Guerrero – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 17 Aug 2025 20:00:38 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 “Ci unisce lo stesso dolore”. Memoria e ricerca di vita nel collettivo Madri di Iguala in Cerca dei Desaparecidos https://www.carmillaonline.com/2020/08/25/ci-unisce-lo-stesso-dolore-memoria-e-ricerca-di-vita-nel-collettivo-madri-di-iguala-in-cerca-dei-desaparecidos/ Mon, 24 Aug 2020 22:00:07 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=62394 di Fabrizio Lorusso, traduzione di Manuela Loi

[Pubblicato originariamente il 24 gennaio 2019 in spagnolo sui siti A dónde van los desaparecidos, l‘America Latina e Desinformémonos; testimonianze audiovisuali alla fine del testo]

Al 22 agosto 2020 i dati ufficiali del governo messicano mostravano la cifra di 74, 914 persone scomparse, vittime di sparizioni forzate commesse da autorità statali o da gruppi della criminalità organizzata. Negli ultimi dieci anni il Messico ha sperimentato una grave crisi di violenza e scomposizione del tessuto sociale nel contesto di una “guerra al [...]]]> di Fabrizio Lorusso, traduzione di Manuela Loi

[Pubblicato originariamente il 24 gennaio 2019 in spagnolo sui siti A dónde van los desaparecidos, l‘America Latina e Desinformémonos; testimonianze audiovisuali alla fine del testo]

Al 22 agosto 2020 i dati ufficiali del governo messicano mostravano la cifra di 74, 914 persone scomparse, vittime di sparizioni forzate commesse da autorità statali o da gruppi della criminalità organizzata. Negli ultimi dieci anni il Messico ha sperimentato una grave crisi di violenza e scomposizione del tessuto sociale nel contesto di una “guerra al narcotraffico” che dal 2006 in realtà rappresenta una forma di conflitto armato interno e di militarizzazione della sicurezza pubblica per favorire l’estrazione di risorse e il modello economico neoliberale e non una lotta del governo contro “i cartelli della droga”. Decine di collettivi di resistenza e lotta per la verità, la giustizia e la ricerca dei desaparecidos sono sorti in tutto il paese, soprattutto per iniziativa delle donne, madri, mogli, sorelle e solidali unite dallo stesso dolore e dalla ricerca in vita di persone scomparse, ma anche, in molti casi, semplicemente dei loro corpi o le loro ossa, e delle fosse clandestine in cui potrebbero trovarli. In questa realtà distopica, nell’inerzia delle autorità e di parte della società, pochi frammenti ossei e resti umani diventano tesori d’inestimabile valore per le famiglie distrutte dall’assenza. Questa è la storia di uno di loro.

Il collettivo Madres igualtecas en Busca de sus Desaparecidos (Madri di Iguala alla ricerca dei desaparecidos) è un gruppo formato nell’aprile 2018 a Iguala, Guerrero, composto da novantanove donne e quattro uomini che cercano i propri cari scomparsi. 

Il testo consiste in brevi interviste ai membri del gruppo su questioni come la ricerca e il ritrovamento, la memoria, un pensiero che è loro desiderio condividere, e il collettivo. Per questo reportage, concepito nell’ambito di un progetto di ricerca di storia orale patrocinato dalla Universidad Iberoamericana León (Messico), sedici persone hanno scavato nella loro memoria e portato la loro testimonianza. Piano piano, la loro lotta è riuscita a trasformare un dolore comune in un anelito collettivo di ricerca e in coscienza dei diritti che sono stati loro negati. Il dolore e la ricerca delle madri di Iguala e del Messico irrompono nello spazio pubblico e così facendo trascendono, vanno oltre il caso individuale, le cifre ufficiali e la solitudine, per diventare un patrimonio morale di tutta la società contro la paura e l’ingiustizia.

Ispirazioni

Questo lavoro si ispira a due progetti artistici e letterari che recentemente hanno contribuito a rendere visibili le storie delle vittime del conflitto armato in Messico, dando voce e parola a quelli/quelle senza voce in questo momento di nebbie e notti terribili.

Il primo è una mostra di scarpe sulle cui suole vengono incisi messaggi sui temi della “ricerca e il ritrovamento” e che diventano veicoli del pensiero e la memoria dei familiari che cercano i e le desaparecidas. Sono le loro scarpe che recano frasi di dolore, speranza e ricerca, consumate dai chilometri percorsi in manifestazioni, proteste, uffici, strade, deserti e infiniti corridoi burocratici. Ogni testo è riprodotto anche su un foglio con sfondo verde speranza e rappresenta senza mediazioni la volontà dei familiari. Si tratta di un progetto itinerante e collettivo chiamata Huellas de la memoria (Orme della memoria) e che, nelle sue vicissitudini attraverso vari continenti per tre anni, è diventato megafono e cassa di risonanza della lotta all’interno della una Campaña Internacional contra la Desaparición Forzada (Campagna Internazionale contro la Sparizione Forzata).

L’altra fonte d’ispirazione è il progetto Memorias de un Corazón Ausente (Memorie di un cuore assente), un libro di storie di vita dove alcune donne costruiscono la memoria dell’assenza dei propri cari di cui sono alla ricerca. Al di là della sparizione e del loro caso specifico, intessono narrazioni sulla vita, le passioni, i gusti, i ricordi e, infine, la presenza dei propri familiari. Nell’introduzione, Jorge Verástegui González, uno dei fondatori di Fuerzas Unidas por Nuestros Desaparecidos en Cohauila (Forze Unite per le Nostre Persone Scompare in Cohauila), descrive un concetto importante: quello della ricerca di vita, che aiuta a capire la comunità del dolore e della speranza che spinge alla lotta molti collettivi. Chi non c’è più ed è cercato, cioè, potrebbe essere o non essere in vita, ma in fin dei conti quello che motiva la ricerca è la vita in sé, sia nel suo significato materiale che spirituale. Ciò che si cerca è la vita e il ricongiungimento, in qualunque modo avvenga, per chiudere un “lutto sospeso”, un ciclo di dolore che ferisce profondamente non solo le vittime, ma tutta la società. La costruzione di narrazioni e significati alternativi da quelli generati dalle strutture dello Stato e dai mezzi di comunicazione di consumo immediato, con la loro inclinazione ufficialista, sensazionalista e spesso rivittimizzante, è uno dei compiti chiave del giornalismo di inchiesta, della storia orale e della storia del presente, approcci che guidano queste interviste.

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Testimonianze

Sandra

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Sandra Luz Román Jaimes ha 55 anni ed è di Iguala. Lotta contro un cancro e per ritrovare la figlia Ivette Melissa Flores Román, che ha oggi 25 anni ed è scomparsa il 24 ottobre 2012. Sandra accompagna nel cammino il nuovo collettivo costituito a Iguala lo scorso 15 aprile e che si chiama “Madres Igualtecas en Busca de sus Desaparecidos”.

Ricerca. Per me significa soddisfazione, lotta, ricerca della giustizia e della verità. Quando la cerco, per esempio nelle carovane di ricerca in vita, mi sento bene con me stessa perché non smetto mai di cercarla. Per me è un privilegio avere un’associazione che mi invita a cercare i desaparecidos. Non solamente cerco mia figlia ma anche altri mille desaparecidos perché posso ritrovare lei così come i figli delle mie compagne. Se non la cercassi, mi sentirei incompleta, come se non stessi facendo niente per scoprire la verità.

Quando usciamo a fare le ricerche per i campi o nelle fosse o nelle cliniche o all’ospedale o al Semefo (Servizio medico forense), uno sente il timore, la paura che dentro quelle fosse possa esserci lei. O che si trovi in qualche manicomio o che stia vagando per le strade di qualche città. Sì, sentiamo una tristezza infinita. Non solo io ma tutti quanti ci sentiamo tristi e incompleti, però allo stesso tempo sentiamo soddisfazione pensando che in futuro i nostri nipoti o i figli dei nostri cari desaparecidos potranno dire: “Quando qui nessuno cercava i desaparecidos  ed è scomparsa  mia mamma o una zia, la mia nonnina ha fatto parte di quel periodo nel quale hanno fondato il primo gruppo di “Los otros desaparecidos” e da lì, dalla sparizione forzata dei 43 studenti, la gente ha iniziato a cercare i proprio figli”.

Diventerà quasi una leggenda e rimarrà impressa per molti anni. Probabilmente io non sarò qui per vederlo ma diventerà qualcosa di molto simbolico. Simbolico persino in un senso “cattivo”, perché “chi avrebbe voluto che in quel periodo tutti i nostri figli sparissero?

E così nel 2012 sono state fatte sparire solo donne, mia figlia è di quel periodo nel quale si portavano via solo le ragazzine. O trovavano i ragazzi per strada per portarseli via senza meta. Adesso siamo nel 2018 e ancora non so dove si trovi mia figlia. Rimarrà impresso quel 26 settembre 2014, storico. Si sono formati molti collettivi. È la data chiave in cui la gente “ha perso la paura”. Per modo di dire, perché continua a esserci gente che ha paura, ma mi piace pensare che è stato allora che abbiamo perso la paura e abbiamo pensato che se i genitori dei 43 stavano portando avanti la loro lotta, allora anche noi dovevamo intraprendere la lotta e cercare i nostri figli.

Memoria. Mi ricordo di lei che mi diceva sempre: “Io non mi sposerò, sarò sempre single, e non ti mancherà mai niente, ti darò tutto io e non ti succederà niente”. Era mia figlia ad aiutarmi, mi ha incoraggiata ad andare avanti insieme, lavoravamo tutte e tre ecco. Ha preso il tesserino per studiare criminalistica, voleva diventare dottoressa in criminalistica. E manteneva sua figlia perché ha una bambina che adesso ha otto anni, ha un carattere forte. Vivo con lei. A causa della scomparsa di mia figlia mi sono ammalata di cancro al seno, è stato ormonale e benigno, anche se la Commissione Esecutiva per l’Attenzione alle Vittime dice che non esiste relazione con il fatto vittimizzante, in realtà lo è perché sei anni fa il cancro non ce l’avevo. Mi è toccato passare per la fase delle chemio e credo che la cosa sia arrivata alle orecchie del suocero di mia figlia e la bambina è venuta a cercarmi. Adesso è appena da settembre che convivo con la bambina e ho sempre paura perché la porto, la accompagno, e può darsi che stia rischiando molto, perché potrei anche non ritornare.

Pensiero. Dico a mia figlia che, ovunque sia, la ricorderò sempre con tanto affetto e, se è viva, le dico di andare avanti per la sua strada, di studiare, di non rovinarsi la vita facendo stupidaggini e di percorrere la strada del bene. Di chiedere aiuto a qualche associazione civile per poter uscire da dove si trova. E se non vive più, allora la porterò sempre nei miei ricordi, la sua vita e la sua immagine. E chiederò sempre giustizia per ciò che è successo.

Collettivo: Ci unisce lo stesso dolore, perché tutte andiamo nella stessa direzione, qui nessuno può camminare in un sentiero d’argento, una in quello d’oro e l’atra in quello di rame, cioè tutte seguiamo la stessa direzione e il dolore ci tiene unite. Adesso abbiamo un nuovo collettivo, trovo unione tra tutti i compagni e come collettivo l’idea è cercare verità e giustizia. Se tu cammini solo, non le troverai mai, invece come collettivo abbiamo il vantaggio di potere fare richieste al governo, perfino di chiudere un’istituzione o protestare quando non siamo d’accordo con iniziative che hanno preso per noi.

Trovo che le strade e gli ostacoli che ho incontrato sono serviti perché adesso gli altri del collettivo non devono passare per le stesse cose. Si impara gli uni dagli altri. Nel mio caso, ho imparato da sola prima della sparizione dei 43 studenti. Quando per esempio le istituzioni sono arrivate alla chiesa di San Gerardo, che è dove è stato fondato “Los otros desaparecidos de Iguala” (gli altri desaparecidos di Iguala”), io le conoscevo già e sapevo quali proposte avrebbero fatto come PGR (Procura Generale della Repubblica) o CEAV (Commissione Esecutiva di Assistenza alle Vittime), per esempio. Grazie alle operazioni con CEAV sono appena riuscita ad ottenere un appello a livello nazionale per negligenza del governo, perché non hanno mai cercato mia figlia né lo faranno, e allora saremo noi a doverli trovare.  La Commissione con il suo sostegno economico permette che continuiamo a muoverci in carovane, e anche grazie a questo ho potuto ottenere l’appello e il caso di mia figlia guadagna un gradino in più verso le istanze internazionali. Abbiamo vinto perché il giudice fa indagini nella delegazione Guerrero e controlla su quante persone ha fatto ricerche e quanti procedimenti ha aperto su di me: il risultato è che non ce n’é nessuno.  Neanche presso la Fiscalia de Busqueda de Desaparecidos (Procura per la Ricerca dei desaparecidos) della PGR di Città del Messico hanno trovato procedimenti.

Hanno trovato qualcosina, molto poco, alla SEIDO (Procura Specializzata in Delinquenza Organizzata). Allora, visto che non hanno indagato su nessuno e non mi hanno mandata a chiamare, le ho provate tutte in Messico e adesso mi rivolgo a istanze internazionali come l’ONU, che ha dichiarato il caso di mia figlia come “molto delicato”. E qui hanno ignorato la cosa, non mi hanno dato nemmeno un pulsante antipanico o protezione nel caso qualcuno volesse farmi del male. É molto delicato perché qualche tempo fa, lo scorso 31 ottobre, c’è stato uno scontro tra alcune persone ed è stata uccisa una persona che ha privato mio figlio della sua libertà. Dopo si sono sfogati e sono andati a uccidere un’intera famiglia e con questo spiego perché il caso di mia figlia non è un caso qualunque. All’inizio eravamo 15 e adesso ci sono 103 persone che fanno parte di “Los otros desaparecidos de Iguala”. Inoltre ci sono cinque nuove compagne che stanno per entrare ma ancora non hanno ancora fatto denunce. Per la maggior parte sono donne, è composto da 99 donne e 4 uomini: don Norberto, don Sirenio, don Rogelio e don Margarito. Lo scopo del gruppo è continuare la ricerca principalmente nelle fosse comuni. Però certo, anche la ricerca di persone in vita.

Tutte hanno una denuncia federale, dato che quando abbiamo fondato “Los otros desaparecidos” c’è stato molto lavoro in quelle denunce. Stiamo chiedendo al governatore che ci aiuti con l’affitto, mobilio o che trovi uno spazio per avere una sede, perché riunirsi nelle case o per strada non è l’ideale. Sembra che ci aiutino. Presto chiederemo una riunione per vedere i progressi. Abbiamo chiesto anche alla CEAV. Dovremo vedere anche con il Municipio. Abbiamo appena iniziato, siamo come bambini, un passo alla volta! Stiamo pensando di iniziare le ricerche, avevamo fissato una data per il 30 novembre, ma la PGR non l’ha confermata, forse perché finisce il sessennio e ci saranno cambiamenti. Dal 19 gennaio al primo febbraio parteciperemo alla IV Brigada Nacional de Busqueda de Personas Desaparecidas (Brigata Nazionale per la Ricerca di Persone Scomparse), come quelle che hanno fatto negli ultimi due anni in Veracruz o in Sinaloa. Noi Madri Igualteche parteciperemo, e questo serve per fare pressione e per dimostrare l’urgenza delle ricerche.  É uno sforzo congiunto di vari collettivi dello stato e del paese. Inizieremo a Huitzuco con Mario Vergara e il suo gruppo “Los otros buscadores”, dopodiché andremo a Taxco, Cocula, Chilpancingo, Teloloapan e altri paesi di tutto lo stato di Guerrero.

Prisca

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Prisca Arellano Rocha ha 63 anni, è originaria di Iguala e cerca i suoi nipoti, figli di una delle sorelle. Si tratta di Omar Basilio Arellano e Isidro Vázquez Arellano, scomparsi il 6 gennaio 2013 e il 16 febbraio 2013.

Ricerca. Per me significa una cosa molto importante perché sono i miei nipoti, ma è come se fossero i miei figli, ed è molto importante per me partecipare alle ricerche perché voglio avere loro notizie. Fino ad ora non ho saputo niente e vorrei che qualcosa succedesse al più presto, che li troviamo, comunque vada vogliamo loro notizie. Per noi è molto doloroso non sapere niente, viviamo ancora pensando a loro.

Memoria. Ciò che ricordo di più è che durante i giorni di dicembre, capodanno, passavamo molto tempo insieme e adesso non sono più con noi e ci fa tanto male. Come vorremmo che tornassero per stare insieme come facevamo prima! Erano brave persone, gente buona, molto intelligenti e grandi lavoratori, perché non vivevano con i soldi di altri, lavoravano molto bene e vivevano di questo.

Pensiero. Vorrei dire loro che gli voglio molto bene e che mi mancano tanto. Chiedo a Dio che possiamo di nuovo vederci presto, se Dio vuole. Speriamo in Dio che presto ci sia un ritrovamento, in qualunque modo, perché è ciò che speriamo.

Incontro. Sarebbe molto bello. Allo stesso tempo bello e triste perché se li ritroviamo vivi, bene! Magari Dio volesse così. Ma se le incontriamo senza vita, allora sarà triste per noi e il dolore non ci lascerà mai, il dolore resterà lì per sempre.

Collettivo. Per me è come una famiglia, perché sentiamo lo stesso dolore.

Margarito

Margarito Soriano Esusebio ha 81 anni, è di Atenango del Rio e risiede a Iguala da 60 anni. Cercava suo figlio, Mario Soriano Giles, da quando è stato vittima di sparizione forzata nel 2010. Lo ha trovato senza vita e il corpo gli è stato restituito nel luglio 2018 a Taxco, ma don Margarito continua le ricerche accompagnando il collettivo delle madri igualteche.

Ricerca.  Mi sentivo afflitto, triste, non ero contento. Mi preoccupavo molto. Mi ha addolorato molto la faccenda di mio figlio. L’ho cercato tanto. Camminavo per i monti. Sono andato nei campi per due anni, un po’ più di due anni. Ho smesso di andarci quando l’abbiamo trovato. Adesso faccio parte di un altro collettivo, mi invitano ad unirmi alle ricerche, sempre le stesse cose. Di defunti che non sono stati trovati, di desaparecidos, per vedere se si ottiene qualcosa.

Memoria. Lavorava con me, tutti e due facevamo i falegnami. Quando è scomparso, sono stato male, mi sono un po’ ammalato. Poi sono guarito. Mio figlio era un falegname come me. Parlavamo dei lavori che dovevamo fare, ci dicevamo prima come si doveva fare e lo realizzavamo solo quando lo avevamo bene in mente. Mio figlio era molto portato, forse più di me perché lui era giovane, era pieno di entusiasmo e riusciva a fare bene qualsiasi lavoro. Addirittura alcuni mi dicevano: “lo mandi a Città del Messico così impara di più”. Aveva 36 anni.

Pensiero. Allora, voglio solo dire che Dio lo abbia in gloria e a me conceda la rassegnazione per andare avanti con la mia vita.

Ritrovamento. A dire il vero ho sentito qualcosa che mi calmava perché ritrovarlo così non è lo stesso, certamente fa piacere, uno si sente contento, ma non è la stessa cosa, non è un vero e proprio piacere. Perché io l’avrei voluto vivo e non morto.

Collettivo. Allora, così come io sento io o sentivo che mio figlio non sarebbe tornato, così credo che anche gli altri si sentano allo stesso modo. É questo che mi unisce a loro, alla gente, così posso continuare a cercare insieme a loro, in loro compagnia.

Antonia

Antonia Torres Ortiz ha 53 anni e viene da Teloloapan. Cerca suo figlio Francesco Ocampo Torres. Erano tre le persone che cercava, ma due gliele hanno restituite morte: suo marito Francisco Ocampo Figueroa e Eric Ocampo Torres. Adesso chiedo che mi aiutino a ritrovare mio figlio Francisco.

Ricerca. Partecipare alle ricerche è qualcosa che mi nasce spontaneo. Se non mi muovo sento che non sto facendo niente per mio figlio. Così sto bene, anche se a volte sono triste, ma vi chiedo di aiutarmi trovarlo perché ha lasciato le sue tre bimbe. Ve lo chiedo perché mi avevano detto di averlo visto dalle parti di Cuernavaca. L’ho riferito al dott. Rivero della PGR, ha detto che sarebbe venuto da me ma non mi ha chiamata. Credo che ormai si sia dimenticato.

Memoria. Ricordo tante cose belle di mio figlio, così belle che se gliele racconto mi metto a piangere. Era un figlio molto bravo con me. Anche se si è sposato non si è mai allontanato da me. Ogni volta che andava a lavorare, anche quella mattina, è passato da me e mi ha detto: “Mamma esco, vado a lavorare”. Ed è stato l’ultimo giorno in cui l’ho visto perché nel pomeriggio sono venuti a Iguala e lui non è mai tornato. Vi chiedo di aiutarmi perché mi ha fatto molto male la perdita dei miei figli e di mio marito. Sono scomparsi insieme. Tornavano da Teloloapan a Iguala alle sette e mezza di sera. Mio figlio era ferito. Non abbiamo mai saputo chi è stato o cosa è successo.

Pensiero. Voglio dire che se mio figlio è vivo, che ritorni da me. Non gli chiederò niente di ciò che è successo. Se mi vedesse un giorno, che ritorni da me. Non gli chiederò mai niente, se è stato male per ciò che è successo a suo padre e a suo fratello. Ciò che voglio è che torni.

Collettivo. Ci unisce il fatto che qui tra tutte riusciamo a scacciare la tristezza, e così si superano poco a poco le cose. Ho dovuto abbandonare un altro collettivo e mi sono sentita triste, e avevo la speranza che un giorno ne nascesse un altro e così è stato. Sono tornata e adesso sto bene. Vengo anche se devo fare i salti mortali, a volte non ho neanche i soldi per l’autobus, io lavoro per il mio bambino e la mia bambina, perché ho anche un figlio di 15 anni e una figlia di 12. Quando mi chiamano qui, esserci è una necessità perché sento che avrò notizie di mio figlio.

Esperanza

Esperanza Rosales Segura ha 53 anni, è di Iguala e cerca suo figlio, Alejandro Moreno Rosales, e suo cugino, Marco Antonio Rosales Castrejón, dal 13 novembre 2009.

RicercaPer me vuol dire trovare mio figlio. Vorrei trovarlo, come si dice, “come Dio vuole”, cioè vivi o morti. Non sappiamo se sono morti, sono passati 9 anni e non sappiamo niente di loro. É la stessa cosa per il figlio di doña Tere, erano insieme. Sono scomparsi tutti e tre, erano amici.

Memoria. Andavano d’accordo, lavoravano, uscivano. Di mio figlio sinceramente ricordo quanto bene voleva a me e ai suoi fratelli. Era il sostegno della casa. Mio marito non c’è più perché è scappato con un’altra donna e siamo rimasti soli. Ho un bel ricordo perché voleva che non mancasse niente ai sui fratelli.

Pensiero. Vorrei dirgli che lo voglio trovare, che deve venire a trovarmi dovunque sia, ho bisogno di vederlo.

Ritrovamento. Sarebbe una grande gioia, poterlo rivedere.

Collettivo. Ci unisce il dolore. Siamo la stessa cosa. Ciò che io sento lo sentono le mie compagne. Ciò che fa male a me, fa male a loro. É questo ciò che ci unisce. Continuerò a cercare.

Teresa

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Teresa Rendón González,45 anni, è di Chilapa, risede a Iguala da 30 anni e cerca suo figlio, Pedro Chavarrieta, scomparso il 13 novembre 2009.

Ricerca. È fede, la speranza di ritrovarlo, come Dio me lo restituirà. Sua sarà l’ultima parola su come lo ritroverò. Voglio continuare a cercare finché avrò forza. Lo hanno portato via dal quartiere dove vivo e non ho più saputo niente, nessuno mi ha detto niente.

Memoria. Andavamo al lavoro assieme, lavoravamo nei campi, stava sempre con me. Non si era mai allontanato da me. Quando usciva e poi tornava a casa, mi abbracciava e mi dava un bacio. Diceva sempre che io ero la sua capa. Mi diceva:” capa ti voglio molto bene”, e che non mi avrebbe mai lasciata. Era molto legato a me, è cresciuto solo con me. Aveva 19 anni.

Pensiero. Gli voglio molto bene e continuerò a cercarlo. Tutta la famiglia lo aspetta a braccia aperte. Se Dio vuole che torni sulle sue gambe perché ormai è passato molto tempo.

Collettivo. Più che altro il dolore che tutte sentiamo, tutti siamo coinvolti nella ricerca. E a volte ci diciamo delle cose tra di noi perché ci fidiamo le une delle altre. Siamo unite, viviamo le stesse cose. Lo cercherò fino ad incontrarlo, che Dio mi dia la forza.

Sirenio e Ernestina

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Sirenio Ocampo de Jesus, di 68 anni, ed Ernestina Marino Luciano, 67, sono originari di Ocosingo e Copalillo, risiedono a Iguala e cercano il loro figlio Adelfo Ocampo Marino dal 13 luglio 2014

Ricerca
Ernestina. È perché gli voglio bene, non voglio fermarmi. Se lo vedeste da qualche parte, vi sarei molto grata se me lo diceste. Ho bisogno di rivederlo perché c’è qui sua moglie e le sue figlie che ormai sono delle signorine.

Sirenio. Significa trovarlo, sapere dove si trova. Vogliamo sapere dove l’hanno lasciato, se l’hanno sepolto. Non cerchiamo i “cattivi”, cerchiamo mio figlio. Dov’è? Ci pensiamo giorno e notte, preoccupati, al fatto che lo vogliamo trovare. Se qualcuno dovesse vederlo, ce lo faccia sapere.

Memoria.
Sirenio. Quando lavoravo con lui a volte mi diceva: “Vecchio, dai vieni, non vuoi qualcosa da bere?” Ricordo i momenti in cui chiacchieravo con lui, quando si sentiva triste e gli chiedevo perché. Gli dicevo: “Non ti preoccupare, è normale, non bisogna tenersi dentro cose passate”. Mi rendo conto che adesso non ho nessuno con cui vado d’accordo, qualcuno a cui raccontare la mia storia, che mi dica ciò che sente. Siamo diventati amici quando è cresciuto. Lavorava ed è triste pensarci adesso. A volte dormo un po’, mi sveglio e, ecco, vorrei vederlo. Quando era qui, andavamo a trovarlo a casa sua, se non venivano lui e mia nuora. Dopo tutto ciò che è successo quelle visite sono finite. Mia nuora non viene più. Invece di parlarne con noi, si è arrabbiata. Anche le mie nipotine. Però niente, gli voglio bene perché sono le mie nipoti.

Ernestina. Mi diceva:” A Natale vengo a prenderti”, e ci mandava a prendere. “voglio che passiamo il Natale qui, voglio che stiate con me”, diceva. Mi siedo qui fuori e penso che vorrei vederlo arrivare per passare un altro Natale insieme.

Pensiero

Ernestina. Ti voglio bene figlio mio, nessuno mi capisce, solo tu mi capivi, ti voglio molto bene. Come ti comportavi con me, mi abbracciavi, nessuno mi abbracciava come te, figlio mio. Ti voglio bene.
Sirenio. Se lui si trova lì fuori, e ci sta ascoltando. Vorrei che ci dicesse che sta bene. Vogliamo solo sapere, io vorrei che stesse bene, felice. Se è vivo, che ci chiami. Se è vivo o no lo sa solo lui. Se è lì fuori, che si metta in contatto con noi. Questo è tutto ciò che voglio dire.

Sofía y Evarista

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Sofia Sanchez Salgado, 51 anni, e Evarista Salgado Olivares, sua madre di 73, sono di Iguala e cercano un fratello e un figlio di Sofia, dal 25 gennaio 2010. Suo fratello si chiama Luis Fidel Sanchez Salgado e suo figlio Santiago Velázquez Sanchez. Sono andati a fare benzina qui a Iguala, vicino alla scuola, all’Istituto Tecnico, e lì sono scomparsi.

Ricerca

Evarista. Che mio figlio torni e rimanga con me. Se sta lavorando, se c’è qulacuno che lo conosce, allora che me lo dica, che si mettano in contatto con noi, anche per mezzo della televisione. Voglio che torni. Io non posso vivere senza di lui ed è per questo che lo cerco. É già passato molto tempo, sono molti anni che non vedo né lui né mio nipote. Non mi dimentico di mio figlio. Quando uscivo a cercarlo sentivo che lo avrei trovato lì, o che mi avrebbero detto “Guardi, qui c’è suo figlio”.

Sofia. Che il governo ci aiuti a trovarli, ovunque si trovino. Perché veda quanti corpi hanno già trovato e di loro non si sa niente. A cosa serve fare la prova del DNA alle famiglie? Qualsiasi informazione abbiano, ce la diano. Abbiamo cercato molto in gruppo, percorrendo monti, nonostante la paura e la tristezza che sentiamo.

Memoria

Evarista.  A mio figlio piacevano molto i chilaquiles, con una salsina di peperoncino e uova. E i fagioli. A mio nipote piacevano le enchiladas, le chalupitas, tutte queste cose qua, le tortillas fatte a mano.

Sofia. Mio figlio era tranquillo, gli piaceva giocare a calcio. Lavorava sodo. L’ultima volta, quando è scomparso mi ha chiesto di preparargli delle enchiladas e di aspettarlo, mi ha detto che andava a fare benzina con lo zio. Gliele ho preparate, ma non è più tornato. Mio fratello lavorava, era appena stato dalla sua fidanzata, poi sono andati via e non sono più tornati.

Pensiero

Evarista. Direi loro di tornare, che li stiamo cercando. A volte non riesco a dormire perché penso a come stanno, dove sono, se hanno mangiato o no. É ciò che vorrei dirgli.

Sofia. Che tornino, che ci dicano che stanno bene. Noi continuiamo ad aspettarli, ci mancate. Tornate a casa.

Ritrovamento

Evarista. Ho la sensazione che mi diranno che hanno trovato mio figlio. Che lo riporteranno. A volte ho la sensazione che potrò riposare, ma dopo un po’ questa sensazione non c’è più.

Collettivo

Sofia. Ci si sente più tranquille con il sostegno di tutte le compagne.

Leonor

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Leonor Contreras. Ha 39 anni, è di Iguala ed è alla ricerca di Antonio Ivan Contreras, suo fratello, vittima di sparizione forzata il 13 ottobre 2012, quando aveva 28 anni.

Ricerca. Bè, riuscire a trovarlo un giorno, almeno avere un posto dove portargli i fiori, o almeno sapere dove si trova.  Sono stati mio padre, Guadalupe, e i miei fratelli che lo hanno cercato. Mio padre è andato a Veracruz ad aiutare il collettivo Solecito. Io mi sono unita alle Madres Igualtecas. Mia cognata, moglie di mio fratello, è rimasta nel collettivo Los otros desaparecidos.

Memoria. Sono molti i ricordi e i dettagli. Lui con me era molto affettuoso, perché comunque io sono la sorella maggiore, mi prendevo cura di loro da quando erano piccoli. Quando tornava a casa si sedeva sempre sulle mie gambe, mi parlava come se fossi la mamma, mi diceva sempre che mi voleva molto bene. Mi dimostrava il suo affetto, sempre sempre.

Pensiero. Voglio che sappia che gli voglio molto bene. Sarà nel mio cuore per sempre e spero di trovarlo un giorno, comunque sia. Continuerò a cercarlo.

Collettivo. Il dolore è ciò che ci unisce. Il dolore. Ma anche sapere che come collettivo possiamo continuare le ricerche e magari non troveremo il nostro familiare ma possiamo trovarne altri che non hanno ancora trovato. É solidarietà

Alfonsa

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Alfonsa Cecilio Agapito 63 anni, originaria di San Miguel Tecuisiapan, risiede a Iguala e cerca suo figlio, Alfonso Cardoso Cecilio, 31 anni, scomparso il 30 aprile 2013.

