Guido Giannettini – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 11 May 2025 20:00:06 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Le false verità su Piazza Fontana https://www.carmillaonline.com/2017/12/12/le-false-verita/ Mon, 11 Dec 2017 23:01:39 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=42087 di Fiorenzo Angoscini

Andrea Sceresini, Nicola Palma, Maria Elena Scandaliato, Piazza Fontana, noi sapevamo. Golpe e stragi di stato. La verità del generale Maletti, Prefazione di Paolo Biondani, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, ottobre 2017, pag. 215, € 18,00

Nella raccolta di saggi e discorsi del più eminente scrittore cinese di inizio ‘900, simpatizzante del Partito Comunista, fondatore della Lega degli scrittori di sinistra, Lu Hsun un intervento si intitola ‘Ricordo per dimenticare’, che può essere, leggermente modificato in ‘Ricordo per offuscare’, per inquadrare l’intervista, condotta a sei mani, all’ ex capo dell’ufficio ‘D’ del Sid, militare di professione, per tradizione di [...]]]> di Fiorenzo Angoscini

Andrea Sceresini, Nicola Palma, Maria Elena Scandaliato, Piazza Fontana, noi sapevamo. Golpe e stragi di stato. La verità del generale Maletti, Prefazione di Paolo Biondani, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, ottobre 2017, pag. 215, € 18,00

Nella raccolta di saggi e discorsi del più eminente scrittore cinese di inizio ‘900, simpatizzante del Partito Comunista, fondatore della Lega degli scrittori di sinistra, Lu Hsun un intervento si intitola ‘Ricordo per dimenticare’, che può essere, leggermente modificato in ‘Ricordo per offuscare’, per inquadrare l’intervista, condotta a sei mani, all’ ex capo dell’ufficio ‘D’ del Sid, militare di professione, per tradizione di famiglia e vocazione giovanile.
Per evitare scorciatoie intellettualistiche, abbiniamo (con un paio di nostre ‘arbitrarie’ aggiunte) anche quanto letto recentemente in un servizio pubblicato sul settimanale di uno dei due più diffusi quotidiani nazionali, dedicato al rapper canadese Aubrey Drake Graham che, citando Albert Einstein, inizia così: “Il mondo non è minacciato (solo, nda) dalle persone che fanno il male ma (soprattutto, nda) da quelle che lo tollerrano”. Perchè, naturalmente, se non ci fossero i ‘malvagi’ non ci sarebbe bisogno degli ‘gnorri’.

Il ‘Capitano’ Maletti concede parzialmente la sua memoria, i suoi intermittenti ricordi ma, soprattutto, le sue reticenze ed omertosi silenzi. Quando non addirittura una spudorata sfacciataggine: “Generale, ma lei ha una memoria prodigiosa…Ci osserva uno a uno. Poi sorride: ‘Sì, certo. E’ chiaro. Ma solo quando mi fa comodo‘” (pag. 30, il neretto è nostro). Più volte, in termini simili, anche se con parole diverse, ma senza modificarne la sostanza, l’agente segreto ribadisce tale concetto. Oppure, indicando come sicuri testimoni ben informati, individui ormai morti.

La verità pilotata, già pubblicata la prima volta nell’aprile 2010 dall’editore Aliberti di Reggio Emilia, aveva subito sollevato entusiasti consensi,1 ma anche esplicite critiche.2
La rilettura, avvenuta dopo sette anni dalla prima uscita, permette di cogliere, ed evidenziare, pregi (ci sono) e difetti, sviste, dimenticanze, confuse frammistioni e contraddizioni esplicite presenti nel testo, ottenuto e trascritto, sostanzialmente, dalla sbobinatura di una lunga video intervista durata tre giorni, condotta nel novembre 2009 in Sudafrica, dai tre giornalisti italiani al latitante d’oro, emigrato di lusso.

L’elaborato di Sceresini, Palma e Scandaliato, ci permette di inquadrare e ricordare chi è, cosa ha fatto, perché e per quali reati è stato condannato (in via definitiva) l’ex numero due del Sid, e a capo dal 1971 al 1975, dell’ufficio “D”, quello che si occupava di controspionaggio.
L’Africa, per i Maletti (il padre Pietro e il figlio Gianadelio) è come una ‘seconda casa’, usata ed abusata.

Il generale Pietro “trascorse in questo continente gli anni più ruggenti della sua vita. Nel 1917, giovane maggiore reduce dal Carso, fu inviato nel deserto libico…Poi, nel 1935, finì in Somalia: combatté alla testa di un raggruppamento di ascari. Partecipò a numerosi scontri…Nel maggio 1937, fu proprio lui, il generale Pietro Maletti, a guidare le sue truppe all’assalto del monastero di Debra Libanos, poco lontano dalla capitale”. Eseguendo alla lettera gli ordini del vicerè d’Etiopia, Rodolfo Graziani, il teorico dello sterminio ed utilizzatore di gas tossici contro le popolazioni etiopi ed abissine, il militare italiano Maletti, passò per le armi 449 monaci.3 Mentre percorrono i circa 150 chilometri che separano Addis Abeba dalla città santa della chiesa copta di Debrà Libanòs, le truppe agli ordini del regio generale incendiano 115.422 tucul e tre chiese e ‘giustiziano’ 2523 ribelli. Secondo Angelo Del Boca “la pagina più odiosa del colonialismo italiano”. Per i suoi servigi, e criminali attività africane, il regime fascista gli ha conferito una medaglia d’oro, tre d’argento, due di bronzo: un eroe littorio, autentico colonialista.

Il figlio Gianadelio, sin dalla più giovane età, respira e cresce in un’atmosfera intrisa di grigio-verde e camicie nere. Mentre il padre, figlio di un militare, lo vorrebbe artigliere, il futuro agente segreto sceglie la fanteria, nei cui reparti rimarrà sempre fino a raggiungere il grado di generale. Nonostante la dichiarata allergia fisica alla stoffa delle uniformi. Allievo in Accademia, nelle scuole militari -suoi commilitoni: Vito Miceli ed Eugenio Cefis – e di guerra (Cesano, Modena, Civitavecchia, Milano, e Car di Como), distaccato in Val Camonica durante i primi mesi del secondo conflitto mondiale. Poi, Sicilia nel Reggimento fanteria della Divisione Aosta, già ‘comandata’ dal padre, e posto a capo della Compagnia arditi reggimentali.

Catturato il 26 luglio 1943, giorno successivo alla caduta del regime dopo le decisioni assunte dal Gran Consiglio del fascismo, viene internato in campi di prigionia gestiti da statunitensi.
Dopo la cattura nei pressi di Petrosino, mi condussero nei campi di concentramento americani, passai gli ultimi mesi di guerra in prigionia. A volte mi trovai davanti gli inglesi, altre i francesi, soprattutto durante i trasferimenti. Ma la gran parte del tempo la trascorsi sotto il controllo americano, in Tunisia, Algeria e Marocco”. E’ rimesso in libertà, da Camp Liotei di Casablanca, nell’agosto 1945.

E, forse, come spesso sostengono psico-sociologi moderni, il ‘recluso’ Maletti viene colpito da una sorte di Sindrome di Stoccolma e ‘prova un sentimento positivo nei confronti del proprio aggressore che può spingersi fino all’amore e alla totale sottomissione volontaria, instaurando in questo modo una sorta di alleanza e solidarietà tra vittima e carnefice’. Statunitense.
Conseguentemente, “vi posso raccontare di due esperienze formative, diciamo così, negli Stati Uniti. Nella prima occasione, fui assegnato alla Scuola di fanteria di Fort Benning, in Georgia, dove presi parte al cosiddetto corso avanzato di fanteria, durato circa un anno, dal 1949 al 1950. Ritornai negli States sette anni dopo, nel 1957, per frequentare la Scuola di Stato maggiore di Fort Leavenworth, in Kansas: ero insieme a un altro ufficiale italiano, e facevamo parte di un gruppo di settanta elementi provenienti da tutti i paesi del blocco occidentale…Poi, nel 1963, fui nominato addetto militare all’ambasciata italiana in Grecia”.

Anche in questo ‘estratto’ si può notare l’abilità oratoria ed omertosa dell’intervistato: ammette, rivela, la presenza di un altro ufficiale addestrato dagli amerikani senza indicarne il nome. Perché? Un agente da nascondere, coprire, occultare?
E dopo l’addestramento politico militare a casa dello Zio Sam, la trasferta nella penisola ellenica.
Nel periodo della sua permanenza presso l’ambasciata d’Italia ad Atene, i Colonnelli (aprile 1967) rovesciano il legittimo governo ed instaurano la dittatura militare. Un anno dopo (16 aprile 1968) un gruppo di studenti fascisti (gli stessi che gridano: Ankara, Atene, adesso Roma viene) , tra cui Mario Merlino, ospiti del Kyp, il servizio segreto greco, agenzia d’oltremare della Cia, in occasione del primo anniversario del putch partecipa ad un viaggio-premio (con contributo economico del Sid) e di studio delle strategie poliziesche repressive del regime.

