo. Entrambi gli attori sono riusciti ad ottenere l’accettazione di alcune delle proprie richieste più pressanti e a non fare concessioni sulle questioni più delicate.13 E probabilmente per ora tanto basta.

E anche se per ora nessuno ne parla, non è escluso che anche il Mossad abbia voluto fare un regalo e allo stesso tempo lanciare un avvertimento alla Volpe degli stretti. Da un lato indicargli il pericolo da cui mettersi in salvo14 e dall’altro segnalargli come, nell’attuale situazione di possibile isolamento, la sua sopravvivenza e successo siano indubbiamente legati alla costruzione di una rete mediorientale (di cui un altro attore è rappresentato senza ombra di dubbio dall’Arabia Saudita e dagli Emirati del Golfo) che, se da un lato mira a scalzare progressivamente l’importanza degli USA e delle nazioni europee nell’area, dall’altra dovrà funzionare in chiave anti-iraniana, per ridimensionare le pretese dell’unica nazione che fino ad ora ha potuto positivamente intascare un grande rientro sulla scena diplomatica, economica e militare internazionale proprio in seguito agli errori commessi dal Dipartimento di Stato americano in Irak.

ucuncu 5 D’altra parte anche la collaborazione tra Russia e Iran in Siria è sempre più messa alla prova dalle autonome iniziative che la Russia sta prendendo sul fronte militare sia nei confronti di una rinnovata collaborazione con Israele. Dopo lo scontro a Khan Tuman,15 infatti, molti strateghi del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC) “hanno cominciato a esprimere dubbi sugli obiettivi di Mosca nella lotta al fianco delle forze iraniane, libanesi e siriane. Questi strateghi, e altri funzionari che in Iran si oppongono alla presenza militare della Russia in Siria, mettono in guardia circa le divergenze di interessi tra Russia e Iran che nel lungo termine potrebbero portare a conseguenze impreviste.16

Tutto questo però è reso possibile da ciò che ho già segnalato in altri articoli proprio su Carmilla, ovvero dal progressivo indebolimento politico di quello che è ancora necessario definire “imperialismo occidentale”, ovvero USA e nazioni dell’UE. Se da un lato la crisi economica ha favorito la concentrazione del comando finanziario sulle economie, soprattutto, sulla forza lavoro di quelle nazioni che ci ostiniamo a definire “a capitalismo avanzato”, dall’altro la stessa ha rivelato le profonde crepe che dividono quegli stessi attori sul piano dell’azione diplomatica e militare edelle strategie economiche di fondo.

La recente uscita di Donald Trump, per esempio, su una possibile perdita di importanza della NATO per gli interessi americani rimarca, indirettamente, due cose.17 La prima riguarda il fatto che gli USA hanno due fronti mondiali a cui prestare attenzione: uno orientale sul Pacifico e il Mar della Cina, dove la concorrenza economica e finanziaria sembra volgere sempre più anche ad una concorrenza di carattere militare, e uno occidentale che sembra correre ormai dal Baltico all’Africa del Nord, in funzione anti-russa e di controllo delle maggiori aree petrolifere del globo.

E’ chiaro che un tale dispiegamento di forze ha dei costi non risibili per la declinante economia americana e senza uno sforzo economico da parte dei partner europei gli USA non potranno sostenere a lungo un tale impegno. D’altra parte gli alleati europei sono terrorizzati da un disimpegno americano che metterebbe in evidenza la debolezza “militare” dell’Unione che è, sì, monetaria, ma poco politica e militare.

La stessa Alta Rappresentante per le politiche europee, Federica Mogherini, nella sua problematica insignificanza,18 rappresenta simbolicamente una moneta priva di una efficace forza di difesa/offesa. Un po’ come immaginarsi il dollaro, padrone del ventesimo secolo, senza portaerei.
Debolezza dovuta soprattutto ai contrastanti interessi diplomatici ed economici tra le principali nazioni del continente (Gran Bretagna, Germania, Francia ed Italia). Come d’altra parte dimostra bene l’incidente occorso nei giorni scorsi in Libia: in cui tre membri delle Forze Speciali francesi sono rimasti uccisi nell’abbattimento di un elicottero, da parte dei miliziani filo-Isis, mentre combattevano a fianco del generale Khalif Haftar, l’uomo forte di Tobruk, invece che di quello del “legittimo” governo libico cui i militari europei già stanziati in Libia dovrebbero ufficialmente fare riferimento.19