Ricerca. Partecipo alle ricerche perché non sono soddisfatta, perché per me è molto stressante non sapere in quale posto sia finito. É molto importante perché si tratta di mio figlio. Sono andata a fare molte ricerche per i monti. Quando partecipo alle ricerche ho la speranza di ritrovare il suo corpo, di potergli dare una sepoltura come si deve. Mi sento bene quando lo cerco perché c’è una speranza, magari è sepolto lì da qualche parte. Le autorità ci ignorano. Sono già andata alla PGR di Città del Messico e ho riferito qualcosa più o meno, gli ho detto di contattarmi e gli ho dato degli indizi. Loro pretendono che uno si metta a indagare e questo non va bene perché ci si espone al pericolo. Allora ho chiesto di fare delle indagini, ma niente. Vado lì un’altra volta e mi dicono che non hanno indagato che però lo faranno, Si immagini, sono già cinque anni che non so nulla di mio figlio. Nessun risultato per me.

Memoria. Voglio far sapere che mio figlio, che era il più piccolo, era molto buono e affettuoso. Passavo molto tempo con lui. Ci sentivamo bene quando andavo a trovarlo o lui veniva da me. La verità è che mi fa molto male non sapere che ne è stato di lui. Vorrei che qualcuno mi dicesse come è successo. Anche se io ho detto al Dott. Rivera della PGR chi è stato a portarlo via, continuano a dire no, no, no”. Non so se sono in combutta con loro, chi lo sa. Mio figlio era una persona molto bella quando passavamo del tempo insieme, mi conforta ricordarmene.

Pensiero. Gli voglio dire che lo aspetto con ansia, se Dio vuole. Io l’ho messo nelle mani di Dio e lui saprà cosa fare. Speriamo. Se è vivo, benissimo, per sarà una gioia infinita. Perché mio figlio ha lasciato una bimba, aveva 6 anni quando me l’ha lasciata e adesso ne ha 12. Gli vogliamo molto bene, lo aspettiamo. Se torna saremo felici. E se no, che Dio me lo riporti così com’è ma ciò che più gli chiedo è che me lo riporti vivo.

Collettivo. Ho fatto parte di un gruppo da quando sono nati “Los otros desaparecidos”, in seguito alla scomparsa dei 43, quando ci riunivamo nella chiesa di San Gerardo. Ci unisce il fatto che sentiamo lo stesso dolore, noi che siamo qui come “Madres Igualtecas” siamo parte della stessa “sorellanza” per il dolore che sentiamo per la scomparsa dei nostri figli. Sento che ci aiutiamo come una famiglia, perché così come io soffro, soffrono anche loro.

Cleotilde

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Cleotilde Juarez Adame, 53 anni, originaria di Paraíso, nello stato di Guerrero, vive a Iguala da 35 anni e cerca suo figlio, Julio Alberto Salgado Juarez, dal 2011, scomparso quando aveva 26 anni.

Ricerca. Significa molto. Troverò mio figlio. Mi fa stare bene cercarlo, è un modo per sentirmi vicina a lui.

Memoria. Ricordo quando mi invitava a pranzo fuori, andavamo ad Acapulco. Ci portava lui. Tante cose, ho molti ricordi. A volte andavamo anche alle feste.

Pensiero. Voglio dirgli che gli voglio molto bene, lo amo e mi auguro di cuore di ritrovarlo, baciarlo e dirgli che lo aspettiamo a braccia aperte.

Collettivo. Trovo che noi madri e mogli siamo unite dallo stesso dolore. Siamo unite, ci incoraggiamo a vicenda e continuiamo a cercare i nostri familiari. Non ci sentiamo più così sole, così abbandonate.

Berta

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Berta Moreno Garcia ha 51 anni, è di Iguala e cerca José Manuel Cruz Moreno, suo figlio, scomparso il 2 gennaio 2009, all’età di 22 anni.

Ricerca. Significa tanto perché lo stiamo cercando, lo cerchiamo per i monti, o dove ci dicono di andare, con l’illusione di trovarlo dovunque si trovi. Il mio figlio più piccolo adesso ha 12 anni, ma quando abbiamo partecipato alle altre ricerche ne aveva 8 e veniva sempre con noi.

Memoria. Ricordo tutto. Quanto amava stare con la sua bambina e con tutti noi, ma poi non è più stato possibile. La bimba adesso ha 8 anni. Mio figlio ha un carattere calmo, non si arrabbia facilmente, è affettuoso ed è una brava persona. Gli piace quando ci abbracciamo, giocare a calcio con i suoi fratelli.

Pensiero. Voglio dirgli che lo aspettiamo. Che lo stiamo cercando e che la sua famiglia ha bisogno di lui. Vogliamo che torni a casa, vogliamo trovarlo. Finché avremo vita continueremo a cercarlo e se dovessi venire a mancare io, allora continueranno i miei figli.

Collettivo. Sentiamo lo stesso dolore, siamo uguali, e siamo in poche che facciamo le ricerche sul campo. Mi sembra che siamo più unite perché andiamo a fare le ricerche, attraversiamo monti o e altri posti. E non temiamo nessun pericolo, nessuno, non ci importa più niente, perché ci accompagna la speranza che forse possiamo trovarlo dentro qualche grotta, no? Non importa se non è mio figlio, se è il figlio di un’altra compagna è lo stesso, noi saremo lì.

Rogelio

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Rogelio Mastache Villalobos, 60 anni, è di Iguala e cercava suo figlio, Aldo Mastache Gonzaga, che aveva 28 anni quando è stato vittima di sparizione forzata, il 23 settembre2014. É stato trovato e sepolto il 3 agosto 2001. Rogelio parla e al suo fianco c’è un bambino, l’altro figlio. É entrato a far parte del collettivo Los otros desaparecidos de Iguala all’inizio del dicembre 2014., quando si era appena formato, e adesso fa parte del gruppo Madres Igualtecas en busca de sus Desaparecidos.

Ricerca. Partecipavospesso alle ricerche con gli altri compagni, ci riunivamo, pianificavamo le ricerche e andavamo verso i campi. Significava molto, significava cercare mio figlio e trovarlo. Lo abbiamo trovato qui a Iguala in un terreno pianeggiante di 10 ettari coltivato, nella parte bassa della montagna chiamata Cerro Gordo. In questo terreno ci sono appezzamenti con diversi nomi, in quello che si chiama “La Parota” abbiamo trovato mio figlio. Aveva 18 anni quando è scomparso.

Ritrovamento. Ho provato una brutta sensazione perché io lo volevo trovare vivo, volevo che riapparisse vivo. Ad ogni modo ringrazio Dio che me lo ha riportato, anche se è morto. Per me significa comunque tanto avere il suo corpo e potergli dare sepoltura, riaverlo qui con me. Anche se è sepolto in un cimitero, ma so che è lì e posso portargli fiori quando voglio perché so dove si trova. Posso riposare mentalmente perché è una vera angoscia pensare continuamente se tuo figlio è vivo o morto. Ritrovarlo ha significato tanto per me.

Pensiero. Gli direi “Figlio mio, mi dispiace tanto per ciò che ti è successo, non so cosa tu abbia fatto, ma spero che adesso tu sia con Dio”. Mio figlio non ha mai avuto cattive frequentazioni, è stata una vittima tra le tante, esseri innocenti che sono stati uccisi.  Mi sono fatto un’idea, dopo alcune ricerche, di quello che è successo. Se abbiamo capito come sono andate le cose, lo hanno portato via con la forza. Sono state tre o quattro persone a portarlo via con violenza. Molta gente lo ha visto e ci sono molti testimoni che hanno visto quando lo hanno caricato e portato via in un furgone. È stata la mafia, in quel momento governava quel disgraziato di Jose Luis Abarca. Era la mafia che operava in quel momento e aveva il patrocinio, il sostegno del governo municipale.

Memoria. Era un ragazzo responsabile con la sua fidanzata, per me era un bravo figlio che cercava di farsi strada nella vita con il suo lavoro. Aveva un bambino e un’altra bambina, i suoi figli. Uno, da padre, cerca di aiutare i figli. Gli piaceva molto giocare a biliardo. È uno sport sano, sempre che non si beva, e anche a me piace molto. I nostri gusti erano simili e anche io ero mentalmente simile a lui.

Collettivo. La cosa più importante che ci unisce è andare alla ricerca dei nostri cari. Soprattutto ci sono molti compagni che ancora non hanno trovato il loro familiare. Allora l’obiettivo è continuare a cercare. Io l’ho trovato ma ci sono ancora tutti gli altri. Un’ altra cosa importante è lottare per i nostri diritti. Grazie a Dio il governo ha emanato varie leggi che ci proteggono come vittime, come la General de Victimas (Legge Generale delle Vittime, in vigore dal 2013) e quella di Desaparición Forzada y por Particulares (Sparizione Forzata e Commessa da Privati, previste dalla Legge Generale messicana sulla materia)e in questo senso il governo ci sta dando una mano. Abbiamo perso un familiare e perciò la sua famiglia, sua moglie e le sue figlie, si ritrova senza il suo aiuto. Grazie a queste leggi riceviamo un aiuto alimentare o per l’affitto, questi sono i nostri diritti.

Norberto

Madres Igualtecas Messico desaparecidos

Norberto Jimenez Roman, 58 anni, fa il contadino ed è originario di Tlaltizapan, Morelos, residente a Mezcala, nello stato di Guerrero, da quando aveva un anno, ed è alla ricerca di suo figlio, Norberto Jiminez Heredia, vittima di sparizione forzata il 13 gennaio 2010, quando aveva 20 anni.

Ricerca. L’ho sempre cercato per tutto questo tempo. La ricerca è qualcosa che ti dà coraggio, sul serio. Perché al contempo stai lottando e puoi trovare il tesoro che più cerchi, ecco. Per me significa tanto.

Memoria. Ricordo quando studiava a Cuernavca ed è venuto a trovarmi a Mezcala, per una festa. Veniva ogni anno, ma quella volta erano già due anni che non riusciva a venire e poi è arrivato. Io ero nel recinto dei tori a abbiamo cenato assieme.  É rimasto tutto il giorno, un lunedì mi sembra. Il giorno dopo è andato a fare un giro a Chilpancingo e dopo è tornato qui a Iguala e gliene sono capitate di brutte. Possiamo dire che è venuto proprio per farsi portare via, non era neppure a Mezcala. Studiava meccanica, doveva farsi 3 anni di studio. Non era una testa calda, più o meno tranquillo il mio ragazzo. Non andava in giro a cercare guai. Gli ho sempre detto che uno deve essere sempre tranquillo e rispettare gli alti se vuole essere rispettato.

Pensiero. Se sta bene, ovunque lo tengano, se ha commesso qualche errore o lo hanno messo a lavorare, voglio solo che si prendano cura di lui. Cos’altro posso dirgli? Che si ricordino che hanno anche loro una famiglia e se un giorno toccherà a loro, credo che sentiranno le stesse cose. Se Dio vuole, finché avrò vita e forze continuerò a cercarlo.

Collettivo. Sono l’amicizia e il dolore che tutti sentiamo. La mia vita è cambiata. Per me è come se qui avessi trovato dei fratelli perché ci unisce lo stesso dolore.

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Testimonianze audiovisuali:

Video con alcune testimonianze dei familiari di Madres Igualtecas:

Video con interviste e documentazione di una ricerca in fosse clandestine del collettivo Madres Igualtecas della regione di Guerrero, città di Huitzuco

 
Leggi anche: Fabrizio Lorusso, “Nos une el mismo dolor.” Narrative, lutto e ricerca di vita nel collettivo de “Los otros desaparecidos de Iguala”, Letterature d’America (La Sapienza, Università di Roma), n. 173, anno XXXIX, 2019 (Bulzoni Editore, ISSN 1125-1743), pp. 85-103 (volume della rivista dedicato a «La Morte nella letteratura e cultura in Messico» link
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Ayotzinapa: tre anni di menzogne storiche e ingiustizie in Messico https://www.carmillaonline.com/2017/09/27/ayotzinapa-tre-anni-messico-la-lotta-continua/ Tue, 26 Sep 2017 22:00:16 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=40825  di Fabrizio Lorusso

  “Vorrei che le scarpe di mio figlio mi portassero fino a lui”

“Per una madre è molto difficile vedere l’alba, il tramonto e vedere che tuo figlio non c’è”

Genitori dei 43 desaparecidos della scuola di Ayotzinapa

“Sono passati tre anni e non abbiamo nessuna risposta concreta, questo vuol dire che il governo non ha interesse ad arrivare alla verità sui nostri figli e punta a stancarci, ma non ci arrenderemo”, esordisce per telefono, Cristina Bautista, madre di Benjamín, uno dei 43 studenti [...]]]>  di Fabrizio Lorusso

  “Vorrei che le scarpe di mio figlio mi portassero fino a lui”

“Per una madre è molto difficile vedere l’alba, il tramonto e vedere che tuo figlio non c’è”

Genitori dei 43 desaparecidos della scuola di Ayotzinapa

“Sono passati tre anni e non abbiamo nessuna risposta concreta, questo vuol dire che il governo non ha interesse ad arrivare alla verità sui nostri figli e punta a stancarci, ma non ci arrenderemo”, esordisce per telefono, Cristina Bautista, madre di Benjamín, uno dei 43 studenti desaparecidos della scuola di Ayotzinapa, nello stato messicano del Guerrero. La notte tra il 26 e il 27 settembre 2014 un gruppo di studenti della Scuola Normale Rurale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa, che si trovava nella vicina città di Iguala, subì una serie coordinata di aggressioni dalla polizia e da membri dell’organizzazione criminale Guerreros Unidos. I giovani erano andati a Iguala per raccogliere fondi, occupare temporaneamente alcuni pullman e così poter partecipare alla manifestazione che si tiene ogni anno a Città del Messico per ricordare la strage del 2 ottobre 1968 in cui l’esercito aprì il fuoco su migliaia di studenti riuniti in Plaza Tlatelolco e fece oltre 300 vittime. L’attacco, preceduto da un’attività di supervisione dei movimenti dei ragazzi da parte delle autorità mediante il Centro di Controllo C4, durò più di quattro ore e vi presero parte direttamente la polizia locale, la federale, quella statale, la ministeriale e l’esercito, le cui unità presenziarono i fatti, non intervennero mai in difesa degli studenti e invece si dedicarono a vessarli e minacciarli.

“E’ un gran dolore come madre, come padre, vedere che arriva il compleanno di tuo figlio e non sapere niente di lui, non potere abbracciarlo, ed è l’amore che abbiamo per ciascuno di loro che ci tiene svegli e ci fa continuare per chiedere un castigo per i responsabili”, spiega Cristina in un’intervista per questo articolo.

Il bilancio della “notte di Iguala” è stato brutale: sei morti, tra cui tre studenti, quaranta feriti, una città e un paese traumatizzati, e infine 43 studenti desaparecidos, cioè vittime di sparizione forzata da parte degli apparati di sicurezza statali. Volevano diventare maestri in zone rurali, indigene, marginali e per molti di loro iscriversi alla magistrale era l’unica opzione di vita.

La tradizione delle scuole normali messicane viene dagli anni ’20 e ‘30 del Novecento, quando s’istituirono con un carattere “socialista” per formare insegnanti che poi diventavano un riferimento fondamentale per l’organizzazione sociale, oltreché educativa, delle comunità. Col passare degli anni, di fronte all’autoritarismo del sistema politico dominato dal partito egemonico PRI (Partido Revolucionario Institucional), alla militarizzazione dei territori e alla strategia antinsurrezionale del governo, specialmente nel Guerrero, e poi al neoliberalismo imperante, portatore di ulteriori disuguaglianze, le normali rurali sono diventate fucina di ribellioni e alternative popolari osteggiate da tutti i governi fino a quello attuale.

Nelle settimane seguenti il “caso Ayotzinapa” ha fatto il giro del mondo e ha esposto il governo del presidente messicano Enrique Peña Nieto allo scrutinio internazionale e alle critiche di una società indignata che ha articolato un movimento imponente nelle piazze.

“Nello stato del Guerrero è scoppiata una vera e propria insurrezione col movimento per i 43, con quello per boicottare il voto nel 2015 e coi gruppi armati di polizia comunitaria”, spiega Ludovic Bonleux, autore del documentario Guerrero da poco uscito nelle sale messicane (link trailer).

Per tutto il 2015 le “Giornate di azione globale per Ayotzinapa” hanno tenuto accesi i riflettori trovando il sostegno e la solidarietà di migliaia di persone, collettivi e organizzazioni in Messico e fuori. L’anno seguente, senza tregua, i genitori e i solidali del movimento, sebbene meno presenti sui media esteri, hanno continuato a realizzare picchetti, incontri con le autorità, manifestazioni, carovane in Europa, Stati Uniti e America Latina

Ma mentre per le strade si chiedeva “verità e giustizia per i 43” al grido di “vivi li han portati via, vivi li rivolgiamo”, il titolare della Procura Generale della Repubblica (PGR), Jesús Murillo, s’occupava di fabbricare in fretta e furia una narrazione tossica, la cosiddetta “verità storica”, favorevole al governo Peña.

“Il governo messicano ha cominciato a tessere una versione ufficiale che potesse coprire per sempre la realtà dei fatti accaduti quella notte”, precisa Anabel Hernández, giornalista messicana autrice dell’inchiesta “La vera notte di Iguala”.

Dopo i sei anni di guerra militarizzata al narcotraffico e i 100mila morti provocati dal suo predecessore, Felipe Calderón, Peña s’era impegnato dall’inizio del suo mandato, nel dicembre 2012, a proiettare all’estero l’immagine di un paese alle soglie “del primo mondo” e rispettoso dei diritti umani.

Ayotzinapa ha distrutto il suo programma politico e propagandistico, basato su una netta spinta alle riforme neoliberiste, la continuazione della strategia militare contro i narcos, l’attrazione degli investimenti stranieri come panacea e la proiezione turistica e sportiva del Messico, e ha evidenziato invece una realtà nazionale drammatica: oltre 50 milioni di poveri, indici di disuguaglianza crescenti, sette femminicidi al giorno, una strage imparabile di giornalisti, 32mila desaparecidos e 105mila omicidi dolosi in quattro anni e mezzo di governo.

“Andiamo avanti a gridare per le strade, ogni giorno realizziamo attività culturali o di protesta in varie parti, facciamo rumore per la presentazione in vita dei nostri figli e spero che in Italia la gente resti informata sulla nostra lotta”, chiede Cristina.

Lo Stato messicano è chiaramente indicato come colpevole di fronte alle vittime e all’intera società per non aver saputo o voluto restituire, vivi o morti, ai genitori i propri figli e all’opinione pubblica una verità consistente dei fatti. Al momento nessuno degli oltre 100 accusati e incarcerati per il caso è stato processato, tanto meno condannato.

Attualmente le petizioni del movimento dei genitori dei 43 desaparecidos si riassumono nei punti enunciati dal comunicato “4 strade imprescindibili per la verità e la giustizia”, che altro non sono che le piste abbandonate deliberatamente dalla Procura Generale e dal governo in questi tre anni e che hanno impedito un vero chiarimento delle responsabilità.

Le loro richieste si basano sul secondo e ultimo rapporto del Gruppo Interdisciplinare di Esperti Internazionali (GIEI) della CIDH, consegnato il 25 aprile dell’anno scorso all’opinione pubblica e al governo dopo un anno di ricerche. Gli esperti hanno attestato che la versione governativa non regge ed è stata costruita mediante la tortura degli indiziati e la manipolazione delle prove. Le loro conclusioni sono simili a quelle di Anabel Hernández, in prima linea nel contestare la versione ufficiale costruita da Murillo e dal direttore dell’Agenzia per le Indagini Criminali, Tomás Zerón.

“Questi due personaggi hanno inventato la cosiddetta ‘verità storica’, facendo credere che gli studenti della scuola normale sono stati sequestrati e bruciati nella vicina città di Cocula per ordine di un semplice e piccolo sindaco, quello di Iguala, José Luis Abarca, da un gruppo di poliziotti senza armamento né formazione sufficiente e da un piccolo gruppo criminale che era operativo nella zona”, ha spiegato la giornalista in un’intervista telefonica.

La cremazione di 43 corpi nella discarica di Cocula era tecnicamente impossibile, secondo le perizie dell’Equipe Argentina di Antropologia Forense ed esperti delle principali università del paese, ma la Procura ha insistito nel voler imporre questa versione.

“I militari, i poliziotti federali e del Guerrero hanno orchestrato questo crimine, ho prove contundenti del fatto che l’esercito ha sparato direttamente quella notte contro i pullman degli studenti perché stava lavorando per un boss importante a capo delle operazioni nella regione per recuperare un carico di eroina da 2 milioni di dollari e il governo messicano era a conoscenza di tutto ciò”, conclude Hernández.

Questo mese si sono moltiplicate le attività dei movimenti che sostengono i genitori di Ayotzinapa e il 26 è stata realizzata la XXXVI Giornata di Azione Globale per Ayotzinapa, anche se il terremoto del 19 settembre ha cambiato i piani. C’è stata quindi una camminata silenziosa a Città del Messico e in decine di altre città messicane. I genitori dei 43 hanno portato tutti i prodotti di prima necessità raccolti alle vittime del terremoto del quartiere Xochimilco. “Capiamo il vostro dolore perché da tre anni non sappiamo nulla dei nostri 43 figli, per questo e perché i nostri fratelli a Città del Messico hanno aperto le porte della città alla nostra lotta, abbiamo deciso di ristrutturare il nostro piano di azione e sospendere alcune attività che erano in programma”, ha annunciato il Comitato dei Genitori dei 43 studenti. Intanto per il 26 è prevista una camminata di protesta nella capitale e poi si riunirà ancora l’Assemblea Nazionale Popolare nella Normale di Ayotzinapa per cercare nuove strategie.

“Per noi il 26-27 non è tutto, la battaglia continua sempre perché abbiamo detto che andremo avanti fino a conoscere il dei nostri figli, perché altrimenti passa l’idea che non succede mai niente, che il governo uccide, fa sparire la gente, la imprigiona e non gli si dice niente”, annuncia Cristina. “Non ci stanchiamo di ripetere il nostro reclamo come un disco rotto e ora ci concentriamo sui 4 punti che il GIEI ha chiesto d’indagare allo Stato messicano”, ribadisce.

Il primo punto riguarda il ruolo del 27° battaglione dell’esercito di stanza a Iguala, il cui intervento la notte del 26 settembre non è stato indagato, né sono state ispezionate le caserme in cui, secondo alcune ricostruzioni plausibili della stampa e dei testimoni, potrebbero essere stati portati alcuni degli studenti.

Il secondo punto chiede indagini specifiche, basate su una serie di prove scartate quasi di default dalla Procura, sul gruppo di 25 alunni che sarebbe stato condotto a Huitzuco, a mezz’ora di macchina da Iguala, da agenti delle polizie federale, locale e ministeriale. Nessun poliziotto di queste corporazioni è stato arrestato o interrogato al riguardo.

La Procura, da mesi, presumibilmente sta analizzando i tabulati telefonici di un migliaio di cellulari, diciassette dei quali sono degli studenti e sono stati utilizzati anche dopo la loro sparizione forzata, per cui si chiede di rendere noti i risultati completi sulla localizzazione geografica e sui contenuti delle chiamate.

Infine s’esige un’indagine sulla pista del traffico di droga tra Iguala e Chicago come possibile movente dell’aggressione. Inizialmente la Procura aveva parlato di soli quattro autobus sequestrati dagli studenti, ma poi sono emerse prove dell’esistenza di un quinto pullman che, a insaputa dei ragazzi, sarebbe stato carico di eroina, il che potrebbe aver innescato la persecuzione armata da parte delle polizie colluse con i narcotrafficanti dell’organizzazione Guerreros Unidos a Iguala.

David Fernández, rettore dell’università Iberoamericana nella capitale, ha affermato che “il caso Ayotzinapa è paradigmatico perché permette di capire cosa è successo e succede nel paese: il costo del discredito che ha pagato il governo messicano per non aver indagato sulla sparizione dei 43 studenti è inferiore al prezzo che dovrebbe pagare se venisse a galla la verità”.

Il reclamo della società per le violazioni dei diritti umani, che spesso si configurano come crimini di lesa umanità, continua a riecheggiare in tutti gli angoli del Messico e del mondo grazie all’azione e al coraggio dei genitori dei 43 studenti e di tutti gli altri desaparecidos a cui non importa quanto possa essere alto il prezzo della verità e della giustizia.

P.S. Per chi volesse informarsi in modo completo sul caso Iguala-Ayotzinapa e sugli eventi della notte del 26 settembre 2014 consiglio la Piattaforma Ayotzinapa, da poco inaugurata da Forensica Architecture, in collaborazione con l’Equipe Argentina di Antropologia Forense e il Centro per i Diritti Umani Miguel Agustìn Pro Juárez, i quali hanno concepito un sito interattivo per mappare ed esaminare le diverse narrative presenti sulla notte di Iguala. Il progetto vuole ricostruire per la prima volta la totalità dei fatti notti che hanno avuto luogo quella notte per fornire uno strumento forense che coadiuvi le indagini sul caso.   

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¡Ayotzinapa somos todos! Prologo e poesie del libro 43 poeti per Ayotzinapa https://www.carmillaonline.com/2016/09/27/ayotzinapa-somos-todos-prologo-e-poesie-del-libro-43-poeti-per-ayotzinapa/ Mon, 26 Sep 2016 22:00:21 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=33599 di Fabrizio Lorusso

43-poeti-per-ayotzinapa-copertina[A due anni dalla “notte di Iguala”, nello stato messicano del Guerrero, e dalla sparizione forzata di 43 studenti della Scuola Normale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa pubblichiamo il prologo al libro 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos, AA.VV. (traduzione all’italiano di Lucia Cupertino), Ed. Arcoiris, 2016, p. 216, 12 €]

Nella notte tra il 26 e 27 settembre 2014 quarantatré studenti della Scuola Normale Rurale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa, nel meridionale stato messicano del Guerrero, furono sequestrati dalla [...]]]> di Fabrizio Lorusso

43-poeti-per-ayotzinapa-copertina[A due anni dalla “notte di Iguala”, nello stato messicano del Guerrero, e dalla sparizione forzata di 43 studenti della Scuola Normale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa pubblichiamo il prologo al libro 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos, AA.VV. (traduzione all’italiano di Lucia Cupertino), Ed. Arcoiris, 2016, p. 216, 12 €]

Nella notte tra il 26 e 27 settembre 2014 quarantatré studenti della Scuola Normale Rurale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa, nel meridionale stato messicano del Guerrero, furono sequestrati dalla polizia locale dei comuni di Iguala e Cocula e consegnati a un gruppo di presunti narcotrafficanti dell’organizzazione dei Guerreros Unidos. Da allora i giovani risultano desaparecidos e gli inquirenti non hanno saputo offrire versioni plausibili sull’accaduto. In questi mesi l’azione di esperti autonomi, degli attivisti e di alcuni giornalisti, spesso osteggiati dalla Procura, dal Governo e dai mass media allineati, ha permesso all’opinione pubblica e ai genitori dei ragazzi di ottenere dati preziosi che hanno sconfessato la cosiddetta “verità storica” sul caso, offerta dall’ex procuratore generale Jesús Murillo Karam nel gennaio 2015 e basata su testimonianze di presunti delinquenti estorte con la tortura. Secondo la Procura i ragazzi sarebbero stati rapiti e poi bruciati dai narcotrafficanti per oltre quindici ore nella discarica di Cocula e i loro resti sarebbero stati gettati nel vicino fiume San Juán. L’opera di controinformazione e di ricerca indipendente, in particolare le indagini dell’EAAF (Équipe Argentina d’Antropologia Forense) e del GIEI (Gruppo Interdisciplinare di Esperti Indipendenti della Commissione Interamericana dei Diritti Umani), ha smentito parti sostanziali di questa narrazione e ha mostrato le numerose contraddizioni e la malafede delle autorità nell’investigazione del caso. Sono state messe in evidenza la presenza e le responsabilità dell’esercito e della polizia federale nell’accaduto.

Invece la versione governativa, sorretta da campagne mediatiche che discreditano i ragazzi, i loro cari e la società che chiedeva giustizia e verità, pretendeva di ridurre l’accaduto a un episodio “locale”, limitato solo a pochi poliziotti e politici corrotti. Al contrario gli apparati pubblici coinvolti a vario titolo sono diversi e la notte del 26 settembre s’è svolta una vera operazione repressiva complessa e articolata di persecuzione contro un gruppo di studenti inermi. È stata anche rivelata la presenza di un autobus, tra quelli che i ragazzi avevano occupato e sottratto ai conducenti, che probabilmente era carico di eroina. Un attacco così spietato e prolungato, conclusosi con la cattura dei 43 e con la loro sparizione, potrebbe essere stato motivato dal timore di perdere il prezioso carico, la cui presenza ignoravano i normalisti. Iguala è uno degli hub del cosiddetto pentagono dell’oppio dello stato del Guerrero, una regione tra le prime al mondo per le coltivazioni di amapola o adormidera, cioè di papavero da oppio. Il cartello di Sinaloa, capeggiato da Ismael “El Mayo” Zambada e Joaquín “El Chapo” Guzmán, che attualmente è incarcerato in un penitenziario di Ciudad Juárez, sta infatti spingendo nel mercato statunitense l’eroina color caffè e la bianca, sostituendo la tradizionale di color marrone scuro. I messicani stanno facendo concorrenza direttamente agli importatori asiatici di eroina bianca, molto apprezzata sulla costa est, e, in questo contesto, Guerrero e il Triangolo d’Oro, un’area appartenente agli stati del Durango, del Sinaloa e del Sonora, sono territori strategici. Gli esperti internazionali del GIEI hanno investigato sul caso per un anno.

Il 30 aprile 2016 è scaduto il loro mandato e il governo del presidente Enrique Peña Nieto ha deciso di non rinnovarlo. La loro presenza è diventata scomoda perché con le loro scoperte hanno sostenuto la lotta dei genitori degli studenti e dei movimenti sociali nazionali e globali, denunciando le omissioni e le responsabilità dello Stato messicano in quello che si può configurare come un delitto imprescrivibile di lesa umanità. “Vivos se los llevaron y vivos los queremos” (“Vivi li hanno portati via e vivi li rivogliamo”), continuano a gridare il 26 di ogni mese i familiari delle migliaia di vittime di desaparición, i genitori di Ayotzinapa, i collettivi e i cittadini solidali nelle piazze del Messico. Chiedono giustizia e verità. A quasi due anni dalla “notte di Iguala” è chiaro che il caso dei normalisti di Ayotzinapa rappresenta solo la punta di un iceberg. Nell’ultimo decennio regioni come Guerrero, Veracruz, Tamaulipas, Chihuahua, Nuevo León, Coahuila, Estado de México e Michoacán, solo per citare alcuni esempi emblematici, si sono trasformate in immense fosse comuni, depositi clandestini di ossa e cadaveri di persone che non verranno mai identificate a causa dell’inerzia delle istituzioni. Non a caso queste zone corrispondono a snodi in disputa tra varie organizzazioni criminali, a punti di passaggio strategici dei traffici di droghe, armi e persone, a focolai di resistenza popolare o a territori ricchi di biodiversità e risorse naturali il cui sfruttamento è ambito da imprese multinazionali.