Alcuni dei partecipanti alla gita oltremare, avevano preso parte (come uditori) al famigerato convegno dell’Hotel Parco dei Principi (maggio 1965) dedicato alla ‘Guerra Rivoluzionaria’, la cui seconda parte del titolo, che in moltissimi tendono a dimenticare, è: “Il terzo conflitto mondiale è già cominciato”.4 Che fosse stata dichiarata ‘la guerra’, e che fascisti, militari e ‘servizi’ la stessero conducendo (ognuno con le proprie armi, mezzi e strumenti) sono a dimostrarlo gli attentati dell’aprile alla Fiera di Milano e stazione Centrale, di agosto sui treni e dicembre 1969 alla Banca dell’Agricoltura, i tentativi di golpe (dicembre 1970) e tutte le altre iniziative (Freccia del Sud-Treno del Sole: luglio 1970, Peteano, Questura di Milano, Piazza della Loggia, golpe bianco, Italicus, stazione di Bologna, loggia Propaganda 2) per fermare l’avanzata Bolscevica. Con ogni mezzo necessario5 e con la scia di morti che hanno provocato.

Nel settembre dello stesso anno del golpe, colui che “si adoperò, a partire dal 1972, per sottrarre agli inquirenti le persone inquisite” (Istruttoria Salvini) rientra in Italia ed assume “il comando del Ventiduesimo reggimento fanteria Cremona” con “un battaglione dotato di carri armati americani M47 e di veicoli corazzati per fanteria M113, anch’essi americani ma prodotti dalla Oto Melara”. Maletti può dimostrare quanto appreso negli stage formativi seguiti in America a fine anni cinquanta-inizio sessanta.

Dal novembre 1968 al novembre 1970, direttore dell’ufficio addestramento dell’esercito. Nello stesso periodo compie viaggi ‘turistici’ in Jugoslavia “per rendermi conto delle bellezze naturali del paese, delle sue diversità etniche e delle condizioni di strade e ponti”. Un turista particolare, verrebbe da pensare… ”Niente di ufficiale”, puntualizza immediatamente.
Sempre nel novembre 1970 inizia il corso annuale, presso il Centro Alti Studi Militari, con viaggi di istruzione a Parigi, Normandia, Londra e Tunisia (auspice l’Eni). Non può partecipare ad un altro viaggio-studio in Svezia “perché su richiesta del generale Miceli, allora capo del Sid, il Ministero mi trasferì presso quel servizio prima che il corso del Casm fosse concluso”.

Così, il 15 giugno 1971 viene nominato responsabile dell’ufficio “D” (Controspionaggio) del Servizio Informazioni Difesa, e ci rimane fino al 30 ottobre 1975. Ed è qui, che compie il suo ‘magistero’, inteso come opera di maestria. Ed è per queste opere che viene, prima arrestato (28 febbraio 1976) per falso ideologico in atto pubblico e favoreggiamento personale (organizzazione e realizzazione fuga) nei confronti di due imputati per la strage alla Banca dell’Agricoltura, Guido Giannettini (Agente ‘Z’) e Marco Pozzan (l’uomo di Freda a Padova) quindi condannato, in via definitiva ad un anno con la condizionale, interamente condonato.

Un’altra condanna definitiva, a 9 anni di reclusione, la ‘merita’ nel 2003 per sottrazione di documenti riservati appartenenti al dossier (redatto nel 1974-75) Mi.Fo.Biali (Miceli, Foligni, Libia) relativo ad un traffico di petrolio con la Libia.6 Documenti finiti misteriosamente nelle mani di Carmine Mino Pecorelli (prima ‘nemico’, poi ‘sopportato’ di Maletti), piduista, fondatore dell’agenzia di stampa Osservatorio Politico Internazionale, poi spregiudicato ed ambiguo giornalista-editore-proprietario del settimanale, in odore di finanziamenti da parte del ‘Servizio’, Osservatorio Politico che ne pubblica ampi stralci. Pecorelli viene ucciso con quattro colpi di pistola la sera di martedì 20 marzo 1979. Curiosamente, Maletti che non è più, ufficialmente, un effettivo del ‘servizio’, viene ‘casualmente’ informato dell’omicidio Pecorelli, da un agente in servizio, il ‘suo’ capitano Labruna.

Il giovedì successivo il settimanale ‘spazzatura’ doveva proporre ai lettori un servizio esplosivo contro Giulio Andreotti. Maletti sostiene che Pecorelli gli confidò di come Licio Gelli, per conto di Andreotti, gli offerse una ‘mancia’ per non far uscire quel numero della rivista. Che, per la sopraggiunta scomparsa dell’autore, non venne provvidenzialmente stampato. Giulio Andreotti, condannato in primo grado all’ergastolo, quale mandante dell’omicidio, viene assolto in Appello.

Nel mese di aprile del 1980 Maletti inizia la sua latitanza-trasferimento-esilio in Sudafrica. Dal ‘paese dei diamanti’, rientrò in Italia solo una volta, marzo 2001, per testimoniare al quinto processo per la strage di Milano: “Dietro la strage c’era l’ombra della Cia…Gli americani sapevano tutto. Conoscevano i neofascisti e li incoraggiavano. Furono loro a fornire l’esplosivo…Sono qui perché amo la patria”. Dopodiché, indisturbato, grazie ad uno speciale salvacondotto (rilasciato da chi?) secondo il quale nessuno avrebbe potuto arrestarlo nonostante le condanne, tornò nel paese dell’Africa meridionale, dove tutt’ora si gode il suo personale buen retiro.

La ricostruzione dei tre giornalisti ricorda (oltre a quanto già riportato) alcune situazioni delicate: la vicenda dell’aereo ‘Argo 16’, il taxi di Gladio. Nome in codice di un aereo Douglas C 47 dell’Aeronautica Militare italiana precipitato a Marghera il 23 novembre 1973, causando la morte dei quattro membri dell’equipaggio e sfiorando un disastro ambientale (la caduta si verificò molto vicino ad un bunker per lo stoccaggio del fosgene nel polo petrolchimico). Secondo fonti giornalistiche e l’opinione di Francesco Cossiga, abbattuto per vendetta dai ‘servizi’ Israeliani.

E poi: lo svuotamento, da parte del padre del neofascista Gianni Casalini (per il Sid, fonte “Turco”) del deposito di Venezia – pieno di esplosivo di origine americana proveniente dalla Germania, quasi sicuramente utilizzato per il massacro del 12 dicembre 1969 – grazie all’imbeccata di un capitano dell’arma, Manlio Del Gaudio.
L’ammissione, ermetica e semi-omertosa, nonché deviante dell’ex capo dell’ufficio ‘D’ che in Piazza Fontana “erano in quattro”, senza naturalmente specificare chi fossero quei quattro.

La quasi inutile intervista ad Ivano Toniolo, ‘rintracciato’ dai tre autori in Angola dopo la loro missione sudafricana, fascista della cellula padovana di Ordine Nuovo e che, secondo Casalini, era stato il suo complice nel posizionare gli ordigni sui treni (8-9 agosto 1969).
Il ruolo dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero degli Interni, soprattutto del suo numero due (come Maletti) braccio destro del ‘capo’ Federico Umberto D’Amato, Silvano Russomanno, “Aveva militato nelle SS italiane, credo”.
La sera del 12 dicembre 1969, Russomanno venne mandato a Milano: il suo compito era quello di gestire le prime indagini. E forse, ha ipotizzato qualcuno, i primi depistaggi” .7

La ricostruzione del falso arsenale comunista di Camerino. Allestito dai carabinieri…
Ma…in ordine sparso, sono da ricordare anche certe sviste, dimenticanze e affermazioni, non proprio minori e non sempre ‘neutrali’. Ne evidenzieremo alcune.
Già in prefazione (non degli autori) un’affermazione stonata quando si paragona il 12 dicembre 1969 all’11 settembre 2001.

Un ‘altra sottolineatura fuori luogo è indicare “servizi segreti deviati” portando come testimonianza anche quella di Vincenzo Vinciguerra8 il quale precisa: “La linea terroristica veniva eseguita da infiltrati, da persone che stavano all’interno degli apparati di sicurezza dello Stato. Dico che ogni singolo scandalo, a partire dal 1969, ben si adattava a una matrice organizzata: non parliamo di elementi deviati, ma dello Stato e dell’Alleanza atlantica”.
Sempre a supporto di ‘deviazione statale’, quando ricordano gli avvenimenti terroristici (pag. 22) del periodo 1969 (Piazza Fontana) – 1980 (Stazione Bologna) ‘dimenticano’ i sei morti e i 66 feriti dell’attentato compiuto contro la ‘Freccia del Sud-Treno del sole’ (22 luglio 1970) e la strage del treno Italicus (4 agosto 1974, due mesi dopo Piazza della Loggia) che provocò la morte di 12 viaggiatori e il ferimento di un’altra cinquantina.

