Guerra di secessione – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 30 Apr 2025 21:35:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 La notte dell’American Way of Life https://www.carmillaonline.com/2018/01/25/la-notte-dellamerican-way-of-life/ Wed, 24 Jan 2018 23:01:17 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=42940 di Sandro Moiso

Mi sono chiesto se fosse il caso di parlare ancora di un film che ha fatto incetta di premi all’ultima edizione dei Golden Globes (come miglior film drammatico, migliore attrice di un film drammatico, migliore attore non protagonista e migliore sceneggiatura) e sono giunto alla conclusione che sì, ne valesse la pena. Perché Tre manifesti a Ebbing, Missouri (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri) è una storia, magistralmente diretta dal regista inglese Martin McDonagh, di solitudine e violenza che ci mostra uno spaccato di quell’America profonda di cui tanto si sente parlare e che così poco si conosce.

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di Sandro Moiso

Mi sono chiesto se fosse il caso di parlare ancora di un film che ha fatto incetta di premi all’ultima edizione dei Golden Globes (come miglior film drammatico, migliore attrice di un film drammatico, migliore attore non protagonista e migliore sceneggiatura) e sono giunto alla conclusione che sì, ne valesse la pena.
Perché Tre manifesti a Ebbing, Missouri (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri) è una storia, magistralmente diretta dal regista inglese Martin McDonagh, di solitudine e violenza che ci mostra uno spaccato di quell’America profonda di cui tanto si sente parlare e che così poco si conosce.

Una società esplosa, si potrebbe dire forse disintegrata, in cui anche i valori più tradizionali e identitari (religione, famiglia, appartenenza alla comunità possibilmente WASP), spesso sbandierati sia dai suoi estimatori che dai suoi critici più feroci, non sono più ormai che vuoti feticci. Valori che sopravvivono soltanto accettandone la finzione persuasiva e consolatoria, ma che non reggono alla prova dei fatti.

Valori che possono disciogliersi come neve al sole di fronte al minimo soprassalto di coscienza. Nemmeno di una coscienza “politica”, ma semplicemente individuale. Coscienza di essere vittime di una violenza efferata e immotivata che sembra pervadere, e in effetti è così, ogni ambito della vita sociale. Pubblica o privata che sia. Una violenza che si fa forte della solitudine o dell’emarginazione delle vittime, designate o casuali che siano.

Frances McDormand interpreta, in maniera straordinariamente efficace, una madre (Mildred Hayes) la cui giovane figlia è stata stuprata ed uccisa. Dopo sette mesi le indagini sull’efferata violenza non hanno dato risultati, così la donna, pur di modestissime condizioni economiche, decide di affittare tre cartelloni pubblicitari, posti lungo una strada secondaria nelle vicinanze di casa sua, per chiedere alle autorità locali (lo sceriffo Bill Willoughby, interpretato da Woody Harrelson) perché tale delitto non sia stato ancora risolto e i suoi responsabili perseguiti.

Lo chiede alle autorità locali, sceriffo e agenti, perché li vede più attenti a perseguire i piccoli o inesistenti reati degli afro-americani più che a far valere i principi più generali della Legge e della Giustizia. E lo fa con i modi bruschi di una donna della middle-class ormai proletarizzata, di una donna abbandonata dal marito per una ragazza della probabile età della figlia, di una donna che beve per consolarsi e di una madre dai grandissimi sensi di colpa per una tragedia di cui si sente, almeno in parte, responsabile.

Su quei manifesti compare così simbolicamente l’immagine rovesciata di quella trasmessa durante l’era di Roosvelt dello stile di vita americano. La crisi odierna non ha sbocchi, non concede speranze e la depressione sociale non è più soltanto economica. Come nei tre manifesti fatti affiggere da Mildred, i “successi” dell’economia e della politica della nazione si riflettono negli sguardi, nei corpi e nei gesti dei suoi abitanti, così come ce li trasmette la fotografia del film.

Siamo in una cittadina del Missouri, la cui unica statua è quella ad un soldato della Guerra di Secessione, anche se non si sa a quale dei due schieramenti in campo appartenga visto che all’epoca il Missouri fu uno stato cuscinetto all’interno del quale le fazioni filo-sudiste e filo-nordiste lottarono duramente in oltre 1.200 scontri armati di varia entità, che lacerarono profondamente sia il territorio che la popolazione.

La maledizione di quella lacerazione sembra strisciare ancora sul fondo delle vicende narrate, anche se non sembra mai destinata a comparire pienamente. Alcuni agenti, ed uno in particolare (l’agente Jason Dixon, interpretato da Sam Rockwell), sono decisamente razzisti e lo sceriffo forse chiude un po’ troppo gli occhi su ciò che accade intorno a lui. Ma l’ignoranza, la dipendenza alcolica e le tare famigliari sono mostri che non si possono sconfiggere facilmente e lo sceriffo ha a che fare con un altro invincibile mostro: un cancro al pancreas.
Questo serve a giustificare qualcosa per Mildred o per lo spettatore? No.
Serve soltanto ad amplificare il senso di solitudine e di impotenza in cui ognuno si muove, vittima o meno che sia. In una società svuotata di ogni residuo valore umano, così come è stata svuotata dalle sue ricchezze minerarie la collina spaccata e devastata che fa da sfondo ai tre cartelloni e, metaforicamente, a tutta la vicenda.