Quando una persona è sequestrata e viene “fatta sparire”, sono i suoi familiari che devono provvedere da soli alle ricerche, osteggiati da autorità indolenti, se non proprio conniventi con i perpetratori del crimine. Solo da alcuni anni, in particolare dopo la nascita del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità del poeta Javier Sicilia nel 2011, le vittime del conflitto interno messicano, della militarizzazione della sicurezza e della cosiddetta “guerra alle droghe”, che in realtà è una guerra alla società stessa, sono riuscite faticosamente a ritagliarsi uno spazio nel dibattito pubblico, a rendere visibile la tragedia nazionale della violenza e a organizzarsi efficacemente per smorzare dolori e solitudini, incontrarsi, fare comunità e lottare insieme per la verità. Grazie ai loro sforzi è stata approvata una “Legge delle Vittime”** che, all’atto pratico, non ha funzionato per mancanza di fondi, coordinamento e volontà politica per cui è ancora in corso una battaglia per riformarla e renderla operativa. Le istituzioni che ha creato sono solo l’immagine sbiadita di quello che prevede il suo testo e che la società civile esige. Un’altra legge importantissima, quella sulle sparizioni forzate, è ancora in discussione e gli sforzi della società civile organizzata si concentrano dunque su quest’iniziativa. Ciononostante anch’essa rischia di venire sterilizzata da veti e postille che, insieme alle croniche limitazioni del budget, puntano a limitare le responsabilità degli apparati dello Stato nelle desapariciones.

ayotzinapa-1[Tramonto domenicale semidesertico. Mi trovo nel zocalo, la piazza centrale, della città di León, nello stato del Guanajuato e osservo i cartelli e i poster disposti per terra da uno sparuto gruppo di attivisti. Una madre tiene per mano la sua bambina, che avrà dieci anni, e s’avvicina all’immagine in primo piano di Jhosivani Guerrero de la Cruz, studente desaparecido di Ayotzinapa. Suggestionata, forse spaventata, dalla sequenza grafica dei ragazzi davanti ai suoi occhi, la bimba chiede a sua madre: “Mamma, ma perché lì dice che sono desaparecidos, cos’hanno fatto?”. “Li han fatti sparire perché facevano i rivoluzionari”, è stata la risposta. Secca, cinica, magari preoccupata di non saper spiegare una realtà terribile alla sua figlioletta, o semplicemente male informata e pregiudiziosa, la signora con le sue parole è uno spaccato della società, almeno di quei settori disinformati e negazionisti che ne formano il nocciolo duro, specialmente fuori dai grandi centri urbani. Sono tantissime le persone che ancora oggi, per esempio, negano o minimizzano la realtà delle sparizioni forzate, non riconoscono il ruolo della forza pubblica in questi crimini, ignorano le cifre ufficiali e sono convinte che a loro non potrà mai succedere una cosa del genere e che le vittime siano sempre legate al mondo del crimine. “Se sono desaparecidos, avranno qualcosa a che fare coi narcos, se non ti metti nei guai, qui non ti capita niente”, sostengono…].

La sparizione forzata di persone in Messico, come in molti altri Paesi dell’America Latina, è una pratica che risale per lo meno agli anni sessanta e settanta del secolo scorso. La guerra sucia, o guerra sporca, condotta da alcuni apparati dello Stato, specialmente dalle forze armate, si rivolgeva contro i militanti dei movimenti popolari e d’insurrezione armata, oltreché contro la popolazione comune, che rivendicavano una maggiore giustizia sociale e una democratizzazione del sistema. Così l’assassinio politico, la desaparición, la tortura, il genocidio e l’annichilamento delle comunità hanno configurato una strategia repressiva ben definita. Guerrero, stato dalle profonde radici contadine e indigene e dalle enormi disuguaglianze sociali, ha prodotto numerosi movimenti guerriglieri e nelle sue montagne ci sono le forze armate che storicamente hanno gestito la controinsurrezione.

Il maestro rurale Lucio Cabañas, fondatore del gruppo armato Partido de los Pobres (Partito dei Poveri), venne ucciso nel 1974 in uno scontro coi militari e divenne una figura d’ispirazione per le lotte contadine e sociali. Aveva studiato proprio nella scuola di Ayotzinapa. Tanti suoi compagni non morirono sul campo di battaglia, ma furono sequestrati e non si seppe più nulla di loro. Sono tuttora desaparecidos. La sparizione forzata non significa la morte, ma nemmeno la vita. Significa sospensione, un limbo della memoria e della disperazione, dell’oblio e della ricerca. Vuol dire paura, strategia del terrore, distruzione del tessuto sociale. E questo male assoluto non può far altro che servire agli interessi di un meccanismo perverso e complesso, a volte criptico e altre chiaro, ma comunque potente, cinico ed efficace. Il potere dell’oppressione e dell’economia depredatrice, la riproduzione dello status quo, la spoliazione dei territori e delle culture, il monopolio politico dell’élite e l’ideologia della guerra, sia essa “fredda” o “calda”, “guerreggiata” o di “bassa intensità”, ne oliano gli ingranaggi. Dopo la caduta del muro di Berlino, con la presunta e declamata fine delle ideologie e della storia, la guerra sporca s’è riconvertita e modernizzata nel contesto della globalizzazione e di un conflitto interno messicano sempre più complesso e sanguinario.

La narcoguerra o guerra alle droghe e al narcotraffico ha sostituito la lotta contro il “pericolo rosso” e rappresenta un asse di legittimazione per politiche pubbliche, retoriche governative e campagne elettorali dal trasfondo bellicista. Ma i risultati, al di là dei falsi successi millantati di volta in volta dal presidente di turno, sono sempre gli stessi: carriere armamentiste, violenza, corruzione, crescita e sofisticazione del business degli stupefacenti e di altre attività criminali “collaterali”, impunità e controllo autoritario delle domande sociali. Nel frattempo le droghe e i narcocapitali inondano i mercati dei Paesi consumatori mentre le decine di migliaia di morti e le briciole della catena del valore del narcotraffico restano a Sud. Nel solo Messico le vittime della narcoguerra sono oltre 150.000 in un decennio e qualunque tipo di droga, naturale o sintetica, costa meno di prima. Col tempo il fenomeno della desaparición ha assunto proporzioni catastrofiche. Negli ultimi dieci anni il numero dei desaparecidos nel Paese ha superato quota ventottomila e oggi la desaparición forzada risponde a una molteplicità di fattori, al di là di quelli tradizionali di tipo politico. Le persone sono sequestrate e “fatte sparire” anche solo perché si trovano nel posto e nel momento sbagliato oppure perché difendono la loro terra e organizzano la popolazione. O perché transitano in una zona che è in mano alla criminalità organizzata e la polizia collabora o è al soldo di questa.

Ci sono ipotesi che provano a inquadrare la sparizione forzata come strategia di spopolamento delle regioni ad alta densità di risorse naturali o sostengono l’esistenza di un reclutamento coatto di manovalanza criminale da parte dei cartelli della droga che, per esempio, hanno bisogno di figure specializzate come i tecnici informatici e delle telecomunicazioni. Ad ogni modo in tutti questi casi si parla di desaparecidos in quanto c’è una partecipazione diretta o un’omissione di azioni preventive e di tutela da parte dello Stato che diventa quindi artefice o complice di questo crimine ignobile. Il tasso d’impunità dei delitti in Messico s’aggira intorno al 97% e la corruzione è endemica a tutti i livelli. La narco-politica caratterizza e definisce l’incipiente democrazia messicana nel secolo XXI. In questo contesto è triste ma realista affermare che l’escalation della violenza e delle sparizioni forzate avviene semplicemente perché è possibile che avvenga. Cioè la possibilità di delinquere e, semplicemente, farla franca perché mai si verrà catturati o condannati, o perché in ogni caso è possibile corrompere le autorità, rappresenta la norma, anche in caso di reati gravissimi. La protezione garantita da alcuni funzionari pubblici a certe organizzazioni criminali o il loro diretto coinvolgimento nei business illeciti è la cartina al tornasole di questo patto d’impunità. Oggi, come quarant’anni fa, Guerrero, in particolar modo la zona della tierra caliente, che è il cuore delle coltivazioni illegali, soffre un’endemica crisi umanitaria ed economica. La sua città principale, Acapulco, è stata negli ultimi anni la capitale mondiale dell’omicidio, con tassi di violenza altissimi. Si tratta di uno degli stati più poveri del Messico, sempre agli ultimi posti delle classifiche relative agli indici di povertà, disuguaglianza socioeconomica e sviluppo umano. In questo contesto le mattanze, i crimini e persecuzioni della notte di Iguala possono ripetersi con logiche e risultati simili, come in effetti è successo, e non solo nel Guerrero.

otros-igualaA Iguala, pochi giorni dopo il 26 settembre 2014, è nato il Comitato di Ricerca de Gli Altri Desaparecidos (Los Otros Desaparecidos), attivo ancora oggi. A partire proprio dalle ricerche degli studenti desaparecidos nelle colline tutt’intorno alla città, s’è creato un movimento di familiari che dapprima ha cominciato a riunirsi, poi ad aiutare concretamente la UPOEG (Unione dei Popoli Organizzati dello Stato del Guerrero), che aveva organizzato delle squadre per trovare i giovani ancora in vita, e infine a formare le proprie brigate per disseppellire le centinaia di corpi e di resti rinvenuti mano a mano nei dintorni. Non si trattava più esclusivamente di cercare i 43, dato che il problema era molto più grave: l’intera zona era disseminata di fosse clandestine e ossa umane. I 43 non sono stati ancora stati ritrovati, e nemmeno i loro resti, salvo quelli di uno di loro, Alexander Mora Venancio, identificato con l’esame del DNA. Ma grazie al rischioso ed estenuante lavoro dei Los Otros Desaparecidos tante famiglie di Iguala hanno ottenuto risposte circa il destino dei loro cari scomparsi. Risposte che in tanti anni nessuno, né gli inquirenti né le istituzioni, aveva voluto o potuto dare. Perché offrire spiegazioni sul caso di un desaparecido potrebbe significare la assunzione di responsabilità enormi, per cui lo Stato dovrebbe ammettere d’essere coinvolto, d’essere parte in causa, e processare se stesso in qualche modo. In altri casi, invece, la procurazione di giustizia e le polizie, le agenzie per le indagini e i pubblici ministeri sono inerti, disfunzionali o privi di risorse e tecnologie. Avere un caso di desaparición in famiglia implica portare una croce, sopportare uno stigma sociale, affrontare l’isolamento e addirittura minacce, insomma vuol dire essere vittima due, tre, quattro volte.

La scelta alternativa, altrettanto amara, è far finta di dimenticare, smettere di cercare, rassegnarsi e provare a condurre di nuovo una vita “normale”. Il progetto collettivo e itinerante Orme della Memoria (Huellas de la Memoria), ideato dall’attivista e scultore Alfredo López Casanova, punta esattamente al contrario: registrare i passi dei familiari dei desaparecidos che hanno camminato per anni di comunità in comunità attraverso una stampa delle suole delle loro scarpe, che hanno incise frasi in rilievo dedicate ai cari scomparsi. La stampa su carta dei dati dei desaparecidos e delle espressioni d’affetto dei loro familiari viene realizzata con inchiostro color verde-speranza. Ma alcune incisioni sono di colore rosso, quando i resti della persona scomparsa sono stati rinvenuti e identificati, o nero, quando chi la stava cercando muore durante le ricerche o per malattie contratte durante anni di dolore e spostamenti.

Ciclicamente le cronache dei quotidiani europei riportano i nomi di villaggi e comunità messicane, spesso difficili da pronunciare o anche solo da memorizzare, dove sono avvenute terribili stragi, esecuzioni extragiudiziarie, violazioni di massa ai diritti umani, 15 sparatorie, repressioni della protesta sociale, abusi delle forze di polizia e dei militari, oppure regolamenti di conti, occupazioni, spoliazioni e sequestri da parte della criminalità organizzata. Ayotzinapa, Tlatlaya, Apatzingán, Acteal, Aguas Blancas, Tetelcingo, Temixco, Iguala, Tepalcatepec, San Fernando, Pasta de Conchos, Atenco, Oaxaca, San Juan Copala, La Realidad, Topo Chico, Pajaritos, Wirikuta: sono solo alcune località tristemente note in terra azteca, probabilmente meno in Italia. I luoghi si dimenticano e sono pochi i media che dedicano uno spazio alla riflessione su un problema grave e strutturale: la provenienza delle armi in possesso dell’esercito e delle narcomafie in Messico. Queste arrivano in gran parte dagli Stati Uniti e dall’Europa, cioè dalle regioni che più ricevono e riciclano i narco-capitali e che più consumano le droghe prodotte, o in transito, nei Paesi latinoamericani. Grazie agli esborsi dell’erario pubblico messicano e al contrabbando gli stati più conflittuali e socialmente diseguali, come Guerrero e Chiapas, sono invasi da armi di alto calibro che servono a uccidere e a far sparire migliaia persone, senza tregua e calcolatamente, come nel caso dei 43 studenti.

proceso-1989-la-verdadera-noche-de-iguala-1-638I fucili tedeschi G36 della Heckler & Koch, azienda leader mondiale nella produzione di armi da fuoco, sono passati facilmente dalle mani delle polizie del Guerrero a quelle dei cartelli della droga locali, malgrado esista un divieto legale di esportare armamenti negli stati in cui si violano i diritti umani. Anche per questo, sebbene siano concentrate nel Sud del mondo, le mattanze, come quella di Iguala, e le vittime dell’ipocrita narcoguerra, iniziata dall’ex presidente americano Richard Nixon e portata avanti dai vassalli di Washington in America Latina, come il colombiano Álvaro Uribe e i messicani Felipe Calderón e Enrique Peña Nieto, ci riguardano da vicino, direttamente, senza scuse. La società tedesca, e anche una parte del mondo politico, ha mostrato il suo sdegno per la situazione e ha dato alcuni segnali, per lo meno a livello diplomatico, economico e nelle piazze.

Peña Nieto viene dichiarato persona non grata da collettivi e importanti associazioni, ma non dai governi e dall’Unione Europea, che indugia, ammaliata 16 dalle promesse dell’apertura del settore energetico messicano. E il presidente del consiglio italiano Matteo Renzi, dal canto suo, ostenta vergognosamente una reverenza e una spregiudicata vicinanza con “l’amico Enrique” ad ogni incontro ufficiale, senza mai menzionare la grave crisi ed il conflitto in corso in Messico. A livello mondiale le iniziative, dentro e fuori dalle Giornate Globali per Ayotzinapa realizzate nel 2014 e 2015, sono state tante che è impossibile ricordarle tutte. Il libro 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos, nell’ottima traduzione in italiano di Lucia Cupertino, ha accompagnato in Messico, e di certo lo farà in Italia, l’ondata di protesta, rabbia, soli-darietà e unione che ha coinvolto migliaia di militanti, specialmente negli ultimi due anni, dopo Ayotzinapa. È grazie ai progetti culturali, ai romanzi, alle cronache, ai documentari, ai flash mob, ai dipinti, alla street art, alle opere teatrali e, senza dubbio, è grazie a queste poesie, composte da poeti messicani, spagnoli e sudamericani, che i riflettori non verranno spenti e che possiamo dire “Ayotzinapa somos todos”. Ayotzinapa siamo tutti affinché la memoria sia collettiva e così sopravviva, si rinnovi e fruttifichi.

“43 poeti per scacciare la morte, per dar sfogo a una indignazione vitale. La poesia come una affermazione, sono qui, sono con te, sono per tutti. Dove tutti significa molte persone, tutte le vive, tutte le sparite, tutte le torturate, tutte le assassinate di questo Messico contemporaneo, immerso in una guerra contro i poveri, contro chi si sente sicuro di fare il proprio dovere, contro chi vuole essere libero. Molte di più dei 43 studenti desaparecidos dall’esercito, la polizia e i narcotrafficanti ad Iguala la notte tra il 26 e il 27 settembre 2014. Però quei 43 ragazzi risvegliano la poesia: sono stati trasformati dal desiderio popolare di mettere fine alla violenza di stato e della delinquenza (nessuno sa dove finisce una e comincia l’altra) in semi di speranza”. (dalla postfazione di Francesca Gargallo)

Nota.

**In spagnolo Ley General de Víctimas. È la norma approvata nel 2013 come risultato di una grande mobilitazione sociale contro la narcoguerra e la violenza, iniziata nell’aprile di due anni prima, e di un parallelo processo legislativo durante i mandati presidenziali di Felipe Calderón, fino al novembre 2012, e di Enrique Peña Nieto, nei due mesi successivi. La Legge, sulla carta, prevede l’identificazione delle tipologie di vittime e i loro diritti, la creazione di istituzioni specifiche di supervisione, vigilanza e implementazione dei programmi in favore delle vittime della violenza, fonda l’anagrafe nazionale delle vittime e prevede un fondo di aiuto e riparazione del danno.

Iniziative per i 24 mesi dalla desaparición dei 43 studenti: hashtag #Ayotzinapa243

Speciale Ayotzinapa dos años: Desinformémonos

Notte di Iguala video e documenti, timeline: link 1   Link 2

Articolo 26-27 settembre da Città del Messico link


Tre poesie dal libro

Briceida Cuevas Cob _____________ Maya, Messico

MESE XUUL (DAL 24 OTTOBRE AL 12 NOVEMBRE)

I

Questa volta il lumino dell’attesa si consuma dinnanzi al dubbio.

Questa volta i tuoi antichi defunti sono giunti e non c’eri in casa.

Eri alla ricerca dei vivi tra i morti.

(Vennero a cercarti e ti trovarono col tuo altare ambulante

ad issare volti reiterati di giovani amati).

Da allora

alla marcia per la giustizia e il ripudio

si sono unite le anime degli altri morti.

E non se ne andranno fino a quando non li troveranno vivi.

II

In questo mese di convivenza coi morti,

il forno in terra cruda per cuocere grandi tamales*

ti ricorda

che la morte giunge

dai quattro punti cardinali.

Ma l’odore della morte che ti circonda non viene da quelle parti.

Ha cancellato la sua traccia.

III

A lungo ti domandi:

“Se all’ottava del giorno dei morti tornano gli impiccati,

quando verranno i vivi incinerati?” Neghi a te stessa quest’idea

E intraprendi la ricerca

in valli, fiumi, guazzi, montagne, fosse clandestine

con una piccola luce che si è moltiplicata attraverso le voci d’altri:

“Vivi li hanno portati via,

vivi li rivogliamo”

IV

Le foglie del fior di morto**

non bastano a curare la ferita

quando profonda è la radice del dolore.

Lo sai perché sono trascorsi più di 43 giorni.

E ogni giorno che passa scava una palata di angoscia nella fossa

aperta del tuo cuore.

Preghi.

Mentre sopporti le burle del potere

sfogli il fior di morto;

Interroghi ogni petalo marcito:

Vivono…? Non vivono…?

E a ogni domanda senza risposta si sfoglia la tua anima.

Il fiore che si porge ai defunti durante la Festa dei Morti

 

*Piatto tipico amerindio costituito da massa di mais ripiena di carne e verdure, che viene avvolta in foglie di banana, mais e simili per poi essere cotta (NdT).

**(nome scientifico: Tagetes erecta, anche detto in nahuatl Cempohualxochitl, Venti fiori). In diverse zone del Messico la pianta è inoltre usata come rimedio medicinale in varie situazioni di malessere, includendo alcune considerate culturali, come paura e spavento (NdT).


Juan Campoy _____________ Spagna

AYOTZINAPA

Erano il miglior raccolto del Paese,

una generazione di pensatori liberi,

la speranza di un popolo.

Ma il potere appesta

e va marcendo

fino a servire d’adorno

negli uffici.

Tutto ciò che poteva essere orizzonte,

un cielo libero fecondato di vita,

non era nient’altro che una pagina

archiviata in uno scantinato buio.

43 voci con faccia e nome

disposti ad essere concime nel campo,

viveri sul tavolo dei poveri,

vaccino miracoloso

contro la febbre nera del lebbroso,

43 poesie

contro la longitudine vertiginosa

di una sferza o di una sciabola.

Erano il miglior raccolto del Paese,

però hanno lasciato solo equazioni

irrisolte,

verbi e aggettivi contro l’inverno0

e il suo bacio mortale,

così riga

dopo riga hanno scagliato metafore

contro l’iniquità

insopportabile dei genocidi.

Forse li colsero distratti,

o forse avevano troppa fiducia

nei pilastri basilari della loro fede.

Spaccati in pronomi,

il campo è rimasto seminato di ossa.


Patricia Olascoaga _____________ Uruguay

La morte ci sorprende ad ogni semina

con le braccia aperte all’aria.

Quarantatré sono state

le bocche a gridare la denuncia e l’utopia,

fors’è per questo,

le labbra aperte nei baci

giovani bocche ancora senza crepe d’odio,

sogni nuovi.

Fors’è per questo.

Quarantatré sono stati

i corpi a camminare lungo una strada in discesa,

quarantatré e non sono tornati.

La morte ci sorprende ad ogni semina

senza un luogo dove piangere i morti.

Assalto a mano alzata, zampata feroce:

non gli è bastato rubare la vita di quei corpi

incenerire i volti ormai inespressivi,

dovevano anche rubare i loro corpi dalla sepoltura

i loro nomi alle presenze

le loro lacrime al pianto delle loro madri.

Fors’è per questo,

quarantatré giovani bisognerà partorire oggi

come impotenza o ribellione o omaggio.

Partorirli ogni giorno nel ricordo e nel verso

e repellere l’oblio

e maledire quarantatré volte,

come uno scongiuro e una supplica

quando si lancia il chicco nell’aria ad ogni semina,

quarantatré giovani nella terra.

 

]]>
Nella Notte Ci Guidano le Stelle. Ayotzinapa e la Lotta per la Verità https://www.carmillaonline.com/2016/04/06/nella-notte-ci-guidano-le-stelle-ayotzinapa-la-lotta-la-verita/ Tue, 05 Apr 2016 22:00:03 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=29660 di Fabrizio Lorusso 

ayotzinapa iguala_normlistas[Questo articolo è formato da un aggiornamento di Fabrizio Lorusso dal Messico sul caso Iguala-Ayotzinapa e da un comunicato stampa del Collettivo Parigi-Ayotzinapa che ripercorre cronologicamente la vicenda e decostruisce il discorso ufficiale. Il titolo del post è ripreso dal testo del canto della Resistenza “Fischia il vento” e dall’ispiratore titolo del romanzo Il sole dell’avvenire (vol. 3) di Valerio Evangelisti]

In Messico il numero dei desaparecidos ha superato ufficialmente l’impressionante cifra di 27.500[1], anche se ci sono stime che addirittura [...]]]> di Fabrizio Lorusso 

ayotzinapa iguala_normlistas[Questo articolo è formato da un aggiornamento di Fabrizio Lorusso dal Messico sul caso Iguala-Ayotzinapa e da un comunicato stampa del Collettivo Parigi-Ayotzinapa che ripercorre cronologicamente la vicenda e decostruisce il discorso ufficiale. Il titolo del post è ripreso dal testo del canto della Resistenza “Fischia il vento” e dall’ispiratore titolo del romanzo Il sole dell’avvenire (vol. 3) di Valerio Evangelisti]

In Messico il numero dei desaparecidos ha superato ufficialmente l’impressionante cifra di 27.500[1], anche se ci sono stime che addirittura raddoppiano l’entità di questa catastrofe umanitaria, e la crisi dei diritti umani, che le autorità cercano di sterilizzare e silenziare con una strategia mediatica e diplomatica, è pesantissima su tutti i fronti[2]. Il caso dei 43 studenti di Ayotzinapa è emblematico, metafora terribile della lunga notte messicana, ma è riuscito, a fasi alterne e grazie all’azione della società civile e dei media non allineati col governo, a rompere il silenzio su questa situazione. Ayotzinapa rappresenta tuttora una spina nel fianco del governo di Enrique Peña Nieto, presidente eletto nel 2012 e appartenente al Partido Revolucionario Institucional (PRI). A un anno e mezzo dalla “notte di Iguala”, in cui agenti della polizia locale di Iguala e Cocula, nel meridionale stato del Guerrero, sequestrarono 43 studenti della scuola normale rurale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa, ultimarono extra-giudizialmente altre sei persone, ne ferirono decine e consegnarono i giovani a presunti narcotrafficanti, i normalisti restano ancora desaparecidos e il governo è in affanno, sempre alla ricerca di maniere sbrigative e “creative”, cioè ingannevoli, per chiudere il caso e ricostruire la falsa immagine di un Paese moderno e pacificato, pronto ad accogliere investimenti, agli occhi del mondo.

Crimine di Stato

Lo Stato non ha riconosciuto le sue responsabilità, malgrado le indagini giornalistiche rigorose svolte in questi diciotto mesi convulsi, che sono basate su testimonianze dirette ed evidenze audiovisuali, abbiano mostrato che vi fu un’operazione orchestrata da diversi apparati pubblici e dalle autorità contro gli studenti[3].

Alle stesse conclusioni è arrivato anche il rapporto del settembre 2015 stilato dal Gruppo Interdisciplinare di Esperti Indipendenti (GIEI)[4], un’equipe altamente qualificata della Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) che, grazie a un accordo d’assistenza tecnica siglato col governo del Messico, funge da coadiuvante delle indagini ufficiali[5].

Il GIEI ha parlato di “un’aggressione massiva, in ascesa, sproporzionata e senza senso” alla quale hanno partecipato non solo agenti della polizia locale e presunti criminali del cartello dei Guerreros Unidos, ma pure le forze armate e la polizia federale, che ignorarono o coprirono rastrellamenti e violenze, dunque furono conniventi coi crimini che si stavano commettendo[6].

Il GIEI e il quinto autobus

Inoltre ha mostrato che la PGR (Procura Generale della Repubblica) ha deciso di accantonare la linea delle indagini che riguarda uno dei cinque autobus che erano stati presi dagli studenti nella stazione di Iguala e che, senza che questi ne fossero a conoscenza, conteneva probabilmente una partita di eroina nel portabagagli. L’attacco contro i ragazzi, quindi, potrebbe essere stato guidato dall’intenzione di recuperare il prezioso carico di stupefacenti[7].

Gli autobus di linea sono infatti un mezzo di trasporto comune per i narcotrafficanti e, serve ricordarlo, proprio lo stato del Guerrero detiene la leadership storica nella produzione di marijuana e sperimenta da 3-4 anni un boom delle coltivazioni di papavero da oppio, pianta da cui si ricavano l’eroina e la morfina esportate negli Stati Uniti. Il Guerrero racchiude nei suoi confini il cosiddetto pentagono dell’oppio, una zona geografica delimitata da 5 vertici che dalla costa alle catene montuose, a ridosso dei vicini stati del Morelos, de México, del Michoacán e di Città del Messico, ospita le coltivazioni e i laboratori di stupefacenti. Ma le “cinque punte” della regione sono blindate e protette da altrettante postazioni militari, mentre gli snodi autostradali e le strade statali sono controllati dalla polizia federale e da quelle statali e municipali, rispettivamente. Sono queste le autorità che gestiscono i flussi e pattugliano i territori, negoziando a vari livelli coi gruppi della delinquenza organizzata. E sono queste “forze dell’ordine” che sono intervenute preventivamente e poi durante tutta la notte nella strage, gli attacchi e i sequestri compiuti il 26 settembre 2014 a Iguala e dintorni.

Il GIEI ha chiesto di poter intervistare i militari del 27º Battaglione di stanza a Iguala che erano presenti durante la persecuzione degli studenti, ma il governo gliel’ha proibito categoricamente e fino ad oggi ha continuato a difendere le azioni dell’esercito, mentre dal canto suo la PGR ha negato il coinvolgimento di autorità federali e non ha aperto nessun fascicolo al riguardo[8].

L’opera di ricerca del GIEI e dell’Equipe Argentina d’Antropologia Forense (EAAF) ha smontato la “verità storica” sulla notte di Iguala, presentata ai mass media nel gennaio 2015 dall’allora procuratore generale della Repubblica, Jesús Murillo Karam, la quale sostiene che i normalisti furono bruciati nella discarica di Cocula e i loro resti gettati nel vicino fiume San Juan.

Il tentativo di archiviare il caso prematuramente è fallito e l’investigazione s’è distinta per le incoerenze e le irregolarità. Non è riuscita a determinare con certezza il destino che hanno avuto i 43 studenti, né a soddisfare le richieste di giustizia e verità della società civile e dei genitori dei ragazzi. Questi, supportati da cittadini, collettivi e movimenti sociali di tutto il mondo, non hanno mai smesso di mobilitarsi per le strade e ovunque ne abbiano avuta la possibilità, tanto in Messico come all’estero.

La battaglia per il rinnovo del mandato del GIEI

Il 22 marzo 2016 i genitori e i loro rappresentanti, avvocati del Centro dei Diritti Umani della Montagna-Tlachinollán hanno fatto richiesta formale di una proroga affinché il GIEI prosegua nelle investigazioni sul caso. Il ministro degli interni, Miguel Ángel Osorio Chong, ha invece ribadito che il lavoro degli esperti si concluderà il 30 aprile e non ci saranno dilazioni. “Al posto di stare a discutere sul termine, abbiamo bisogno di conclusioni […] non troviamo una linea diversa da quella che ha studiato la PGR”, ha dichiarato in un’intervista radiofonica[9].

Invece Emilio Álvarez Icaza, segretario esecutivo della CIDH, ha mostrato apertura verso l’ipotesi di un nuovo mandato e tratterà il caso col governo durante le sessioni del 157º periodo ordinario di riunioni della Commissione Interamericana previsto tra il 2 e il 15 aprile[10]. “Abbiamo ricevuto una comunicazione da parte delle organizzazioni che rappresentano gli studenti con la richiesta di un prolungamento del mandato, ma nessuna notifica da parte del governo messicana”, ha spiegato Álvarez. Ancor più diretto è stato il presidente della Commissione Interamericana, James L. Cavallaro, che da Washington ha sentenziato: “Non è una decisione del signor Osorio Chong, ministro degli interni, dare per conclusa la partecipazione del GIEI nel caso Ayotzinapa”.

Secondo l’accordo siglato il 18 novembre 2014 tra la CIDH, i rappresentanti delle vittime e il governo messicano il futuro del GIEI non ha nulla a che vedere con le opinioni di Peña Nieto o di Osorio. Certo è che l’esecutivo e la procura possono ostacolare in tutto i modi il lavoro degli esperti e renderlo di fatto impossibile, cosa che a tratti hanno già cercato di fare. “E’ riprovevole questa manovra del governo per cui dice che non si rinnoverà, quando non è sua competenza farlo”, ha ribadito Cavallaro.

In un comunicato anche i gruppi nati in solidarietà con il movimento di Ayotzinapa in Europa si sono espressi in favore di una proroga “indefinita” e hanno sottolineato il loro pieno sostegno al GIEI, “di fronte alle recenti dichiarazioni in alcuni mezzi di comunicazione messicani, come MVS e Gruppo Milenio, in cui è stata attaccata l’integrità morale di alcuni dei suoi componenti”[11].

In Messico il conflitto è senza quartiere, il governo e la procura, supportati da gruppi mediatici alleati, si occupano da mesi, praticamente dall’inizio delle indagini, più di screditare gli studenti, le loro famiglie, i giornalisti indipendenti e gli esperti internazionali che di trovare soluzioni concrete e dimostrare una reale volontà politica di toccare le corde sensibili del “patto d’impunità” vigente nel Paese.

Trappole e manovre

Il 22 marzo la PGR, istituzione sempre più screditata agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, è arrivata addirittura ad ammettere l’apertura di un’indagine preliminare contro il segretario della CIDH, organi facente parte della OSA (Organizzazione Stati Americani), Álvarez Icaza, per una presunta frode nei confronti dello Stato messicano. Questa “malversazione di fondi” è stata denunciata dal Consiglio Cittadino per la Sicurezza Pubblica e la Giustizia Penale, un’associazione civile affine all’esecutivo di Peña Nieto[12].

Il presidente dell’associazione, José Antonio Ortega, s’è immaginato e ha denunciato un pregiudizio economico relativo al lavoro del GIEI, visto che la CIDH, non avrebbe rispettato il compromesso d’inviare in Messico in qualità di esperti “delle persone probe”. Così, secondo Ortega, “i cinque membri del GIEI sono tutto il contrario”. La CIDH ha espresso “costernazione e considera inammissibile l’apertura di un fascicolo in base a questa denuncia temeraria e infondata”. Si tratta di una vera e propria provocazione: la PGR ha preso la palla al balzo e ha fatto sfoggio del suo cinismo, non archiviando immediatamente la denuncia. Ci sono almeno 150.000 casi di omicidio negli ultimi 9 anni e migliaia di desaparecidos che meriterebbero la priorità, invece s’accetta d’iniziare una pratica insultante per la società e per le vittime. Ad ogni modo, dopo due settimane di rimpalli mediatici e reazioni, finalmente il 5 aprile la PGR ha desistito dall’azione penale “per mancanza dei requisiti a procedere”.