Un’altra ‘giustificazione a posteriori’ che, ‘servizi’, fascisti, complici e conniventi, nonché utili idioti e furbastri di ogni specie, tentano di spacciare (lo fa anche Maletti nell’amichevole colloquio), è quella relativa al non prevedibile esito dello scoppio e non volontarietà di provocare morti, cercando di accreditare la scopo dimostrativo della bomba, perché la banca, solitamente, a quell’ora è chiusa. “Milano, piazza Fontana. Il 12 dicembre è un venerdì. La Banca Nazionale dell’Agricoltura, a pochi passi dal Duomo, quel giorno resta aperta più del solito” (pag. 71) “La strage è avvenuta per caso” . (pag. 82)

Un volgare, e poco intelligente tentativo di ribaltare la realtà delle cose. Il venerdì pomeriggio la BNA resta sempre aperta per il mercatino degli agricoltori:9 lavoratori della terra, allevatori, produttori di sementi, materie prime e mangimi bilanciati, mediatori, agronomi, periti agrari e veterinari si incontrano nella sala della banca per partecipare alla borsa merci dei prodotti agricolo-zootecnici. L’allegato articolo del 13 dicembre 1969 del Corrierone lo certifica e conferma. 10
Così come stupefacente è la motivazione per cui né Giannettini, né Pozzan (i due esfoliati da Maletti) non possono essere gli autori del posizionamento della bomba. Alla sua tesi, ribattono:“Come fa ad esserne sicuro? La strabiliante risposta: “Entrambi erano dei pavidi” . (pag. 80)

Altre affermazioni ‘sensazionali’ sono quelle relative alla fede anarchica di Mario Merlino: “…gli anarchici Mario Merlino…” (pag. 177) e al filosovietismo di Giangiacomo Feltrinelli.
I sovietici, ai quali Feltrinelli stava a cuore…” (pag. 169).
Che il Circolo 22 Marzo di Roma fosse un organismo anarchico è una ‘verità’ assoluta, che fosse infiltrato da fascisti (Merlino) e poliziotti (Salvatore Ippolito) è, purtroppo, un altro reale dato di fatto. Questo non promuove Merlino a militante anarchico.
Sulla appartenenza ‘terzomondista’ e, quindi, non ‘sovietista’ di Feltrinelli, c’è abbondante materiale (e il suo curriculum) che lo certifica.

Ma quello che andava sicuramente evitato è quanto riportato a pag. 199. “Ha scritto qualcuno: ‘La giustizia è come un timone. Dove lo giri, va‘”.
La definizione è di Lao Tze, filosofo e scrittore cinese ma, soprattutto, utilizzata come titolo di uno dei primi contributi ‘rumorosi e teorici’ (anche se firmato Fronte Popolare Rivoluzionario) di Franco Freda ritenuto dall’ultimo processo, anche se non più punibile perché già precedentemente assolto, tra gli autori della strage di Piazza Fontana.

E Marco Nozza ricorda: “Nello scatolone del Viminale numero 19 (nero) e 51 (rosso) c’erano molti ritagli di giornale…e la cosa più sbalorditiva era che su quei pezzetti di carta un pennarello nero aveva tracciato, vistosamente e vibratamente, il segno inconfondibile di quelle tre lettere Fpr…mentre noi pistaroli avevamo scarsa dimestichezza con quella sigla, gli Affari riservati mostravano di averne molta, fin troppa…parlavamo sempre di pista veneta, pista nera, di neofascisti padovani e trevigiani, mai parlavamo di Fpr, ossia Fronte Popolare Rivoluzionario”.11
In poche righe, è svelato un arcano. Chi doveva e poteva sapere, sapeva. Faceva, o aveva fatto.

Al termine di queste note, riflettendo sui modi, scopi ed esiti della lunga intervista, ci ritorna un ammonimento di Bertolt Brecht: “Chi ai nostri giorni voglia combattere la menzogna e l’ignoranza e scrivere la verità, deve superare almeno cinque difficoltà. Deve avere il coraggio di scrivere la verità, benché essa venga ovunque soffocata; l’accortezza di riconoscerla, benché venga ovunque travisata; l’arte di renderla maneggevole come un’arma; l’avvedutezza di saper scegliere coloro nelle cui mani essa diventa efficace; l’astuzia di divulgarla fra questi ultimi. Tali difficoltà sono grandi per coloro che scrivono sotto il fascismo, ma esistono anche per coloro che sono stati cacciati o sono fuggiti, anzi addirittura per coloro che scrivono nei paesi della libertà borghese”.12 .
Infine poche considerazioni ‘editoriali’. Ci ha stupito non trovare nessun rimando alla prima edizione. Così come ci è sembrato strano che si sia eliminato l’indice ragionato dei nomi principali e
l’indice dei nomi (sempre utilissimo) ed è stata ridotta ad una paginetta scarsa (termina al 26 ottobre 1962 con la morte di Enrico Mattei) la cronologia, prima ricca di ben 10 pagine.
Misteri di un libro sui…misteri?

Per cercare di comprendere meglio la situazione, le dinamiche precedenti e conseguenti che hanno portato alla strage di Piazza Fontana, il contesto politico in cui è maturata, da chi è stata compiuta, chi e come ha favorito e coperto gli organizzatori ed esecutori, suggeriamo la lettura (o rilettura) di una serie di opuscoli, dossier, inchieste condotte da collettivi o comitati politici a ridosso di quell’avvenimento. Evidenziando, esclusi i primi due, quelli di G.C. Feltrinelli, e gli ultimi due, la data di pubblicazione. Praticamente da subito, erano stati individuati e si sapeva chi erano i responsabili. Negli anni e nei decenni, successivi, grazie soprattutto all’intelligente, meticoloso e preciso lavoro di alcuni giornalisti d’inchiesta: Marco Nozza (Il Giorno), Camilla Cederna (L’Espresso), Giulio Obici (Paese Sera), Marcella Andreoli (L’Avanti!), Mauro Brutto (L’Unità), Corrado Stajano (Il Mondo e Tempo Illustrato) e tutto il collettivo che animava e partecipava all’attività del ‘bollettino di controinformazione democratica’ del movimento dei ‘giornalisti democratici’ di Milano, si sono potuti aggiungere particolari e nuovi elementi, ma la sostanza era quella subito individuata.
Molti altri contributi: articoli, inchieste, pubblicazioni a stampa di case editrici prestigiose e di giornalisti ufficiali, sono più facilmente reperibili e, forse, più conosciuti di quelli sotto ricordati. Solo per questo non li elenchiamo.

Giangiacomo Feltrinelli, La politica al primo posto. “Persiste la minaccia di un colpo di Stato in Italia!”, Libreria Feltrinelli, Milano, 1968;

Giangiacomo Feltrinelli, La politica al primo posto. “Estate 1969: la minaccia incombente di una svolta radicale e autoritaria a destra, di un colpo di Stato all’italiana. Le ragioni e i modi con cui si tenterà di imporre un regime autoritario in Italia, Libreria Feltrinelli, Milano, 1969;

La strage di stato. Controinchiesta, La nuova Sinistra-Samonà e Savelli, Roma, giugno 1970

Crocenera Anarchica, Le bombe dei padroni. Processo popolare allo stato italiano nelle persone degli inquirenti per la strage di Milano, Biblioteca delle collane ‘Anteo’ e ‘La Rivolta’, La Fiaccola edizioni, Ragusa, agosto 1970;

Vincenzo Nardella, Noi accusiamo! Contro requisitoria per la strage di stato, Jaca Book, Milano, 1971;

Milano e Roma-12 dicembre 1969. La strage di stato voluta dai padroni. Pinelli assassinato, Umanità Nova, 20 ottobre 1971;

Fotostoria 1969-1972 . Dalla strage alle elezioni. Da Valpreda a Feltrinelli. Il fascista, sicario della strage, è certamente tra queste foto. Giochi di potere intorno a un processo pericoloso: 16 assassinati-2 suicidati-5 provocatori-4 ammazzati-634 testimoni-180 giornalisti-21 fotografi-Inoltre: spie, commissari, presidenti, generali, fascisti, ministri, sicari, maggioranze silenziose e loquaci, Sapere Edizioni, Milano, Anno I, n° 1- marzo 1972;

Valpreda è innocente: la strage è di stato. Giustizia proletaria contro la strage dei padroni. Guida al processo a cura del Soccorso Rosso. Numero unico edito dal Comitato Nazionale di Lotta sulla strage di stato-Soccorso Rosso-presso LIDU, piazza Santi Apostoli, 49 Roma, senza data (ma 1972);

Chi è nella Cia. Who’s who in Cia. L’elenco completo dei 3.000 agenti militari e civili del Servizio Segreto americano operante in oltre 120 stati, Napoleone Editore, Roma, 1972

Padova: Comitato di Documentazione Antifascista, Il silenzio di stato, Edizioni Sapere, Milano, febbraio 1973;

Maquis, mensile d’informazione politica militare internazionale, Chi farà il vero colpo di stato? La strage della guerra psicologica, n.1 giugno 1974, Milano;


  1. http://ilblogdinandomainardi.blogspot.it/2011/05/recensione-di-piazza-fontana-noi.html  

  2. http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-piazza_fontana_noi_sapevamo..php  

  3. Studi recenti, condotti all’inizio degli anni novanta, indicano in 1.400-2.000 i morti della strage  

  4. E. Beltrametti (a cura di) La guerra rivoluzionaria. Il terzo conflitto mondiale è già cominciato, Atti del primo convegno organizzato dall’ Istituto Pollio, Giovanni Volpe Editore, Roma, 1965  

  5. Elio Franzin, Mario Quaranta, Gli attentati e lo scioglimento del parlamento, Pamphlets-Diffusione sbl, Padova-Roma, 1970  

  6. Mario Foligni, fondatore di un Nuovo Partito Popolare, voleva contrastare, da destra, la Democrazia Cristiana  

  7. Gabriele Fuga, Enrico Maltini, Pinelli. La finestra è ancora aperta, Colibrì Edizioni, Paderno Dugnano (Mi) dicembre 2016  

  8. ‘Soldato politico’, come ama definirsi, già militante di Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale, autore reo confesso dell’azione di Peteano-Frazione Sagrado (Go) del 31 maggio 1972, quando, in seguito all’esplosione di un’auto bomba, persero la vita tre carabinieri, oltre a due feriti  

  9. https://www.ildeposito.org/archivio/canti/piazza-fontana-luna-rossa  

  10. http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerArticolo.php?storyId=4d9f21347a581  

  11. Marco Nozza, Il pistarolo,. Da Piazza Fontana, trent’anni di storia raccontati da un grande cronista, Introduzione di Corrado Stajano, il Saggiatore, Milano, novembre 2006  

  12. Bertolt Brecht, Scritti sulla letteratura e sull’arte, Einaudi, Torino, 1973  

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La strategia della tensione e i mezzi di informazione. “Guerra psicologica” e controinformazione https://www.carmillaonline.com/2016/08/24/la-strategia-della-tensione-mezzi-informazione-guerra-psicologica-controinformazione/ Wed, 24 Aug 2016 21:30:38 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=32570 di Alberto Molinari

eco_del_boato_coverMirco Dondi, L’eco del boato. Storia della strategia della tensione 1965-1974, Laterza, Roma-Bari, 2015, pp. 445, € 28,00.