Sullo sfondo si agitano i fantasmi del razzismo e di una guerra lontana che tracima oltre i suoi confini reali, per portare fino a casa i suoi frutti più marci. Meno sullo sfondo è presente quello del sessismo e della violenza famigliare, ma contro ognuno di essi anche la vendetta, così liberatoria in tante altre narrazioni, può rivelarsi incerta ed inutile.

Anche la trasfigurazione, fisica e psicologica, di uno dei personaggi cardine (interpretato dal bravissimo Rockwell) può rivelarsi vana. Condotto sulle note della canzone della Band dedicata alle sofferenze della popolazione del Sud degli Stati uniti nel corso della parte finale della guerra civile (The Night They Drove Old Dixie Down) e cantata da una Joan Baez ascoltata attraverso un vecchio juke-box il punto di volta della storia, il suo climax, servirà soltanto a rivelare ulteriormente le contraddizioni che agitano ognuno dei personaggi più che a consegnare alla Legge, o almeno a un giudizio definitivo, il reale assassino.

La canzone inserita all’interno di una colonna sonora molto bella, firmata da Carter Burwell, compositore statunitense noto per la sue collaborazioni con Joel ed Ethan Coen, costantemente presente, tesa a sottolineare con maestria ogni istante delle vicende narrate, sembra qui assumere un significato molto più ampio di quello legato alla delusione per il crollo del vecchio Sud, per assurgere a delusione per tutto un sistema di valori ormai definitivamente ed irreversibilmente crollato.

We were hungry / Just barely alive (“Affamati, a malapena vivi”): sono parole che vanno infatti ben al di là del loro significato immediato e fisico, in un mondo in cui non c’è salvezza, non c’è vendetta e la Legge del Signore è poco gradita. Come si dimostra in un dialogo crudissimo tra Mildred e il pastore locale che va a trovarla per consolarla e dissuaderla dalla sua intenzione di continuare ad esporre i tre manifesti. Così semplici, così provocatori, così insopportabili per della coscienze morte e sepolte. L’American Way of Life è definitivamente scomparsa nell’era di Trump. Non ha più maschere, bianche o nere, dietro cui nascondere la propria violenza di classe, razza o genere.

Mentre anche i media , così attratti dalla denuncia elementare e superficiale dei delitti o degli scandali, tremano e si schierano dalla parte della conservazione dell’esistente quando la critica rischia di farsi più radicale.
Quello che va infatti sottolineato è che il film va ben al di là dell’ambito “femminista” in cui lo si è voluto recintare in un periodo fortemente segnato dalle pubbliche denunce delle violenze e dai soprusi subiti dalle donne che lo star system di Hollywood, e non solo, aveva cercato fino ad ora di nascondere. E non è certo una “commedia nera” come la distribuzione italiana l’ha fin qui voluto presentare.

Perché in realtà si tratta di un’autentica tragedia che da personale si trasforma in corale; da dramma individuale e famigliare a dramma di un intero popolo e di un’intera nazione che ha perso tutti suoi punti di riferimento e che non sa più nemmeno immaginare in quale tipo di giustizia si possa credere o sperare. Scavando nelle contraddizioni spietatamente e fino all’osso, a differenza di un altro film, il recente e farlocco Detroit di Katryn Bigelow, in cui si preferisce trasformare le vicende corali della più grande rivolta razziale degli Stati Uniti1 in un fatto riguardante pochi individui, in cui il bene e il male sono facilmente individuabili e ben definiti e la giustizia (pur non soddisfatta) anche, così come piace alla buona coscienza perbenista e manichea.

Mentre un altro bel film della stagione passata, Get Out (Scappa) co-prodotto, scritto e diretto da Jordan Peele, attore afro-americano al suo esordio dietro la macchina da presa, è stato relegato anch’esso a “commedia nera”, pur essendo in realtà un autentico horror movie ispirato dalla critica alla falsa coscienza liberal dell’età di Obama, quando ogni “negro” è da considerarsi buono soltanto nel momento in cui perde la sua reale identità. Violenza estrema e negatrice degli individui e delle comunità alla quale si può rispondere soltanto con la violenza. Per una volta liberatrice.


  1. Si veda il mio https://www.carmillaonline.com/2013/08/09/detroit-e-morta-viva-detroit-prima-parte/ e https://www.carmillaonline.com/2013/08/14/detroit-e-morta-viva-detroit-seconda-parte/  

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Walt Whitman e la fondazione del mito nazionale americano https://www.carmillaonline.com/2017/04/20/walt-whitman-la-fondazione-del-mito-nazionale-americano/ Wed, 19 Apr 2017 22:01:39 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=37729 di Sandro Moiso

Whitman_West Walt Whitman, Un sillabario americano, a cura di Livio Crescenzi, Mattioli 1885 2017, pp. 94, € 8,90 – W. Whitman, Taccuini della guerra di secessione, a cura di L. Crescenzi e Silvia Zamagni, Mattioli 1885 2016, pp. 134, € 16,90 – W. Whitman, Nel West e altri viaggi, Mattioli 1885 2008, pp. 120, € 16,00

Nel nostro linguaggio si è depositata un’intera mitologia” (Ludwig Wittgenstein – Note sul “Ramo d’oro” di Frazer)

Grazie alla ristampa dei tre testi di Walt Whitman operata, nel corso degli ultimi anni, da Mattioli 1885 oggi diventa forse più facile giungere a [...]]]> di Sandro Moiso