La pressione mediatico-giuridica contro il dirigente della CIDH e del GIEI viene ad unirsi a una prolungata “campagna di dispregio totale e spietata da una posizione di forza e dai mezzi di comunicazione”, come l’aveva definita e denunciata mesi fa lo studente di Ayotzinapa Omar García, sopravvissuto agli attacchi del 26 settembre. Dall’Italia, in cui si trova per l’iniziativa “Carovane Migranti” di Torino, Omar ha riaffermato: “Prolungare nel tempo l’indagine è quello che cercano, così il movimento si stanca e la gente dimentica. Non per altro è stata avviata la campagna di diffamazione del GIEI; non per altro hanno imposto questa terza perizia; non per altro ora vogliono indennizzare le famiglie. Le famiglie, avvocati, esperti e studenti, il movimento che accompagna Ayotzinapa, dovranno analizzare bene che fare di fronte a questa situazione.” Per questo “non abbandonare i genitori dei nostri 43 compagni desaparecidos. Se dimentichiamo, loro vincono”.

La terza perizia sull’incendio nella discarica di Cocula

In questo contesto la PGR ha diffuso a sorpresa il 2 aprile il risultato della terza perizia sull’incendio della discarica di Cocula, realizzata da un Gruppo Collegiale di esperti nominato ad hoc il febbraio scorso dalla procura, d’accordo con il GIEI. Lo studio, ancora parziale, indica “evidenza sufficiente” del fatto che c’è stato un “fuoco controllato di grosse dimensioni e almeno 17 esseri umani adulti che furono bruciati in quel luogo”.

Poche ore dopo in un comunicato il GIEI ha denunciato la violazione dell’accordo di riservatezza che aveva stabilito con la procura, deplorando “questa forma di cambiare la dinamica del dialogo e il consenso” e “le decisioni unilaterali” sulla diffusione del documento. Inoltre i genitori dei 43 non sono stati avvisati previamente dei risultati della perizia, come invece era stato accordato durante le loro conversazioni con lo stesso presidente Peña.

Prima della conferenza stampa il portavoce degli esperti, Ricardo Damián Torres, che hanno realizzato questa terza perizia avevano rassicurato il GIEI del fatto che “il messaggio era per dire che non s’era potuto determinare se il fatto era accaduto o no e che c’era bisogno di nuovi studi e prove sperimentali per determinarlo”, si legge sul comunicato di protesta del GIEI. Invece hanno fatto l’opposto, rinforzando l’idea dell’esistenza di una guerra sporca da parte delle autorità messicane nei loro confronti. “Ciononostante il suo messaggio s’è riferito a parti del contenuto del rapporto provvisorio che nemmeno erano state analizzate dal GIEI e, cosa ancor più grave, segnalando pubblicamente cose che non sono state spiegate al GIEI durante la riunione, né sono approvate unanimemente dai periti esperti di incendi”, approfondisce il comunicato. Il Messico firma a iosa trattati e convenzioni internazionali sui diritti umani, ma poi la realtà è questa.I periti forensi argentini dell’EAAF hanno commentato che non esiste “una risposta concludente” sulla calcinazione dei 43. La loro perizia, presentata il 9 febbraio 2016 e fondata su studi realizzati solo poche settimane dopo i fatti, ha confermato che nella discarica c’erano resti ossei di 19 persone. Ciononostante è impossibile stabilire le date di calcinazione che probabilmente si riferiscono a diversi incendi. Vidulfo Rosales, avvocato difensore dei genitori di Ayotzinapa, ha segnalato che nella discarica “viene bruciata spazzatura regolarmente, anche se si suppone che è la scena di un crimine”. Di fatto negli ultimi 5 anni si sono registrate più di 300 sparizioni forzate e decine di fosse comuni con resti umani nella zona. Fino ad oggi solo i resti dello studente Alexander Mora sono stati identificati con certezza, però erano stati ritrovati in una busta di plastica sulle rive del fiume San Juan, non nella discarica.  La nuova perizia, pertanto, “non conferma né smentisce l’ipotesi della PGR”, hanno dichiarato i periti argentini il 2 aprile [13]. Pertanto, dopo un’assemblea presso la normale di Ayotzinapa, i genitori dei 43 studenti e le organizzazioni della società che li sostengono hanno deciso di riprendere le mobilitazioni e le proteste a partire dal 6 aprile. Il Comitato Studentesco della nella scuola “Raúl Isidro Burgos” ha cominciato una sospensione indefinita delle attività e alcune organizzazioni, capeggiate dal “Campamento de los 43” hanno chiuso simbolicamente i cancelli della sede della PGR a Città del Messico.

La verità è oggetto di una guerra sporca in Messico, è stuprata dalla disonestà e dal cinismo ufficiali, mentre sta alla società, ai media autonomi e ai ricercatori indipendenti mantenere vive la memoria e le ricerche. Quello che segue è un tentativo (ben riuscito) in tal senso.

 

ayotzinapa_2Comunicato del 3 aprile 2016 – Collectif Paris-Ayotzinapa – parisayotzi@riseup.net

Nel gennaio 2015 il procuratore generale della Repubblica messicana, Jesús Murillo Karam, ha presentato le conclusioni del governo sul caso dei 43 studenti di Ayotzinapa vittime di sparizione forzata a Iguala il 26 settembre 2014. Secondo la sua versione i 43 studenti sarebbero stati assassinati dalla criminalità organizzata, i loro corpi bruciati nella discarica pubblica di Cocula e le loro ceneri gettate in un fiume sottostante. Nel settembre 2015 il GIEI (Gruppo Internazionale di Esperti indipendenti), nominato della CIDH (Commissione Interamericana dei Diritti Umani), ha reso pubblico un rapporto che rimetteva in discussione questa versione (qui il video della conferenza stampa). Questo rapporto raggiungeva le stesse conclusioni di quelle di numerosi specialisti tra cui l’Equipe Argentina d’Antropologia Forense (EAAF) che aveva determinato che non c’erano elementi scientifici che permettessero d’assicurare che i 43 studenti erano stati calcinati presso la discarica di Cocula. Messo davanti a queste perizie, che contestavano la cosiddetta “verità storica” di Murillo Karam, il governo messicano ha deciso d’effettuare un terzo studio servendosi di un nuovo gruppo di specialisti in tema d’incendi e fuoco.

Per questa perizia la PGR (Procura Generale della Repubblica) ha chiesto la collaborazione del GIEI che ha accettato di partecipare a condizione che tutte le decisioni fossero prese congiuntamente. Il primo aprile 2016 il nuovo gruppo di specialisti nominato dalla PGR e il GIEI ha reso alle autorità messicane un rapporto con alcuni risultati preliminari del proprio lavoro. Contrariamente a quanto convenuto con il GIEI, la PGR ha deciso unilateralmente di rendere immediatement pubblici i risultati di queste perizie. Ha dunque indetto una conferenza stampa che ha avuto luogo il giorno stesso e in cui i giornalisti non hanno avuto la possibilità di fare domande. Ricardo Damián Torres, membro de l’equipe di specialisti, s’è incaricato di fare da portavoce di tutto il gruppo. Contrariamente a quanto il signor Torres aveva indicato al GIEI prima della conferenza stampa, il suo messaggio non si è affatto limitato a segnalare l’impossibilità, al momento, di confermare o rifiutare l’ipotesi della calcinazione degli studenti nella discarica di Cocula. Anzi, è stata fatta allusione a elementi della ricerca che non erano ancora stati analizzati dal GIEI e sui quali non c’era consenso tra tutti i membri del gruppo di specialisti.

In questa conferenza di 4 minuti la PGR ha concluso che c’è stato un evento incendiario controllato di grandi dimensioni e che nella discarica sono stati ritrovati i resti umani di almeno 17 persone incenerite sul posto e che questo permette di formulare l’ipotesi che si tratti dei resti degli studenti scomparsi. La versione della procura si basa principalmente sulle confessioni, probabilmente ottenute sotto tortura (vedere rivista Proceso, 12 settembre 2015) di tre presunti sicari che hanno confessato di aver bruciato gli studenti presso la discarica di Cocula. Eppure, il 9 febbraio 2016 l’Equipe Argentina d’Antropologia Forense (EAAF), in una conferenza stampa durata oltre un’ora e mezza, aveva presentato in modo dettagliato i risultati della sua ricerca nella discarica (che era stata realizzata dal 27 ottobre al 6 novembre 2014, cioè solo un mese dopo la tragedia). Da questa perizia emerge che gli elementi probatori testimoniali forniti dai presunti sicari non concordano con le prove fisiche raccolte sul campo.

L’equipe argentina (cf. ALLEGATO 1) ha dimostrato che nella discarica ci sono stati, sì, molteplici episodi di fuoco controllato, ma che nessuno di essi ha avuto le dimensioni ipotizzate dalla PGR, né ha potuto avere luogo nella notte del 26 settembre 2014. L’EEAF ha trovato nella discarica i resti di almeno 19 individui, tra i quali compaiono due protesi dentali che non corrispondono ai profili degli studenti. L’equipe insiste sul fatto che questi 19 corpi sono stati molto probabilmente calcinati in momenti diversi e che ciò è da mettere in relazione con il contesto delle sparizioni forzate nella zona di Iguala. In effetti, in seguito alla sparizione dei 43 studenti e alle ricerche nella regione, sono stati denunciati a Iguala più di 300 casi di sparizione che sono stati commessi negli ultimi 4-5 anni e nei dintorni sono state scoperte dozzine di fosse clandestine. Per questo l’EAAF, al contrario della procura, afferma che ad oggi non c’è nessun prova fisica che permette di stabilire un legame tra i resti rinvenuti a Cocula e gli studenti scomparsi.

La sola prova al riguardo è costituita dall’osso che ha permesso l’identificazione dello studente Alexander Mora Venancio. Questo frammento osseo è stato ritrovato da membri della Marina all’interno di una busta di plastica scoperta sulle rive del fiume San Juan, in seguito alle confessioni dei presunti sicari. L’EAAF non era presente al momento del rinvenimento e, in mancanza di una catena di custodia, non è in grado di confermarne la provenienza. Il governo, d’altro canto, non ha permesso agli esperti del GIEI d’interrogare i membri della Marina che l’avevano ritrovata.

L’identificazione è stata eseguita dal laboratorio di medicina legale dell’università di Innsbruck, che è stato incaricato dal governo messicano d’analizzate 17 resti calcinati. Il solo frammento per cui è stato possibile estrarre il DNA nucleare è l’osso di A. Mora Venancio. Questo frammento, secondo l’EAAF, presentava un colore diverso, una dimensione maggiore e un minor grado d’esposizione al fuoco degli altri frammenti ossei ritrovati nella discarica o nelle buste. Gli altri campioni, essendo troppo calcinati per poterne estrarre il DNA nucleare, sono stati sottoposti a una procedura sperimentale per l’estrazione del DNA mitocondriale. Grazie a questo metodo gli esperti hanno trovato una corrispondenza con la madre dello studente Jhosivani Guerrero de la Cruz, ma la coincidenza genetica è debole in termini statistici e l’EAAF considera che questo risultato non permette un’identificazione definitiva, soprattutto se si tiene in conto il numero degli scomparsi nella regione. Inoltre il frammento in questione proveniva, anch’esso, dalla busta recuperata nel fiume. Il laboratorio di Innsbruck ha eseguito i test del DNA sul resto dei campioni e consegnerà i risultati nei prossimi giorni.

Insomma, in questa nuova ricerca realizzata un anno e mezzo dopo i fatti la PGR non apporta nuovi dati rispetto alle perizie precedenti, però ne ricava conclusioni differenti. Affermando che almeno 17 persone sono state bruciate nella discarica durante uno stesso evento incendiario, la procura cerca di eliminare le incoerenze tra le prove fisiche e le testimonianze dei sicari e d’imporre, così, la sua “versione storica” dei fatti. Il modo in cui questi risultati sono stati resi pubblici mostra nuovamente l’incompetenza del governo, il suo autoritarismo e il suo disprezzo per le vittime e i loro cari, non solamente per i 43 studenti di Ayotzinapa ma per centinaia di desaparecidos della regione di Iguala, alcuni dei quali potrebbero essere stati bruciati nella discarica di Cocula (basti pensare alla citata protesi dentale non appartenente ad alcun studente di Ayotzinapa).

Tutto questo accade in un contesto molto delicato. Infatti, malgrado la richiesta delle famiglie dei 43 di prolungare il mandato del GIEI, che scade in aprile, il governo ha deciso di non rinnovare la missione del Gruppo, nonostante il caso degli studenti, tuttora desaparecidos, sia lontano dall’essere risolto. Inoltre, da qualche mese, i membri del GIEI sono oggetto di una ignobile campagna di discredito su certi mezzi di comunicazione messicani e nelle reti sociali. Il governo messicano non ha mostrato nessuna volontà di mettere fine a queste diffamazioni che, sia beninteso, mirano a screditare il lavoro fatto dal GIEI. Al contrario, le autorità messicane hanno dato seguito a una denuncia infondata sporta contro il segretario esecutivo della CIDH, Emilio Álvarez Icaza, riguardante una presunta appropriazione indebita di fondi pubblici da parte del GIEI.

Non è la prima volta che il governo di Enrique Peña Nieto si mostra ostile verso gli organismi internazionali che denunciano la violazione dei diritti umani in Messico. Nel marzo 2015, quanto il relatore speciale dell’Onu sulla tortura, Juan Méndez, ritenne che la tortura in Messico era una pratica generalizzata, fu definito dalle autorità messicane “non professionale e non etico” (commento fatto da Juan Manuel Gómez Robledo, che all’epoca era responsabile dei diritti umani presso il Ministero degli Esteri e che è attualmente l’ambasciatore messicano in Francia). Inoltre la nuova autorizzazione per una visita che Juan Méndez ha richiesto al governo messicano per continuare il suo lavoro nel 2016 è stata appena rifiutata col pretesto di problemi di calendarizzazione.

L’informazione diffusa in Francia (e in genere in Europa) riguardante la nuova perizia non considera altro che il messaggio lanciato in conferenza stampa dal governo. Vi invitiamo a esaminare il comunicato stampa che il GIEI ha pubblicato immediatamente dopo la conferenza della PGR e in cui denuncia le manovre delle autorità messicane e le loro mancanze nel rispetto degli accordi sottoscritti. Vi invitiamo inoltre a entrare in contatto con le famiglie dei desaparecidos e con gli studenti che hanno subito l’aggressione del 2014 per conoscere la loro versione dei fatti. I familiari e i cari dei 43 rifiutano categoricamente l’annuncio fatto il primo aprile e sono determinati a continuare la loro lotta finché non si arrivi alla verità e alla giustizia.

Restiamo a vostra disposizione e vi invitiamo a mettervi in contatto con noi per ulteriori informazioni.

 

ALLEGATO 1 Conferenza stampa del 9 febbraio 2016 dell’Equipe Argentina d’Antropologia Forense (EAAF)

Ecco le principali conclusioni del gruppo di esperti argentini:

  • Rapporti metereologici realizzati da varie istituzioni registrano precipitazioni piovose nella zona di Cocula durante la notte tra il 26 e il 27 settembre 2014. Inoltre, le immagini satellitari confermano l’assenza di fuoco a tale data.
  • I 138 elementi balistici (bossoli e proiettili) ritrovati nella discarica provengono da almeno 39 armi da fuoco distinte. Si tratta per lo più di armi da spalla, mentre i presunti testimoni parlano di armi da pugno. Inoltre, alcuni di questi elementi balistici erano arrugginiti, il che significa che la loro presenza nella discarica precede la scomparsa degli studenti.
  • L’analisi del suolo, della vegetazione, di insetti e di escrementi animali ha dimostrato che nella discarica sono avvenuti numerosi episodi di fuoco controllato con differenti epicentri, il che è confermato dalle immagini satellitari degli ultimi anni. Per di più, dei tronconi d’albero sono stati ritrovati nel punto in cui, secondo i sicari, si trovava la pira usata per bruciare i corpi. Se l’indicazione dei sicari fosse esatta, i tronconi dovrebbero essere, anch’essi, completamente carbonizzati.
  • Nella discarica sono stati trovati centinaia di frammenti ossei carbonizzati che non possono essere stati calcinati in un solo evento incendiario, perché presentano differenti livelli di esposizione al fuoco e perché sono sparpagliati in vari punti della discarica. Basandosi sulle “rocche petrose” (che sono le ossa del cranio più resistenti) presenti nella discarica, l’EAAF ha calcolato che tali resti umani appartengono ad almeno 19 individui diversi. Tra questi resti, figurano due protesi dentarie, di cui una è fissata su una mandibola. Siccome nessuno degli studenti di Ayotzinapa portava protesi, nella discarica sono sicuramente presenti resti umani non attribuibili agli studenti.

Note

[1] (Legati a indagini di competenza federale e di ogni stato) http://secretariadoejecutivo.gob.mx/rnped/datos-abiertos.php

[2] https://youtu.be/aevgXsqTEIw  o http://www.hchr.org.mx/index.php?option=com_k2&view=item&id=767:declaracion-del-alto-comisionado-de-la-onu-para-los-derechos-humanos-zeid-ra-ad-al-hussein-con-motivo-de-su-visita-a-mexico&Itemid=265

[3] Steve Fisher y Anabel Hernández, Iguala, la historia no oficial, http://www.proceso.com.mx/390560/iguala-la-historia-no-oficial

[4] http://centroprodh.org.mx/GIEI/

[5] https://www.centrodemedioslibres.org/2015/09/06/informe-ayotzinapa-del-grupo-interdisciplinario-de-expertos-independientes-de-la-cidh/

[6] AAVV, México, la Guerra invisible. Informe de Libera contra las mafias. http://www.red-alas.net/wordpress/wp-content/uploads/2015/09/DossierMexico_LIBERA_ESP.pdf (pp. 52-55)

[7] José Reveles, Échale la culpa a la heroína, Grijalbo, 2015.

[8] Denise Maerker. Ayotzinapa, incompetencia y manipulación. http://www.eluniversal.com.mx/entrada-de-opinion/columna/denise-maerker/nacion/2015/09/8/ayotzinapa-incompetencia-y-manipulacion

[9] http://www.radioformula.com.mx/notas.asp?Idn=581856&idFC=2016

[10] http://www.oas.org/es/cidh/sesiones/docs/Calendario-157-audiencias-es.pdf

[11] Comunicado completo http://aristeguinoticias.com/2403/mexico/ongs-europeas-respaldan-en-un-comunicado-al-giei/

[12] http://www.seguridadjusticiaypaz.org.mx/

[13] http://aristeguinoticias.com/0204/mexico/el-tercer-peritaje-sobre-cocula-no-afirma-ni-niega-hipotesis-de-la-pgr-peritos-argentinos/

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L’ultimo narcos: epopea e segreti del Chapo Guzmán https://www.carmillaonline.com/2016/01/30/lultimo-narcos-epopea-e-segreti-del-chapo-guzman/ Fri, 29 Jan 2016 23:00:32 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=28358 di Fabrizio Lorusso

chapo pensoso[La narrazione viaggia su cinque capitoli, intervallati da alcuni video e foto. Si può pure saltare da uno all’altro in caso di necessità. Indice: 1. Il Cartello  2. Ayotzinapa  3. La terza cattura  4. Estradizione?  5. Triangolo: Kate del Castillo, Sean Penn e “El Chapo” Guzmán]

“A cosa starà pensando El Chapo?” Questa semplice domanda, contenuta in un tweet del giornalista messicano Diego Enrique Osorno diventa virale la sera dell’8 gennaio. Sono passate poche ore dalla cattura, la terza, del narcotrafficante [...]]]> di Fabrizio Lorusso

chapo pensoso[La narrazione viaggia su cinque capitoli, intervallati da alcuni video e foto. Si può pure saltare da uno all’altro in caso di necessità. Indice: 1. Il Cartello  2. Ayotzinapa  3. La terza cattura  4. Estradizione?  5. Triangolo: Kate del Castillo, Sean Penn e “El Chapo” Guzmán]

“A cosa starà pensando El Chapo?” Questa semplice domanda, contenuta in un tweet del giornalista messicano Diego Enrique Osorno diventa virale la sera dell’8 gennaio. Sono passate poche ore dalla cattura, la terza, del narcotrafficante più ricercato al mondo, Joaquín Archivaldo Guzmán Loera, capo dell’organizzazione criminale di Sinaloa. Più conosciuto ormai per il suo alias, “El Chapo”, ossia il tozzo o tarchiato, il capo rinchiuso è diventato un numero: prigioniero 3870 del penitenziario di massima sicurezza El Altiplano, prima La Palma. Nel tweet di Osorno è incorporata una delle foto diffuse dalla stampa dopo l’arresto. Guzmán sta seduto al suo posto vicino al finestrino, in canotta, con lo sguardo perso nel vuoto e la testa reclinata sul vetro. Pensoso, con un suo scagnozzo affianco, e provato dopo un risveglio di sparatorie e fuggifuggi. Il cartello di Sinaloa, conosciuto anche come del Pacifico o Federazione, è l’organizzazione criminale più potente del continente americano e probabilmente del mondo. Muove la gran parte dell’eroina, della cocaina, della marijuana e delle droghe sintetiche negli Stati Uniti e ha espanso le sue attività illegali nel pregiato mercato europeo, in Asia e in Oceania, dove i prezzi degli stupefacenti crescono ancora promettendo lauti guadagni. Il cartello di Sinaloa la fa da padrone nella spartizione di una torta globale psicotropica stimata tra i 300 e i 400 miliardi di dollari. E’ forte a New York come a Buenos Aires ed è presente in ogni grande città tra queste due. Al di là del tradizionale business delle droghe, i cartelli messicani hanno diversificato le loro attività delinquenziali orizzontalmente, cioè si dedicano al contrabbando di metalli preziosi e petrolio, al commercio di armi e alla tratta di persone, al traffico di migranti, all’estorsione, al sequestro di persona, al riciclaggio, e a un’altra dozzina di tipologie criminali.

Capitolo 1. Il Cartello

winslow cartelLe aree degli affari mafiosi non dipendono da una sola persona ma da reti, franchigie, gruppi, bande, strutture, organizzazioni, connivenze e associazioni che tendono a persistere: morto un Papa, cioè un boss, o smantellato uno degli anelli della catena, se ne fanno altri o altri già ne esistono, mentre i flussi globali di merci e servizi seguono il loro corso. In seguito all’arresto di un capo o allo smantellamento del grosso delle sue reti, possono avvenire scissioni o ristrutturazioni all’interno dell’organizzazione. Alcuni gruppi, clan o famiglie provano a “lavorare in proprio” o si specializzano in uno o più business criminali su cui avevano acquisito un vantaggio competitivo.

Circolano queste ipotesi circa le possibili future evoluzioni del cartello di Sinaloa che, sia ora sia nel precedente periodo di incarceramento del Chapo (febbraio 2014-luglio 2015), ha continuato a funzionare “normalmente” vista la solidità dei suoi affari e delle sue ramificazioni. E grazie anche ad altre leadership consolidate: c’è Ismael “El Mayo” Zambada, suo figlio “El Vicentillo”, attualmente neutralizzato e in carcere negli USA, i figli di Joaquín Guzmán o vecchie glorie come Rafael Caro Quintero che, nel silenzio, potrebbe essere tornato in attività dopo la sua liberazione nel 2013. E infine c’è anche “El Azul”, Juan José Esparragoza Moreno, capo storico dato per morto nel giugno 2014 ma che pare possa essere redivivo secondo varie fonti.

Infine, come sostiene lo scrittore noir americano Don Winslow, autore dei bellissimi Il potere del cane (2005) e Il cartello (2015), c’è e lì resta il Cartello, inteso non solo come l’organizzazione criminale, ma anche come tutto quello che ci sta intorno e la fa funzionare, ossia gli apparati dello stato, le polizie e i politici implicati nel contrabbando di stupefacenti o nella protezione di tali illeciti commerci (ascolta qui un’interessante intervista del giornalista di RSI Daniel Bilenko allo scrittore).

Missione compiuta? E Gisela Mota, la sindaca ammazzata?

gisela mota“Missione compiuta: ce l’abbiamo. Voglio informare i messicani che Joaquín Guzmán Loera è stato arrestato”. Arriva alle 12:19 PM – 8 Jan 2016 il cinguettio di @EPN, account twitter del presidente del Messico Enrique Peña Nieto. Per lui e il suo esecutivo è un momento di rivincita e festeggiamenti, mentre le voci critiche parlano di una “finzione compiuta”, alludendo alle incoerenze nelle narrazioni che si susseguono ora dopo ora, alle filtrazioni premeditate di informazioni e dettagli, secondo un copione occulto, e infine alla pomposità dello spettacolo presidenziale riprodotto dalle TV.

Tra l’altro la ricattura del boss arrivava proprio in un momento delicatissimo, con un timing e una precisione impressionanti. Il 2 gennaio, infatti, veniva uccisa Gisela Mota, neosindaca di Temixco, vicino a Cuernavaca, nella regione del Morelos, da un commando armato di presunti narcos del gruppo dei Los Rojos. Questi, come i tristemente famosi Guerreros Unidos, sono una cellula scissionista dell’ex potente cartello dei fratelli Beltrán Leyva, a loro volta fuoriusciti da quello di Sinaloa nel 2009.

La notizia del crudele assassinio, perpetrato nella casa della giovane funzionaria nel secondo giorno del suo mandato di fronte ai suoi familiari, ha fatto il giro del mondo, mettendo nei guai il governo e il presidente, giusto nel mese in cui si preparava la sfilata nella vetrina del World Economic Forum. In terra azteca sono un centinaio i presidenti municipali, come sono chiamati i sindaci nei comuni, ammazzati negli ultimi dieci anni. Gisela non s’era piegata ai dettami della delinquenza organizzata della zona, sempre più confusa e infiltrata nelle polizie locali e statali. Graco Ramírez, governatore del Morelos, ha approfittato del femminicidio mafioso per assumere pieni poteri sulle polizie dei comuni, il che di per sé non risolve le gravi disfunzioni di questi corpi corrotti, putrefatti. Di fatto gli osservatori più attenti, tra cui il poeta attivista Javier Sicilia, attribuiscono proprio all’incapacità e ai contuberni del governo statale la deriva violenta degli ultimi cinque anni. Si protegge il crimine organizzato, i suoi affari e i loro complici nella funzione pubblica, ma non si tutelano gli amministratori e i politici onesti che sono minacciati.

Quando in Italia e in Colombia la violenza crebbe sproporzionatamente fino a toccare il cuore del mondo politico e dell’élite, lo scossone cominciò a smuovere l’opinione di coloro che vivevano nel e del sistema politico-mafioso e della classe dirigente nel suo complesso. Il dilemma era diventato: o noi, o loro. E quindi arrivarono misure d’emergenza e maxiprocessi. E’ la spiegazione del paradosso che hanno vissuto questi paesi a detta dell’accademico Edgardo Buscaglia. In Messico, invece, gli assassini politici a tutti i livelli non hanno provocato nessuna reazione complessiva e decisa del sistema e nel sistema, per cui la violenza pare inarrestabile.

chapo entrevistaEcco che allora prendere il Chapo diventa strategico, vitale, di fronte all’opinione pubblica mondiale. Le critiche per l’insicurezza e l’indignazione per l’ennesimo crimine di stampo mafioso vengono smorzate e, almeno momentaneamente, dimenticate dinnanzi allo show del jefe de jefes che viene scortato nell’aeroporto Benito Juárez della capitale. L’intervista dell’attore Sean Penn al Chapo, che esce sulla rivista Rolling Stone il 9 gennaio, e la persecuzione contro lo stesso Penn e l’intermediaria dell’incontro, Kate del Castillo, fungeranno da distrazione massiva per tutto gennaio e oltre, mentre la memoria di Gisela Mota e delle altre vittime della narcoviolenza e del narco-stato solo viene difesa da parenti, movimenti sociali e media indipendenti.

Il 22 febbraio del 2014 il capo sinaloense era stato imprigionato, ma il 12 luglio di un anno dopo era riuscito a fuggire clamorosamente dal carcere di “massima sicurezza” El Altiplano, nei pressi della capitale, grazie a un tunnel di un chilometro e mezzo scavato sotto la prigione. Fu uno sberleffo per i responsabili della sicurezza e specialmente per il governo che dal momento del suo insediamento, nel dicembre 2012, ha provato a costruire di fronte al mondo l’immagine di un Paese sicuro e moderno, pronto ad accogliere investimenti e capitali offrendo le garanzie di un vero stato di diritto e d’una economia dinamica. Che poi in soldoni non si traduce in sicurezza sul lavoro, diritti, certezza della legge e responsabilità sociale, come il discorso ufficiale ambiguamente prova a comunicare, ma in una forza lavoro sottopagata, ricattabile e “ben disciplinata”, in vantaggi fiscali enormi per le multinazionali, nella privatizzazione di educazione, salute e beni comuni e infine nell’apertura allo sfruttamento delle risorse naturali, in primis quelle minerarie ed energetiche.

Capitolo 2. Ayotzinapa

Di lì a poco, il 26 settembre, la “notte di Iguala” avrebbe nuovamente e definitivamente stravolto i sogni di gloria dell’esecutivo, rivelando le trame della narco-politica e della narco-polizia, così come la volontà di governo e procura di sotterrare il caso, occultare responsabilità e adulterare le indagini. Ma ormai non si poteva più lasciare all’oscuro il grosso dell’opinione pubblica nazionale e internazionale e i genitori dei 43 ragazzi, sostenuti da un solido e indignato movimento di protesta, sono diventati subito una spina nel fianco, ancor più di quanto non lo fosse stata la fuga del boss più ricercato e ricco del mondo (leggi qui gli articoli su Iguala-Ayotzinapa).

Tanto in là s’è spinta la brama di manipolare, prima, e chiudere, poi, il caso, oltreché di zittire le proteste e le voci discordanti, che è stata creata una confusa “verità storica”, sbandierata messianicamente come “buona e giusta” dall’ex procuratore Jesús Murillo Karam. Era invece fallace e menzognera, un insulto. L’effetto boomerang è stato dirompente e il movimento di sostegno ai genitori di Ayotzinapa e alle vittime di sparizione forzata, tra cui si contano migliaia di centroamericani, oltre che 30mila messicani, s’è internazionalizzato e rinforzato, malgrado le continue denigrazioni mediatiche e la repressione fisica di attivisti e giornalisti.

Gli studenti restano desaparecidos, cioè in un limbo burocratico e ontologico tra la vita e la morte, introvabili, per cui campeggiano i loro volti e i loro nomi, giganti di dignità e lotta, per le strade e le piazze, come a simboleggiare e denunciare le infinite impotenze e corruzioni strutturali dei diversi apparati statali coinvolti nei delitti commessi contro di loro. Il rischio che venga riconosciuto internazionalmente il crimine di lesa umanità per il caso Iguala-Ayotzinapa è alto e concreto e il presidente, che è capo supremo delle forze armate, ne dovrebbe rispondere direttamente. I pochi “punti d’immagine” che gli restano sarebbero immediatamente seppelliti in una delle tante fosse comuni dell’oblio, colme di ossa e segreti di stato, di cui per lungo tempo s’è voluta negare financo l’esistenza. Ma prima di tornare al Chapo…

Ayotzi 2016Breve aggiornamento

Al termina di una carovana che ha portati in 15 stati della repubblica messicana, il 26 gennaio 2015, a 16 mesi dalla sparizione dei loro figli, i genitori di Ayotzinapa e i movimenti solidali hanno marciato per le strade di Città del Messico e hanno chiamato i collettivi all’estero a realizzare una giornata globale di protesta. La rivista Proceso ha pubblicato un reportage che mostra come vi sia del materiale audiovisuale importantissimo per il caso che è estato lasciato fuori dalle indagini ufficiali e come nella notte del 26 settembre 2014 il C4 (Centro di Controllo, Comando, Comunicazione e Computer) di Iguala fosse controllato da militari. Stiamo parlando del più importante snodo per il commercio di oppiacei ed eroina del continente americano. Iguala e i vertici del “pentagono dell’oppio” messicano nello stato del Guerrero sono vigilati da distaccamenti militari, ben informati circa i flussi che vi transitano. Le forze armate sono state protette dal governo durante le indagini e sono blindatissime per cui non è possibile interrogare nessuno dei militari che erano presenti durante i massacri e le desapariciones della notte di Iguala. Nel video occultato dalle autorità si nota chiaramente il passaggio di un convoglio composto da varie auto della polizia e, tra queste, vi sono altri veicoli che potrebbero essere “ufficiali” e avere a bordo funzionari pubblici. Viene quindi confermata la natura organizzata e complessa dell’operazione contro gli studenti sopravvissuti, le vittime e i desaparecidos di Ayotzinapa. Il 5 e 6 febbraio si svolgerà il Primo Incontro Nazionale dell’Indignazione, convocato dai genitori di Ayotzinapa e dai gruppi solidali, per articolare un fronte nazionale di lotta comune.