E’ chiaro che un tale disordine finisce col favorire alleanze locali, e magari momentanee, proprio perché in un’era di decadenza del potere occidentale (e di declino del petrolio) gli ex-alleati locali potrebbero ritenere più utile coordinarsi tra di loro autonomamente sia per salvaguardare la propria sicurezza che per gestire in proprio ciò che rimane delle scorte dell’oro nero. Problemi cui la Russia, nel suo ruolo ritrovato di Grande Potenza, non può rimanere insensibile. Avendo per ora come obiettivi locali quelli di salvaguardare le proprie basi in Siria, ampliare il proprio ruolo sul mercato della produzione e delle transazioni legate al petrolio e al gas e, naturalmente, allontanare la minaccia jihadista sia dalla Cecenia che dalle aree confinanti. Senza rinunciare a rendere allo storico avversario statunitense pan per focaccia per quanto è avvenuto e sta avvenendo in Ucraina e nei paesi dell’ex-blocco sovietico.

Il percorso fin qui tracciato non è certo né lineare né definitivo, anche perché l’Occidente, pur manifestando qualche critica nei confronti della repressione di Erdogan nei confronti dei suoi avversari, veri o presunti tali, dovrà fare buon viso a cattivo gioco per un periodo, a questo punto, ancora piuttosto lungo.20 USA ed Europa non possono permettersi di perdere Ankara che, occorre qui sottolinearlo con forza, rappresenta il secondo contingente militare della NATO, dopo quello statunitense, sia per importanza che dal punto di vista numerico.21 E qualsiasi siano stati i motivi e gli attori ultimi del tentativo di colpo di Stato del 15 luglio, fino a quando Erdogan non potrà essere sostituito con un personaggio “più affidabile”, questa è ancora la cosa che conta di più. Cercando di evitare nel prossimo futuro coinvolgimenti imbarazzanti e fallimentari nei confronti di operazioni destinate poi ad essere abbandonate a se stesse come quella di cui stiamo stati testimoni.

Con buona pace, comunque, di tutti quei “democratici” che strillano e si stracciano strumentalmente le vesti per una repressione che, pur essendo diventata più violenta e pericolosa, è presente e attiva in Turchia, soprattutto nel Kurdistan e nei confronti del PKK, da anni. E con buona pace ancora di coloro che vedono in Putin un agente dell’anti-imperialismo oppure di coloro che ancora non vedono la differenza tra i Kurdi del Rojava e della Turchia e di quelli del Nord Irak che fin dalla Guerra del Golfo agiscono col beneplacito americano e a fianco degli interessi statunitensi nella speranza di spartirsi, tra i clan Barzani e Talabani, un possibile feudo ricco di petrolio e, forse, di altri minerali preziosi. Area in cui gli Stati Uniti, dopo che le forze irakene hanno strappato all’ ISIS “il controllo della della base militare di Qayara, avamposto strategicamente ben posizionato per sferrare attacchi a Mosul, “capitale” irakena del Daesh, stanno valutando la possibilità di trasformare questa base in un avamposto permanente da cui far partire le missioni anti-ISIS, anche quelle che fino ad oggi partivano dalla base NATO di Incirlik, in Turchia, e dalle altre basi USA nell’area.22

erdogan Certo è che questa situazione generale vede un ritorno trionfante del nazionalismo. Occorre qui affermarlo senza timore: non solo dall’alto ma anche dal basso, poiché in una situazione di malessere generale e di progressivo peggioramento delle condizioni di vita della stragrande maggioranza della popolazione, in America come in Medio Oriente e ancora qui in Europa, e in assenza di una qualsiasi altra seria proposta di opposizione anti-imperialista e di riorganizzazione socio-economica e territoriale che neghi l’attuale modo di produzione capitalistico, larghi settori di quella che è ancora definibile come “classe degli oppressi” si rifugeranno sempre più nell’esaltazione delle proprie radici e nel fasullo conforto di una peregrina identità nazionale e/o religiosa. Ulteriore fattore e motore delle guerre a venire. Come il nazionalismo turco di Piazza Taksim, sostituendo le precedenti proteste anti-Erdogan, già ci ricorda in maniera abbastanza eloquente.