Sei stragi che provocarono 50 morti e 346 feriti (dalle bombe di Piazza Fontana a Milano, 12 dicembre 1969, a quelle sul treno Italicus a San Benedetto Val di Sambro, 4 agosto 1974), diverse minacce o tentativi di colpo di Stato, uno stillicidio di attentati e atti di violenza segnarono quella trama eversiva definita per la prima volta dal quotidiano inglese “The Observer”, all’indomani di Piazza Fontana, come “strategia della tensione”: è [...]]]> di Alberto Molinari

eco_del_boato_coverMirco Dondi, L’eco del boato. Storia della strategia della tensione 1965-1974, Laterza, Roma-Bari, 2015, pp. 445, € 28,00.

Sei stragi che provocarono 50 morti e 346 feriti (dalle bombe di Piazza Fontana a Milano, 12 dicembre 1969, a quelle sul treno Italicus a San Benedetto Val di Sambro, 4 agosto 1974), diverse minacce o tentativi di colpo di Stato, uno stillicidio di attentati e atti di violenza segnarono quella trama eversiva definita per la prima volta dal quotidiano inglese “The Observer”, all’indomani di Piazza Fontana, come “strategia della tensione”: è questo l’oggetto della ricerca di Mirco Dondi, docente di Storia contemporanea e direttore del Master di comunicazione storica all’Università di Bologna. L’”eco del boato”, richiamato nel titolo, è «tutto ciò che lascia l’esplosione dopo il suo scoppio». «Un rilevante atto terroristico – scrive Dondi – proietta il suo peso sui principali eventi dell’agenda politica, caricandoli dei significati generati dall’atto criminale. L’attentato produce un effetto domino sulla scena pubblica che ne esce completamente reinterpretata» (p. 3). L’”eco del boato” è quindi il cuore della strategia della tensione che l’autore ricostruisce nei suoi risvolti teorici, nelle sue pratiche e nei suoi obiettivi lungo il decennio 1965-1974. Attraverso il ricorso ad un’ampia bibliografia e l’intreccio di numerose fonti – atti delle commissioni di inchiesta, documenti giudiziari, rapporti di polizia, stampa nazionale e internazionale, memorialistica e saggistica coeva – la ricerca analizza il comportamento dei diversi attori coinvolti nell’elaborazione e nella realizzazione delle strategia della tensione, dai soggetti politici e istituzionali, agli apparati militari e alle organizzazioni neofasciste. Attori che si mossero con disegni a volte diversi, ma con una comune volontà di condizionare o modificare radicalmente lo scenario politico, minando in senso antidemocratico l’assetto politico repubblicano.

La prima parte del volume è dedicata alle origini e ai presupposti teorici della strategia della tensione, maturati nel clima della guerra fredda quando l’Italia divenne di fatto un paese a sovranità limitata, condizionato dalla strategia anticomunista promossa dagli Stati Uniti tramite la Cia e strutture occulte come la rete militare Stay behind. Nella parte più corposa del testo (cinque capitoli) Dondi analizza la strategia della tensione in atto, tra il 1969 e il 1974, ricondotta in un quadro di insieme grazie ad un solido filo narrativo che riordina una materia estremamente complessa, individuandone le linee di fondo, l’evoluzione, le diverse articolazioni, contraddizioni e sfumature, poste in relazione ai mutamenti delle dinamiche politiche e del contesto sociale. Nella densa trattazione di Dondi, tra i numerosi temi e spunti interpretativi che meriterebbero di essere segnalati, ci soffermiamo sull’analisi del ruolo dell’informazione, un aspetto centrale e innovativo della ricerca, rivolto soprattutto all’ambito della carta stampata (sono oltre cento le testate, nazionali e internazionali, citate dall’autore).

I mezzi di informazione svolsero un ruolo rilevante nella guerra psicologica, fondamentale strumento, insieme alla guerra non ortodossa, della strategia della tensione. Messe a punto negli anni Cinquanta dal Pentagono, le caratteristiche della guerra non ortodossa (definita anche guerra rivoluzionaria) e della guerra psicologica furono al centro del convegno organizzato a Roma nel maggio 1965 dall’istituto Pollio – considerato l’«atto fondativo della strategia della tensione» (p. 49) – al quale parteciparono numerosi protagonisti della stagione eversiva: estremisti neri come Pino Rauti e Stefano Delle Chiaie, militari come il generale Giuseppe Aloia e il colonnello Amos Spiazzi, uomini dei servizi come Guido Giannettini.
La guerra non ortodossa prevedeva la pianificazione di strutture paramilitari e la realizzazione di azioni “coperte” «decise da una selezionata cerchia di èlites militari e politiche, al di fuori delle procedure istituzionali e all’oscuro del parlamento» (p. 7). Pensata inizialmente in funzione difensiva rispetto a un ipotetico attacco dell’Urss, negli anni Sessanta la guerra non ortodossa venne concepita come uno strumento rivolto anzitutto contro il “nemico interno” (le sinistre, in primo luogo il Pci). Il suo scopo era destabilizzare il quadro politico attraverso azioni terroristiche attribuite, secondo il meccanismo della provocazione, al “nemico”, per poi stabilizzare, modificando gli equilibri politici in senso conservatore o autoritario, se necessario anche attraverso azioni golpiste.

Nella strategia della tensione, la guerra non ortodossa rappresentava il momento dell’azione, quella psicologica il resoconto dell’azione inteso come una forma di condizionamento e di persuasione attuata attraverso la strumentalizzazione della paura e del senso di insicurezza generati dall’atto terroristico. Un compito decisivo spettava ai mezzi di informazione che dovevano diffondere l’allarme per il disordine, imporre una versione “ufficiale” degli eventi funzionale alle demonizzazione del “nemico” additato come responsabile del caos, spingere l’opinione pubblica verso una richiesta di ordine.
All’interno della guerra psicologica, nota Dondi, la narrazione pubblica dell’evento assume un ruolo fondamentale: «la notizia sovrasta l’attentato perché l’andamento del “conflitto” dipende dal significato che si attribuisce all’atto violento: l’informazione è responsabile dell’esito finale. […] La guerra psicologica giunge al suo esito quando la prefabbricata costruzione degli eventi permea il senso comune. Se le versioni di un evento entrano in forte conflitto tra loro, sia per le dinamiche della ricostruzione sia per il peso bilanciato delle testate che le sostengono, l’obiettivo rischia di non essere raggiunto» (p. 63). Risultava perciò indispensabile pianificare il flusso delle informazioni, a partire dalle agenzie di stampa – spesso legate agli ambienti di estrema destra e ai servizi segreti nazionali e statunitensi – in grado di realizzare la prima «trasformazione del fatto accaduto in notizia» (p. 76) attraverso la selezione e la manipolazione delle informazioni da veicolare alle testate giornalistiche.

Secondo le indicazioni scaturite dal convegno romano, i mezzi di informazione avrebbero dovuto «additare il nemico all’opinione pubblica, denunciandone la permanente minaccia» e costruendone «una visione ossessiva e unidimensionale»; in linea con l’impostazione teorica della guerra psicologica, dalla trasformazione dell’avversario politico in nemico assoluto discendeva «la sua criminalizzazione e l’invenzione di un suo progetto cospirativo» (p.70).
Analizzando la composizione dei convegnisti presenti al Pollio appare con evidenza la connessione tra ispiratori delle trame eversive e sistema informativo. Oltre a giornalisti di esplicita tendenza neofascista (come Mario Tedeschi, direttore de “Il Borghese”), al convegno parteciparono i direttori di sei quotidiani (“Il Messaggero”, “Il Tempo”, “La Nazione”, “Roma”, “Il Giornale d’Italia”, “Il Corriere lombardo”) rilevanti per la loro complessiva diffusione, per la dipendenza da poteri economici “forti”, per i rapporti che legavano alcuni organi di stampa ai servizi segreti. Nel 1969, l’anno di Piazza Fontana, saranno queste ed altre testate, che Dondi definisce edotte, al corrente delle strategie, oltre a quelle consenzienti (come il “Corriere della Sera”) – portate ad accettare acriticamente la versione ufficiale degli eventi, per conformismo o convenienza – a convogliare la guerra psicologica diffondendo le notizie pianificate dalle autorità politiche e militari.