 

Capitolo 3. La terza cattura

chapo capturado“Burla e sfida”, furono le parole usate da Peña dopo la fuga di luglio. La sua credibilità cadde in picchiata, il mito del narcos Guzmán si consolidava. Invece la sera di venerdì 8, in attesa di una risalita negli indici di gradimento, il presidente appare raggiante di fronte alle telecamere. Declama sorridente la riacquisita solidità di quelle stesse istituzioni che, pochi mesi prima, s’erano mostrate porose e corrotte nel custodire e lasciar scappare il jefe de jefes. Certo, adesso i complimenti veri vanno alla Marina, probabilmente l’apparato meno corrotto e più efficiente nel Messico della narcoguerra, ma vengono profusi altresì elogi e complimenti a tutte le istituzioni e in generale a presunti miglioramenti nello stato di diritto.

Peña s’è vantato dei 98 arresti compiuti dei 122 “obiettivi criminali” prioritari nel Paese. L’opinione pubblica invece si chiede come mai i mercati delle droghe illecite siano fiorenti come mai prima e la violenza di omicidi, sparizioni forzate e sequestri di persona non dia cenni di cedimento. La guerra alle droghe, così com’è stata concepita sin dai tempi di Nixon negli anni ’70, è una sfida persa in partenza. Ciononostante il trionfalismo di Osorio Chong, il ministro degli interni, è imperturbabile: “Oggi il cartello di Sinaloa è totalmente un altro”. “Gli Zetas e il Jalisco Nueva Generación sono polverizzati”, ha chiosato al quotidiano La Jornada provando a ridisegnare a modo suo la mappa del crimine organizzato in Messico. Nel 2015 gli omicidi dolosi hanno superato la cifra di 18mila, in crescita rispetto ai due anni precedenti in cui c’era stato un calo. I desaparecidos sono ufficialmente quasi 27mila, ma Ong e associazioni della società civile ne contano oltre 30mila. L’Ufficio delle Dogane e il Controllo di Frontiera statunitense (CBP, in inglese) in un rapporto del 2010 spiegava che la cattura dei narco-boss non colpisce la dinamica del narcotraffico che, al contrario, vive e si rinnova anche grazie al ricambio dei vertici.

La procuratrice generale della repubblica, Arely Gómez, ha annunciato il ritorno di Guzmán nello stesso reclusorio in cui si trovava prima della fuga, El Altiplano. Ci resterà almeno un anno, mentre s’attendono i risultati dei processi di estradizione negli USA e i vari ricorsi che i suoi avvocati stanno già inoltrando a ripetizione. L’operazione di cattura della Marina messicana è durata alcune ore e il bilancio finale è di un militare ferito, cinque presunti delinquenti uccisi e sei arresti. El Chapo, raggiunto dai marines in una delle sue case-nascondiglio (casa de seguridad, in spagnolo) a Los Mochis, città costiera dello stato del Sinaloa, s’è inizialmente addentrato nei condotti delle fognature per poi riemergere da un tombino nel bel mezzo di un viale e rubare un’automobile. Non era un copione nuovo. Lo accompagnava Orso Iván Gastélum Cruz, alias “El Cholo”, sicario al suo servizio. Con il mezzo sono riusciti ad allontanarsi prima di essere fermati dalla polizia federale. Dapprima i due hanno cercato di corrompere i poliziotti, senza successo. Poi, una volta ammanettati, sono stati condotti in un motel dove i marines li hanno chiusi in una stanza e fotografati in attesa dei rinforzi.

Anche El Cholo è un personaggio interessante, di certo non un novellino: era già stato preso il marzo scorso a Guamúchil, in Sinaloa, e nel 2008 era evaso dal carcere di Culiacán. Il 24 novembre 2012 la reginetta di bellezza Miss Sinaloa venne crivellata durante uno scontro a fuoco tra i pistoleri di Gastélum e l’esercito. Restano ignote le ragioni per cui, dopo l’arresto solo pochi mesi fa, già si trovasse di nuovo in libertà e operativo affianco al suo mentore. La città de Los Mochis, una delle più prospere del Nordovest messicano, vive dal 2009 l’incubo della violenza scatenata dalla scissione tra il cartello di Sinaloa e quello dei fratelli Beltrán Leyva, ormai decadente a livello nazionale ma forte e presente in città. La cattura del Chapo minaccia di far esplodere reazioni a catena che rischiano di mettere a ferro e fuoco l’intera zona.

Trofeo e narco-capitali

MLOS MOCHIS, SINALOA, 08ENERO2016.- En un operetivo realizado por la Marina Armada de México durante la madrugada, fue recaptrado Joaquín "El Chapo" Guzman Lorea. FOTO: ESPECIAL /CUARTOSCURO.COMFOTO: Cuartoscuro ESPECIAL /CUARTOSCURO.COM

Gli USA vogliono El Chapo e ne hanno chiesto l’estradizione il 25 giugno scorso, poco prima della sua fuga. Non se lo sono portati via subito dopo l’arresto per via dello zelo e prontezza dei suoi avvocati che si sono dati da fare sin da prima della cattura. E’ ricercato in sei corti statunitensi per reati di crimine organizzato, traffico di droga, riciclaggio e omicidio, tra gli altri.

Guzmán e Zambada, quest’ultimo ancora a piede libero, sono accusati di 21 reati e le procure sperano di recuperare capitali stimati tra i 4 e i 14 miliardi di dollari, in buona parte ricavati dal traffico di una quantità di cocaina che va da 127 a 465 tonnellate tra il 1999 e il 2014. In Messico un altro grande interrogativo riguarda proprio i patrimoni dei capi estradati. Il rischio di perderli è altissimo, dato che non vengono sequestrati a tempo debito, e dunque la beffa per una società violentata dalla narcoguerra e poi espropriata dei proventi del traffico illecito diventa doppia. La rivista Forbes stimava il patrimonio del Chapo in un miliardo di dollari, chi, o quale governo, riuscirà mai a recuperarne anche solo una quota?

Molti capitali sono già nei circuiti legali, ma non vengono né tracciati né, in caso, sequestrati. Men che meno si riutilizzano socialmente in beneficio delle comunità colpite dalla violenza. E’ il paradiso dell’impunità imprenditorial-criminale, finanziaria e del riciclaggio. Decine di imprese legalmente costituite, anche se legate all’organizzazione criminale, funzionano coll’annuenza o le sovvenzioni dello stato e non sono sottoposte a auditing tributario. L’esperto Edgardo Buscaglia, autore di un libro sul riciclaggio del denaro sporco, sostiene che “non si mette mano al patrimonio del cartello di Sinaloa perché la stessa classe politica ha paura di farlo visto che ci sarebbero ripercussioni sul finanziamento delle campagne elettorali”. Inoltre, sul tema dell’estradizione, Buscaglia ritiene che sarebbe l’ammissione del collasso dello stato messicano e che “se succede, nel processo giudiziario il PM americano si concentrerà sui delitti commessi negli USA e non coinvolgerà la classe politica messicana […] cioè coinvolgerà alcuni imprenditori messicani e statunitensi ma non la classe politica nel suo insieme”.

chapo sierra esconditeContro la brama statunitense di mettere le mani sul loro cliente gli avvocati del boss difendono coi cosiddetti “amparos”, strumenti legali del diritto messicano che bloccano temporaneamente i processi per tutelare i diritti dell’accusato. Dunque ci potrebbero volere mesi o anni, sempre che la volontà politica del capo dell’esecutivo si orienti per l’estradizione. La PGR, Procura Generale della Repubblica, vi s’era opposta nel 2014, ma ora ha cambiato opinione, così come l’esecutivo di Peña che comunica posizioni possibiliste. E d’altronde è una scelta quasi obbligata, dopo quanto è successo. “Non ci sono prigioni adatte al Chapo in Messico”, ha sentenziato a ragione il giornalista e specialista di criminalità organizzata Ricardo Ravelo. “La notizia dell’arresto è stata una sorpresa all’inizio perché nessuno credeva che lo stessero cercando dopo la sua fuga che, a detta di molti dentro e fuori dal Messico, era stata quasi pattuita”, ha spiegato a caldo dopo l’arresto al sito Aristegui Noticias. “Più che un colpo della Marina, sembra che ci sia stato un errore di logistica del team di Guzmán”, ha aggiunto.

Tra burocrazie e ritardi, oltre ai dovuti passaggi legali, El Chapo avrà il tempo per provare a fuggire di nuovo trovando spiragli nelle maglie del sistema penale e carcerario. Oppure per negoziare con calma un accordo con gli Stati Uniti da un posizione di forza, magari in seguito a una ammissione di colpa e al pagamento di una multa milionaria. Ci sta lavorando su la sua squadra di difensori: erano ben sette nel 2014, ma ora ne sono stati ratificati solo due. D’altronde un’estradizione fast track violerebbe i diritti del boss e sarebbe l’ammissione dell’impotenza di una lunga serie di istituzioni messicane, ossia il contrario di quanto ha cercato d’affermare il governo dopo la sua cattura.

A cosa starà pensando El Chapo? Era la domanda iniziale. Di certo l’elaborazione di un nuovo piano di fuga è un’ipotesi plausibile, nonostante i notevoli mezzi messi in campo per la sicurezza della cella e dell’intero penitenziario: un centinaio di federali all’esterno e trentacinque custodi all’interno, cinque filtri di controllo e due elicotteri all’esterno e persino un mastino (con la museruola) all’interno. Il boss sinaloense, almeno per il momento, non gode più delle prerogative che aveva in prigione nel 2014, cioè le visite intime di sua moglie, la ventiseienne Emma Coronel, la televisione con casse acustiche e non con le cuffie e incontri più lunghi del normale coi suoi avvocati-messaggeri. In alcune occasioni aveva anche ricevuto visite di una deputata dello stato del Sinaloa, Lucero Guadalupe Sánchez, del partito conservatore Acción Nacional, la quale s’era introdotta con documenti falsi e, secondo le versioni giornalistiche dei fatti, aveva una relazione sentimentale con El Chapo.

Capitolo 4. Estradizione?

chapo pena nietoCi sono motivi validi contro l’estradizione. Da una parte il governo cerca di difendere almeno una qualche parvenza di autonomia e sovranità nella sua relazione col Paese vicino, dall’altra esiste il rischio concreto che un capo storico come Guzmán possa trasformarsi in collaboratore di giustizia negli USA e rivelare le complicità nel mondo politico e imprenditoriale che gli hanno permesso di evadere due volte e di creare un’organizzazione criminale tra le più potenti del mondo, presente in 59 paesi. In questo caso si scoperchierebbe un vaso di Pandora che potrebbe provocare un collasso del sistema politico messicano, oppure, vista la capacità di persistenza dell’élite al potere, solo qualche rimpasto e giustificazione da sotterrare col sostegno dei mass media “amici” alla prima occasione. El Chapo potrebbe testimoniare addirittura contro alcuni membri della sua stessa organizzazione, ormai usciti dalle sue grazie, in cambio di sconti di pena e altri benefici. Si vedrà, ma intanto c’è ancora tempo prima che la giustizia americana e la messicana seguano il loro corso. C’è tempo anche per digerire la massa di opinioni e dichiarazioni che nei cinque continenti cercano di spiegare questo arresto e le complesse evoluzioni della “guerra alle droghe”.

La fuga del trafficante sinaloense nel luglio 2015 aveva provocato un problema di stato, comparabile solo alla crisi di legittimità provocata dal caso dei 43 studenti di Ayotzinapa e dalla conseguente emersione delle trame della narco-politica. Quindi, così come era successo con la “versione storica” delle autorità sui 43, la cattura del Chapo viene ora esibita come un successo, un trofeo, ma potrebbe trasformarsi in un nuovo incubo per l’intera classe politica e generare un effetto domino dalle conseguenze imprevedibili. Inoltre per l’evasione dell’anno scorso sono sotto processo solo pesci piccoli dell’amministrazione del carcere e quel gravissimo scandalo sta rientrando senza grossi scossoni.

ESTRADIZIONE BOSS MESSICOLa logica e gli argomenti del governo messicano in tema di estradizione dei baroni della droga sono state storicamente erratiche e poco incomprensibili: il leader del cartello del Golfo è stato inviato negli USA, ma un suo successore, Eduardo Costilla “El Coss”, è rimasto in Messico; quando era possibile farlo, Guzmán Loera non è stato estradato, mentre il figlio e il fratello de “El Mayo” Zambada sì (vedi infografica di Insight Crime). Un caso clamoroso è quello del ex capo del cartello di Guadalajara Rafael Caro Quintero, coinvolto nell’omicidio dell’agente americano della DEA (Drug Enforcement Administration) Enrique Camarena nel 1985, poi condannato e imprigionato, il quale è stato liberato “per motivi tecnici” da una corte messicana nel 2013. Ora è latitante. Lo stupore e l’indignazione statunitensi raggiunsero l’apice dopo la sua scarcerazione. Ad ogni modo la decisione sull’estradizione resta squisitamente politica, tecnicamente nelle mani del Ministero degli Esteri, e per adesso El Chapo è considerato “estradabile”.

Bio e un po’ di storia

Joaquín Archivaldo Guzmán Loera, comunità La Tuna, città di Badiraguato, stato di Sinaloa, 4 aprile 1957. Figlio di Consuelo ed Emilio, copia di contadini, genitori di undici figli, otto maschi e tre femmine, cresciuti in povertà e senza possibilità di studiare oltre le scuole elementari in una casa dal tetto di lamiera. Una storia abbastanza comune nel Messico rurale.

Dopo anni d’esperienze come coltivatore di amapola o papavero da oppio durante l’adolescenza, il “padrino” del mitico cartello di Guadalajara degli anni ottanta, Miguel Ángel Félix Gallardo, prende il giovane Guzmán Loera al suo servizio e questi si fa le ossa nella principale organizzazione per il contrabbando di stupefacenti nel Paese. Tra il 1985 e il 1989 i principali capi dell’organizzazione vengono arrestati e comincia la lotta per la successione.

Chapo Guzman FUGAS infografica TeleSurIl Padrino stabilisce dalla prigione una spartizione dei territorio tra le varie famiglie e gruppi, anche se poi gli equilibri non reggono. Guzmán si allea con Ismael “El Mayo” Zambada e nasce il Cártel de Sinaloa o Pacífico. I fratelli Arellano Félix fondano l’organizzazione di Tijuana e Amado Carrillo si stabilisce a Ciudad Juárez. Carrillo decide di modificare i suoi tratti somatici e si reca in una clinica privata di Città del Messico. E’ il 1997. I medici “sbagliano” la dose di anestetici e lo uccidono. La pagheranno cara e moriranno tutti ammazzati. Negli anni Novanta Amado Carrillo era riuscito a dominare la scena del narcotraffico ed era noto come “Il Signore dei Cieli”. In Messico l’omonima serie di successo è arrivata alla quarta stagione. Nel 1993, durante una sparatoria tra sicari del Chapo Guzmán e pistoleri degli Arellano Félix, viene ucciso il cardinale Juan Jesús Posadas Ocampo a Guadalajara. Guzmán è accusato dell’omicidio e viene arrestato in Guatemala prima di essere spedito in Messico, nelle prigioni di Almoloya e Puente Grande, in Jalisco. Qui, paradossalmente, riesce a rafforzare i suoi affari e nel 2001 evade nascondendosi in un carrello della lavanderia.

I dettagli di questa evasione sono ormai un cocktail di storia e leggenda, ma il fatto certo è che da quell’anno Sinaloa inizia la scalata al potere criminale globale. Tra il 30% e il 50% della coca in entrata negli USA passa dalle sue mani. I colombiani, dopo l’intensificazione dei blocchi navali statunitensi nei Caraibi negli anni ’80, la morte del capo del cartello di Medellín, Pablo Escobar, nel 1993 e l’avvio del Plan Colombia, a direzione statunitense, nel 2002, sono progressivamente soppiantati dai messicani. Nel 2000 in Messico vince il PAN, partito di destra che promette grossi cambiamenti, dopo oltre settant’anni di egemonia del populista PRI. Il fiammante presidente Vicente Fox s’insedia nel dicembre di quell’anno. Il suo successore, Felipe Calderón, anche lui del PAN, governa dal 2006 al 2012 e lancia un’offensiva militare contro i baroni della droga conosciuta come “narcoguerra”. Almeno 100.000 morti in sei anni e decine di migliaia di desaparecidos sono le eredità di quella strategia che, però, non è stata modificata sostanzialente fino ad oggi.

Nel frattempo le droghe sperimentano un boom nei mercati “sviluppati” ed “emergenti”, la globalizzazione e l’impennata del commercio interessa anche loro. El Chapo entra nella classifica di Forbes tra gli uomini più ricchi del mondo, con un patrimonio stimato di un miliardo di dollari. Gli anni del PAN sono gli anni in cui Sinaloa diventa “il Cartello”, grazie alle connivenze e alla partecipazione delle istituzioni a tutti i livelli. Nel 2012 il PRI torna al potere e il presidente Peña mantiene i soldati per le strade, continua a ricevere i fondi USA dell’Iniziativa Merida, in diminuzione e criticati ormai anche dal congresso americano, e solo cambia il suo discorso, improntato alla modernizzazione e alle riforme. Le armi made in USA inondano e invadono il Paese. I giornalisti e gli attivisti vengono perseguitati senza tregua, il numero dei desaparecidos cresce a dismisura, la società viene limitata nelle sue possibilità d’espressione, nell’esercizio delle libertà e della democrazia ed è preda della morsa tra autorità inefficienti o corrotte e criminalità organizzata. Due facce della stessa medaglia, frequentemente confuse tra loro o indistinguibili.

Capitolo 5. Triangolo: Kate del Castillo, Sean Penn e “El Chapo” Guzmán

Chapo-Guzmán-y-Sean-Penn1A poche ore dall’arresto di Guzmán la procuratrice Arely Gómez ha dichiarato che l’intenzione del capo di girare un film autobiografico e proprio i suoi contatti con attori e produttori avevano permesso alle autorità di trovarlo, anche se le indagini duravano comunque da sei mesi. Su tutta la vicenda ad oggi restano più domande che risposte.

Il 2 ottobre 2015 l’attore Sean Penn e l’attrice Kate del Castillo, che ha stabilito il contatto tramite gli avvocati del capo, hanno fatto visita a Joaquín Guzmán Loera in una delle sue proprietà sperdute nella sierra tra il Durango e il Sinaloa e hanno passato la serata con lui, con le sue guardie del corpo e i suoi figli. Tequila e tacos a volontà. E anche qualche chiacchiera, giustamente.

Nel gennaio 2012 del Castillo pubblicò un tweet che diventò virale e polemico perché l’attrice affermava, provocatoriamente, di avere più fiducia nel Chapo Guzmán che nel governo messicano. Pare che il boss, che presumibilmente ha avuto diciotto figli con sette mogli e amanti diverse, sia avvezzo ai messaggini di testo e alle donne, quando è in libertà e quando è recluso. Inoltre l’idea del film lo stimolava. Kate del Castillo comunicava con lui servendosi del sistema di messaggeria BBM Black Berry e di lettere manoscritte. Solo a lei, come persona ritenuta di fiducia, El Chapo avrebbe rivelato e concesso i diritti sulla sceneggiatura. Anche per questo è stata fissata una visita in un luogo segreto e alcuni produttori di Hollywood, informati da del Castillo, hanno deciso di contattare Sean Penn che ha accettato di accompagnare la messicana nel viaggio nella sierra occidentale e ha proposto al narcos di realizzare un’intervista.

Però il video di 17 minuti spedito dal Chapo a Kate del Castillo non è stato registrato quella sera ma nelle settimane seguenti. Si tratta di un documento interessante anche se rappresenta più che altro una confessione, un messaggio di Guzmán al mondo, e non una vera e propria intervista in cui il giornalista ha la possibilità di controbattere. D’altronde, per come è stata fatta, non ce n’era il modo. Il testo finale è dovuto passare dall’approvazione del Chapo prima della pubblicazione. In questo senso sono piovute critiche a Rolling Stone e all’autore, accusato di aver costruito l’apologia di un delinquente responsabile di migliaia di morti. Penn ha definito El Chapo “prima di tutto un business man, che ricorre alla violenza quando lo considera vantaggioso per se stesso o i suoi interessi commerciali”.

Una visione forse romantica, anche se un po’ di verità c’è. Stiamo parlando di un impresario e commerciante, ma anche di un capo mafioso corresponsabile di mattanze e atrocità, malgrado l’affabilità e semplicità teatrali che ha sfoggiato nel video e durante la visita degli attori. Grazie ad essi ha potuto lanciare al mondo messaggi importanti, comunicare il suo potere come trafficante e burlarsi in diretta delle “solide istituzioni” propagandate da Peña Nieto. Il tempismo è stato eccellente: il giorno dopo l’arresto è uscita l’intervista, come a voler dare una sberla al governo e a comunicare che il capo resta il capo anche in prigione.

Sean Penn ha accusato le autorità messicane di mettere in pericolo la sua vita. Infatti, la procura ha sostenuto che l’intervista è stata un elemento decisivo per poterlo riacciuffare. Comunque la sua intenzione era quella d’accendere i riflettori su una giusta causa, cioè la denuncia dell’ipocrisia della guerra alle droghe, per cui i morti restano a sud mentre gli stupefacenti e i narco-capitali e le sostanze vanno a nord, e sul ruolo che gli Stati Uniti hanno in essa. In qualche modo c’è riuscito, nonostante le critiche e le speculazioni che immediatamente hanno ricoperto lui e Kate del Castillo. La strategia dei mass media s’è concentrata dunque sui personaggi, sulle frasi dei governanti, sull’etica giornalistica, sui messaggini tra Kate e Guzmán e i suoi legali e su vari dettagli morbosi, ma non sul nucleo del problema e sulle responsabilità a monte dell’ondata di violenza e corruzione che sta distruggendo la società e l’economia messicana.

Rivelazioni, film e depistaggi

chapo kate del castilloEl Chapo voleva eternizzarsi con un film, prodotto da Kate del Castillo e soci, che raccontasse la sua vita e che potesse offrire una visione diversa da quella cristallizzata nei libri, nelle inchieste, negli articoli, nei miti e nelle cronache. Per questo motivo aveva contattato tramite i suoi legali l’attrice messicana, di recente naturalizzata statunitense, che era nota al capo e al grande pubblico per il ruolo da protagonista nella serie La Reina del Sur (La Regina del Sud). Del resto da anni i suoi avvocati fanno da intermediari anche con vari potenziali ghost writer per far scrivere la sua biografia che dovrebbe intitolarsi “El Ahijado”, il figlioccio.

Nella video-intervista El Chapo ha senza dubbio rotto una tradizione, quella dei capi-mafia che mai dichiarano d’essere dei trafficanti, ma si definiscono invece imprenditori o semplici lavoratori e negano ogni vincolo con la delinquenza fino alla fine. “Traffico più eroina, metanfetamine, cocaina e marijuana di chiunque altro al mondo, ho una flotta di sottomarini, aerei, camion e autobotti”, ha dichiarato invece il sinaloense. E poi ha aggiunto, perentorio: “Il giorno in cui io non ci sarò più, non cambierà niente [nei traffici]”. Infine ha ammesso: “Son più di vent’anni che non consumo droghe” e “le droghe distruggono”.

chapo triangulo doradoIl reportage dell’attore, intitolato “El Chapo parla”, ha fatto sorgere dubbi sostanziali sul governo messicano dato che vi si descrive il momento in cui le auto su cui viaggiavano Penn e Kate del Catillo vengono fermate da un posto di blocco dell’esercito. Alcuni soldati riconoscono Alfredo, uno dei figli del Chapo, e lo lasciano passare non senza nascondere un certo imbarazzo. Il testo su Rolling Stone narra di come gli aeroplani del cartello di Sinaloa, a disposizione del gruppo, riescono a rendersi invisibili ai radar di terra e, inoltre, conferma che l’organizzazione criminale è puntualmente informata quando l’esercito esegue perlustrazioni aeree a grandi altezze che possono scoprire i loro movimenti.

Non si tratta di informazioni nuove, ma l’impatto sull’immagine dell’esecutivo è stato dirompente e imbarazzante, così come lo è stato il fatto stesso che un incontro di questo genere si sia potuto realizzare. In qualche modo le affermazioni di diversi funzionari subito dopo l’intervista hanno preannunciato la “vendetta”, cioè il ciclone mediatico e accusatorio contro Sean Penn e, in particolare, contro la sua compagna di viaggio nel ranch del Chapo.

L’attrice è oggetto di continui attacchi che mettono in pericolo persino la sua vita. La procura ha fatto in modo che venissero alla luce informazioni e comunicazioni provate contro di lei secondo un piano-montaggio orchestrato per sviare l’attenzione e colpevolizzare l’attrice. La giornalista Lydia Cacho su Proceso ha parlato di una “persecuzione di stato” che fa sospettare vi siano molti altri segreti inenarrabili dietro a tutta la vicenda e che la “logica della comunicazione politica istituzionale non solo si focalizza sulla spettacolarizzazione del caso, ma anche sulla violazione della legge”. E conclude: “L’impero di Guzmán non esisterebbe senza la connivenza delle autorità federali”. Altro che messaggini e chat. Tutti si chiedono piuttosto dove sono i soldi del Chapo e chi se li intascherà.

La polemica delle alte autorità messicane, gli inviti a comparire delle procure messicane e americane per Penn e del Castillo e l’attacco mediatico contro di loro risponde alla volontà di voler sotterrare i particolari vergognosi di questa storia per lo stato messicano: la prima fuga del narcos grazie alla corruzione di funzionari e politici, la rete intoccata delle imprese legate al cartello, la corruzione nelle forze armate, le menzogne raccontate per tappare la cloaca della narco-politica, l’omicidio di una giovane sindachessa in un territorio fuori controllo e l’impossibilità di offrire spiegazioni per il crimine di stato di Iguala contro gli studenti di Ayotzinapa e per gli altri 26mila desaparecidos. Ecco le vere questioni aperte.

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#Ayotzinapa #Messico: dalla “verità storica” alla menzogna storica dopo #InformeGIEI https://www.carmillaonline.com/2015/09/09/ayotzinapa-messico-dalla-verita-storica-alla-menzogna-storica-dopo-informegiei/ Tue, 08 Sep 2015 22:00:45 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=25094 di Fabrizio Lorusso

Ayotzinapa GIEIIl 7 settembre, nuovamente, l’attenzione del Messico è tornata al caso irrisolto della mattanza di sei persone e della sparizione dei 43 studenti della scuola normale “Isidro Burgos” di Ayotzinapa, nel meridionale stato del Guerrero, durante la sanguinosa notte di Iguala del 26 settembre dell’anno scorso. “E’ stato lo Stato”, hanno ripetuto instancabili i genitori dei ragazzi e i gruppi organizzati che li sostengono per mesi e mesi. E in effetti la partecipazione della polizia locale, sotto gli occhi complici di quella federale e dell’esercito, al [...]]]> di Fabrizio Lorusso

Ayotzinapa GIEIIl 7 settembre, nuovamente, l’attenzione del Messico è tornata al caso irrisolto della mattanza di sei persone e della sparizione dei 43 studenti della scuola normale “Isidro Burgos” di Ayotzinapa, nel meridionale stato del Guerrero, durante la sanguinosa notte di Iguala del 26 settembre dell’anno scorso. “E’ stato lo Stato”, hanno ripetuto instancabili i genitori dei ragazzi e i gruppi organizzati che li sostengono per mesi e mesi. E in effetti la partecipazione della polizia locale, sotto gli occhi complici di quella federale e dell’esercito, al rapimento e sparizione dei ragazzi e alla mattanza di Iguala, città amministrata da un sindaco-narcotrafficante e da sua moglie, sorella di alcuni boss del micro-cartello Guerreros Unidos, parla decisamente di apparati statali infiltrati e criminali. Le autorità di numerosi comuni del Guerrero e del Messico non sono solo corrotte o conniventi, non solo si dedicano a coprire la delinquenza organizzata, ma operano direttamente come dei cartelli e si fondono con essi.

Verità storica smontata

La presentazione del volume di 500 pagine “Informe Ayotzinapa: investigación y primeras conclusiones sobre las desapariciones y homicidios de los normalistas de Ayotzinapa” (#InformeGIEI + #GIEIAyotzinapa) in conferenza stampa da parte del Gruppo Interdisciplinare di Esperti Indipendenti (GIEI), istituito dalla Commissione Interamericana per i Diritti Umani, organo della OAS (Organizzazione degli Stati Americani), ha demolito la “verità storica” della PGR (Procura Generale della Repubblica), come l’aveva chiamata pretenziosamente l’ex procuratore Jesús Murillo Karam. E’ passato quasi un anno, dodici mesi di menzogne governative e tergiversazioni della procura, di proteste e repressioni durissime per le strade, di carovane dei genitori di Ayotzinapa e di indagini indipendenti da parte di giornalisti e istituzioni straniere.

La prossima giornata globale, la sedicesima, per esigere giustizia per i 43 studenti dovrebbe svolgersi il 26 settembre. Adesso è maggiore la consapevolezza del fatto che la “verità” della procura coincide sempre più con una vergognosa “menzogna storica” che gradualmente è stata decostruita dalla parte sana e attiva della società e ricomposta nei suoi terribili e dispersi frammenti di senso. Negli ultimi sei mesi gli esperti del GIEI hanno lavorato sul caso e potrebbero continuare per un altro mezzo anno, in caso che venga ampliato loro il mandato iniziale secondo la convenzione tra Messico e OAS in vigore dal marzo scorso. Il presidente messicano Peña Nieto ha manifestato l’intenzione di riunirsi coi genitori dei 43 studenti e rinnovare il mandato dell’equipe internazionale. In questo periodo sono state decine le raccomandazioni ufficialmente emesse dal Gruppo e rivolte a diverse istituzioni governative, presiedute, in ultima istanza, da Peña Nieto: il Ministero degli Interni (Segob), la PGR, ora diretta da Arely Gómez, il Ministero (Sedatu) dello sviluppo agrario, territoriale e urbano. L’unica istituzione alla quale gli esperti non hanno potuto accedere è stato il Ministero della Difesa Nazionale (Sedena).

Il ruolo dell’esercito

Informe AyotzinapaIn particolare il 27esimo battaglione dell’esercito di stanza a Iguala, che ha avuto una partecipazione attiva nei fatti di Iguala nella notte del 26-27 settembre ed è stato segnalato da più parti come uno dei possibili responsabili della desaparación dei normalisti, non è stato sottoposto a nessun tipo d’indagine né i suoi membri hanno rilasciato alcun tipo di intervista o testimonianza. L’omertà e la protezione nei confronti dell’esercito sono stati totali e ora anche il rapporto del GIEI conferma, grazie a interviste e all’incrocio di versioni fornite dai normalisti, il ruolo ambiguo e repressore dei militari, in particolare nella clinica privata “Cristina” in cui s’erano rifugiati gli studenti perseguitati dopo la mezzanotte del 26.

Murillo Karam, prima di “stancarsi”, come aveva dichiarato in una conferenza stampa, delle domande e delle critiche dei giornalisti, e prima di lasciare l’incarico di procuratore nella mani di Arely Gómez il 3 marzo scorso, aveva fornito una versione ufficiale, descritta come “storica” anche se basata su testimonianze incongruenti di testimoni torturati, incarcerati e presumibilmente appartenenti alla criminalità organizzata locale. Nella narrazione gli studenti sarebbero stati perseguitati durante alcune ore e poi sequestrati dalla polizia locale di Iguala e da quella di Cocula che li avrebbero consegnati ai narcos dei Guerreros Unidos. Questi a loro volta li avrebbero portati nella discarica di Cocula per bruciarli e avrebbero gettato i loro resti nel fiume sottostante.