Whitman_West Walt Whitman, Un sillabario americano, a cura di Livio Crescenzi, Mattioli 1885 2017, pp. 94, € 8,90 – W. Whitman, Taccuini della guerra di secessione, a cura di L. Crescenzi e Silvia Zamagni, Mattioli 1885 2016, pp. 134, € 16,90 – W. Whitman, Nel West e altri viaggi, Mattioli 1885 2008, pp. 120, € 16,00

Nel nostro linguaggio si è depositata un’intera mitologia” (Ludwig Wittgenstein – Note sul “Ramo d’oro” di Frazer)

Grazie alla ristampa dei tre testi di Walt Whitman operata, nel corso degli ultimi anni, da Mattioli 1885 oggi diventa forse più facile giungere a fissare i momenti attraverso i quali il mito nazionale di quella che si avviava a diventare la più grande potenza mondiale esistita fino ad oggi è stato formulato. E individuare con certezza uno degli inventori, magari involontario, di una narrazione che sarebbe diventata dominante per un’intera nazione e per la cultura politica (e non solo) di una buona parte dell’Ottocento e del Novecento.

Walt Whitman (1813 – 1892), progressista, democratico e omosessuale, è da considerare non solo come uno dei padri della poesia americana moderna, ma anche dell’ “american dream”, mentre la sua raccolta di poesie Leaves of Grass, rivista e ripubblicata dall’autore in ben nove differenti edizioni tra il 1855 e il 1892, ha costituito una sorta di autentico faro per il rinnovamento della poesia moderna tout court. Almeno fino a tutta la prima metà del ‘900.
In Italia, attraverso la tesi di laurea di Cesare Pavese, segnò l’inizio di un tormentato rapporto tra la cultura accademica tradizionale e la scoperta della letteratura americana, fino ad allora ritenuta barbara, portata avanti proprio da Pavese ed Elio Vittorini.1

Cresciuta dalle iniziali dodici sino al mezzo migliaio di poesie e poesie in prosa contenute nelle ultime edizioni, l’opera non suscitò soltanto interesse o contrarietà per l’abbandono delle forme metriche tradizionali e l’uso di un linguaggio spesso preso dal parlato quotidiano e dallo slang, ma anche una tenace opposizione da parte di chi coglieva nella sua ricerca poetica elementi di oscenità e immoralità, fino alla proibizione, ad opera di un procuratore di Boston, della sua pubblicazione in occasione della sua settima edizione nel 1881 .

Come molti altri scrittori americani della sua epoca,2 Whitman fu prima giornalista e poi scrittore. Anzi, ancor prima tipografo poiché, a causa delle difficili condizioni economiche della famiglia di origine che gli avevano impedito di seguire un regolare percorso educativo, di fatto imparò a scrivere proprio attraverso l’uso dei caratteri tipografici. La sua lingua e le sue idee si sarebbero espresse e manifestate così sui giornali a diffusione popolare ancor prima che nelle poesie o nelle prose che avrebbe in seguito scritto oppure nelle conferenze, su argomenti quali il sesso, il linguaggio e sulle caratteristiche che dovrebbe avere una democrazia ideale, che sarebbe poi stato invitato a tenere .

Proprio questa sua formazione da irregolare lo avrebbe portato a riflettere sulla lingua americana, su ciò che avrebbe dovuto essere e ciò che avrebbe potuto esprimere. Nella testimonianza di Horace Traubel, amico intimo di Whitman e autore di una biografia in nove volumi dell’autore americano, riportata nel Sillabario, il poeta ebbe modo di affermare: “Quest’argomento del linguaggio mi interessa…m’interessa molto…Non m’è mai uscito dalla testa. A volte mi viene da pensare che le foglie non siano altro che un esperimento di carattere linguistico…Insomma , che si sia trattato soltanto di un tentativo…offrire allo spirito, al corpo, all’individuo, nuove parole, nuove potenzialità del linguaggio…una sorta di estensione americana e cosmopolita della libera espressione […] Il nuovo mondo, i tempi nuovi, i nuovi popoli, le nuove opinioni, le nuove prospettive, necessitano di una lingua appropriata – sì, e ciò che è più importante è che noi questa lingua alla fine l’avremo3

whitman sillabario Gli scritti di Withman raccolti nel saggio sulla lingua americana appartengono a quello che molti considerano il periodo più fertile per la sua opera, quello compreso tra il 1850 e la Guerra di Secessione. “In America è necessario un enorme numero di nuove parole per incarnare i nuovi fatti politici, […] i discorsi politici fatti a braccio – le modalità della propaganda elettorale – il modo di rivolgersi al popolo – stabilire tutto ciò che deve essere espresso nei modi adatti alla vita e alle esperienze degli abitanti dell’Indiana, del Michigan, del Vermont, degli uomini del Maine4

Per il poeta americano l’infanzia costituiva il riflesso in ogni singolo essere umano dell’infanzia dell’umanità e l’infanzia della nazione americana sembrava dover ripercorrere, ai suoi occhi, tutti i processi di apprendimento che si sviluppano nell’individuo durante la sua crescita. In primo luogo quello dell’apprendimento e sviluppo del linguaggio. L’infanzia dell’America diventa dunque l’infanzia di un nuovo mondo. Immagine dalla forte valenza mitopoietica che diventerà dominante in quasi tutti i discorsi sul ruolo degli Stati Uniti nella storia del mondo. Una nazione nuova, schietta, democratica.