2. Il-Corriere-della-Sera_13-dicembe1969La stagione stragista matura in contrapposizione ai movimenti sorti nel biennio 1968/’69, culminato nelle lotte dell’”autunno caldo”. Subito dopo la strage di Piazza Fontana la stampa amplifica il messaggio del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat che suggerisce un nesso tra manifestazioni di piazza, disordine e terrorismo per indirizzare l’opinione pubblica su una linea di ritorno all’ordine. Il Quirinale individua i precedenti della strage negli attentati di aprile a Milano, nelle bombe sui treni di agosto, nella morte dell’agente Annarumma, una «tragica catena», secondo le parole di Saragat, che funge da «elemento di raccordo dotato di funzione persuasiva» (p. 162). Diversi quotidiani riprendono l’intervento presidenziale descrivendo un paese in preda al caos, invocando provvedimenti di emergenza e rafforzando la linea narrativa del Quirinale attraverso allusioni alla pista anarchica che si tenta di avvalorare con un posticcio riferimento storico, l’attentato al teatro Diana di Milano del 23 marzo 1921, che aveva provocato 21 morti (si trattava di un gruppo di anarchici individualisti – estranei all’Unione anarchica italiana – che miravano a colpire il questore). La “tragica catena” «si arricchisce così di un nuovo contundente anello che si pone come presupposto di colpevolezza e serve a conferire credibilità alla pista anarchica prima ancora che siano gli inquirenti a rivelarla» (p. 163).
Oltre alle categorie interpretative, all’indomani della strage la stampa fa leva sull’emozione suscitata dall’evento. Titoli cubitali, immagini raccapriccianti, aggettivi ricorrenti (bestiale, orrendo, mostruoso, già presenti nel messaggio di Saragat) «rinfocolano una fenomenologia delle passioni utile a scuotere il panorama politico» (p. 172). Come nota Dondi, la strage è indiscutibilmente orrenda, ma il comune ricorso a quegli aggettivi, in luogo di altre possibili varianti, rimanda all’interpretazione dell’evento veicolata dal discorso presidenziale.

3. FOTO VALPREDANei giorni successivi l’arresto di Valpreda e la morte di Pinelli offrono altri due anelli alla “tragica catena”: alla matrice politica a cui si allude dal 13 dicembre, si aggiungono un “colpevole” e un “suicida”, secondo la versione della questura che presenta la morte dell’anarchico come un’”autoaccusa”.
La morte di Pinelli viene comunicata il 16 dicembre dalla Tv di Stato, senza avanzare alcun dubbio sulla tesi della questura. In serata arriva in diretta, nel momento di massimo ascolto, l’annuncio dell’arresto di Valpreda, attraverso il servizio dell’inviato Bruno Vespa che apre la strada alla «lapidazione» dell’anarchico sulla stampa (p. 189). Dondi analizza in modo puntuale la costruzione del “mostro” anarchico, a partire dal ricorso alle immagini. L’istantanea più utilizzata dai giornali ritrae Valpreda mentre protesta davanti al palazzo di Giustizia di Roma. Valpreda appare «seduto con un giubbotto sportivo, un po’ spettinato, indossa pantaloni bianchi, ha un medaglione in petto in stile beat con la “a” di anarchia mentre saluta con il pugno chiuso: un uomo agli antipodi del comune borghese». Poiché è additato come certamente “colpevole”, «in quell’immagine così efficace e sovrabbondante di simboli c’è la firma inequivocabile. Il ritratto di militanza cambia significato diventando contesto di crimine. Da qui si va per estensione: […] l’estremismo o l’essere fuori dagli schemi diviene marchio di delinquenza. Valpreda con il pugno chiuso è la più potente schedatura mediatica mai realizzata» (p. 192). La strumentalizzazione di Valpreda avviene anche attraverso altre immagini, come quella pubblicata su “Il Tempo”: alla fotografia scattata in ospedale del bambino Enrico Pizzamiglio, che a causa della strage ha perso una gamba, è affiancata, in taglio fototessera, l’immagine di Valpreda: «L’effetto è notevole. L’anarchico è raffigurato con un viso torvo, i capelli sempre scompigliati, la poca luce tra il collo e il mento – oltre al fondo scuro – ne accentuano la ruvidezza, mettendo in risalto la barba appena incolta. A fianco il volto candido, innocente e sofferente del piccolo Enrico» (p. 194).

4. valpredapress2Per distruggere la dignità di Valpreda la stampa scava nella sua vita privata, enfatizza, come marchio di derisione, la sua breve esperienza come “ballerino” (“il ballerino dinamitardo”, titola “Il Giornale d’Italia”) e insiste sulla precarietà dei suoi impieghi per farlo apparire come un velleitario, un fallito. Viene evidenziato anche il suo soprannome (“Cobra”) per delineare «un ritratto da fumetto di avventura», come nella prosa del “Tempo”: «cobra per la sua capacità mimetica, per l’abilità con cui camuffava il suo credo estremista» (p. 199).

A ridosso della strage di Milano poche testate (come “Il Giorno”, “La Stampa”, “Il Mondo”) mantengono un margine di autonomia, cercando di offrire una propria interpretazione dei fatti, e solo la stampa di opposizione (“l’Unità”, “Lotta Continua”, “il Manifesto”, “L’Espresso” e altri giornali legati alla sinistra) contrasta, per ragioni diverse, le versioni ufficiali. In breve tempo però l’attentato del 12 dicembre, l’arresto di Valpreda e la morte di Pinelli producono mutamenti anche nel mondo dell’informazione.
Dondi dedica diverse pagine all’analisi della controinformazione, primo ed efficace tentativo di contrastare la guerra psicologica (per una storia dettagliata della controinformazione negli anni Settanta, si veda A. Giannuli, Bombe ad inchiostro, Milano, Rizzoli, 2008). A Milano e a Roma nascono i comitati dei giornalisti democratici, che si propongono di ripensare e rinnovare la professione, restituendole autonomia e valore civile. Gli eventi milanesi sono l’occasione per una «ridefinizione del concetto di informazione» (p. 220) che cambia radicalmente il modo di concepire il giornalismo. I comitati, che contano su numerose adesioni tra i giornalisti professionisti, in gran parte collocati a sinistra, e su un proprio organo di riferimento (“Bcd”, Bollettino di controinformazione democratica), avviano un importante lavoro di inchiesta, di ricerca della verità sullo stragismo e di denuncia dei meccanismi di manipolazione della notizia, con l’intento di rovesciare il senso comune presente nell’opinione pubblica.

5C strage di stato cInsieme alla controinformazione democratica, nasce la controinformazione militante promossa da giornalisti professionisti e esponenti delle formazioni di estrema sinistra che, richiamandosi ai principi del ’68, svolgono un lavoro di raccolta di informazioni dal basso, utilizzano fonti alternative e contano sulla raccolta di notizie che proviene da un ampio bacino di militanti. In questo contesto prende forma il collettivo che produrrà il volume La strage di Stato, il libro simbolo della controinformazione, uscito il 13 giugno 1970. Il gruppo che realizza il lavoro, incrociandosi con l’inchiesta sulla morta di Pinelli condotta da “Lotta continua”, svolge un capillare lavoro di raccolta e di elaborazione di notizie che provengono da semplici militanti, sindacalisti, docenti universitari, avvocati e magistrati democratici, si avvalgono di informazioni raccolte nelle carceri, di indiscrezioni provenienti da diversi ambienti ai quali i militanti riescono ad avere accesso. Informazioni sulle relazioni tra l’Ufficio affari riservati (Uaarr), il servizio segreto civile, e il gruppo neofascista Avanguardia nazionale giungono dal Sid, il servizio segreto militare. Si tratta però di un’operazione di depistaggio – nell’ambito della rivalità tra servizi, resa più acuta dalla strage di Milano – realizzata per coprire Ordine nuovo, la formazione neofascista legata al Sid da cui provengono gli autori della strage di Milano, e scaricare le responsabilità sull’Uaarr, che intrattiene rapporti privilegiati con Avanguardia nazionale.
Anche se la pista Uaar-An seguita dalla redazione di La strage di Stato impedisce al gruppo di individuare i reali esecutori della strage, il lavoro di inchiesta raggiunge importanti risultati nella decostruzione della pista anarchica e della versione ufficiale sulla morte di Pinelli. Come sottolinea Dondi, grazie al successo politico ed editoriale del libro la controinformazione militante, insieme a quella democratica, inizia a produrre nell’opinione pubblica un mutamento rispetto all’interpretazione dominante. Le tesi della controinformazione vengono riprese e approfondite da altre testate della sinistra tradizionale e di opinione e stimolano la diffusione di libri-inchiesta, film, documentari, spettacoli teatrali, canzoni che contribuiscono ad incrinare ulteriormente la versione dei fatti veicolata attraverso la guerra psicologica.