Dopo che il presidente Peña, alle corde, ha detto che si dovrà tenere in considerazione l’opinione della squadra della CIDH, Arely Gómez ha risposto alle critiche del rapporto GIEI annunciando nuove perizie, mentre altri funzionari della procura continuano a sostenere la veracità e correttezza delle ricostruzioni ufficiali su Ayotzinapa. Sembrano ignorare le condanne fortissime di Amnesty International e Human Rights Watch contro il Messico, le quali parlano della “peggiore crisi nel rispetto dei diritti umani degli ultimi decenni”, di “scuse” e di “pigra inazione” da parte del governo.

Alcuni punti importanti dello studio del GIEI

Ecco cosa ha scoperto o confermato, invece, l’investigazione indipendente e meticolosa del GIEI, che viene tra l’altro ad avvalorare la versione di mezzi stampa, accademici e giornalisti che per settimane hanno contrastato le imprecisioni e le bugie ufficiali:

  1. Non esiste nessuna prova che possa sostenere l’ipotesi generata a partire dalle testimonianze secondo cui 43 copri sono stati cremati nella discarica municipale di Cocula.
  2. Tutte le prove raccolte mostrano che nella discarica solo ci sono stati dei fuochi di piccole dimensioni la cui scansione temporale non può essere dovutamente definita.
  3. Non c’è prova che sostenga l’ipotesi secondo cui i corpi sono stati cremati con un fuoco alimentato in gran parte da grassi sottocutanei.
  4. Tutte le prove raccolte mostrano che l’incendio minimo necessario per la cremazione di questi corpi non può essere stati generato nella discarica di Cocula. Se fosse esistito un fuoco di tale grandezza, i danni generali sarebbero stati visibili nella vegetazione e nella spazzatura. Nessuno di questi elementi mostra danni di questo tipo.
  5. E’ impossibile stabilire se i fuochi accesi nella discarica di Cocula sono stati di dimensioni sufficienti per l’incinerazione di uno o più corpi, e inoltre non c’è nessuna evidenza che indichi la presenza di un fuoco della grandezza di una pira per la cremazione anche di un solo corpo.
  6. Non esiste nessuna evidenza che mostra che il combustibile necessario per la cremazione dei corpi sia stata disponibile in qualche momento presso la discarica.
  7. Le testimonianze indicano eventi che non sono possibili date le condizioni generate e per come dovrebbe essere il fuoco minimo indispensabile per la cremazione dei corpi.
  8. La perizia relativa al fuoco non è stata fatta secondo le regole internazionali ampiamente accettate dalla comunità forense. Non è stata data la priorità necessaria alla perizia relativa al fuoco, si è disposto di prove critiche (vegetazione adiacente) senza le necessarie analisi, la raccolta di prove ha trascurato elementi critici e necessari e l’evidenza non è stata strutturata in modo adeguato.
  9. L’Opinione Ufficiale emessa sugli Incendi (AP/PGR/SEIDO/UEDMS/871/2014, Pagine 80002, 83278, 88350) non ha gli obiettivi, la profondità e il rigore necessari per un’investigazione di questa natura.
  10. Le conclusioni della riferita Opinione sono in gran parte errate e in molti casi non emergono dalla evidenza materiale e dalla sua possibile interpretazione.
  11. I periti della PGR autori dell’Opinione non hanno le conoscenze né l’esperienza necessaria per affrontare un caso della complessità di quello che riguarda i fatti del 27 settembre 2014.

Il quinto autobus “fantasma”

peritos ayotziCarlos Beristaín, uno degli autori del rapporto, ha spiegato in un’intervista alla CNN come questa possa trasformarsi in una “opportunità per cambiare le cose, per fortificare la lotta per i diritti umani e contro l’impunità” e come “molte informazioni erano già presenti nei fascicoli della procura ma non erano state processate correttamente”. Ha anche sottolineato che bisogna rivedere urgentemente il ruolo del “quinto autobus per formulare un’ipotesi consistente, visto che non era stato tenuto da conto nell’indagine”. I bus occupati dagli studenti di Ayotzinapa a Iguala erano, infatti, solo quattro, ma la ricerca del GIEI ha fatto emergere l’esistenza di un quinto autobus che non c’era nel fascicolo originale e che sarebbe stato carico di droga. Beristaín ha dichiarato che sono tante le inconsistenze nelle dichiarazioni dell’autista e che l’autobus ripreso dal video registrato alla stazione dei bus di Iguala e quello, che sarebbe il quinto, ritratto dalle fotografie che hanno consultato gli esperti sono diversi. Le linee aperte sono dunque molte. Esiste la possibilità che uno dei mezzi di trasporto presi dai normalisti quella notte contenesse eroina che i Guerreros Unidos intendevano trasportare alla frontiera statunitense.

Attacco massivo e contro-insurrezione

I fatti di Iguala sono stati descritti dalla CIDH come “un attacco massivo” in cui ci sono state 180 vittime dirette, tra cui 6 morti da considerare come “esecuzioni extragiudiziarie” e 43 sparizioni forzate. Lo scrittore e giornalista Sergio González Rodríguez, autore del libro Los 43 de Iguala, ha parlato di vere e proprie operazioni contro-insurrezionali nei confronti dei normalisti. Uno degli esperti della Commissione ha affermato che “c’è stata la presenza di differenti agenti dello stato (polizia municipale, ministeriale, federale) e non abbiamo riscontrato alcuna azione di protezione. Quello che stava succedendo erano aggressioni che superavano qualunque azione di neutralizzazione di persone. Avevano a che vedere con spari da armi da fuoco, attacchi e attentati contro la vita, eccetera.

 Inoltre c’è stato un ritardo nel prendersi cura delle vittime, le ambulanze avevano paura di uscire”. E anche per questo si può parlare di desaparición forzata e secondo gli esperti s’è trattato di un livello d’aggressione brutale, “indiscriminato, con autori che non occultano la propria identità, non c’è nessun occultamento della loro identità inizialmente. Si sa che si tratta della polizia municipale, alcuni sono incappucciati ma poi si scoprono. Questo attacco mostra il tipo d’impunità su ci potevano contare i vari autori e la mancanza di meccanismi di controllo di un’azione così violenta contro la popolazione, oltre al terrore esercitato e al controllo territoriale che aveva la polizia municipale con altre autorità, insieme al crimine organizzato”.

Il vuoto nelle indagini non è riuscito a colmarsi: non sappiamo ancora esattamente cosa è successo tra il momento della cattura degli studenti e quello della loro scomparsa. Ma sappiamo che la procura non ha prodotto nessuna “verità storica”, men che meno giuridica.

Il GIEI ha segnalato anche la presenza di “molteplici scenari”, almeno nove, in cui vi sono stati attacchi diretti con la presenza di funzionari statali e il fatto che i normalisti la notte del 26 settembre sono stati sorvegliati e seguiti dalla Polizia Federale da quando sono passati dalla capitale del Guerrero, Chilpancingo, ore prima dell’aggressione armata contro di loro. “La responsabilità degli attori che portano a termine la sparizione forzata, che mettono in atto il sequestro all’inizio, risiede anche nella desaparición successiva delle persone, indipendentemente da quale sia stato il meccanismo finale che ha portato a prendere decisioni sul destino o la situazione dei desaparecidos. Non bisogna separare le due cose, sono parte della medesima azione, non sono due azioni differenti”.

Verdad Histórica Verdad CIDH Ayotzinapa

Reazioni e azioni in vista del 26 settembre

Un altro degli esperti del GIEI, Alejandro Valencia, ha sottolineato che nel rapporto si segnalano 20 raccomandazioni per le autorità suddivise in quattro categorie: l’indagine, le responsabilità, le ricerche e la cura delle vittime. Andranno promosse l’unione delle varie indagini e la realizzazione di incroci delle informazioni tra il DNA ritrovato negli autobus in cui c’erano i normalisti e i loro familiari. Le ricerche dovranno allargarsi e includere fotografie satellitare e altri luoghi compatibili con le prove in possesso degli inquirenti. Vanno anche investigate le responsabilità delle autorità finora tralasciate e le colpe di chi avrebbe intralciato le ricerche in questi mesi.

In tal senso parte dell’opinione pubblica e parlamentari del PRD (Partido Revolucion Democratica), partito politico cui apparteneva l’ex sindaco di Iguala, José Luis Abarca, stanno chiedendo già l’istruzione di un giudizio politico contro l’ex procuratore Murillo Karam. Tra l’altro Abarca e sua moglie Maria Pineda avrebbero negato, in un intervista rilasciata agli esperti del GIEI, la loro partecipazione ai fatti della notte di Iguala: le versioni e le confusioni si moltiplicano. Urge anche la creazione di un’anagrafe delle persone scomparse e di un sistema di ricerca implementato dallo stato dato che le prime 72 ore dalla scomparsa di una persona, in genere, sono cruciali. Il GIEI ha chiesto altresì la creazione di un programma nazionale per le esumazioni.

Chi dispone dei forni crematori necessari per ridurre 43 corpi in cenere in poche ore? I militari, per esempio. Ma non sono stati indagati. E allora la società, almeno le sue componenti più attive e consapevoli, reagisce e chiede spiegazioni, giustizia, ancora una volta. Uno sparuto manipolo di narcotrafficanti in una discarica di provincia avrebbe avuto bisogno di almeno 60 ore (non 16 come attestano le dichiarazioni dei detenuti) e di una “potenza di fuoco e di calore” di gran lunga superiore, oltre che di una capacità organizzativa elevata. Gli esperti hanno chiesto che siano aperte ricerche sui forni crematori disponibili nel paese e hanno parlato di almeno 700 familiari coinvolti e colpiti direttamente in seguito ai fatti di Iguala.

E sono milioni le persone che da vicino o da lontano stanno con loro. Sono 30mila i desaparecidos messicani e decine di migliaia in più quelli centroamericani in terra azteca negli ultimi 10 anni. Più di 100 i giornalisti silenziati dal patto criminale e d’impunità narco-governativo. Sono oltre 130mila i morti ammazzati della narcoguerra in nemmeno un decennio, da quando nel 2006 il presidente Felipe Calderón lanciò un’improvvisata e sanguinosa campagna militare “contro i narcos”. Le virgolette sono d’obbligo, visto che di fatto l’offensiva governativa e la violenza dei cartelli del narcotraffico si ritorcono soprattutto, sinergicamente, contro la società e la popolazione, specialmente contro le sue frange più organizzate e resistenti, in lotta contro la spoliazione economica e ambientale di territori e comunità. Alla luce di tutto questo e del rapporto steso dagli esperti del GIEI la società e i movimenti organizzati in Messico e nel mondo, i genitori di Ayotzinapa, la stampa, i difensori dei diritti umani, i solidali e la gente si chiedono: “Dove sono i 43 studenti?” Lo stato messicano non può, anzi non vuole rispondere. #MexicoNosUrge

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NarcoGuerra. Cronache dal Messico dei Cartelli della Droga https://www.carmillaonline.com/2015/06/03/narcoguerra-cronache-dal-messico-dei-cartelli-della-droga/ Tue, 02 Jun 2015 22:46:51 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=23057 di Pino Cacucci

Copertina NarcoGuerra Fronte (Small)[Prologo del libro di Fabrizio Lorusso, NarcoGuerra. cronache del Messico dei cartelli della droga, Odoya, Bologna, 2015, pp. 416, € 20 (€ 15 Sito Web Odoya)]

Secondo un vecchio detto che i messicani amano ripetere, “como México no hay dos”. Per molti versi è vero, che il Messico è unico e irripetibile. Ma la realtà odierna dimostra purtroppo che il paese è anche schizofrenicamente sdoppiato: esistono due Messico. Perché qualsiasi viaggiatore, viandante o lieto turista affascinato dalla sua incommensurabile bellezza, può [...]]]> di Pino Cacucci

Copertina NarcoGuerra Fronte (Small)[Prologo del libro di Fabrizio Lorusso, NarcoGuerra. cronache del Messico dei cartelli della droga, Odoya, Bologna, 2015, pp. 416, € 20 (€ 15 Sito Web Odoya)]

Secondo un vecchio detto che i messicani amano ripetere, “como México no hay dos”. Per molti versi è vero, che il Messico è unico e irripetibile. Ma la realtà odierna dimostra purtroppo che il paese è anche schizofrenicamente sdoppiato: esistono due Messico. Perché qualsiasi viaggiatore, viandante o lieto turista affascinato dalla sua incommensurabile bellezza, può tranquillamente attraversarne migliaia di chilometri senza mai percepire un clima di violenza sanguinaria. Eppure… esiste anche l’altro Messico, quello che Fabrizio Lorusso sviscera nei suoi reportage, nei suoi approfondimenti giornalistici, nei racconti di vita quotidiana. E lo fa con esemplare giornalismo narrativo, che attualmente è l’unica fonte di informazione attendibile, non essendo schiava di una gabbia ristretta di “battute” né di censure, o meglio di autocensure, perché tutti, quando scriviamo per una certa testata, abbiamo in mente che questa ha un preciso proprietario e quindi certi limiti ce li mettiamo da soli, prima ancora che vengano imposti. Ovviamente, il giornalismo narrativo non può che trovare spazio in un libro, che poi faticherà non poco a trovare uno spazio nell’editoria. Oppure – come è il caso di alcuni di questi scritti – lo spazio se lo prendono su internet, l’universo che ci illude di essere liberi di esprimere qualsiasi opinione: peccato che, siamo sinceri, finiamo per leggerci l’un l’altro, cioè tra quanti una certa sensibilità già ce l’hanno, senza scalfire la cosiddetta “informazione di massa”, che altro non è se non disinformazione massificata.

Esiste, dunque, anche l’altro Messico, dei corpi appesi ai cavalcavia, delle teste mozzate e infilate sui pali, dell’orrore che ormai viene acriticamente ascritto ai “narcos” quando nessuno capisce più se siano effettivamente i ben armati e ben entrenados Zetas (in maggioranza ex militari di reparti speciali e mercenari centro e sudamericani con master in centri di addestramento di Usa e Israele), o se si tratti di squadroni della morte, milizie di latifondisti, regolamenti di conti d’ogni sorta, ed eliminazione spiccia di oppositori sociali.

E questa è anche la mia schizofrenia, perché…

Il Messico è dove torno ogni anno per qualche mese e dove vorrei concludere i miei giorni, e se, dopo averci vissuto per anni tanto tempo fa, continuo questo incessante andirivieni, forse è per un inconfessabile timore dell’abitudine: ovunque vivi per troppo tempo, finisci per vederne solo i difetti e non più i pregi. Io vado e vengo perché, come un vampiro, continuo a succhiarne gli aspetti migliori. Troppo comodo, lo so. Ma è così. Amo talmente il Messico, da impedirmi di trasformarlo in una consuetudine, in una routine quotidiana che ne assopirebbe le emozioni: è un po’ come con le droghe, l’assuefazione ti priva di rinnovare la sensazione inebriante della prima volta. Meglio rinnovare la crisi di astinenza – chiamiamola struggente nostalgia – che assuefarsi, svilendo quel miscuglio di energie rinnovate e sensazioni ineguagliabili che mi dà ogni volta che ci torno. Se non tornassi ma rimanessi per “sempre”, temo che l’abitudine spegnerebbe tutto.

Odoya Bandiera messicana coca proiettiliE chiarisco: la semplificazione di “pregi e difetti” è improponibile, proprio perché semplifica l’immane complessità della situazione. Difetti: non si può relegare a questo vocabolo l’orrore dei morti ammazzati. Pregi: quei milioni di messicani che in ogni istante ti dimostrano quanto siano diversi dall’orrore, con la loro sensibilità, creatività, ribellione, resistenza… dignità. La cronaca, purtroppo, privilegia gli orribili e trascura i dignitosi.

Leggendo i coraggiosi scritti di Fabrizio Lorusso (coraggiosi per il semplice e spietato fatto che lui, lì, ci vive e si espone alle eventuali conseguenze) riconosco me stesso come ero trent’anni fa: lodevole donchisciotte che, penna – o tastiera – in resta, affronta i mulini a vento dei todopoderosos di sempre, di ieri e di oggi… E in fin dei conti, oggi, mi appare come un’illusione, il tentativo di informare gli altri sulla realtà, perché la sensazione è che tutti (be’, quasi tutti) se ne freghino, della realtà. Quindi, è un’utopia. Ma cosa saremmo, senza illusioni e utopie?

Nada más que amibas. Saremmo parassiti intestinali, tanto per restare sul campo messicano. Miserabili parassiti assuefatti a una realtà ingiusta e insopportabile. È per questo, che abbiamo bisogno di illusioni e utopie. Persino dell’illusione che, scrivendo, informando, potremmo rendere meno feroce e nefasto questo mondo in cui viviamo. Che è anche l’unico che abbiamo.

Petizione del collettivo Paris-Ayotzinapa: “NO alla presenza del presidente messicano Enrique Peña Nieto alle celebrazioni del 14 luglio 2015” – LINK Firma

Prossime presentazioni a Milano: 13 giugno Libreria Les mots e 16 giugno Macao

Leggi l’introduzione del libro: QUI – Risvolto/Riassunto del libro+Bio: QUI 

Pagina NarcoGuerra: QUI – Scarica PDF Indice + Intro + Prologo del libro: QUI

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Riprende la lotta per i #desaparecidos di #Ayotzinapa in #Messico https://www.carmillaonline.com/2015/01/13/riprende-la-lotta-per-i-desaparecidos-di-ayotzinapa-in-messico/ Mon, 12 Jan 2015 23:00:14 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=20034 di Fabrizio Lorusso

Mural Aytzinapa San CristobalI genitori dei 43 studenti desaparecidos della scuola normale di Ayotzinapa, nello stato del Guerrero, in Messico, e il movimento sociale che da oltre 100 giorni li accompagna nella loro lotta per il ritrovamento in vita dei ragazzi e il chiarimento delle responsabilità a tutti i livelli non sono andati in vacanza in questo periodo natalizio. L’incubo di un caso in cui le autorità messicane si sono impantanate, non essendoci stati progressi concreti nelle indagini, e che ha smascherato il governo di Peña Nieto, promotore [...]]]> di Fabrizio Lorusso

Mural Aytzinapa San CristobalI genitori dei 43 studenti desaparecidos della scuola normale di Ayotzinapa, nello stato del Guerrero, in Messico, e il movimento sociale che da oltre 100 giorni li accompagna nella loro lotta per il ritrovamento in vita dei ragazzi e il chiarimento delle responsabilità a tutti i livelli non sono andati in vacanza in questo periodo natalizio. L’incubo di un caso in cui le autorità messicane si sono impantanate, non essendoci stati progressi concreti nelle indagini, e che ha smascherato il governo di Peña Nieto, promotore all’estero di un paese pacificato e sulla via dello sviluppo grazie alle riforme strutturali, non ha smesso di turbare i sogni di gloria della classe dirigente nazionale: la notte della vigilia di Natale e di capodanno migliaia di persone hanno sfilato per le strade di Città del Messico insidiando la residenza presidenziale de Los Pinos, difesa da centinaia di celerini. E ormai non si chiede più la “risoluzione di un caso”, ma si denuncia la violenza di stato strutturale che impera nel paese, la corruzione di tutto un sistema che reagisce con depistaggi e con la forza.

La mattina 12 gennaio un gruppo di manifestanti e una ventina di genitori dei ragazzi di Ayotzinapa hanno fatto irruzione nella caserma del ventisettesimo battaglione a Iguala perché sono sicuri che sia stato l’esercito a sequestrare gli studenti. Inoltre il ministro degli interni Osorio Chong ha cancellato una riunione che aveva fissato con i familiari nella capitale e questo ha suscitato ulteriori scontenti e rabbia. Nove genitori e vari manifestanti sono rimasti indignati e feriti per la dura repressione dei militari. Anche ad Acapulco i manifestanti hanno fatto un picchetto fuori dalla caserma. Rafael López Catarino, padre di Julio César López, sostiene che, grazie all’aiuto di alcuni suoi conoscenti della procura del Guerrero, è stato possibile tracciare gli ultimi spostamenti di suo figlio col GPS del cellulare e l’ultima coordinata ricevuta proviene dalla caserma di Iguala.

La lotta non va in vacanza: da Città del Messico a Oventic

In testa ai cortei di dicembre c’erano i genitori dei 42 studenti che ancora risultano scomparsi e di Alexander Mora, giovane normalista i cui resti sono stati identificati il mese scorso dopo gli studi del DNA effettuati a Innsbruck. In tante città e regioni, comprese quelle turistiche, dal Chiapas allo Yucatan, dal Guerrero alla capitale, i muri si sono dipinti di rosso e di nero, si sono riempiti di murales e gli stencil hanno riprodotto le tracce della protesta, gli slogan del movimento per Ayotzinapa: “Vivos se los llevaron, vivos los queremos”, “Fue el Estado”, “Nos faltan 43”, tra gli altri.

Un gruppo di genitori degli studenti, accompagnati da attivisti di una cinquantina di paesi, hanno seguito il cammino della carovana del Festival delle Resistenze e Ribellioni contro il Capitalismo, convocato l’agosto scorso dall’EZLN e dal CNI (Congreso Nacional Indigena), che, tra il 20 dicembre il 3 gennaio, ha percorso le strade del Messico dalla capitale al Estado de México, dal Morelos a Campeche e infine al caracol zapatista di Oventic e a San cristobal de las Casas, in Chiapas. L’Esercito Zapatista ha ceduto la parola e i suoi spazi ai genitori e ai normalisti venuti da Ayotzinapa e ha celebrato i 21 anni dell’insurrezione la notte del 31 dicembre a Oventic, dove sono confluiti collettivi, organizzazioni, militanti e aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, in totale oltre 2000 persone tra cui circa 500 stranieri.

I forni crematori dell’esercito, Ayotzinapa, versioni ufficiali e nuove smentite

Caracol Oventic Festival Resistencias Rebeldias 31 dic 14 (28)La versione ufficiale del procuratore generale Jesus Murillo Karam punta a limitare i danni e ad allontanare i sospetti dall’esercito e dalla polizia federale, accusando del crimine i narcos dei Guerreros Unidos, l’ex sindaco di Iguala José Luis Abarca, ritenuto uno degli “autori intellettuali” della mattanza, e alcuni membri della polizia locale. Si tratterebbe quindi di una strage derivata da un conflitto locale e non da una crisi strutturale dello stato messicano. La procura, chiaramente, non fa mai riferimento al caso Iguala come a un “crimine di stato” quale invece è. L’intervento di agenti e apparati dello stato nella notte tra il 26 e 27 settembre è un fatto assodato e sono state dimostrate anche la partecipazione delle forze federali e il fatto che tanto l’esercito, il ventisettesimo battaglione di stanza a Iguala, come i federali erano informati in tempo reale di quanto stava accadendo e non sono intervenuti. Anzi, i militari hanno vessato un gruppo di studenti che si trovavano in un ospedale e li hanno rimandati in strada, dove era in corso una persecuzione armata contro di loro.

Una parte consistente della società, numerose indagini condotte dalla stampa critica, i genitori dei ragazzi e alcuni sopravvissuti puntano il dio proprio contro l’esercito, un’istituzione che storicamente “s’è occupata” della repressione dei movimenti contadini e indigeni e della desaparicion forzata degli oppositori politici a partire dalla guerra sporca degli anni settanta fino ad arrivare a stragi più recenti come quella de El Charco, Guerrero, nel 1997, e a quella di Tlatlaya del 2014.

Nuove rivelazioni del settimanale Proceso, il cui direttore Julio Scherer, figura storica del giornalismo messicano, è deceduto all’età di 88 anni il 7 gennaio scorso, confermano che il fascicolo delle indagini della procura contiene indizi sulla possibile responsabilità dell’esercito nei fatti di Iguala i quali potrebbero giustificare l’avvio di un’investigazione a parte. Nonostante le accuse mosse dalla società civile e dai movimenti sociali, oltre a quelle lanciate in dichiarazioni giurate da varie persone arrestate per il caso, la procura si rifiuta di aprire un nuovo fascicolo sulle forze armate che, inoltre, erano bene informate sul “potere corruttore e la potenza di fuoco del cartello dei Guerreros Unidos”, come riporta la rivista.

Secondo le dichiarazioni rese dai detenuti e le carte delle indagini preliminari, sono vari i poliziotti di Iguala e di Cocula, accusati del rapimento e della sparizione dei normalisti che hanno un passato nell’esercito e, per giunta, gli alti ranghi del battaglione 27 nel 2013 hanno ricevuto denunce sui nessi della polizia locale di Iguala e Cocula coi narcos e su altre irregolarità gravi legate a conflitti interni alle forze dell’ordine di Cocula, per la precisione tra il capo della polizia, Bravo Barcenas, e il suo vice, Cesar Nava, probabilmente legato ai Guerreros Unidos.

La stessa procura della repubblica aveva cominciato tre indagini contro l’ex sindaco Abarca e una contro sua moglie, Maria Pineda, tra il 2010 e il 2012, ma queste sono rimaste sepolte fino a che la pressione nazionale e internazionale per il caso Ayotzinapa non ha obbligato le autorità a scongelarle e a far imprigionare l’ex sindaco per delinquenza organizzata, omicidio e sequestro di persona. Sono delitti che Abarca avrebbe commesso prima del settembre scorso, per cui sarebbe potuto finire in galera e non fare altri danni. Il 5 gennaio a sua moglie, che era ai domiciliari da due mesi, è stato confermato il fermo e sono state formalizzate le accuse di delinquenza organizzata e uso di risorse di provenienza illecita, per cui è stata trasferita al penitenziario di Tepic, nello stato settentrionale del Nayarit.

I forni dell’esercito

La procura non si muove, nonostante si moltiplichino le testimonianze e le segnalazioni di una possibile implicazione dell’esercito nella cremazione degli studenti nei propri forni. Pressato dalla pubblicazione di un reportage de La Jornada che proponeva questa ipotesi, supportata dal parere dei ricercatori Jorge Antonio Montemayor y Pablo Ugalde, il 7 gennaio il ministero della difesa messicano ha inviato una lettera al quotidiano La Jornada negando l’esistenza di forni crematori nelle strutture militari del paese. Ma pochi giorni dopo vengono diffuse altre ricerche giornalistiche. Un reportage di Sanjuana Martinez cita nuove fonti che accusano l’esercito di avere e utilizzare forni crematori. La guida per le pratiche legate ai benefici forniti dall’Istituto della Sicurezza Sociale delle Forze Armate (Issfam) cita l’esistenza dei forni. Il ministero stesso offre servizi di cremazione ai propri dipendenti sia in modo indipendente sia attraverso l’Istituto di Sicurezza Sociale dei Lavoratori Statali (Issste). Quindi ci sarebbe la possibilità che i corpi degli studenti siano stati inceneriti in una di queste strutture, anche grazie alla “discrezione” o segretezza di cui godono le operazioni condotte delle forze armate.

“Purtroppo non esiste un’altra possibilità che non si basi su questo tipo di crematori. Se le autorità avessero detto che i giovani erano stati seppelliti nel deserto e si fossero trovate delle ossa, sarebbe diverso. Ma siccome hanno detto che sono stati inceneriti nella discarica di Cocula, secondo le leggi della fisica, della chimica e della scienza in generale, è impossibile che siano stati cremati là, con legna o gomme. Lo abbiamo già dimostrato. Pertanto devono essere stati cremati in un forno. E chi ha possibilità di usarli in modo discreto? Solo lo stato”, ha dichiarato il ricercatore della UNAM Jorge Antonio Montemayor Aldrete. Le ricerche potrebbero quindi dirigersi verso le caserme, le strutture militari, quelle dell’Issfam o dell’Issste. Anche il generale José Francisco Gallardo, imprigionato per motivi politici dal 1993 al 2002 per aver proposto la creazione di un garante dei diritti umani all’interno dell’esercito, conosce bene le strutture gestite dai militari e ha dichiarato che i forni esistono. “La Difesa sepre lo negherà, anche se ci sono prove. Ma è chiaro che hanno forni crematori. Negano anche di avere prigioni con dentro dei civili, ma io sono stato prigioniero lì nove anni e ho visto gente incarcerata. Inoltre vi dico che dove stanno queste prigioni e forni clandestini. Nel Campo Militare Numero Uno ci sono cantine con persone detenute. A me mi hanno rinchiuso in una di quelle, nudo, e c’erano altri civili. Ho visto cavi, secchi d’acqua, tutto quello che usano per le torture. Pensavo che mi avrebbero ucciso”, sostiene Gallardo nell’intervista con La Jornada.

E continua: “Il governo ha catalogato le normali rurali come centri della dissidenza. E’ un crimine di lesa umanità perché è lo sterminio di un gruppo specifico della popolazione come quello di Ayotzinapa. Qui si è formato uno scudo di impunità che ha permesso quei crimini. E’ necessario che l’Esercito si sottometta al potere civile dello stato, ma se non ci sarà una rforma dell’esercito, questa cosa non verrà risolta. E così dovranno intervenire gli organismi internazionali per investigare su questo delitto, l’esercito non lo permetterà. Il Messico è una società militarizzata fino al midollo”. E ha aggiunto: “Chi è il massimo responsabile? Il comandante supremo delle forze armate, il presidente Enrique Peña Nieto”.

Sempre più dubbi…

Caracol Oventic Festival Resistencias Rebeldias 31 dic 14 (46)Il procuratore Jesús Murillo fonda la sua narrazione su alcune testimonianze dei presunti narcos agli arresti per il caso, Le ricerche dei giornalisti Anabel Hernández e Steve Fisher hanno fatto emergere le dichiarazioni delle persone arrestate che denunciano l’uso della tortura da parte delle autorità per cui si dubita fortemente della veridicità delle loro affermazioni sulla notte del 26-27 settembre. Secondo la versione ufficiale, quindi, i corpi dei 43 studenti sarebbero stati bruciati durante almeno 15 ore, dalle due del mattino alle cinque del pomeriggio, nella discarica di Cocula, a una trentina di chilometri da Iguala.

 Però non ci sono prove, solo racconti. Nessuno ha potuto verificare che le ceneri e i pochi resti ossei presentati dalla procura e inviati in Austria per l’identificazione provenissero effettivamente dalla discarica di Cocula e dal fiume sottostante, come affermano alcuni detenuti. Un pilota militare con ampia esperienza, Andrés Pascual Chombo, la mattina del 27 settembre ha realizzato due voli a bassa quota proprio in quella zona con un elicottero del ministero della pubblica sicurezza dello stato del Guerrero per cercare i normalisti, ma il suo rapporto finale è stato: “Nessuna novità”. Questo significa che non c’era nulla di anormale e non si scorgevano colonne di fumo o incendi nei paraggi. Infine anche alcuni esperti della principale università messicana (UNAM) hanno contribuito a smontare la storia della procura. Infatti, secondo i loro calcoli, per bruciare 43 corpi in poche ore ci sarebbero volute 33 tonnellate di legna o 995 gomme d’auto, si sarebbero avvistate fumarole a chilometri di distanza per tutta la giornata e si sarebbero dovute ritrovare grosse quantità di residui di questi materiali. Tutto ciò, invece, non è avvenuto.

EZLN e Ayotzinapa

La notte del 31 dicembre il subcomandante insurgente Moisés ha tenuto un discorso (link) di cui riporto una parte, dedicata ai familiari dei desaparecidos. Alla fine sono stati i letti i nomi dei 43 e quelli dei tre studenti uccisi nella strage di Iguala.

Fratelli e sorelle famigliari degli assenti di Ayotzinapa: le zapatiste e gli zapatisti vi appoggiano perché la lotta è giusta e vera. Perché la vostra lotta deve essere di tutta l’umanità. Siete stati voi e nessun altro ad aver inserito la parola “Ayotzinapa” nel vocabolario mondiale. Voi con la vostra parola semplice. Voi con il vostro cuore addolorato e indignato. Quello che ci avete mostrato ha dato molta forza e coraggio alle persone semplici in basso e a sinistra. Lì fuori si dice e si grida che solo le grandi menti sanno come fare, e solo con i leader e caudillos, solo con i partiti politici, solo con le elezioni. E così se la cantano e se la suonano senza ascoltarsi e senza ascoltare la realtà. Poi è arrivato il vostro dolore e la vostra rabbia.