  1. https://forum.termometropolitico.it/339961-anche-la-turchia-sogna-guerra-agli-usa.html  

  2. Dopo la sua elezione a Primo Ministro nel 2003, il leader turco ha mantenuto tale incarico fino al 2014 quando è stato eletto Presidente con le prime elezioni presidenziali dirette della storia del paese  

  3. Eliza Ungaro, Perché Erdogan ha “licenziato” Davutoglu, spiegato, 20/05/2016 http://www.thezeppelin.org/erdogan-davutoglu/  

  4. Solo a titolo di esempio: http://www.repubblica.it/online/fatti/paki/paki/paki.html  

  5. Su questo si confronti: https://www.carmillaonline.com/2016/07/21/istanbul-torino-la-parola-dordine-sola-repressione/  

  6. http://www.repubblica.it/esteri/2016/07/19/news/il_retroscena_una_cisterna_americana_ha_rifornito_gli_f-16_e_ora_erdogan_va_in_pressing_sull_alleato-144402675/?ref=HREC1-1  

  7. http://www.huffingtonpost.it/2016/07/25/turchia-arresta-giornalisti_n_11175734.html?1469435801&utm_hp_ref=italy  

  8. Non posso fare a meno di tracciare, in tal senso un parallelo con la fallita invasione della Baia dei Porci. Avvenuta a Cuba nell’aprile 1961. Un fallimento totale che , di fatto, inaugurava il mandato di John Fitzgerald Kennedy e smontava fin dall’inizio le sue promesse. Così come il mancato golpe turco chiude il secondo mandato di Barak Obama, dimostrando tutta la debolezza della sua azione politica di “rinnovamento” ( cfr. https://www.carmillaonline.com/2016/07/24/sono-fotogenico/). In entrambi i casi gli Stati Uniti hanno puntato su oppositori espatriati: gli esuli anti-castristi a Miami per il primo e Fethullah Gulen, probabilmente, per il secondo. cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Invasione_della_baia_dei_Porci e per una emozionante descrizione letteraria James Ellroy, American Tabloid, Mondadori 1995, pp.434-470  

  9. https://it.rbth.com/mondo/2016/07/21/e-stata-la-russia-a-salvare-erdogan_613821  

  10. http://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/11931054/becchi-golpe-turchia-ruolo-putin-salvataggio-erdogan-.html  

  11. ancora https://it.rbth.com/mondo/2016/07/21/e-stata-la-russia-a-salvare-erdogan_613821  

  12. Marta Furlan e Lorenzo Carota, Turchia, Israele e Russia: il ritorno della diplomazia, 11/07/2016 http://www.thezeppelin.org/la-turchia-la-normalizzazione-diplomatica-israele-russia/  

  13. come da nota precedente  

  14. Poiché è difficile che un golpe organizzato all’interno degli apparati Nato e dell’esercito turco sfugga all’occhio vigile di Israele  

  15. Il riferimento è all’attacco di maggio effettuato dalla coalizione ribelle Jaish al-Fatah nel villaggio di Khan Tuman (sud di Aleppo), che ha ucciso decine di combattenti iraniani del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC), della brigata afghana Fatemiyoun (mercenari che combattono per l’Iran) e delle milizie sciite di Hezbollah. Secondo alcune fonti le vittime sarebbero un’ottantina, tra cui due generali di spicco; si è trattato della più grave perdita per le forze iraniane dall’inizio del conflitto” Samantha Falciatori, L’iranizzazione della Siria e l’intervento russo, 08/12/2015 http://www.thezeppelin.org/iran-russia-siria/  

  16. idem  

  17. Anche la più recente dichiarazione di Trump su una possibile uscita degli USA dal WTO (http://www.repubblica.it/esteri/elezioni-usa/primarie2016/2016/07/24/news/trump_controlli_piu_severi_su_chi_arriva_dalla_francia-144740332/?ref=HREC1-8 ) sembra rientrare nella tradizione isolazionista e protezionista del Partito repubblicano. Tradizione interrotta sostanzialmente dai Bush, padre e figlio, che guarda caso non si sono presentati alla Convention repubblicana, avendo già dichiarato il proprio favore per l’interventismo della Clinton. Rappresentante perfetta, come ho già detto altrove, degli interessi petroliferi, finanziari e del complesso militare-industriale statunitense  