Nelle successive fasi della stagione stragistica muta progressivamente il ruolo dei mezzi di informazione. Dopo la strage di Peteano, eseguita dagli ordinovisti contro i carabinieri il 31 maggio 1972, «i quotidiani conservatori cercano la strumentalizzazione politica del caso, ma in forma minore rispetto al 1969. Manca il peso del “Corriere della Sera” che dal marzo 1972, con la direzione di Piero Ottone, comincia a percorrere una linea più autonoma dal governo» (p. 293).
Lo sviluppo impressionante delle azioni violente ad opera dello squadrismo neofascista, la diffusione delle tesi della controinformazione che alimentano la mobilitazione antifascista, l’avvio dell’inchiesta della magistratura milanese che orienta le indagini su Piazza Fontana verso il neofascismo contribuiscono a far crescere anche nella stampa di opinione l’allarme nei confronti delle minacce eversive che provengono da destra. «Dalla metà del 1972 all’estate del 1974 – scrive Dondi – la minaccia nera viene progressivamente percepita, nella sua reale pericolosità, da larga parte dell’opinione pubblica. Da questo momento in poi le azioni di marca terroristica dell’estrema destra divengono aperte, chiaramente attribuibili, e processi di mascheramento e di inversione di responsabilità sempre meno credibili» (p. 303).
Nell’aprile 1973 fallisce l’attentato al treno Torino–Roma (viene arrestato il neofascista Nico Azzi, rimasto ferito nel tentativo di far esplodere la bomba che doveva essere attribuita all’estrema sinistra). Il mese successivo l’attentato alla questura di Milano non suscita l’ampio schieramento di stampa confluito sulla linea desiderata dagli strateghi della tensione dopo Piazza Fontana. Nonostante il tentativo di alcuni giornali, come “Il Resto del Carlino”, “Il Tempo e “Il Secolo d’Italia”, di sostenere la tesi dell’anarchismo di Bertoli, l’autore della strage, la fede anarchica dell’attentatore appare subito dubbia: «Gli eventi stragisti e il loro lungo strascico hanno cambiato in maniera sensibile la stampa d’opinione» (p. 320).

6A STRAGE brescia xL’attentato alla questura è l’ultima strage costruita secondo il copione di Piazza Fontana (regia istituzionale, esecutori “neri”, responsabilità da rovesciare sull’estrema sinistra). Cessate le «stragi di provocazione», finalizzate allo scambio di attribuzione dei responsabili, il 1974 si caratterizza per le «stragi di intimidazione dove l’esecuzione nera, anche se non apertamente rivendicata, appare incontrovertibile». L’obiettivo finale rimane il medesimo (modificare i tratti istituzionali del sistema), ma si è passati «da un tentativo di spostare il consenso attraverso la manipolazione degli eventi e la riproduzione del suo effetto distorto sui mezzi di informazione a un attacco frontale, con l’esibizione della propria forza d’urto. E’ saltato il passaggio intermedio nel quale i media dovevano convincere i cittadini sulla necessità di un intervento militare di fronte alla minaccia rossa. Da questo punto di vista la strage della questura ha dimostrato, soprattutto all’ambiente nero, l’inefficacia del travestimento» (p. 335).
In questo quadro si inscrivono le stragi del 1974 (piazza della Loggia a Brescia, 28 maggio; treno Italicus, 4 agosto). In entrambi i casi la straordinaria risposta antifascista, unita alla denuncia della matrice fascista degli attentati da parte dei principali mezzi di informazione, indicano che il clima è profondamente mutato: «La reazione politica e mediatica di condanna a piazza della Loggia dà l’impressione di assistere a un’inversione del codice ideologico da sempre prevalente nella storia dell’Italia repubblicana. Dopo la strage di Brescia, per la prima volta, l’antifascismo appare prioritario rispetto all’anticomunismo» (p. 361). Il meccanismo della strategia della tensione, così come era stato pensato a partire da metà anni Sessanta e messo in atto tra il 1969 e il 1974, è inceppato e lo stragismo nero «in declino per l’affievolirsi del sostegno internazionale, ma soprattutto – come […] Aldo Moro nota durante la sua prigionia – per la “vigilanza delle masse popolari”, il cui riorientamento rende infruttuosi e nocivi i nuovi atti della strategia della tensione» (p. 411).

Le stragi di Brescia e dell’Italicus segnano la chiusura della strategia della tensione, ma la conclusione è solo «apparente» e non mette al riparo la democrazia da nuove minacce eversive: «Il mancato smembramento degli apparati golpisti condizionerà, seppure in altro modo rispetto al quinquennio 1969-74, anche gli anni successivi» (p. 415). I principali responsabili della stagione stragista resteranno impuniti o sconteranno pene irrisorie. «La verità storica» – sostiene a ragione Dondi – «colma solo parzialmente le falle dell’omertà politica e dell’evasione giudiziaria, lasciando dietro di sé una memoria inquieta» (p. 404).

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Terrorismo, guerra psicologica, manipolazione dell’informazione e costruzione del consenso https://www.carmillaonline.com/2015/12/03/terrorismo-e-guerra-psicologica-manipolazione-dellinformazione-e-costruzione-del-consenso/ Thu, 03 Dec 2015 21:17:55 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=27072 di Fiorenzo Angoscini

steranko I recenti avvenimenti francesi (Parigi, 13 novembre) ripropongono all’attenzione generale la funzione del cosiddetto quinto potere: il rapporto tra alcune agenzie di stampa, certuni operatori dell’informazione, testate giornalistiche e gruppi editoriali. In un miscuglio di agenti atlantici, giornalisti-militanti (prevalentemente fascisti) arruolati come consulenti e pennivendoli, vertici militari e dei servizi più o meno segreti, manovali del tritolo, servi senza dignità (politica) e provocatori a tempo pieno. Soprattutto, in riferimento anche ad un recente passato, si può constatare come alcune questioni, per determinati gruppi di pressione, non siano mai superate o passate di moda, ma mantengano piuttosto una [...]]]> di Fiorenzo Angoscini

steranko I recenti avvenimenti francesi (Parigi, 13 novembre) ripropongono all’attenzione generale la funzione del cosiddetto quinto potere: il rapporto tra alcune agenzie di stampa, certuni operatori dell’informazione, testate giornalistiche e gruppi editoriali. In un miscuglio di agenti atlantici, giornalisti-militanti (prevalentemente fascisti) arruolati come consulenti e pennivendoli, vertici militari e dei servizi più o meno segreti, manovali del tritolo, servi senza dignità (politica) e provocatori a tempo pieno. Soprattutto, in riferimento anche ad un recente passato, si può constatare come alcune questioni, per determinati gruppi di pressione, non siano mai superate o passate di moda, ma mantengano piuttosto una loro freschezza e siano sempre d’attualità così che, teorizzazioni di cinquant’anni fa, possono sembrare enunciate in questi giorni.

In particolare modo è stupefacente la capacità e volontà di amplificare, distorcere, piegare alle necessità politiche, sociali ed economiche, fatti ed avvenimenti apparentemente diversi da quello che sono, manipolando e trasfigurando la realtà. Spiegando che, in nome della lotta al terrorismo mondiale, si possono sacrificare libertà minime, acquisite e consolidate. Cercando di convincere la pubblica opinione che, per sconfiggere il terrore, si deve e si può rinunciare a una quota minima(?) di libertà personali; si può sottostare ad un maggiore controllo poliziesco, accettare l’aumento della produttività (è risaputo che un maggiore impegno lavorativo aiuta a sconfiggere le forze del male) e, infine, assecondare gli immancabili necessari sacrifici, sempre conditi con altre rinunce e privazioni. Una guerra psicologica neppur troppo sottile.

Lo si diceva in premessa: una storia vecchia, ma sempre nuova. Che comincia da lontano.
La seconda guerra mondiale non era ancora finita e già l’Office Strategic Service americano, il precursore della CIA, intesseva rapporti con i fascisti italiani per la futura guerra contro il comunismo, mentre nel giugno del 1950, a Berlino Ovest, viene fondato “Il Congresso per la Libertà della Cultura” (Congress for Cultural Freedom-CCF) sostenuto finanziariamente dalla CIA, la cui vocazione era di riunire gli intellettuali anticomunisti e che sovvenzionava parecchie riviste ed organi di stampa: Preuves in Francia, Encoutern in Gran Bretagna1 e tre servizi di stampa. Uno in inglese (Forum Informations Service) a Londra, l’altro in francese (Preuves Informations) a Parigi, e l’ultimo in spagnolo (El Mundo).

Una branca del CCF, il Forum World Features (FWF) è “un servizio di informazioni internazionali che ha lo scopo dichiarato di procurare una base commerciale, un servizio settimanale che copra gli affari internazionali, l’economia, le scienze, la medicina, recensioni di libri, e di altri argomenti di interesse generale”. Il responsabile delle pubblicazioni di stampa del CCF era Brian Crozier, ex giornalista dell’Economist ed agente CIA.

Un altro ex giornalista dello stesso giornale inglese, Robert Moss, che nel 1974, in una corrispondenza da Bruxelles, definì la capitale belga “un centro di sovversione” a causa dell’ “ampio reclutamento operato dalla Quarta Internazionale trozkista…”, è uno degli autori più in vista e prolifici dell’ Istituto per lo Studio dei Conflitti (ISC). .

Nel maggio del 1954, presso l’Hotel Bilderberg di Osterbeck nei Paesi Bassi (Olanda) si tiene il primo convegno noto di “…un altro club che è per parte sua molto più clandestino ed esclusivo ( e molto più ‘militante’ nel suo anticomunismo che non la commissione Trilaterale i cui scopi sono confessati e confessabili): il gruppo Bilderberg”.
Tema dell’incontro: “La difesa dell’Europa contro il pericolo comunista”.
Gli incontri-convegni si susseguirono poi ogni anno (nel 1955 e 1957 due volte) in località di paesi diversi.