Mi piacciono le parole svelte, durature, feroci […] Pensate forse che le libertà e la forza muscolare di questi Stati debbano avere solo a che fare con delicate parole da signore? Con parole in guanti bianchi dei gentiluomini? Cattivi Presidenti, cattivi giudici, cattivi clienti, cattivi direttori dei giornali, proprietari di schiavi e le interminabili schiere degli intrallazzatori politici del Nord (ladri, traditori, corrotti), monopolisti, infedeli, castrati, impotenti, invertiti, froci, ecclesiastici, uomini che non amano le donne, donne che non amano gli uomini, deplorano in continuazione l’uso delle parolacce forti, taglienti, espressive. Per gli istinti virili del popolo invece saranno sempre le benvenute”. 5

Tutto il discorso dell’America come nazione cui cultura, lingua e tradizione appartengono al Popolo è riassunto in queste parole, che espandono ulteriormente il significato di quel “We the People…” che costituisce il preambolo della Costituzione americana. “Il carattere forgia le parole […] Noi dobbiamo legittimare la nostra eredità, – dobbiamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, anche fra un migliaio di anni, in quanto discendiamo dagli Inglesi di un migliaio di anni fa: la geografia americana – l’abbondanza e la varietà dei grandi popoli dell’Unione – le migliaia di insediamenti – le coste – il Nord canadese – il Sud messicano – la California e l’Oregon – i grandi laghi- le montagne – l’Arizona – le praterie – gli immensi fiumi”.6

Tutto è grande, potente, immenso nella visione di Withman che sembra voler ripercorrere a livello linguistico la dichiarazione di Monroe del 1823.7 Una visione che precorre dal punto di vista dei contenuti tanta letteratura americana fino a Kerouac e, da un altro, l’espansione imperiale ben oltre i confini del Nuovo Mondo. Autentica dimostrazione del fatto che, troppo spesso, la strada per l’inferno è lastricata di buone, talvolta ottime, intenzioni.

whitman_taccuini_della_guerra_di_secessione Così fu proprio nei drammatici Taccuini della guerra di secessione che Whitman giunse a delineare con più precisione e determinazione ciò che costituiva per lui il carattere e la grandezza della nazione americana. “Quattro anni in cui sono concentrati secoli di passioni ancestrali, immagini di prima categoria, tempeste di vita e di morte – una miniera inesauribile di vite e di morti, che riempiranno la storia, il teatro, la letteratura e persino la filosofia dei secoli a venire – anzi, un’autentica colonna vertebrale della poesia e dell’arte (anche di carattere personale) per tutta l’America futura (molto più possente, secondo me, per le penne che saranno in grado di cimentarsi con esse dell’assedio di Troia di Omero e delle guerre francesi di Shakespeare) […] Nei miei ricordi di quel periodo, e attraverso oceani immensi e vortici torbidi e cupi, sempre più chiara emerge la risolutezza, la severità e l’austera saldezza della maggior parte dei normali Americani, l’animo teso ad uno scopo preciso, anche se spezzato e travolto da chissà quale spaventosa tempesta. La gente comune che si è distinta in migliaia di episodi di un grande e straordinario eroismo, che non hanno mai cessato di ripetersi“.8

Attraverso le pagine di taccuino e le descrizioni terribili degli ospedali da campo visitati dal poeta nel corso della guerra, sorge l’immagine di una nazione guerriera, non importa su quale fronte schierata. Una nazione che sa soffrire per raggiungere uno scopo, un popolo che si fa nazione al di là degli interessi egoistici e meschini dei politici o dei proprietari corrotti. Un’immagine che rivela come il Populismo, quasi sempre, finisca col coincidere con il Nazionalismo e che l’unica differenziazione possibile sia costituita dal fatto che mentre per una Nazione ancora in via di formazione o di liberazione dal dominio di una potenza straniera può coincidere con il Patriottismo, una volta che questa si sia formata ed affermata in quanto Stato il significato ultimo di populismo non può essere altro che sinonimo di aggressività, razzismo, egoismo e militarismo. Con buona pace di tutti coloro che oggi cercano di interpretare in chiave classista i fenomeni politici di carattere populista e si stupiscono delle presunte giravolte di Donald Trump.
Il background è comune e Whitman ha almeno il pregio di rivelarcelo con centocinquant’anni di anticipo.

“Dio e Popolo” affermava il nazional-populista risorgimentale Giuseppe Mazzini. “Dal Popolo deriva tutto, compresa, e soprattutto, la lingua” avrebbe potuto affermare Whitman, con la pletora di successivi imitatori che potrebbero andare dai democratici desiderosi di sottomettere i territori messicani nella prima della metà dell’Ottocento fino ai liberatori dalle tirannie delle campagne mediatiche del XX e XXI secolo. Su, su fino a noi, fino a Bruce Springsteen e Donald Trump.

E’ la fondazione mitologica di questo sistema di valori e la loro pretesa universalità […] è la pretesa universalità della cultura di fondazione e formazione a lungo egemonica che questa democrazia nazionale esprime, riflettendone il carattere parziale, classista , razzista, sessista, al fondo molto violento9 che la lettura di Whitman ci aiuta a comprendere. Comprendere per destrutturare un immaginario culturale e , soprattutto, politico che è servito a dare senso, scopo e giustificazione ad un modo di produzione e ad un imperialismo assolutamente privi di raziocinio ed umanità.