  18. Che sembra pareggiata soltanto dalla progressiva perdita di credibilità di Barak Obama. Figura destinata sicuramente ad entrare nella leggenda mediatica essendo stato “il primo presidente afro-americano” degli Stati Uniti, ma i cui insuccessi e promesse mancate si sono accumulati implacabilmente nel corso dei suoi otto anni di mandato. Rendendolo molto simile, in questo senso, a John Fitzgerald Kennedy, di cui si è già parlato in una nota precedente  

  19. http://www.analisidifesa.it/2016/07/libia-abbattuto-elicottero-di-haftar-morti-due-incursori-francesi/  

  20. Ingoiando la rimozione di alcuni ambasciatori ritenuti coinvolti nel complotto e la difesa della pena di morte da parte del Ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu: “L’Unione europea non ha il diritto di dare alla Turchia un ultimatum su questo tema, l’Europa non è la proprietaria della Turchia e non accetterà di essere guardata dall’alto al basso.” http://www.repubblica.it/esteri/2016/07/25/news/turchia_arrestati_42_giornalisti_accusati_di_sostenere_gulen-144768272/?ref=HREC1-4  

  21. cfr. Francesco Valacchi, Turchia, le forze armate oggi, 5 dicembre 2013 http://www.ilcaffegeopolitico.org/13589/turchia-le-forze-armate-di-ankara-oggi  

  22. Zeppelin Newsletter, International Weekly Brief 18 – 24 luglio 2016  

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Istanbul: gay pride 2015 con cariche. Una testimonianza diretta dalla città di Gezi Park. https://www.carmillaonline.com/2015/07/17/istanbul-gay-pride-2015-con-cariche-una-testimonianza-diretta-dalla-citta-di-gezi-park/ Thu, 16 Jul 2015 22:00:21 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=23988 di Cassandra Velicogna

Istanbul gay pride 2015Il 28 Giugno, mentre mezza Europa si  stava riprendendo dai postumi del gay pride del giorno precedente, in Turchia, a Istanbul, il pride veniva malmenato dalla polizia. Anche i giornalisti ne hanno prese. Combattivi e abituati a lottare, i ragazzi e le ragazze dell’Istanbul Pride si sono ricompattati dopo le violente cariche per ribadire che anche in un paese musulmano e governato da un premier liberticida, essere gay non debba voler dire essere clandestino e che anzi deve proprio essere una cosa di cui andare fieri. [...]]]> di Cassandra Velicogna

Istanbul gay pride 2015Il 28 Giugno, mentre mezza Europa si  stava riprendendo dai postumi del gay pride del giorno precedente, in Turchia, a Istanbul, il pride veniva malmenato dalla polizia. Anche i giornalisti ne hanno prese. Combattivi e abituati a lottare, i ragazzi e le ragazze dell’Istanbul Pride si sono ricompattati dopo le violente cariche per ribadire che anche in un paese musulmano e governato da un premier liberticida, essere gay non debba voler dire essere clandestino e che anzi deve proprio essere una cosa di cui andare fieri. Di questi fatti in Italia si è parlato poco, ma cerchiamo oggi di mettere una pezza a questa situazione: un pretesto per conoscere meglio i movimenti turchi che lottano per la libertà delle persone omosessuali e transessuali. Alberto Tetta è un giornalista freelance del collettivo Matchboxmedia che vive a Istanbul da tanti anni e conosce bene la comunità Glbtqi della città. Dopo aver visto le foto sul suo account twitter (@albertotetta), abbiamo deciso di intervistarlo per colmare la vistosa lacuna nel flusso di notizie dalla città turca, che negli ultimi anni è diventata un esempio per i movimenti europei.

Alberto, prima di tutto, raccontaci i fatti: in Italia si è saputo poco o niente. A te cos’è successo, in particolare?