Oltre al Club fu creata anche la Commissione Trilaterale che raccoglieva, e raccoglie ancora, nomi del capitale multinazionale americano, europeo e giapponese, uomini politici, sindacalisti e studiosi dei paesi del triangolo: USA, Europa e Giappone.
E’ un gruppo di riflessione, un circolo più o meno chiuso che ha lo scopo di elaborare una teoria e di coordinare le politiche dei vari governi. La Commissione ha proposto in occasione dei suoi seminari una serie di misure concrete per raggiungere nel minor tempo possibile gli obiettivi prefissati. A poco a poco questi obiettivi si sono realizzati, tanto più in fretta in quanto alcuni membri degli attuali governi dei paesi del triangolo hanno partecipato ai lavori della commissione.2

Un’altra università di condizionamento psicologico è costituita dall’ Istituto di alti studi internazionali di Ginevra. L’èlite della diplomazia mondiale è passata per l’istituto. Sino dagli inizi negli anni 60, il bilancio dell’istituto proveniva principalmente da fondazioni americane come Ford e Rockefeller. Ma il sostegno americano non è stato solo finanziario: gli americani vi hanno egualmente trasmesso la loro concezione del ruolo dei diplomatici e dei funzionari internazionali…Formando vari consiglieri ‘diplomatici’ che, in epoche diverse, hanno sparpagliato per il mondo: Corea del Nord, Vietnam, Cile, America Latina, Medio Oriente.

In Italia il primo ‘ingegnere della provocazione‘ è stato Luigi Cavallo. Personaggio che definire ambiguo è riduttivo e che inizia la sua attività già nel 1937. Stranamente, nel 1945 riesce ad iscriversi al PCI, poi inizia, tra tutte la altre imprese, una frenetica attività di collaborazione con Edgardo Sogno. In stretto contatto con Valletta e il colonnello Renzo Rocca (che verrà ‘suicidato’ il 27 giugno 1968) dell’Ufficio Rei del Sifar, pubblica, o è direttore di fogli e riviste ultra reazionarie come Pace e Libertà, oppure fintamente rivoluzionarie: Il Fronte del Lavoro, Satira Socialista, Problemi del Comunismo e del Socialismo, Enciclopedia Operaia, In difesa dell’Albania e della Cina, fino (1960) alla creazione di “Agenzia A”, una vera e propria centrale della falsificazione, della manipolazione, mistificazione e provocazione.

La rivista CONTROinformazione3 nel suo numero 9-10 del novembre 1977 gli dedica un corposo dossier (pag. 22-37) dall’esplicito titolo: “Controrivoluzione di stato, LUIGI CAVALLO, Lo scienziato della provocazione”.

In quegli anni, inizia il proprio ‘lavoro’, coniugando teoria (deformazione della realtà) e pratica (pianificazione di interventi energici su treni, dentro le banche, nelle piazze) l’Aginter Presse emanazione diretta del controspionaggio atlantico in collaborazione con la PIDE polizia segreta portoghese del dittatore Salazar.
Fondata a Lisbona-attorno ad un gruppo di reduci dell’Organisation Armèe Segrète-nel 1966(operativa fino alla vittoria della Rivoluzione dei garofani, aprile 1974) da Yves Guillou, in ‘arte’ Yves Guèrin Sèrac, ex capitano paracadutista del Service de Documentation Extèrieure et de Contre-Espionagge durante la guerra di Algeria, che ha disertato nel 1962 per unirsi all’OAS, insignito dalla Bronze Star americana per ‘meriti’ acquisti nella guerra di Corea e che è stato, per circa vent’anni, il direttore d’orchestra dell’Internazionale nera. La più pericolosa e sanguinaria organizzazione nazi-fascista che abbia operato in Europa negli anni sessanta-settanta. La cui missione principale era di “schiacciare lo sciacallo comunista”, con ogni mezzo necessario.

In Italia, ‘collaboratori’ dell’Aginter Presse sono stati diversi giornalisti-militanti-fascisti: Giano Accame (Sid, Bnd, Il Borghese, Il Fiorino, La Folla, Nuova Repubblica), Gino Agnese (Sid, Il Tempo), Guido Giannettini (Sid, Lo Specchio, Il Tempo, L’Italiano, Il Corriere della Sera), Pino Rauti (Sid e Kyp, Il Tempo) e Giorgio Torchia (Sid e Bnd, Il Tempo).

Accame, Giannettini, Rauti e Torchia sono stati ‘oratori’ (o hanno presentato relazioni scritte) al famigerato I° Convegno di Sudio promosso ed organizzato dall’Istituto Alberto Pollio di studi storici e militari svoltosi a Roma nei giorni 3, 4 e 5 maggio 1965 presso l’hotel Parco dei Principi.4

Il primo ed unico, secondo uno dei fondatori e promotori del convegno, organizzato dall’Istituto dedicato al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Alberto Pollio.5 Il convegno, sponsorizzato dallo Stato Maggiore Difesa, e il cui tema era “La guerra rivoluzionaria. Il terzo conflitto mondiale è già cominciato”, ha costituito uno degli snodi principali della guerra a bassa intensità scatenata in Italia a partire da quegli anni.

pollio Stranamente, la seconda parte del tema all’ordine del giorno, viene sempre dimenticato, volontariamente rimosso, probabilmente per l’esplicito coinvolgimento che, il solo ricordarlo, comporta. Ammettere cioè che, in quella sede, ma anche prima, è stato dato il via ad una guerra civile di lunga durata mai dichiarata, ma teorizzata, praticata e combattuta da una sola delle parti (agenti di servizi segreti nazionali e transnazionali, appartenenti ad organizzazioni ‘extraparlamentari’ fasciste, forze di polizia e militari, giornalisti nella triplice veste di ‘operatori di una certa informazione’, leader politici, provocatori) in causa. L’altra parte si è trovata costretta a subirla e ha dovuto difendersi. Passando, in certi casi e momenti, al contrattacco.

Al convegno, “ha partecipato un Gruppo di studio di studenti universitari”. Tra di essi il falso anarchico Michele Mario Merlino e, anche se in alcune circostanze lo ha smentito, il capo di Avanguardia Nazionale Stefano Delle Chiaie. Oltre ai già citati hanno preso parte a questa chiamata alle armi atlantico-fascista, altri ‘giornalisti’ asserviti: Eggardo Beltrametti (Sid), giornalista del quotidiano Roma diretto da Alberto Giovannini (che ama definirsi fascista di sinistra), Gianfranco Finaldi (Sid) seguace di Pino Romualdi ed attivo (anni cinquanta) nei Fasci Azione Rivoluzionari, de Lo Specchio e Il Settimanale, Enrico De Boccard (Sid) Lo Specchio, Marino Bon Valsassina (Sid) Il Giornale d’Italia, Giorgio Pisanò (Sid) direttore de Il Candido, Giuseppe Dall’Ongaro (Sid) Il Giornale d’Italia, Vanni Angeli (Sid) Il Tempo, Fausto Gianfranceschi (Sid) Lo Specchio e Il Tempo.6

Questi principi neri della penna sono stati affiancati da Ivan Matteo Lombardo, ex ministro socialdemocratico (Psdi), Pio Filippani Ronconi, ex ufficiale delle SS italiane, Alfredo Cattabiani, uno dei massimi esponenti dell’integralismo cattolico.
Alla presidenza: Salvatore Alagna, consigliere di Corte d’Appello di Milano, Alceste Nulli Augusti, generale dei paracadutisti, Adriano Giulio Cesare Magi-Braschi, tenente colonnello già responsabile del Nucleo guerra non ortodossa del Sifar ed intervenuto (così qualificato anche negli atti del convegno) sotto le mentite spoglie di avvocato.7 Considerato da Ordine Nuovo l’elemento essenziale di collegamento nella prospettiva del colpo di stato.

In quel convegno, due ‘giornalisti’ di complemento dei servizi, esprimono alcuni concetti di strettissima attualità. Nell’inaugurazione, Gianfranco Finaldi, presidente del Pollio, chiarisce scopi e finalità del convegno: “Noi affermiamo cioè che la terza guerra mondiale è già scoppiata, che essa si sta combattendo nel mondo, anche se, nel suo quadro, non è ancora stata usata l’arma atomica…Simile nuovo tipo di guerra si chiama appunto ‘guerra non ortodossa’ o ‘guerra rivoluzionaria’ “. Poi, ancora: “Abbiamo qui fra noi venti studenti universitari che l’Istituto Pollio ha pregato-dopo una selezione di merito-di prendere parte ai lavori, appunto come gruppo…L’Istituto Pollio si sforzerà di aiutarli in ogni modo: facilitando le loro ricerche, promuovendo le loro sessioni di studio, ponendo a loro disposizione il materiale necessario..”.
Alcune considerazioni: chi fossero alcuni degli ‘studenti universitari’ si è già detto. Interessante sapere che sono stati selezionati per il loro merito, che partecipano ed agiscono come ‘gruppo’. Quale materiale venga, poi, messo a disposizione, viste le successive imprese, potrebbe chiarirlo un esperto balistico…

Finaldi specifica che “la relazione-cardine” del convegno verrà sviluppata da Eggardo Beltrametti. Così, Beltrametti, curatore anche della pubblicazione degli atti del convegno, avvenuta solo un mese dopo il suo svolgimento, oltre ad illustrare perché è stato organizzato il convegno ed essere l’autore dello ‘sguardo riassuntivo’ finale, presenta una relazione imperniata su “La guerra rivoluzionaria: filosofia, linguaggio e procedimenti. Accenni ad una prasseologia per la risposta”.
Ribaltando, come si suol dire, il sacco, Beltrametti attribuisce ai Comunisti (comprendendo in tale definizione tutti coloro che non sono allineati con le convinzioni dei convenuti) quello che, assieme ai suoi accoliti, sta già praticando: “Dalle decisioni di governo alla politica per favorire lo sviluppo scientifico, dall’economia pianificata all’approntamento di mezzi atomici fino al pugnale dato in mano all’attivista fanatizzato per uccidere, dalla propaganda alle manovre diplomatiche…il seminare il senso d’incertezza, d’insicurezza economica e politica, le delazioni e le provocazioni…
Fino al colpo di teatro, alla negazione-affermazione: “…(il) tipo di libertà democratica per cui il nemico ci combatte in nome di quei nostri principi, che egli distruggerà appena avrà raggiunto il successo. Si tratta quindi di un atto di saggezza e di giustizia togliere ai movimenti, ai partiti ed ai gruppi al (loro) servizio la libertà d’azione”.