Ma quel Popolo e quella Nazione hanno bisogno di uno spazio territoriale in cui poter pienamente insediarsiarsi. Un paesaggio che ne rifletta, allo stesso tempo, l’immagine e la potenza ed ecco allora che l’occasione di un viaggio, o di più viaggi, all’Ovest può costituire il momento per la sua definizione; come avviene nella raccolta di scritti Nel West e altri viaggi.
Tutto negli Stati Uniti è grande , immenso, nuovo, eroico. Dalle praterie alle ferrovie, dai fiumi ai vagoni letto e dalle città alle loro folle.

Dopo un’assenza di molti anni […] eccomi nuovamente qui, pieno di curiosità, a riprendere contatto con le folle e le strade che conosco così bene: con Broadway, con i ferry, con la parte occidentale della città e la democratica Bowery. E ritrovo i modi e l’aspetto della gente che s’incontra in questi luoghi, ma anche intorno ai moli. O nel perpetuo viavai di vetture a cavallo, o nei battelli gremiti di turisti, a Wall Street e Nassau Street di giorno o nei locali di divertimento di notte: un qualcosa di vorticoso, rigurgitante e fluido come le acque che lo circondano, un’umanità sterminata in tutti i suoi stadi, e poi ancora Brooklyn. […] Non c’è bisogno di scendere nei dettagli: basti dire che (pur con le dovute riserve per le ombre e le venature marginali di città da un milione di anime). Dovendo sintetizzare le mie impressioni su queste immense città, sulle loro qualità umane, le ho trovate confortanti, persino eroiche, al di là di ogni definizione. Espressioni vivaci, figure generalmente ben proporzionate in buona salute, occhi limpidi e diretti, la singolare combinazione di reticenza e disinvoltura con un’indole simpatica e socievole; in prevalenza una gamma conforme di modi, gusti, intelligenze, certo più di quanto non si trovi in qualsiasi altro luogo del mondo; e una palpabile fioritura di quel solidale cameratismo cui io guardo come al più sottile e tenace dei collanti futuri per questa variegata Unione: aspetti che non solo si colgono qui, in questi imponenti canali di umanità, ma che costituiscono ovunque la regola e la media. Oggi potrei dire – incurante dei cinici e pessimisti, ma nella piena consapevolezza delle loro ragioni – che un approfondito studio di valutazione sull’attuale popolazione newyorkese sarebbe la prova più concreta finora disponibile per dimostrare la buona riuscita della Democrazia10

Per mezzo di questi taccuini, due dei quali11 poi inseriti da Whitman nella sua unica opera di carattere autobiografico,12 è possibile tracciare il divenire della letteratura americana moderna e non solo. Dall’incipit “I Sing the Body Electric…” della sua poesia più famosa fino al Futurismo sgraziato di Marinetti e al sutra di Denver di Jack Kerouac. Ma è anche possibile individuare i caratteri del populismo interclassista di Trump e dei suoi seguaci europei, oppure, ancora più semplicemente dell’Eroe Americano schietto, diretto e limpido che ha conquistato il mondo attraverso i volti di tanti divi di Hollywood, le portaerei e i marines.

Benissimo ha fatto, quindi, la casa editrice Mattioli 1885 riproponendoli e cogliendone, allo stesso tempo, l’attualità. Sia per il letterato che per lo storico oppure per tutti coloro che possono essere interessati ad una comprensione e ad una critica dell’immaginario che sostiene e giustifica ancora buona parte della società che ci circonda. E domina.

E l’America non è più America, non più un mondo nuovo: è tutta la Terra” (Elio Vittorini – Americana)


  1. Si veda il saggio di Cesare Pavese del 1933, pubblicato sulla rivista “La cultura”, Interpretazione di Walt Whitman poeta, ora in Cesare Pavese, La letteratura americana e altri saggi, pp. 141- 165, Einaudi 1962  

  2. Brett Harte, Mark Twain, Edgar Allan Poe, Nathaniel Hawthorne ed altri ancora  

  3. Horace Traubel, Prefazione a W. Whitman, Sillabario americano, pag.21  

  4. Whitman, id., pag.33  

  5. Withman, id., pp. 44-45  

  6. ibidem, pag. 31  

  7. Nota come Dottrina Monroe fu elaborata dal Presidente John Quincy Adams e pronunciata da James Monroe al messaggio annuale al Congresso il 2 dicembre 1823. Costituisce, insieme alla teoria del Manifest Destiny, usata principalmente dai democratici di Andrew Jackson negli anni ’40 dell’Ottocento per promuovere l’annessione di buona parte di quelli che oggi sono gli Stati Uniti Occidentali, la base ideologica del diritto degli Stati Uniti ad occuparsi di tutto il continente americano. A Nord così come a Sud, escludendo qualsiasi ulteriore intervento europeo sul Nuovo Continente. 

  8. W. Whitman, Taccuini della guerra di secessione, pag. 19  

  9. Così come si esprime Samuele F. S. Pardini in Charlie Don’t Surf. Le origini bianche delle guerre americane, Introduzione a Leslie Fiedler, Arrivederci alle armi, Donzelli Editore 2005, pag. X  

  10. W. Whitman, Nel West e altri viaggi, pp.100-101  

  11. Quello sulla Guerra di Secessione e quello dei viaggi all’Ovest  

  12. W. Whitman, Specimen Days, traduzione italiana Giorni rappresentativi, Garzanti 1999  

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Hard working men: John Henry, Stachanov e la leggenda aurea del lavoro https://www.carmillaonline.com/2017/03/08/hard-working-men-john-henry-stachanov-due-leggende-auree-del-lavoro/ Wed, 08 Mar 2017 21:10:15 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=36787 di Sandro Moiso

john henry statuaSoltanto il passato appare veramente necessario, perché non vi si può togliere né aggiungere nulla. Ma il passato è veramente necessario?” (Georg Lukács – L’anima e le forme, 1911)

A volte lavorando sull’immaginario si riescono a fare straordinarie ricostruzioni di come mentalità e convinzioni, pur appartenenti a contesti storici e culturali apparentemente molto diversi e lontani, vadano inconsapevolmente uniformandosi tra di loro. Per questo può rivelarsi importante procedere ad un lavoro di disincrostazione delle certezze e delle conoscenze che spesso vengono date troppo facilmente per scontate sia in ambito politico che culturale.