I movimenti Lgbtqi in Turchia in questi anni, grazie alla loro determinazione, sono cresciuti nonostante gli attacchi del governo conservatore guidato dal Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) del premier Recep Tayyip Erdogan, protagonista della politica turca da oltre 12 anni. Erdogan, esponenti dell’Akp, ma anche del Partito di azione nazionalista di ultra destra hanno più volte aggredito verbalmente gay, lesbiche e trans in Turchia alimentando un clima di odio omofobo. Gli omicidi di donne trans e gli atti di violenza contro persone Lgbtq sono una conseguenza di questo clima.
E’ stata Kemal Ordek, lavoratrice sessuale e militante trans l’ultima vittima della violenza omofoba. Kemal, a inizio luglio, è stata derubata e violentata da un gruppo di uomini che hanno fatto irruzione in casa sua, ma quando è andata dalla polizia, gli agenti hanno fermato i suoi aggressori solo per poche ore, per poi rilasciarli e hanno cercato più volte di convincerla a non denunciare gli uomini insultandola più volte
polizia blocca Istanbul gay pride 2015Questa situazione difficile però non ha impedito la nascita di nuovi gruppi Lgbtqi anche fuori da Istanbul, Ankara e Izmir, che con coraggio negli ultimi anni hanno organizzato pride, proteste e iniziative in molte città periferiche come Corum, Mersin, Antalya e molte altre. Qualcosa di davvero impensabile fino a pochi anni fa. Un movimento vicino alla sinistra e le rivendicazioni dei curdi, molto più radicale e “politico” se paragonato ai gruppi Lgbt mainstream europei e americani.
Una radicalità mostrata anche il 28 giugno quando la polizia ha cercato di bloccare il 13° Pride Lgbt di Istanbul attaccando senza alcun preavviso con idranti, gas lacrimogeni e proiettili di gomma le persone che stavano raggiungendo il concentramento mezz’ora prima dell’inizio della manifestazione. Il prefetto ha comunicato ai parlamentari del Partito democratico dei popoli (Hdp), una coalizione tra curdi e sinistra radicale, che la marcia [il pride] non sarebbe stata consentita, perché convocata durante il mese musulmano del Ramandan: per prevenire possibili aggressioni esterne. Una spiegazione poco verosimile visto che lo scorso anno il pride si era tenuto senza problemi nonostante il Ramadan. Il divieto è stato respinto dal comitato organizzatore del Pride che, con un comunicato online, ha chiesto ai partecipanti di non lasciare la centrale via Istiklal dove si sarebbe dovuta tenere la marcia. Un invito accolto da migliaia di persone che hanno resistito per ore alle cariche per poi riuscire a marciare su Istiklal, quando i parlamentari presenti sono riusciti a superare i cordoni di polizia.
Durante gli scontri, mentre mi trovavo in testa al corteo con i deputati e altri giornalisti, quando gli agenti hanno cominciato a spintonarmi per poi buttarmi a terra nonostante abbia più volte mostrato la mia press-card turca. Anche altri giornalisti turchi sono stati presi di mira dalla polizia che ha tentato di arrestare due colleghi che stavano seguendo le manifestazioni. Scene a cui siamo purtroppo abituati in un Paese ormai da anni al centro delle critiche di organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani e la libertà d’epressione come Hurman Rights Watch e Reporters senza frontiere che sono tornate a criticare il governo turco per la “repressione a freddo” del pride di quest’anno.

Tu vivi a Istanbul da anni, ma sei italiano. Che differenze noti tra l’ingerenza cattolica in Italia e l’ingerenza musulmana nella tua città sulle questioni legate alla sessualità al giorno d’oggi?

Penso che la differenza sia poca. In Turchia come in Italia i partiti e movimenti conservatori usano la religione per condurre campagne d’odio contro le persone Lgbtqi criminalizzando le loro scelte di vita per il loro tornaconto politico, usando il pretesto della difesa della famiglia eterossessule. In Turchia più volte nel corso della campagna per le elezioni dello scorso 7 giugno, quando l’Akp ha perso la maggioranza assoluta in parlamento, Erdogan ha attaccato l’Hdp per aver candidato un attivista gay. Una campagna fallita, visto che i filo curdi hanno raddoppiato i loro consensi ottenendo il 13% dei consensi, continuando a difendere i diritti di gay, lesbiche e trans. Una differenza forse però c’è. Il principale partito d’opposizione: i socialdemocratici kemalisti del Partito repubblicano del popolo (Chp) si sono schierati in modo netto in favore del movimento Lgbtqi, sia prima che dopo l’attacco al pride, una posizione chiara che il centro sinistra in Italia fatica a prendere.