Come già detto, Finaldi e Beltrametti, non furono gli unici ‘operatori della (dis)informazione’, della manipolazione, della falsificazione plateale a prendere parte alle tre giorni di Parco dei Principi. Probabilmente furono i più espliciti rispetto alle tecniche contro rivoluzionarie da approntare.
Filiazione del Pollio, un anno dopo (siamo sempre a metà, o poco più) degli anni sessanta, è stato il ‘terroristico’ opuscoletto scritto da Giannettini e Rauti (pubblicato con la pseudonimo Flavio Messalla) “Le mani rosse sulle forze armate”. E’ del 1964 il tentativo di colpo di stato (Piano Solo) De Lorenzo-Sifar-Segni e gli ‘artigli’ delle FFAA erano di tutt’altro colore…

A queste azioni ed operazioni di ‘fusione’ fisica, operativa ed ideologica tra agenti atlantici, strateghi della controrivoluzione, vertici militari, pennivendoli di regime, manovali del terrore, provocatori di tutte le risme si sono affiancati anche altri ‘attori’, forse più subdoli ed ambigui, ma sempre mefitici.
Noti anche come il ‘Duo di Padova’: Elio Franzin e Mario Quaranta, che sul finire degli anni sessanta pubblicano, per una delle case editrici (Pamphlets) di Giovanni Ventura, loro mecenate ed editore, un opuscoletto molto significativo, intitolato: “Gli attentati e lo scioglimento del parlamento”. E già si capisce quali sono le tesi sostenute e a cosa si mira.

Un piccolo saggio delle loro perle di verità a proposito del libro contro inchiesta “La strage di stato”: “…è il caso di Giovanni Ventura, a cui il libretto attribuisce fatti e atteggiamenti di tutta invenzione. E’ noto che quando si prospetta un caso giudiziario particolarmente vistoso, si fanno avanti mitomani, pazzi, cretini, i quali garantiscono di avere decisive rivelazioni da fare”.
Così, il povero Giovanni Ventura è “…stato costretto a denunciare e a querelarmi nei confronti della casa editrice Samonà e Savelli di Roma e “La strage di stato”, a causa del carattere calunniatorio nei miei confronti delle affermazioni ivi contenute”.

Franzin e Quaranta, in compagnia di altri, compaiono anche come componenti promotori del ‘Comitato di Controinformazione “Giuseppe Pinelli” di Padova’, il quale, nel febbraio del 1971, per un’altra casa editrice di Ventura, la Galileo Editori, pubblica “Pinelli: un omicidio politico”. Tanto per intorbidire ancora un po’ le acque. In maniera, direi stupefacente, nel maggio 1970, per Marsilio editori (casa editrice da sempre ‘vicina’ al PSI) riescono a farsi pubblicare: “Eugenio Curiel. Dall’antifascismo alla democrazia progressiva”. Dei veri camaleonti.

Infine, in questa piccola galleria del condizionamento ideologico e della manipolazione dell’informazione, non poteva mancare un rimando al settimanale Epoca (1959-1997) di proprietà della Mondadori, per le sue capacità ‘divinatorie’ ed anticipatorie di avvenimenti non ancora (naturalmente) accaduti.
Il primo colpo da ‘sfera di cristallo’ è del luglio 1964-il tentativo di golpe non era ancora stato denunciato e rilanciato da L’Espresso– e, con sospetta tempestività, la rivista esce con una copertina tricolore sulla quale campeggia questa dichiarazione: “L’Italia che lavora chiede al Capo dello Stato un governo ENERGICO E COMPETENTE che affronti subito con responsabilità la crisi economica e il malessere morale che avvelena la nazione”. Si potrebbe dire: c’è chi agisce, e chi rivendica, anticipando l’avvenimento.

Un altra fortuita coincidenza si verifica con il numero della rivista in edicola l’11 dicembre 1969, proprio il giorno prima della strage alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano, con la seconda operazione tricolore. Il settimanale neo-gollista titola: “Senza peli sulla lingua, senza conformismi. CHE COSA PUO’ ACCADERE IN ITALIA”. Un incredibile fiuto per i colpi di stato e le manovre che destabilizzano per stabilizzare il sistema.
Il giorno dopo, durante il mercatino pomeridiano degli agricoltori, a Milano, in Italia, accade che una bomba atlantico-clerico-fascista, provoca, nel salone di una banca, sedici vittime (diventeranno 17).
Nel 1951, corrispondente dagli Stati Uniti per la rivista dei ‘tre colori’ è l’immancabile Luigi Cavallo.8

A metà anni sessanta, per tutti questi logorroici e monotoni (ma pericolosi) arnesi della reazione e soldati della contro guerriglia, il nemico sempre presente, che si materializzava ad ogni iniziativa e in qualsiasi circostanza e contesto diverso dal loro, era il Comunismo. Oggi è mutato (relativamente) il bersaglio: gli hanno cucito addosso l’abito di precostituiti fanatici religiosi oppure è fornito dai migranti in fuga da ‘guerre umanitarie’, disperazione e fame e, naturalmente, da qualsiasi tipo di antagonismo sociale non ancora integrato nei partiti di regime. Le strategie e le tattiche non sono cambiate di molto e la sostanza e gli antidoti proposti neppure: falsità, manipolazione della realtà, forzatura del contesto generale, diffusione del senso di paura, innalzamento del livello di allerta, per stimolare la richiesta di ritorno all’ordine, naturalmente con l’instaurazione (o consolidamento) di un governo ‘forte’.

Così la peste bruna potrà mietere nuove vittime e, forse, ottenere ancora una volta i suoi trofei di barbarie e di sangue.


  1. Su Encounter, Tom Braden, ex direttore del Dipartimento delle organizzazioni internazionali della CIA, scrisse un articolo dall’eloquente titolo: “Sono felice che la CIA sia immorale”  

  2. Per CCF, ISC, Bilderberg, Trilaterale, Istituto alti studi internazionali, vedi CONTROinformazione n° 11-12, luglio 1978  

  3. Che Umberto Eco e Patrizia Violi (in La Controinformazione, in V. Castronovo e N. Tranfaglia, La stampa italiana del neocapitalismo, Laterza, Bari, 1976) descrivono così: “Controinformazione che appare subito come una fra le riviste più curate nella veste grafica…Coerentemente all’impegno di rigore e precisione documentativa, anche il linguaggio tende ad essere il più puntuale e scientifico possibile, pur mantenendosi ad un elevato grado di leggibilità, realizzando una scrittura di tipo saggistico dimostrativo. Sono del tutto assenti, anche là dove si parla di situazioni particolarmente tragiche e drammatiche, le forti connotazioni emotive, le invettive, le ingiurie o le forme sarcastiche e allusive utilizzate da altre pubblicazioni di informazione alternativa…dove si attua un vero e proprio smontaggio di tutti quegli artifici tecnici e linguistici di cui comunemente l’informazione ufficiale si serve per deformare e modificare la portata e il senso di certe notizie e tanti altri espedienti ancora che possiamo quotidianamente verificare su qualsiasi foglio di informazione, tutti rigorosamente suffragati da esempi”per concludere con la denuncia: “…(del) ruolo egemone dell’imperialismo americano alla funzione portante delle multinazionali, dalla riorganizzazione del lavoro in fabbrica all’uso del fascismo e della provocazione, dalla più aperta repressione poliziesca e giudiziaria, ai vari aspetti che essa assume nella quotidiana manipolazione culturale ed ideologica, fino ad una precisa denuncia dei meccanismi dell’inganno informativo da parte della stampa e della radiotelevisione”  

  4. Per Aginter Presse e Convegno Pollio: S. Ferrari, I denti del drago. Storia dell’Internazionale nera tra mito e realtà, BFS Edizioni, Pisa, 2013; M. Dondi, L’eco del boato. Storia della strategia della tensione 1965-1974, Editori Laterza, Roma-Bari, novembre 2015  

  5. Per Alberto Pollio: Giovanni d’Angelo, La strana morte del tenente generale Alberto Pollio. Capo di stato maggiore dell’esercito. 1° luglio 1914, Gino Rossato Editore, Valdagno (Vi) 2009 e http://www.archiviostorico.info/interviste/4215-la-strana-morte-del-tenente-generale-alberto-pollio-intervista-con-giovanni-dangelo  

  6. Vedi: M. Dondi, citato 

  7. Per Parco dei Principi: E. Beltrametti (a cura di) La guerra rivoluzionaria. Il terzo conflitto mondiale è già cominciato, Atti del primo convegno organizzato dall’ Istituto Pollio, Giovanni Volpe Editore, Roma, 1965  

  8. Per Piano Solo e copertine Epoca: Brescia, 28 maggio 1974. Strage di Piazza della Loggia, Colibrì edizioni, Paderno Dugnano (Mi) giugno 2008  

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