Così procedendo nella ricostruzione [...]]]> di Sandro Moiso

john henry statuaSoltanto il passato appare veramente necessario, perché non vi si può togliere né aggiungere nulla. Ma il passato è veramente necessario?” (Georg Lukács – L’anima e le forme, 1911)

A volte lavorando sull’immaginario si riescono a fare straordinarie ricostruzioni di come mentalità e convinzioni, pur appartenenti a contesti storici e culturali apparentemente molto diversi e lontani, vadano inconsapevolmente uniformandosi tra di loro. Per questo può rivelarsi importante procedere ad un lavoro di disincrostazione delle certezze e delle conoscenze che spesso vengono date troppo facilmente per scontate sia in ambito politico che culturale.

Così procedendo nella ricostruzione del percorso di formazione dell’immaginario di una classe operaia, quella americana, che dall’essere stata una delle più combattive, a cavallo tra XIX e XX secolo, si è trasformata in un bel serbatoio di voti e di fiducia per un presidente dalle indubbie tendenze fascistoidi, è quasi impossibile non fare incrociare la storia leggendaria di un operaio nero della fine dell’Ottocento, John Henry, con quella di un eroe del lavoro sovietico degli anni del trionfo dello stalinismo: Aleksej Grigor’evič Stachanov.

stachanov 1 Aleksej Grigor’evič Stachanov,1 fu un minatore sovietico che lavorò nelle miniere di carbone della regione di Donbass. Nel 1935 divenne famoso per aver messo in atto un nuovo metodo di estrazione del carbone: eseguendo egli stesso il lavoro specializzato del “taglio” del carbone ed utilizzando i propri compagni per il trasporto del minerale sui carri, riuscì ad aumentare la produttività della squadra di lavoro fino a quattordici volte, arrivando a raccogliere102 tonnellate di carbone in 5 ore e 45 minuti proprio il 31 agosto di quell’anno.

Il governo sovietico diede enorme risalto al suo metodo che fu così adottato in altre miniere, mentre Stachanov fu celebrato come “lavoratore modello” e fu nominato, ancora nel 1970, Eroe del lavoro socialista ed era diventato membro del Partito Comunista dell’Unione Sovietica fin dal 1936. Da lui ebbe origine lo stacanovismo, volto ad aumentare la produttività dei lavoratori incoraggiandoli sia a livello propagandistico che tramite incentivi. Lo stesso Stachanov, infatti, intraprese una carriera che lo portò a diventare direttore e assistente capo ingegnere di impianti minerari fino al pensionamento nel 1974.

John Henry è invece un eroe del folklore operaio ed afro-americano degli Stati Uniti. Si narra che egli abbia lavorato come operaio nella costruzione delle ferrovie e che il suo compito fosse quello di scavare con il suo martello la roccia per preparare i fornelli in cui si facevano brillare le mine destinate a spaccare le rocce durante la costruzione delle gallerie. Secondo la leggenda, per misurare la sua abilità e la sua forza nello spaccare le rocce con il suo martello, egli volle sfidare in una gara una delle prime trivelle azionate a vapore per vedere chi riuscisse a scavare più roccia a parità di tempo.

Una gara che egli vinse morendo, però, subito dopo per un collasso cardiaco causato dallo sforzo eccessivo. L’immagine di John Henry morto, con la mazza di ferro ancora fortemente stretta nel suo pugno è rimasta nell’immaginario ed è stata trasposta, come tutta la sua vicenda, in una classica canzone folk che è stata tramandata in tantissime e, spesso, non poco differenti versioni.2

Big_Bend_Tunnel_John_Henry La sua storia è entrata tanto nella narrativa orale che nella letteratura, nel teatro popolare ed è stata anche il soggetto di numerosi fumetti e film di animazione, di cui uno prodotto dalla Disney ancora nel 2000; mentre numerose località vantano ancora, a più di un secolo di distanza, il primato di aver costituito il reale contesto in cui si svolse la sfida prometeica tra l’operaio afro-americano e la macchina. Tra queste basterà qui ricordare il Big Bend Tunnel in West Virginia, il Lewis Tunnel in Virginia e il Coosa Mountain Tunnel in Alabama.