In che modo si relaziona il movimento Glbtqi di oggi a quello contro la distruzione di Gezipark di due estati fa?

I gruppi Lgbtqi e femministi in Turchia sono stati tra i protagonisti dell’occupazione del parco Gezi a Istanbul. Militanti gay, lesbiche, bisex e trans erano in prima linea per difendere Taksim dai costanti attacchi della polizia e le bandiere arcobaleno sulle barricate non sono mai mancate. In quei mesi le loro rivendicazioni si sono intrecciate con quelle di ambientalisti, partiti della sinistra, movimenti anti speculazione e la miriade di grutesta rotta Istanbul gay pride 2015ppi che sono scesi in piazza nell’estate 2013. Una presenza importante in netto contrasto con l’immagina stereotipata che vorrebbe donne, gay e trans come soggetti deboli e disinteressati alla politica. Quel grande momento ha anche dato forza al movimento Lgbtqi e il pride di due anni fa a Istanbul, in uno dei momenti più caldi delle proteste di quell’anno è stato tra i più partecipati di sempre. Oltre 50 mila persone che sono scese in piazza. Molti di loro erano gli stessi che ogni giorno manifestavano per difendere il parco Gezi.

Ora che il parlamento non è un monocromo dell’Akp, pensi che si percepiranno dei cambiamenti nella società civile, maggiori libertà?

Tutto dipende dal governo che nascerà ora. Se l’Akp vuole continuare a governare, deve trovare un partner di coalizione e in questi giorni il premier designato Ahmet Davutoglu ha incontrato i partiti presenti in parlamento, ma per lui la strada è in salita. Gli ultranazionalisti del Mhp hanno annunciato che non sono disponibili a sostenere l’Akp ed è difficile che Davutoglu trovi un accordo con la sinistra filo-curda. L’unica opzione che rimane in campo è l’accordo con i kemalisti del Chp, che guardano con favore al movimento Lgbt. Se le trattative andranno a buon fine e nascerà un governo Akp-Chp gli islamisti moderati di Erdogan sarebbero costretti ad ammorbidire le loro posizioni. Non credo il nuovo governo approverebbe leggi a favore delle persone Lgbtqi, ma penso la retorica del premier cambierebbe. E’ anche possibile che non si arrivi a un accordo e la Turchia torni alle urne, quindi è presto per fare previsione. Comunque posso dire che in questi anni, se la società è cambiata e gay, lesbiche, bisessuali e trans si Istiklal bloccatasono conquistati maggiori spazi di libertà è stato grazie alla loro lotta più che ad aperture del governo.

Ricordo delle cariche a un corteo di donne l’8 Marzo di una decina di anni fa, si sono fatti passi avanti in questi anni, oppure i cannoni ad acqua arriverebbero ancora per contrastare un corteo femminista?

Il clima rimane teso e nostante la battuta d’arresto per Erdogan rappresentata dalle ultime elezioni politiche e il parlamento prima del voto ha approvato leggi che limitano libertà personali e diritto a manifestare. Il pacchetto sicurezza dà alla polizia ancora maggiori poteri e mano libera nella gestione della piazza. Quindi la repressione violenta di manifestazioni pacifiche rimane all’ordine del giorno. Inoltre il ruolo che le donne dovrebbero avere per gli esponenti dell’Akp è molto chiaro. Erdogan ha invitato più volte le donne a fare almeno tre figli e proprio l’8 marzo ha dichiarato durante un evento pubblico che “l’uguaglianza tra donne e uomini è impossibile”, perché hanno una “natura” differente. Parole che hanno fatto un certo scalpore. Non è difficile pensare a quale sia il ruolo “naturale” della donna nella società per l’Akp che non fa certo abbastanza per contrastare il femminicidio, se pensiamo che da gennaio più 100 donne sono state uccise. Come sempre, gli assassini erano mariti o parenti maschi.

[le immagini a corredo dell’articolo sono tratte dal profilo di Alberto. Sono state scattate dall’intervistato al pride del 28 giugno a Istanbul, ringraziamo per la gentile concessione]

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