Caracol Oventic Festival Resistencias Rebeldias 31 dic 14 (84)Poi ci avete insegnato che era ed è il nostro stesso dolore, che era ed è la nostra stessa rabbia. Per questo vi abbiamo chiesto di prendere il nostro posto in questi giorni durante il Primo Festival Mondiale delle Resistenze e delle Ribellioni contro il Capitalismo. Non solo desideriamo che si raggiunga il nobile obiettivo del ritorno in vita di chi oggi ancora manca. Ma continueremo ad appoggiarvi con le nostre piccole forze. Noi zapatisti siamo sicuri che i vostri assenti, che poi sono anche nostri, quando saranno di nuovo presenti non si meraviglieranno più di tanto del perché i loro nomi hanno assunto diverse lingue e geografie. Tanto meno del perché i loro volti hanno fatto il giro del mondo. E nemmeno che la lotta per la loro riapparizione in vita è stata ed è globale. Neanche che la loro assenza ha fatto crollare le menzogne del governo e denunciato lo stato di terrore creato dal sistema.

Ammireranno invece la statura morale dei propri famigliari che non hanno mai fatto cadere nel dimenticatoio i loro nomi. Senza arrendersi, senza vendicarsi, senza tentennare hanno continuato a cercarli fino a trovarli. Quindi quel giorno o quella notte i vostri assenti vi daranno lo stesso abbraccio che adesso vi diamo noi zapatiste e zapatisti. Un abbraccio affettuoso, con rispetto e ammirazione. Così vi diamo 46 abbracci per ognuno degli assenti. (Leggi discorso completo qui).

Un’eventuale articolazione o intesa, preannunciata dagli eventi dell’ultimo mese, tra l’EZLN e i movimenti dello stato del Guerrero che sostengono la lotta dei normalisti e l’esigenza di giustizia e verità dei familiari di Ayotzinapa potrebbe rappresentare un punto di svolta per il 2015. Anche la proposta di un congresso costituente, oltre alle dimissioni del presidente e del governo, sta prendendo piede con l’idea di rifondare il paese e combattere un sistema definito da molti come “narco-stato-fallito”. Di fronte alla decadenza totale dell’apparato politico, all’impunità e alla corruzione endemiche tanto il vescovo di Saltillo, Raul Vera, vicino alla Teologia della Liberazione e ai principi di “opzione preferente per i poveri”, come alcuni movimenti sorti per la causa degli studenti di Ayotzinapa hanno chiamato a un congresso costituente. Il portavoce dei genitori di Ayotzinapa, Felipe de la Cruz, ha annunciato la data del 5 febbraio a Chilpancingo, capitale del Guerrero, per un primo passo in tal senso e per discutere la situazione della regione che resta militarizzata.

“Mano dura”, sgomberi e leggi restrittive

La scelta della “mano dura” non ha funzionato nel Michoacan, dove sono decine i morti risultanti dagli scontri dell’ultimo mese tra diverse fazioni della Forza Rurale, una polizia speciale creata nel maggio scorso dal Commissario “plenipotenziario” Alfredo Castillo, una specie di viceré emissario di Peña Nieto nella regione, dopo lo scioglimento dei gruppi di autodifesa. Siccome la Forza Rurale è stata subito infiltrata da ex narcotrafficanti, è stata imposta con la forza, in seguito all’incarcerazione a più riprese di vari leader del movimento delle autodefensas, ed è stata costruita in fretta e furia senza i dovuti controlli, sono scoppiati i conflitti tra diversi gruppi al suo interno, in particolare tra Luis Antonio Torres “El Americano” e Hipolito Mora, fondatore del movimento che ha da sempre denunciato le infiltrazioni mafiose, tollerate se non favorite dal Commissario Castillo, e ha perso suo figlio in una sparatoria contro gli uomini di Torres lo scorso 17 dicembre. Il Michoacan “pacificato” di fine 2014 è un territorio in guerra, con tassi di omicidio e di delitti denunciati superiori alla media nazionale, soprattutto nelle città come Apatzingán, Morelia, Uruapan e il porto di Lázaro Cárdenas.

Caracol Oventic Festival Resistencias Rebeldias 31 dic 14 (39)A completamento di questo quadro fosco e drammatico la polizia della capitale e quella del Chiapas, rispettivamente, hanno atteso la fine delle vacanze per sgomberare lo spazio “occupato, ecologico, politico e sociale Chanti Ollin, attaccato il 7 gennaio e recuperato il giorno dopo dagli occupanti a Città del Messico, e per reprimere i membri della comunità di San Sebastián Bachajón, nei pressi delle famose cascate di Agua Azul. Il 21 dicembre i comuneros del Chiapas, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona dell’EZLN, hanno recuperato un terreno che fino a 5 anni fa era gestito in base al regime della proprietà collettiva, conosciuto in Messico come “ejido”, ma che il 2 febbraio 2011 fu espropriato manu militari dal governo del Chiapas. La difesa della terra costò agli abitanti l’arresto: ben 117 persone finirono in manette. Il 9 gennaio è intervenuto di nuovo il governo. 900 uomini in uniforme, membri della polizia statale, dell’esercito e dei federali, hanno sgomberato le famiglie di indigeni tzeltales che si trovavano a presidiare la zona. L’11 gennaio, durante un tentato recupero della terra dell’ejido, la polizia ha sparato pallottole di gomma contro gli indigeni, ferendone alcuni, e sono stati ritrovati anche alcuni proiettili di arma da fuoco. La comunità tzeltal chiede la ritirata della polizia e la possibilità di tornare a coltivare le terre che gli spettano legittimamente.

Il portale SinEmbargo.Mx ha pubblicato un’indagine sull’evoluzione delle leggi repressive della libertà di manifestazione che, nei vari stati della repubblica, sono state approvate nel 2014: la situazione è preoccupante dato che sono una decina i provvedimenti presi dai governi e dai parlamenti locali di località come Città del Messico, il Chiapas, Puebla e Quintana Roo (nello Yucatan) che tendono a criminalizzare la protesta sociale e ampliano le possibilità di repressioni violente da parte della polizia. In risposta une ventina di organizzazioni hanno emesso un comunicato diretto al comune di Città del Messico in cui si critica la gestione della sicurezza pubblica e si chiede il rispetto dei diritti umani “contro la repressione della polizia”. Decine di migliaia di cittadini hanno firmato una petizione su Change.Org per chiedere che gli agenti in servizio durante le manifestazioni abbiano un numero d’identificazione sull’uniforme (hashtag twitter #NumeroEnElUniforme).

Campagna elettorale e nuove azioni per Ayotzinapa

Caracol Oventic Festival Resistencias Rebeldias 31 dic 14 (15)Il fondatore del Movimento per la Pace, Javier Sicilia, ha chiamato a boicottare il processo elettorale del 7 giugno prossimo, in cui si dovranno rinnovare il parlamento nazionale e alcuni governi e parlamenti statali. Sette milioni di spot invaderanno le frequenze televisive e radiofoniche solo nella fase di pre-campagna elettorale, per cui il rischio che il caso Ayotzinapa passi in secondo piano è alto. Per questa ragione l’VIII Assemblea Popolare per Ayotzinapa, riunitasi il 3 gennaio nella scuola “Isidro Burgos”, ha stabilito la ripresa delle iniziative di protesta con un calendario densissimo.

Le rivendicazioni dell’assemblea e del movimento continuano ad essere la “presentazione in vita” degli studenti, la identificazione e il castigo dei responsabili, la rinuncia del presidente, la libertà a tutti detenuti politici e il boicottaggio delle elezioni del 2015. Si chiede la realizzazione di azioni in Messico e nel resto del mondo. Dal 10 al 15 gennaio riprende la ricerca da parte dei cittadini e della UPOEG (Unione Popoli Originari dello Stato del Guerrero) dei desaparecidos per cui si sono formati gruppi di appoggio volontari per raggiungere Ayotzinapa. Il 12 gennaio le proteste, con picchetti e manifestazioni, si dirigono contro le caserme di tutto il paese. Il 26 gennaio, esattamente a quattro mesi dalla strage, è prevista la VIII Giornata d’Azione Globale per Ayotzinapa il cui centro sarà Città del Messico, con quattro cortei simultanei che convergeranno nella piazza dello zocalo. Il 17 gennaio si terrà la IX Assemblea Popolare che dovrà decidere sul programma in vista di una costituente e della convocazione di Assemblee Popolari Statali e convocare anche un incontro internazionale su Ayotzinapa e sul Messico.

In Italia segnalo per la sera del 13 gennaio (ore 18:30) l’evento AYOTZINAPA VIVE! Uno sguardo sul movimento messicano (RadioAlSuolo meets SOLIDARIA43 e collettivo Italia-Messico) al VAG61 – via Paolo Fabbri 110, BolognaLink evento Facebook

 Link

 Sul Festival delle Resistenze e Ribellioni – Cronaca e sintesi finale

Bilancio finale Festival e intervista con il normalista (del comitato studentesco di Ayotzinapa) Omar García su Radio Onda D’Urto

Lista iniziative per Ayotzinapa e VIII Giornata di Azione Globale

Video Arrivo dei genitori di Ayotzinapa a Oventic e accoglienza zapatista

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Natale di lotta per #Ayotzinapa e Festival zapatista delle Resistenze e Ribellioni https://www.carmillaonline.com/2014/12/24/natale-di-lotta-per-ayotzinapa-e-festival-zapatista-delle-resistenze-e-ribellioni/ Tue, 23 Dec 2014 23:00:42 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=19738 di Fabrizio Lorusso 

Ayutla protesta vs ejercito2Anche se il Messico sembra essere in vacanza, non è così. Lontano dai grandi centri turistici all inclusive e dalla riviera maya, il paese non smette di protestare e di mostrare al mondo la sua vera faccia. Quella degli oltre 130 mila morti in 8 anni e della guerra alle droghe e ai narcos che s’è trasformata in una specie di guerra civile sanguinaria e in un conflitto contro la stessa società. Quella dei 27 mila desaparecidos che ormai superano le cifre delle sparizioni forzate dell’ultima dittatura argentina. Si moltiplicano e continuano [...]]]> di Fabrizio Lorusso 

Ayutla protesta vs ejercito2Anche se il Messico sembra essere in vacanza, non è così. Lontano dai grandi centri turistici all inclusive e dalla riviera maya, il paese non smette di protestare e di mostrare al mondo la sua vera faccia. Quella degli oltre 130 mila morti in 8 anni e della guerra alle droghe e ai narcos che s’è trasformata in una specie di guerra civile sanguinaria e in un conflitto contro la stessa società. Quella dei 27 mila desaparecidos che ormai superano le cifre delle sparizioni forzate dell’ultima dittatura argentina. Si moltiplicano e continuano le iniziative per i 43 studenti desaparecidos di Ayotzinapa, un caso che ha fatto e continua a fare il giro del mondo per la sua crudeltà ed efferatezza, rese ancor più drammatiche dalla certezza che si tratti di un crimine di stato e non di un conflitto tra bande o un problema “politico” di indole locale e circoscritta.

Dall’inizio di ottobre gli eserciti guerriglieri dello stato messicano del Guerrero, in primo luogo l’EPR e l’ERPI, hanno emesso più di dieci comunicati che denunciano le implicazioni dell’esercito nella sparizione dei 43 studenti normalisti a Iguala lo scorso 26 settembre. I loro appelli sono passati quasi inosservati, anche se nelle scorse settimane sono state numerose le dichiarazioni dei genitori degli studenti e dei membri della UPOEG (Unione Popoli Originari Stato del Guerrero), di cui fanno parte anche alcuni familiari dei normalisti, che hanno indicato i militari, specialmente nel 27esimo battaglione che si trova a solo un chilometro e mezzo da dove sono stati sequestrati i ragazzi della scuola di Ayotzinapa, come possibili responsabili. In uno striscione o narcomanta, un metodo di comunicazione sui generis usato dai narcos o da altri ignoti “interlocutori” per mandare messaggi al governo, ai gruppi rivali o all’opinione pubblica, il 31 di ottobre erano stati denunciati due ufficiali di quel battaglione: si facevano addirittura i nomi del tenente Barbosa e del capitano Crespo. Firmato: il capo Gil, del cartello dei Guerreros Unidos.

All’inizio di dicembre i genitori dei ragazzi di Ayotzinapa hanno chiesto esplicitamente alle autorità e alla Procura Generale della Repubblica di investigare la presunta partecipazione delle forze armate nella strage e nella sparizione dei 43 ragazzi, il che significa rastrellare le caserme in cerca di prove e rompere il muro d’inaccessibilità e protezione di cui da sempre godono i militari, soprattutto nel Guerrero. Storicamente, infatti, hanno rappresentato “il potere forte” nelle regioni in cui operavano e operano i gruppi guerriglieri e sono stati i fautori e gli autori della politica repressiva della guerra sucia, la guerra sporca, che consisteva nella sistematica desaparicion degli avversari politici, nell’intimidazione delle basi d’appoggio e delle comunità indigene e contadine, nel controllo e occupazione militare dei territori e nella copertura delle autorità locali, come le polizie municipali e statali, che potevano agire indisturbate contro la popolazione. Questa situazione pare non essere cambiata anche se la guerra fredda è finita da un pezzo.

Frasi del ministro della marina

Ayutla protesta vs ejercitoIl ministro della Marina messicana, Vidal Francisco Soberón, ha pronunciato una serie di frasi in difesa del governo e, allo stesso tempo, ha contribuito a sviare l’attenzione e a criminalizzare la protesta sociale: “Mi fa arrabbiare ancora di più che manipolino i genitori delle vittime, cioè che manipolino quelle persone, perché è questo ciò che stanno facendo, li stanno manipolando anche per non fargli riconoscere il governo o per continuare a far crescere questa cosa [le proteste]. E mi viene più rabbia pensando che questa gente che manipola i genitori non è interessata a loro, né ai ragazzi, non gli interessa, gli importa solamente di raggiungere i propri obiettivi, del gruppo o del partito”. Le dichiarazioni rilasciate in novembre dal presidente Peña, che ha parlato di “tentativi di destabilizzazione”, ricordando i discorsi del repressore Diaz Ordaz nel 1968, erano in assonanza perfetta con le frasi del ministro.

“Credo che sia perfettamente chiaro: sì ci sono dei gruppi e, nello specifico, gruppi e persone che sono quelli che si fanno vedere sempre affianco a loro, credo che non c’è bisogno di dirti esattamente chi sono, li vediamo in TV e c’è il loro nome lì, e questo gruppo che sta dappertutto, chiudendo strade e tutto il resto, cerca un altro tipo di cose, no? E sui partiti, non ho fatto riferimento a nessun partito…”, ha precisato Vidal, sostenendo l’idea, comune e per niente nuova, spesso usata per screditare i movimenti sociali, che coloro che protestano lo fanno sotto il controllo o la manipolazione di qualcun altro che utilizza il loro dolore per altri fini. Ecco un’altra maniera di distrarre l’attenzione dal problema: anche se decine di persone sono finite in prigione, in attesa di un processo, non ci sono ancora dei responsabili certi per la strage di Iguala e le desapariciones, e soprattutto le versioni della procura tendono a deviare l’attenzione e lo sguardo dei media dalla ricerca di altre piste, di altre possibili spiegazioni, che possono coinvolgere appieno i militari, la polizia federale e altri livello di governo che la procura cerca di proteggere.

Una delle madri ha risposto al ministro. “E’ una persona insensibile, generale di alto rango che ci si deve prendere cura di noi e ora ci sta chiedendo di dimenticare il caso. A questa persona non augurerei mai di avere un figlio desaparecido, mai, nemmeno per un minuto o un secondo, perché in quel caso saprà cosa si sente, qui nessuno è manipolato, io non avrò pace finché non rivedrò i miei due ragazzi a casa loro, insieme al loro cugino, dato che tutti e tre sono spariti, tutti e tre volevano studiate e i tre sono entrati a scuola insieme. L’unica cosa che ci sta manipolando è la sete di giustizia, il dolore”. La donna ha anche chiesto con forza che sia indagato il 27esimo battaglione che “non ha fatto niente dopo gli attacchi e nemmeno hanno aiutato a cercarli dopo la loro scomparsa”. Murillo Karam aveva detto “meno male che l’esercito non è intervenuto quella notte perché lo avrebbe fatto dal lato della polizia” e ora risulta che forse è intervenuto, e proprio dal lato della polizia.

Desaparecidos MEXICO infograficaSeñor Matanza

In molte occasioni le forze armate hanno operato come agente antinsurrezionale con la “scusa” della lotta contro il comunismo o, attualmente, contro le droghe e i narcos. Basta ricordare la mattanza di contadini e presunti guerriglieri condotta dall’esercito a El Charco nel 1998, quando Angel Aguirre, governatore del Guerrero che si è da poco dimesso in seguito ai fatti di Iguala, esercitava come governatore ad interim. E’ un dato di fatto che la militarizzazione promossa dall’ex presidente Felipe Calderón (2006-2012) e mantenuta da Peña ha accresciuto il protagonismo, il potere, le risorse e le competenze d’azione della marina e dell’esercito e ha peggiorato la di per sé precaria situazione dei diritti umani nel paese, come lo dimostrano i casi emblematici di Ernestina Ascencio, anziana indigena della città di Zongolica, probabilmente violentata e uccisa nel 2007 da un gruppo di soldati di cui non sono state chiarite le responsabilità, e di Tlatlaya, località nei dintorni di Città del Messico in cui il 30 giugno 2014 i militari hanno ammazzato 22 persone.

Di fatto, proprio nel Guerrero, il caso dell’attivista Rosendo Radilla Pacheco, arrestato il 25 agosto 1974 e “desaparecido” dopo essere stato condotto nella caserma di Atoyac, fu la causa della prima storica condanna della Corte Interamericana dei Diritti Umani contro lo stato messicano nel 2009. Il 28 novembre, in un’intervista alla rivista Variopinto (Link), iel Generale José Francisco Gallardo ha parlato di manovre dell’esercito e del suo coinvolgimento nella sparizione dei 43 normalisti, visto che “tutto questo show – prendere il sindaco, trovare un colpevole unico – è per non far puntare lo sguardo sull’esercito”, ha spiegato. E ha denunciato anche la crescente militarizzazione, in termini di formazione e azioni, dei corpi di polizia, tanto locali come statali e federali.

desaparecidos Mexico infografica 2 por presidenteNel sondaggio condotto recentemente dall’ex direttore del CISEN (Centro d’Investigazioni e Sicurezza Nazionale) Guillermo Valdés, il 25% degli intervistati attribuiscono la responsabilità della mattanza e per i desaparecidos di Iguala all’esercito ma anche a individui (ex governatore Aguirre, il presidente Peña, l’ex sindaco di Iguala Abarca e sua moglie Maria Pineda), a partiti politici (in primis il PRD, di centrosinistra, ma anche gli altri), al crimine organizzato (Guerreros Unidos) e alle forze di polizia. Questo mostra che l’idea di una collusione a più livelli tra varie istituzioni ha fatto breccia nella popolazione. Già nel 2011 HRW (Human Rights Watch) denunció la desaparición di sei persone in un club notturno di Iguala, alle 22:30 del primo marzo 2010: nonostante le registrazioni e le testimonianze dirette che accusavano l’esercito le ricerche della procura durarono poco e il caso passò nelle mani dei tribunali militari che lo insabbiarono.

Controllo sociale, protezione dell’economia e gli investimenti

Un paio di settimane fa Obama ha dichiarato di voler aiutare il Messico a portare a termine le ricerche sul caso Ayotzinapa. Il business della guerra è uno dei più redditizi per il “gran vicino” statunitense come lo dimostra l’implementazione del Plan Merida e l’introduzione in massa di armi in Messico, in modo lecito e non. Non c’è dubbio che tra i vari beneficiari della situazione attuale di guerra di bassa intensità e stato d’assedio in molte zone, dal Michoacan al Tamaulipas, al Chiapas e al Guerrero, ci siano anche i settori castrensi e non importa molto se le operazioni di controllo sociale si devono giustificare come operazioni contro il narcotraffico o presentare come piani di sicurezza per la protezione del turismo e dell’infrastruttura economica. L’importante è garantire la “pace” alle multinazionali minerarie. Di fatto, dopo l’estate, il presidente aveva annunciato proprio la creazione della gendarmeria nazionale per svolgere queste funzioni, per proteggere gli investimenti e i trasporti. L’idea lanciata in dicembre dal presidente per cui si dovrebbe creare un corridoio di sviluppo e delle zone economiche speciali per far crescere il Sud del Messico è piuttosto vecchia e riprende il Piano Puebla Panama dell’epoca di Vicente Fox (2000-2006), limitandolo solo al Messico meridionale, ora “protetto” da migliaia di poliziotti, gendarmi e militari. In questo contesto di conflitto sociale e per le risorse la presenza militare acquista nuove ragioni per essere rinforzata.

Il parlamento unito, tranne il PRD, ha approvato modifiche alla costituzione per permettere agli stati di legiferare sulla “libertà di movimento” delle persone per garantire questo diritto, il che significa che, sottilmente, i parlamentari stanno autorizzando azioni repressive delle polizie locali, statali e federale e dei governi degli stati e dei comuni contro chi scende in piazza a manifestare e, così facendo, impedisce a terzi di godere del “diritto alla libera circolazione”. E’ una violazione palese della libertà d’espressione e di altri articoli della stesa costituzione messicana, ma poco importa. Il segnale è chiaro.

pedregal santo domingo ayotzinapaRepressioni e manifestazioni

Il governatore di Sinaloa, Mario Lopez, l’ha chiarito senza mezzi in termini in una scellerata dichiarazione in cui ha minacciato di far arrestare chiunque protesti per strade. Ma non c’è bisogno di manifestare per essere aggrediti, basta anche solo organizzare un concerto. E’ successo nella capitale del Guerrero, Chilpancingo, lo scorso 14 dicembre, alle cinque del mattino, quando militanti e cittadini si apprestavano a montare un palco per un concerto in favore dei genitori e del movimento per Ayotzinapa nella piazza centrale e sono stati attaccati da un gruppo di federali ubriachi. Un giornalista di Radio Regeneracion è finito all’ospedale e rischia di perdere un braccio. Il saldo è di 11 feriti, due gravi, e il concerto è stato sospeso. Nonostante la repressione, le iniziative continuano in tutto il mondo e in Messico. Il 17 dicembre c’è stata una spettacolare camminata, organizzata dagli abitanti della zona e dal collettivo dei Pedregales de Santa Domingo, nel quartiere popolare noto anche come SantOcho o Sant8, nella periferia sud della capitale. Qualche migliaio di persone ha percorso le strade del barrio chiedendo la “restituzione in vita” degli studenti. Il corteo s’è ingrandito via via che si faceva sera e i lavoratori del rione tornavano a casa. Al comizio finale hanno parlato alcuni genitori degli studenti e rappresentanti della società civile del quartiere: il parroco, i commercianti, gli studenti della UNAM (Univ. Nacional Autonoma de Mexico) e i membri dei comitati dei Pedregales.

Ad ogni modo, così come l’ha espresso l’avvocato dei genitori di Ayotzinapa, Vidulfo Rosales, la paura dei movimenti sociali e, in generale, delle organizzazioni della società civile e per la difesa dei diritti umani è che, una volta che si saranno spenti i riflettori sul caso Ayotzinapa, non solo tutto torni come prima, ma che l’attacco governativo, mediatico e poliziesco contro chi protesta e manifesta diventi sempre più dura, esplicita e decisa, coi soliti metodi delle desapariciones forzadas e della fabbricazione di colpevoli. Per ora sono stati sventati o denunciati vari casi di abusi della polizia nei cortei e, in generale, contro gli attivisti e gli universitari, ma è da vedere se la “resistenza” potrà continuare efficacemente. Le vacanze di Natale, in questo senso, sono un toccasana per il governo che riesce a respirare e a distrarre l’attenzione soprattutto della classe media, proprio in un periodo in cui il movimento studentesco è più debole per la chiusura delle scuole a tutti i livelli. Intanto la capitale del Guerrero e Acapulco sono state invase da 2000 e 1500 poliziotti federali rispettivamente per “garantire sicurezza” ai turisti, secondo la versione ufficiale. In realtà si tratta d’indebolire la forte risposta sociale per la mattanza di Iguala e il sostegno crescente che i genitori di Ayotzinapa e il movimento stanno acquisendo all’estero.

Ombre e nuove rivelazioni

WP_20141217_048Oltre ai vari dubbi sollevati sulla versione ufficiale della notte di Iguala del procuratore, Jesus Murillo Karam, ci sono anche due reportage, dei giornalisti Anabel Hernandez e Steven Fisher sul settimanale Proceso, che propongono altre piste credibili. In sintesi i due reporter mostrano e intrecciano prove, nuove testimonianze, foto, video e dichiarazioni registrate dalla stessa procura secondo le quali si evidenziano le responsabilità della polizia federale, che avrebbe addirittura partecipato direttamente, e persino dell’esercito nella strage degli studenti, negli attacchi subiti per oltre tre ore nella notte del 26 e nella sparizione di 43 di loro. Inoltre Proceso denuncia le torture, risultanti da atti della procura e da dichiarazioni degli imputati, sofferte dai detenuti, accusati di aver ucciso i 43 studenti e di appartenere al cartello dei Guerreros Unidos, arrestati in ottobre e novembre, il che ne inficerebbe la credibilità e attendibilità come testimoni o presunti colpevoli. Infine Hernandez e Fisher denunciano il fatto che il procuratore non abbia ancora aperto delle indagini sulle forze armate e sul 27esimo battaglione a Iguala e che si difenda coprendo le responsabilità di esercito e federali per sostenere l’ipotesi che si tratti di un “caso locale”, circoscritto.

C’erano molte perplessità sulla storia ufficiale già prima della pubblicazione dei due reportage (il 21 e 14 dicembre): le piogge che sarebbero cadute su Iguala nella notte del 26 fanno pensare che sia stato impossibile brucare 43 corpi in quelle condizioni; ci sono segnalazioni di incendi in zone vicine ma non nella discarica di Cocula, dove i presunti narcos e il procuratore Murillo dicono che sarebbero stati cremati i ragazzi; l’atteggiamento ostile dei soldati nella notte del 26, raccontato dai sopravvissuti, e il loro non-intervento per evitare quanto stava accadendo; stesso discorso per la polizia federale, che seguiva le mosse degli studenti già dal pomeriggio ed era informata via radio degli spostamenti dei bus su cui viaggiavano; e infine la dichiarazione dei periti forensi argentini che hanno confermato l’identificazione dei resti di Alexander Mora, uno degli studenti scomparsi, che è arrivata un paio di settimane fa da un laboratorio a Innsbruck, ma hanno anche  sollevato dubbi perché non è stato possibile certificare come e quando esattamente le borse coi resti calcinati e le ceneri sono state ritrovate. Si sospetta che siano stati gli uomini della procura a portare le borse e i resti a Cocula, prelevandoli da un altro luogo sconosciuto.

L’11 dicembre alcuni esperti della Universidad Nacional Autonoma de Mexico e della Univ. Autonoma Metropolitana (UAM) hanno smentito la versione della procura sostenendo che “è impossibile che i corpi siano stati bruciati a Cocula e l’autorità adesso he dei guai seri perché se non son stati bruciati a Cocula, allora dove? E chi è stato?”, ha spiegato Jorge Montemayor, ricercatore dell’Istituto di Fisica della UNAM. Secondo gli studiosi per incenerire 43 corpi, ci vogliono 33 tonnellate di tronchi da quattro pollici di diametro, equivalenti a due camion pieni di legname e 53 kg di gas per ogni corpo. Se, come sostengono i narcos rei confessi e la procura, il rogo è stato alimentato con delle gomme, secondo gli scienziati delle università ci sarebbero volute 995 gomme di automobili per farlo, per cui stimano che l’ipotesi ufficiale non “ha nessuna base nei fatti fisici o chimici naturali”. Nel mese di luglio 2013 il portale dello stato del Guerrero ha riportato la sparizione forzata di 17 studenti a Cocula e, secondo alcuni testimoni, c’è stato il coinvolgimento diretto della polizia municipale. Anche in questo caso l’esercito non è intervenuto.

WP_20141217_014Il 22 dicembre il National Security Archive degli Stati Uniti ha reso pubblici dei documenti della procura messicana secondo i quali almeno 17 poliziotti sarebbero stati coinvolti in una delle peggiori mattanze degli ultimi anni, quella di 193 migranti centroamericani a San Fernando, nello stato orientale del Tamaulipas, avvenuta probabilmente nel marzo 2011. Già nell’agosto 2010 altri 72 migranti furono uccisi nella stessa località, in quella che è tristemente nota come la “prima” mattanza di San Fernando. In entrambi i casi la colpa della strage venne attribuita ai membri del cartello degli Zetas, i narcos che dominano le regioni centro-orientali del paese e la zona del Golfo del Messico. Oggi la versione ufficiale viene messa in discussione ed emergono indizi sul coinvolgimento della polizia, come a Iguala il settembre scorso.

Tutto ciò apre spazi per interpretazioni diverse che non possono escludere, come fa la procura, il coinvolgimento di altri attori nella mattanza, tra cui anche il battaglione 27 dell’esercito che per anni ha operato come se niente fosse in una zona piena di cadaveri, fosse clandestine, coltivatori di oppio e marijuana e narcotrafficanti in guerra. “Ricordate che durante la guerra sporca se c’era qualcuno specializzato a far sparire le persone, era proprio l’esercito”, ha detto Omar Garcia, studente della normale di Ayotzinapa e rappresentante del comitato degli studenti della scuola. Indizi e denunce per aprire indagini sull’esercito e la polizia federale ce ne sono, ma nulla si muove e Murillo dice che sarebbe assurdo procedere.

Francisco Javier García, sindaco di Chilapa, Guerrero, ha dichiarato due settimane fa che malgrado la forte presenza delle forze federali, il crimine organizzato continuano ad agire indisturbato nel territorio del comune, all’ombra dell’esercito. Ed è solo un altro esempio, recente. Anche il sindaco di Iguala, Abarca, era un “esempio” di connivenza istituzionale con la criminalità e non è stato fermato. Nemmeno sua moglie, già segnalata alle autorità e sorella di vari narcotrafficanti, è stata fermata in anticipo. Erano invece amici dei comandanti del distretto militare e del 27esimo battaglione che partecipavano a tanti loro eventi.

Dal Chiapas zapatista: Festival Mondiale delle Resistenze e delle Ribellioni

In questo dicembre, per le “vacanze” di Natale, l’ombra di Ayotzinapa aleggerà sulla classe politica e dirigente messicana, in attesa di capire se nel 2015 si privilegeranno le soluzioni fast track autoritarie con “mano dura” e i beceri tentativi di chiudere il caso e superarlo rapidamente, come successo finora, o le opzioni di riforma profonda del sistema e di cambiamento che propongono la società, raccolta intorno ai familiari delle vittime, e i movimenti. Dal Chiapas gli zapatisti e il CNI (Consiglio Nazionale Indigeno) hanno organizzato il primo Festival Mondiale delle Resistenze e delle Ribellioni contro il Capitalismo e hanno deciso di cedere ai genitori di Ayotzinapa i loro spazi durante l’evento che è itinerante e dura dal 20 dicembre al 3 gennaio. Le carovane sono già partite e la lucha sigue. Il 31 dicembre e 1 gennaio l’evento sarà nel caracol di Oventik e poi a San Cristobal de las Casas per la chiusura. Ecco la video-notizia dell’inaugurazione del Festival nei dintorni di Città del Messico.