L’operaio russo ha una data di nascita, 3 gennaio 1906, e una di morte, 5 novembre 1977, riconosciute. John Henry è vivissimo nella cultura popolare, ma non si sa nemmeno se sia davvero esistito e dove abbia realmente compiuto le sue gesta. Entrambi però costituiscono i cardini di una cultura operaista in cui il lavoratore rappresenta la forza della Nazione e di un Popolo, orgoglioso di dare tutto se stesso, anche la vita, per dimostrare il proprio valore. Valore che, guarda caso, si confonde sempre con quello che è possibile trarre marxianamente dai suoi muscoli e dalla sua intelligenza.

john-henry-stamp Sarà per questo motivo che, nel 1996, le poste degli Stati Uniti hanno dedicato a John Henry un francobollo da 32 centesimi, insieme ad altri tre dedicati ad altrettanti eroi del folklore americano: Pecos Bill, Paul Bunyan e Mighty Casey. Rispettivamente un cow-boy, un boscaiolo e un ferroviere. Come dire: la nostra epica si fonda sul lavoro e sui lavoratori.

Senza essere, tra l’altro, neppure troppo distanti dall’ex-nemica URSS-Russia. In cui per ricordar Stachanov nel 1936, nella città sovietica di Donec’k fu fondata una squadra calcistica con il nome di Stachanovec’ in suo onore, mentre ancora nel 1978 la città ucraina di Kadievka prese il nome di Stachanov. Sempre negli anni Trenta il settimanale Time gli dedicò una copertina indicandolo come il grande eroe dello stakanovismo, mentre la miniera Tsentralnaja-Irmino, in cui Stachanov aveva compiuto le sue gesta, fu a lungo segnalata su tutti i libri di storia delle scuole sovietiche.

Time_-_Stakhanov “Lavoratori eroici” entrambi, Stachanov e John Henry portano indelebile le stimmate della schiavitù salariale; stimmate che, come nei peggiori oggetti di culto cattolico-romani, testimoniano la santità di chi le porta e, per riflesso, del lavoro coatto. Se, però, la figura di Stachanov è tutta compresa all’interno dell’immagine di “Stato operaio” e di socialismo “in un solo paese” che l’apparato staliniano voleva trasmettere nell’immaginario proletario russo e mondiale proprio negli anni delle grandi purghe, nel mito di John Henry è ravvisabile anche qualcosa di peggiore.

Dei quattro eroi americani celebrati dalla serie di francobolli dedicata ai “folk heroes”, John Henry è l’unico afro-americano. Come tale però si trova a metà strada tra lo schiavo e il proletario. Una figura di transizione che affonda le sue radici in quel momento di passaggio dell’economia statunitense tra una funzione eminentemente esportatrice di materie prime (cotone e tabacco) ancora basata su un’organizzazione del lavoro basata sullo schiavismo e il latifondismo ed una preminentemente industriale e, poi, finanziaria. In cui il plusvalore si estrae principalmente dalla forza lavoro operaia.

Questo passaggio avviene nei decenni successivi alla Guerra di Secessione, che tutto fu tranne una guerra di liberazione degli schiavi africani. Sono gli anni in cui si situa la leggenda di John Henry, a metà strada tra schiavo e proletario,3 in cui la coscienza dell’essere popolo americano deve essere diffusa tra le masse, indipendentemente dal colore della pelle e dalla collocazione di classe. In fin dei conti proprio la guerra civile aveva costituito l’ultimo passaggio per raggiungere l’indipendenza economica definitiva dall’ex-madre patria inglese.4

john henry springsteen In questo modello immaginario lo schiavo nero deve passare dal lavoro nelle piantagioni a quello nelle ferrovie, nelle miniere e nelle fabbriche senza modificare troppo le sue pretese. Deve essere soddisfatto di non dover più fornire obbligatoriamente il suo sudore ad un unico proprietario, ma di poter vendere la sua forza lavoro in libertà ad imprenditori diversi. Punto e fine. La libertà degli ex-schiavi inizia e finisce lì. E possono essere contenti quando, ammazzandosi letteralmente di fatica, possono raggiungere l’empireo del folklore americano.

D’altra parte l’andamento della canzone riportata precedentemente in nota è ancora quello della work song più che del blues. Le stesse work song che per decenni, e forse ancora oggi, erano cantate nelle chain gang di detenuti neri condannati ai lavori forzati.5 Il più famoso interprete e testimone di quella memoria popolare trasmessa attraverso il canto fu proprio Huddie William Ledbetter, in arte Leadbelly, che, rinchiuso nel Penitenziario di Stato della Louisiana fin dal 1930, fu qui scoperto, nel luglio 1933, da John Lomax, etnomusicologo, e suo figlio Alan.

leadbellyViaggiando attraverso il sud per conto della Library of Congress per raccogliere e registrare le ballate tradizionali, tramandate fino ad allora solo per via orale, i due scoprirono che le prigioni del sud degli U.S.A. costituivano i luoghi più fertili per reperire canzoni di lavoro, ballate, spiritual e canti tradizionali. Grazie a loro Leadbelly riuscì ad uscire dal carcere e ad incidere successivamente numerosissimi dischi di musica folk (bianca e nera), spesso in compagnia di artisti militanti quali Woody Guthrie e Cisco Huston, mentre proprio la sua versione di John Henry può essere considerata di riferimento per molte altre.