Reportage precedenti su Ayotzinapa:

  1. La strage degli studenti in Messico: Narco-Stato e Narco-Politica
  2. Il Messico e Ayotzinapa gridano: 43 con vida ya!
  3. Benvenuti in Messico: desaparecidos e morti di #Ayotzinapa #Fueelestado
  4. Due mesi dopo la strage: le vene aperte del Messico e #Ayotzinapa
  5. Identificati in Messico i resti di uno studente di #Ayotzinapa, proteste #1DMX #6DMX #Yamecanse2
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Identificati in Messico i resti di uno studente di Ayotzinapa, proteste #1DMX #6DMX #YaMeCanse2 https://www.carmillaonline.com/2014/12/07/identificati-in-messico-i-resti-di-uno-studente-di-ayotzinapa-proteste-1dmx-6dmx-yamecanse2/ Sun, 07 Dec 2014 02:46:29 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=19363 di Fabrizio Lorusso

Ayotzi monumento 6dmx“Compagni, a tutti quelli che ci hanno sostenuto, sono Alexander Mora Venancio. Con questa voce vi parlo, sono uno dei 43 caduti del giorno 26 settembre per mano del narco-governo. Oggi, 6 dicembre, i periti argentini hanno confermato a mio padre che uno dei frammenti delle mie ossa mi appartiene. Mi sento orgoglioso che abbiate alzato la mia voce, la rabbia e il mio spirito libertario. Non lasciate mio padre solo col suo dolore, per lui significo praticamente tutto, la speranza l’orgoglio, il suo sforzo, il suo [...]]]> di Fabrizio Lorusso

Ayotzi monumento 6dmx“Compagni, a tutti quelli che ci hanno sostenuto, sono Alexander Mora Venancio. Con questa voce vi parlo, sono uno dei 43 caduti del giorno 26 settembre per mano del narco-governo. Oggi, 6 dicembre, i periti argentini hanno confermato a mio padre che uno dei frammenti delle mie ossa mi appartiene. Mi sento orgoglioso che abbiate alzato la mia voce, la rabbia e il mio spirito libertario. Non lasciate mio padre solo col suo dolore, per lui significo praticamente tutto, la speranza l’orgoglio, il suo sforzo, il suo lavoro, la sua dignità. Ti invito a raddoppiare gli sforzi della tua lotta. Che la mia morte non sia avvenuta invano. Prendi la miglior decisione ma non mi dimenticare. Rettifica se possibile, ma non perdonare. Questo è il mio messaggio. Fratelli, fino alla vittoria”.

I genitori dei 43 studenti desaparecidos di Ayotzinapa, nello stato messicano del Guerrero, hanno diffuso il questo messaggio su Facebook. Sono le quattro del pomeriggio. Mentre Città del Messico si prepara a un pomeriggio di cortei contro il crimine di stato del 26-27 settembre a Iguala, nello stato del Guerrero, e per il ritrovamento in vita dei 43 studenti desaparecidos della scuola normale di Ayotzinapa “Raúl Isidro Burgos”, arriva una notizia inattesa. La piazza grida, chiede la rinuncia del presidente Enrique Peña Nieto e del procuratore della repubblica Jesús Murillo Karam. Alcuni normalisti del comitato studentesco di Ayotzinapa hanno appeno fatto un annuncio importante, le emozioni e le reazioni sono contrastanti.

Tra i resti umani trovati dagli inquirenti nella discarica dei rifiuti di Cocula all’inizio di novembre ci sono quelli del diciannovenne Alexander Mora Venancio, uno degli studenti che, secondo le testimonianze di tre narcotrafficanti in stato di arresto, sarebbero stati bruciati per 15 ore nella stessa discarica. Lo hanno confermato i periti argentini dell’Equipe Argentina di Antropologia Forense i quali, su richiesta dei familiari delle vittime, stanno lavorando con la procura alle prove del DNA. I genitori di Alexander, vittima di un attacco da parte di narcos e poliziotti di Iguala e Cocula insieme ad altri compagni, sono partiti immediatamente per la loro terra d’origine, il paesino di Teconoapa, sulla costa del Pacifico, per le esequie. Sono otto gli studenti scomparsi a Iguala che provengono da questa località e i genitori di tutti loro appartengono all’organizzazione indigena, contadina e popolare Unione dei Popoli e Organizzazioni dello Stato del Guerrero (UPOEG).

Ayotzi NORMALISTAL’avvocato della UPOEG, Manuel Vázquez, ha confermato che in questi primi due mesi di ricerche, insieme ai genitori di Ayotzinapa, hanno contribuito al ritrovamento di 200 fosse clandestine nella zona di Iguala e in altri comuni vicini. Alcuni reportage recenti, in particolare uno della televisione France 24, hanno rivelato la probabile scomparsa, per mano della polizia di Cocula secondo alcuni testimoni, di altri 31 studenti nella regione tra il marzo e il luglio del 2013. Le denunce relative a 17 di questi desaparecidos sono state confermate dal governo del Guerrero nella sua pagina web. Il 3 dicembre i familiari di altre 375 vittime della polizia collusa coi narcos hanno preso coraggio, dopo anni di silenzio, e hanno manifestato nella piazza centrale di Iguala per denunciare la desaparición di tanti loro cari negli ultimi anni. Grazie a un frammento d’osso e un molare è stato possibile ricostruire il DNA di Alexander, ma restano da verificare sia i resti in mano ai forensi argentini e alla procura sia quelli che sono stati rinvenuti nel fiume San Juan di Cocula e inviati in Austria per un complesso esame mitocondriale. E soprattutto restano da verificare le migliaia e migliaia di fosse comuni e di resti umani che emergono dalle terre di mezzo paese. “Ne mancano 42 e li rivolgiamo in vita”, ha detto nel comizio finale della giornata di Azione globale per Ayotzinapa del 6 dicembre, #6DMX + #YaMeCanse2. La rivista di Tijuana, Zeta, da anni specializzata nel confronto di dati ufficiali sulla violenza, ha confermato la cifra allucinante di 41mila morti nei primi 23 mesi del governo del “nuovo PRI”.

Continua la protesta globale

Sono state settimane convulse in Messico. La capitale, lo stato del Guerrero, le città solidali del mondo intero sono in ebollizione per l’indignazione e lo sconforto, per il disanimo, la voglia di reagire, gridare e protestare, accompagnate dalla tristezza e dalla paura che tutto torni come prima. Il letargo mediatico, l’apatia sociale, il conteggio dei morti in un box rosso sui principali quotidiani. Una madre, un padre, una famiglia che cercano i loro figli e cari desaparecidos, moltiplicati per 27mila. Un compa che racconta in radio l’ultima estorsione subita dagli sbirri, un tentativo di sequestro, una minaccia di sparizione forzata. Gli universitari che han scoperto d’essere spiati perché in facoltà hanno nascosto delle telecamere. Altri che vengono attaccati da infiltrati e poliziotti nelle assemblee. Le violenze subite nell’anima e nel corpo delle donne, da Ecatepec a Ciudad Juárez, dalle strade alle maquiladoras. E ancora l’azzeramento delle vittime nei meandri della burocrazia e nei corridoi dell’oblio. La paura travestita da normalità. Crimini di stato trasformati in guerra alle droghe e viceversa, in un turbinio. Meglio risvegliarsi, rifondare, che ignorare e normalizzare una strage, quella degli studenti di Ayotzinapa del 26 settembre, che è solo la punta di un iceberg in un mare d’impunità e corruzione.

Ayotzi poster proteste 4-5-6 dicMi appresto a scrivere questo aggiornamento mentre vomito notizie e rimastico cronache. Guardo il video del flash mob, l’ennesimo, che 43 ragazzi hanno realizzato alla Fiera Internazionale del Libro di Guadalajara. Alla fine urlano tutti insieme dall’uno al quarantatré. Per un minuto la Fiera si ferma, la terra non gira, silenzio, giustizia! Finisce il coro, cominciano gli applausi. Un brivido, l’ira, le lacrime, la speranza in un cambiamento. Penso alla grande manifestazione qui a Città del Messico, lunedì primo dicembre, #1DMX. Abbiamo calcolato 50mila persone. Una marcia instancabile ed energetica, nonostante sia finita anche questa volta a manganellate e lacrimogeni, con sette arresti casuali, terribilmente random e violenti, e una serie di incapsulamenti della polizia che solo un cordone di funzionari della Commissione Nazionale per i Diritti Umani, di bianco vestiti, ha potuto bloccare, almeno per un po’. Ora i prigionieri sono tutti liberi, le pressioni internazionali e di tutto il Messico stanno obbligando le autorità a risolvere i problemi da loro stesse provocati in modo più spedito, salvo poi dimenticarsi della legalità e del famigerato stato di diritto non appena i riflettori si spengono. Il rischio è questo, il governo è paziente, ha potere e mezzi per resistere e sfiancare, può aspettare qualche settimana e contrattaccare, sequestrare, riconquistare, offendere. E lo sta già facendo.

Si riconferma la modalità dell’accerchiamento delle forze dell’ordine e dei rastrellamenti a tappeto contro tutto e tutti, ma non contro chi li attacca o ne “giustifica” inizialmente l’intervento. E’ un copione ormai noto: un manipolo di ragazzi incappucciati, ma anche a volto scoperto a volte, causa danni a qualche edificio pubblico o privato. I celerini intervengono, picchiando a destra e a manca senza ritegno, impedendo ai manifestanti disarmati e pacifici di proseguire, di esprimersi, di respirare, per poi catturare un po’ di gente a casaccio. I detenuti del 20 novembre sono stati rilasciati tutti, non c’erano prove né elementi concreti per accusarli di alcunché. I familiari dei prigionieri e dei desaparecidos di Ayotzinapa, accompagnati dalla società civile e dai movimenti, chiedono adesso le dimissioni del procuratore Jesús Murillo Karam, oltre a quelle del presidente della repubblica.

DSC_0001 (Small)La testimonianza di una signora sotto shock, con la testa spaccata e sanguinante, consolata dalla figlioletta e curata alla buona da un’infermiera (?), diventa virale sui social e suscita la rabbia di chi ha un computer e una connessione, cosa che non è affatto scontata né così generalizzata come molti credono. Le classi medie cittadine hanno internet, ma il Messico guarda la televisione. In TV la storia è sempre un’altra. La padrona delle menti, Nostra Catodica Signora dei rimbecillimenti, passa scene di violenza, immagini di vandalismi e distruzioni, dimenticandosi delle 3 ore di corteo pacifico e del motivo per cui tanta gente scende in piazza sfidando la propaganda governativa e la criminalizzazione delle autorità contro il dissenso sociale.

I 43 studenti desaparecidos non importano più, meglio mostrare due bancomat sfasciati e qualche vetrina imbrattata per giustificare l’azione “gagliarda”, parola usata dal responsabile della sicurezza nella capitale, della polizia. Sì, ma contro chi? Eccoli lì che si scagliano ferocemente contro una signora che cerca lavoro e nemmeno sa che c’è un corteo quel giorno. Eccoli lì che lasciano stare i presunti responsabili degli attacchi nei loro confronti o nei confronti delle “preziosissime” proprietà private e dei palazzi della Avenida Reforma e che aggrediscono famiglie e cittadini, strappano striscioni e rinnegano la loro umanità. Se ti muovi, può toccare anche a te. Se corri, ti prendiamo. Se sei schifato e arrabbiato perché i narcos sono la polizia, lo stato è la mafia o viceversa, e ha sequestrato e ammazzato migliaia di persone in pochi anni, 43 studenti in una notte a Iguala, e poi trova scuse ciniche e idiote per non cambiare nulla, praticando il gattopardismo più becero, meglio che te ne stai zitto e ti dedichi a spendere gli ultimi risparmi, erosi dalla crisi e da un modello consumista sfrenato, per i regali di Natale. Questi i messaggi delle autorità alla gente.

Ayotzi tractores 5 diciembreIl cittadino cileno Laurence Maxwell, studente del dottorato in lettere della Universidad Nacional Autonoma de México detenuto la sera del #20NMX, per cui s’era mosso anche il ministro degli esteri del Cile, denuncerà lo stato messicano per le torture subite e così faranno anche gli altri 10 cittadini detenuti ingiustamente. Ma è l’intero sistema politico ad essere messo alle strette e criticato a fondo, delegittimato come mai prima. La popolarità di Peña è ai minimi storici. E’ scesa al 39%, la più bassa per un presidente dal 1995 ad oggi secondo il quotidiano Reforma. Il 5 dicembre il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon ha sollecitato un’indagine a fondo del caso Ayotzinapa e di tutte le sparizioni forzate in Messico in una conferenza stampa, ribadendo anche l’importanza del diritto alla libertà d’espressione e la necessità di canalizzare le legittime richieste della gente in modo pacifico, nel rispetto dei diritti umani. Avrà cominciato a percepire l’aria che si respira in Messico e la vena repressiva del governo? Non molto. Dopo le critiche, infatti, Ban Ki-moon ha dato il suo beneplacito alle misure autoritarie promosse dall’esecutivo negli ultimi giorni.

Burle presidenziali e cinismi

Nel maggio 2012, quando mancavano meno di due mesi alle elezioni, l’allora presidente Felipe Calderón annunciò la sua appartenenza al grande movimento studentesco e sociale #YoSoy132, che era nato da una contestazione al candidato Peña Nieto alla Universidad Iberoamericana e aveva poi segnato la fine della campagna elettorale, il ritorno del PRI al governo e l’inizio del mandato presidenziale, con le manifestazioni del primo dicembre 2012, sempre #1DMX, represse nel sangue. Fu una mossa elettorale disperata per provare a creare empatia col movimento e con una parte de. Non funzionò, il risultato della candidata del partito di Calderón (PAN), Josefina Vázquez Mota, fu deludente e il presidente fu ricordato per i 100mila morti e la narco-guerra, non di certo per la sua identificazione con gli studenti.

DSC_0119 (Small)Dopo il megacorteo del 20 novembre scorso, Peña, emulando il suo predecessore in un disperato e calcolato tentativo di riconciliazione, ha cercato di ribadire la sua identificazione con le vittime di Iguala e del Guerrero dicendo che “Tutti siamo Ayotzinapa”. Come conseguenza è stato mandato letteralmente “affanculo”, cioè a “chingar a su madre”, da uno studente della normale “Isidro Burgos”, oratore durante il comizio finale della manifestazione del primo dicembre. Tra le altre cose, gli ha anche ricordato che lui “non è Ayotzinapa, ma è Atlacomulco”, in riferimento alla città natale del presidente intorno alla quale girano tutto il gruppo di potere e le lobby delle correnti dominanti del PRI e degli impresari ad esse legati.

Superatelo, ja ja. Hashtag #YaSupérenlo

Nel suo discorso del 4 dicembre a Iguala, Guerrero, Peña ha chiesto alla comunità di “superare questa fase”, “questo momento di dolore”, per fare “un passo avanti”, dato che la sua geniale idea è molto semplice: voltare pagina, dimenticare l’inferno e salvare la sua immagine. Ottimo montaggio televisivo, un ponte da inaugurare come scusa per andare ad Iguala e dintorni, e infine un po’ di applausi dei burocrati che lo accompagnavano. Un evento pensato ad hoc per farsi vedere nella zona e prendere di nuovo la parola. Il ponte, distrutto nel settembre 2013 dall’uragano Manuel, è stato ricostruito a Coyuca de Benítez, nella Costa Grande al nord di Acapulco. Peña s’è definito come il “grande alleato degli abitanti del Guerrero” e ha indicato che quanto successo coi normalisti di Ayotzinapa “genererà una svolta, segnerà un momento e permetterà la costruzione di istituzioni migliori”. Ciononostante nessuno ha ancora capito come. La comunità sarà felice per il nuovo ponte dell’oblio, dunque, e per l’inizio del corso di superazione personale che pare voler proporre il presidente con le sue frasi ad effetto. “Hanno detto ‘superatelo’ per i femminicidi nel Chihuahua 15 anni fa, e continuiamo a cercare e lavorare, rispondiamo ‘siamo stanchi’ dell’impunità”, ha scritto via Twitter la giornalista Lydia Cacho.

DSC_0021 (Small)Occupazione simbolica di Città del Messico nella Giornata d’Azione Globale per Ayotzinapa

Intanto il Messico, e soprattutto Guerrero, continuano a bruciare, le proteste non si fermano e anche all’estero la solidarietà s’esprime nelle forme più fantasiose, incessantemente, giorno dopo giorno. Il 3 dicembre ci sono state mobilitazioni in 43 città degli Stati Uniti con l’hashtag #UStired2, oltre 3000 boliviani sono cesi in piazza a La Paz e oltre 10mila uruguayani hanno marciato per Ayotzinapa a Montevideo il giorno dopo. E’ stata la marcia per i 43 normalisti più numerosa realizzata fuori dal Messico. La settimana scorsa in Italia i movimenti sociali e l’associazione Libera hanno promosso decine di iniziative per denunciare il narco-stato messicano e i crimini di lesa umanità in terra azteca con cortei, flash mob, proteste fuori dai consolati e nelle università, diffusione di comunicati e attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica.

Nel pomeriggio del 5 dicembre un corteo di 43 trattori ha sfilato per l’Avenida Reforma, nel centro di Città del Messico. Sabato 6, invece, in decine di città messicane ci sono state manifestazioni e proteste che nella capitale si sono trasformate in un’occupazione simbolica della città. Infatti, a Città del Messico le mobilitazioni della CNTE (Coordinadora Nacional Trabajadores de la Educacion), dei genitori dei 43 desaparecidos, protetti dal collettivo Marabunta, degli studenti, del FPFV (Frente Popular Francisco Villa), del Frente de Pueblos para la Defensa de la Tiera di San Salvador Atenco, delle organizzazioni contadine, che sono arrivate a cavallo alle 10 del mattino, e della società in generale sono confluite nella spianata del Monumento a la Revolución.

DSC_0087 (Small)Hanno dato vita a un’altra oceanica Giornata di Azione Globale per Ayotzinapa per unire la causa dei 43 desaparecidos al rifiuto delle riforme strutturali, alla difesa dell’acqua, la vita e la terra e alla commemorazione dei cento anni dell’ingresso degli eserciti di Francisco Villa ed Emiliano Zapata nella capitale e l’occupazione indigena della città del 6 dicembre 1914. I megafoni della CNTE hanno annunciato la notizia, ufficializzata poco prima dai periti argentini: i resti di uno dei 43 normalisti sono stati identificati, ma la lucha sigue.

A un lato degli insegnanti dodici persone, tre donne e sei uomini, camminano in fila indiana. Hanno le mani legate e una corda li tiene uniti uno all’altro. Sono dei presunti infiltrati a cui i manifestanti della CNTE hanno appiccicato sul petto un cartello con la scritta “infiltrados” per evitare che facciano danni e si mischino con loro. E arriva anche la notizia che il capo della polizia della capitale, Jesús Rodríguez, ha presentato le sue dimissioni, dopo essere stato aspramente criticato per le sue ciniche dichiarazioni sul “valore e la gagliardia della polizia” durante lo sgombero della piazza del Zocalo il 20 novembre scorso.

Javier Sicilia e movimento per la pace

“Dissi a Peña, durante i dialoghi nel Palazzo di Chapultepec coi candidati alla presidenza, che pareva non avere un cuore, una sensibilità, e si arrabbiò perché gli stavo ricordando la repressione di Atenco del 2006, quando era governatore del Estado de México”, ha spiegato Javier Sicilia, leader del movimento per la pace con giustizia e dignità (MPJD), in un’intervista radiofonica. “Col suo discorso l’altro giorno a Iguala mostra anche una mancanza di intelligenza politica oltre all’insensibilità. Si potrebbe lanciare un messaggio del genere, forse, se almeno fossero state fatte le cose necessaria affinché i fatti non si possano più ripetere, se fosse stata fatta giustizia, se il caso fosse stato risolto, ma non così, quando niente è stato risolto e si ha un mandato per farlo che non viene rispettato. Bisogna rompere e rifondare lo stato, spegnere la emergenza nazionale e ricostruire e questo si fa solo con una logica di giustizia, dignità e servizio al paese, cosa che non è stata fatta, invece stanno facendo sparire più gente…”.

DSC_0085 (Small)Parlando del superamento del dolore, Sicilia ha sottolineato la profondità della crisi strutturale che sta vivendo il Messico: “Con cosa dovremmo superare il dolore? C’è una questione terribile dietro. E se dall’Austria ci dicono che i resti sono degli studenti, saranno comunque solo alcuni, e gli altri? E le fosse? Non è possibile accettare che non ci sia nulla, che ci sia solo la polvere degli studenti, che non resti più nulla. Perciò li vogliamo vivi, li vogliamo presenti, con un corpo almeno.

Questa situazione non si ripara in nessun modo, solo se non ce ne saranno mai più”. Il poeta e attivista ha ribadito l’obbligo dello stato chiarire cosa è successo coi ragazzi di Ayotzinapa e “l’ondata di proteste deve spingere affinché i fatti di Iguala non succedano mai più, deve esserci un punto di rottura a partire da questo. Le strutture sono corrotte, e Peña non ha nemmeno la legittimità o l’autorità morale per dire quel che dice di fronte al disastro che stiamo vivendo”. Dal “Mexican Moment” vaticinato dal The Economist nel 2012 e dal miraggio di un presidente che, secondo la rivista Time, stava “Salvando il Messico”, siamo passati inevitabilmente a una realtà fatta di tragedie dalle proporzioni immani, sequel spietato del terrore del sessennio precedente, ma ancor più amara perché s’è imposta sulla propaganda e il marketing governativo a forza di desapariciones, fosse comuni, mattanze dell’esercito, come quella di Tlatlaya del giugno scorso, e morti su morti che ritornano dagli inferi.

Anche alcuni settori della chiesa cattolica sono intervenuti per chiedere giustizia e protestare. Qualche giorno fa un gruppo di religiose ha manifestato per le strade della capitale mentre il 4 dicembre i sacerdoti e i seminaristi della diocesi di Saltillo sono scesi in piazza per chiedere la fine della violenza e il chiarimento della strage di Iguala. “Dinnanzi a quello che succede nel paese e nel Guerrero non possiamo stare zitti e far finta di niente”, ha espresso il vescovo e attivista Raul Vera che era alla testa del corteo.

L’idea che si sia raggiunto un punto di rottura, di non ritorno, nella storia recente del Messico si sta facendo strada nei movimenti e nella società. Ma se non si mantiene la pressione interna ed esterna per il cambiamento, per una “rivoluzione pacifica intelligente”, come l’hanno battezzata i normalisti sopravvissuti della strage di Iguala, per una “rifondazione dello stato”, secondo l’augurio di Sicilia, oppure per una fase costituente, come auspicano altri, insomma, “se non manteniamo la lotta e andiamo avanti per cambiare il paese, ci aspettano cose ancora più inaudite, peggiori di quelle che abbiamo vissuto fino ad ora”, prevede lo scrittore.

Ayotzi URUGUAYIl rischio di isolamento e repressione di chi non vuole e non può accomodarsi di fronte alla tragedia nazionale messicana è alto. Le alternative che Peña ha di fronte sono l’apertura di canali seri di dialogo, anche se è lecito chiedersi fino a che punto il sistema sia capace di riformarsi da solo e di ricevere proposte radicali per una “Convenzione” o una fase costituente, o la repressione. Pare che il governo e il gruppo di potere legato al presidente, spalleggiato da amministratori e governatori affini come Miguel Ángel Mancera, sindaco di Città del Messico, non abbiano dubbi sul fatto che renda di più la seconda opzione, costi quel che costi.

Guerrero seguro e Nuevo Guerrero

Guerrero vanta un indice d’impunità dei delitti del 96.7%, sopra la media nazionale del 93% e peggio degli altri 31 stati del paese. Non si contano chiaramente i reati non denunciati, che sono stimati intorno al 90% del totale. Il tasso d’omicidi ogni 100mila abitanti è di 63, il più alto del Messico. Questo significa 3680 omicidi nei primi 23 mesi di governo di Peña e oltre 1000 nei primi otto mesi del 2014. Seguono lo stato di Chihuahua con un tasso di 59 e Sinaloa con 41. Nel 2013 Acapulco è stata la terza città più violenta del mondo, dopo San Pedro Sula in Honduras e Caracas in Venezuela. Nella città costiera, ex perla turistica messicana, durante i primi 22 mesi del nuovo governo sono stati denunciati 132 casi di sequestro di persona, il numero più alto in Messico. Ecatepec, nel feudo priista del Estado de México, intorno alla capitale, ne hanno registrati 114. Con 447 casi Guerrero è il terzo stato con più rapimenti, dopo Tamaulipas e l’Estado de México.

Ayotzi Esecuzioni governo PeñaQuesta situazione era nota da tempo, evidentemente. Infatti, nel 2011, il presidente Calderón avviò l’operazione speciale Guerrero Seguro e aumento la presenza militare, una delle tante iniziative infruttuose che hanno martoriato il paese dalla fine del 2006 ad oggi. Peña Nieto ha annunciato il 4 dicembre la riedizione di quel programma per la “sicurezza” e ha lanciato un piano di “pacificazione”, un’operazione militare e poliziesca, per le zone note come Tierras Calientes (territori compresi tra la costa pacifica e le catene montuose della Sierra Madre Occidental negli stati del Michoacan, Guerrero, Oaxaca, Sinaloa e Morelos) e il piano di sviluppo e investimenti pubblici e privati battezzato Nuevo Guerrero. “Rilanciare lo sviluppo economico e sociale” è la finalità ufficiale dell’operazione. Nei giorni scorsi Peña ha parlato anche della creazione di zone economiche speciali negli stati del Chiapas, del Guerrero e del Oaxaca, il che suona come una riedizione del vecchio e fallito Plan Puebla Panamá di integrazione regionale tra il Messico e l’area centroamericana.

L’invio di truppe

Già da una settimana 2000 uomini della Polizia Federale sono stati mandati a Chilpancingo, la capitale dello stato, e altri 1500 ad Acapulco “per difendere i turisti e le famiglie”. Non si sa da chi li dovrebbero difendere, se poi è la polizia stessa che diventa parte integrante dei narco-cartelli. Adesso comunque arrivano i rinforzi, arrivano i “nostri”. Non bisogna essere esperti di sicurezza e politiche pubbliche per capire che la protezione degli investimenti delle multinazionali del settore minerario e turistico, insieme alla stabilità relativa dei narco-affari, soprattutto delle coltivazioni di papavero da oppio e marijuana, e del settore agricolo legale, sono le priorità sottese a questo piano. La protezione speciale, con più poliziotti e più vigilanza, che verrà offerta al porto e all’aeroporto di Acapulco va lette in questa chiave.

Come nel Michoacan e nel Tamaulipas pare che anche qui si stia cercando un accordo, un nuovo equilibrio tra i gruppi mafiosi in lotta in modo da regolarizzare il business e limitare la violenza: un compito molto complicato, vista la presenza di forti movimenti sociali organizzati e anche la frammentazione estrema, favorita dal tipico effetto cucaracha (scarafaggi che fuggono all’impazzata in ogni dove), che la dissoluzione del cartello dei Beltran Leyva ha portato con sé. In secondo piano passano, invece, la tutela delle comunità più povere e insicure e il rilancio delle zone rurali depresse e di quelle colpite dagli uragani degli ultimi anni. Parte dell’infrastruttura distrutta è stata ricostruita, ma l’economia non decolla. Nel suo complesso l’operazione puzza di controllo sociale e controllo delle proteste che, proprio a Chilpancingo e nel resto del Guerrero, stanno assumendo le forme più rabbiose e violente, con attacchi praticamente quotidiani alle sedi dei partiti e delle istituzioni cui si somma l’occupazione e gestione autonoma di almeno 13 comuni. Quasi non se ne parla, ma le diverse forme di autogoverno e autonomia come quelle dei caracoles zapatisti e della comunità autonoma di Cherán nel Michoacan sono una realtà in tante comunità del Messico.

cabalgata_ayotzinapa9Il decalogo di Peña Nieto

Il 28 novembre Peña ha enunciato un decalogo di misure e proposte del governo per provare a uscire dall’impasse. E’ una lista imbevuta di autoritarismo, di volontà accentratrice e di vecchie ricette dell’epoca di Calderón che attentano contro i diritti umani. A queste “nuove tavole della legge” si aggiunge anche una beffa: la legge anti-cortei. In questo contesto di escalation delle proteste e della repressione, in attesa di una possibile diminuzione della pressione internazionale e della partecipazione popolare per l’avvicinarsi del periodo natalizio e la chiusura delle università, i legislatori del PRI, del PAN e del Verde Ecologista hanno approvato la cosiddetta “Legge Anti-Corteo”.

Si tratta di una riforma degli articoli 11 e 73 della costituzione affinché il governo federale, le amministrazioni locali e i governi statali possano emettere leggi in materia di mobilità che potranno essere usate dalle autorità per impedire le manifestazioni e la libertà d’espressione e riunione. In pratica si attribuisce la facoltà di promulgare leggi e ordinanze sulla mobilità cittadina, provinciale e regionale che però in realtà nascondono l’inganno e giustificheranno la restrizione del diritto a manifestare e rappresaglie verso diverse forme di protesta sociale. Tra le misure che saranno discusse in parlamento c’è la creazione di un solo corpo di polizia per ogni stato, l’abolizione delle polizie locali o comunali, la possibilità per il governo di dissolvere comuni con infiltrazioni mafiose, la fissazione di un Codice Unico d’Identità personale, la creazione del numero 911 per tutte le emergenze, una riforma della giustizia e nuove operazioni militari per la sicurezza negli stati fuori controllo.

La stretta anti-libertaria del governo non ha comunque bisogno di molte nuove leggi dato che continuano le “vecchie” pratiche del sequestro, dell’arresto arbitrario e della desaparición come nei casi di tre studenti della Universidad Nacional Autónoma de México che hanno denunciato il tentativo di farli sparire della polizia federale, in azione contro di loro a Città del Messico.

Fabbrica di colpevoli

policia federal ayotziIl 15 novembre il ventiseienne Bryan Reyes e la sua fidanzata Jaqueline Santana, rispettivamente maestro di flamenco e studentessa di economia, entrambi militanti del gruppo Acampada Revolucion 132, stavano camminando in una zona periferica della capitale, si dirigevano al famoso mercato della Merced. Mentre passavano su un cavalcavia sono stati catturati da 14 poliziotti, otto uomini e sei donne, in borghese. Convinti che si trattasse di un sequestro di persona, dato che gli agenti non si sono identificati e li hanno picchiati per forzarli ad entrare con la violenza in un taxi e in un’automobile privata, i due hanno cominciato a gridare. Ulises Chavez, un amico che era con loro, è riuscito a scappare e un poliziotto locale è stato richiamato sul posto dai rumori e le urla, ha puntato la pistola in faccia a uno dei federali e gli ha intimato di liberare i ragazzi.

Quando il federale s’è identificato il poliziotto l’ha lasciato stare ma questo “contrattempo” ha forse salvato la vita a Jaqueline e Bryan che sono stati portati in questura e poi in prigione con delle accuse assurde ma, per lo meno, in vita. Senza il minimo rispetto dei diritti umani e del dovuto processo, in spregio al fatto che i poliziotti federali hanno cercato di sequestrare e, probabilmente, far sparire i due ragazzi, questi sono stati rinchiusi per furto aggravato per aver rubato 30 euro a una poliziotta proprio sul cavalcavia in cui sono stati immobilizzati e rapiti dai federali (in questo video-link la testimonianza della sorella di Bryan). I detenuti del 20 novembre e del primo dicembre sono stati liberati, Bryan e Jaqueline no, e da stanno portando avanti uno sciopero della fame dal 23 novembre.

Una situazione simile ha vissuto Sandino Bucio, studente di Filosofia e Lettere e attivista che lo scorso 28 novembre è stato praticamente sequestrato da alcuni agenti in borghese della polizia federale all’uscita dell’università, dopo aver partecipato all’assemblea degli studenti della sua facoltà. Picchiato e costretto a salire su una macchina bianca, anonima, come se si trattasse di un rapimento o di una sparizione forzata. Per fortuna i passanti e gli studenti che si trovavano nei paraggi hanno filmato l’arresto e hanno diffuso immediatamente l’informazione. Si sono mosse subito le reti sociali e quelle dell’attivismo universitario per organizzare un picchetto di protesta fuori dalla sede della procura, dove intanto era stato condotto Sandino. Dopo poche ore la pressione mediatica e popolare è riuscita a far liberare lo studente. Gli agenti federali coinvolti sono stati sospesi, ma resta critico il livello di guardia dei movimenti e dei cittadini di fronte alle rozze azioni d’intimidazione della polizia, alle sue operazioni delinquenziali e alle offensive legislative del mondo politico.

 

Reportage precedenti: Ayotzinapa @CarmillaOnLine

 

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