Il mito del lavoratore nero che si riscatta, operaio o schiavo che sia, attraverso il lavoro più che attraverso la rivolta giunge a noi, quindi, attraverso il carcere e il lavoro ultra-coatto delle chain gang. Ancora una volta il cerchio si chiude adeguatamente e l’ordine costituito non è messo né in discussione né, tanto meno, in pericolo. Anche se, per intima contraddizione di una cultura popolare e proletaria che non sempre si lascia così facilmente ingabbiare, per decenni gli studiosi del folklore americano confusero la ballata di John Henry con quella dedicata a John Hardy (il tema e gli accordi sono gli stessi) in cui si parla, però, di un ferroviere bianco che uccide a colpi di pistola un suo rivale o, ancor più probabilmente, di un fuorilegge della West Virginia.

doc holliday Addirittura, se lo sguardo e l’udito si facessero soltanto un po’ più attenti, nelle strofe di John Hardy in cui si parla di un “Desperate, little man”, ci si accorgerebbe che allora la memoria potrebbe andare ad un altro John Henry, questa volta piccolo e bianco: John Henry Holliday detto “Doc”, giocatore d’azzardo, assassino di ranger, tenutario di case da gioco e bordelli,compagno di Wyatt Earp nella, a sua volta leggendaria, sfida dell’O.K. Corral avvenuta a Tombstone nel 1880 e morto di tisi a trentasei anni nel 1887. Armi, denaro, violenza fai da te finiscono così col rivelarsi, ancora una volta, come l’altra faccia del mito americano. Proletario o borghese che sia.

Stachanov finì la sua esistenza, depresso e semi alcolizzato, in un ufficio di Mosca con una lunghissima targhetta d’ottone: “Capo del settore per l’emulazione socialista presso il commissariato del Popolo per l’estrazione del carbone”. Dopo l’impresa del 31 agosto 1935, gli erano stati consegnati 220 rubli, che corrispondevano a più di due stipendi mensili; una casa di tre stanze, ammobiliata con tappeti e un pianoforte a coda; un buono per una vacanza al mare con la moglie in Crimea; due abbonamenti a vita a tutte gli stadi, cinema e teatri della sua città.

Stakhanov 2 Le rivelazioni, mai smentite, di giornali statunitensi che parlavano di bluff, di record costruito con intere squadre di minatori che lavoravano per l’eroe, furono bollate come “invidia dei capitalisti”.
La propaganda stalinista sfruttò al meglio il personaggio con l’obiettivo dichiarato di sconfiggere la proverbiale indolenza del lavoratore russo. E con lo scopo, più nascosto, di scoraggiare ogni sorta di lamentela sul posto di lavoro: solo sacrificio e produzione per la causa del Socialismo6

John Henry finì rappresentato in numerose immagini che lo ritraevano morto, con il martello ancora in pugno. Una sorta di semi-dio7 immolatosi per il lavoro più che per la salvezza di una razza o della specie. Ritratto in una posizione a braccia aperte, con qualche imprenditore e redneck ai suoi piedi, che lo avvicina di più allo zio Tom di Harriet Beecher Stowe,8 il cui abolizionismo rimaneva relegato alla pietà cristiana e all’azione dei “buoni” padroni bianchi più che all’azione diretta degli schiavi sfruttati,9 che alla figura dell’autentico liberatore.

john-henry-dead La sua lotta con la macchina non ha nulla dell’odio dei luddisti per le macchine che riducevano forza e salario dei lavoratori, incrementandone la produttività. No, è una lotta arcaica che non emancipa il lavoro e che, sposandone l’etica del sacrificio, al contrario lo imbestialisce, caratterizzandolo soltanto in termini di rivalità con la macchina che, tutto sommato, potrebbe liberarlo davvero. Una lotta in cui l’orgoglio operaio non è di classe, ma di mestiere e il lavoro è ridotto a semplice strumento per la valorizzazione del capitale. Senza alcuna speranza di riscatto finale.

Valeva la pena narrare e ricostruire tutto ciò ancora una volta? Basti guardare ai risultati della presidenza di Barack Obama la cui unica eredità sembra essere costituita dal premio Oscar assegnato a un film come “Moonlight”. Una storia di “diritti umani” più che di classe, in cui la pregiudiziale anti-razzista è fortemente minata dal fatto di rendere ancora una volta le vicende degli afro-americani sufficientemente digeribili e patinate per un pubblico bianco e borghese bicolore. Ignorando del tutto le ragioni che hanno spinto anche una parte dell’elettorato operaio “nero” a votare per Trump e contribuendo così a far sprofondare ancor di più ogni rappresentazione dei conflitti di classe e razziali nel folklore più convenzionale.

Valeva la pena di rispolverare Stachanov e trarlo fuori dall’oblio? Si pensi alla proposta di Matteo Renzi per uno stipendio di cittadinanza legato, molto probabilmente, ad un lavoro sottopagato in stile cooperativistico, in cui i riferimenti alla dignità del lavoro e all’articolo primo della Costituzione sono da leggere in chiave puramente strumentale all’abbassamento della spesa di ciò che rimane dei servizi destinati ai cittadini e del costo del lavoro. Oppure alla straordinaria promessa di Calenda per ventimila nuovi posti di lavoro in Italia: tutti nei call center, una volta che le compagnie interessate avranno ridimensionato quelli aperti in Romania, Albania, Polonia e in altri paesi dove il valore dei salari è ormai prossimo a quelli pagati nel sud italiano. Tutte le risposte arriveranno da sole.

(2 continua)


  1. In realtà il suo vero nome era Aleksandr, ma nel giorno del record il corrispondente locale della Pravda aveva scritto per sbaglio Aleksej. In pochi giorni la complessa burocrazia sovietica cambiò tutti i suoi documenti per adeguarli alla svista del giornale. Pravda vuol dire verità e per questo non ammetteva smentite  

  2. Se ne presenta qui un estratto da una versione ricostruita che le riassume un po’ tutte:
    […] John Henry disse al capitano*:
    «Capitano, andate in città
    Portatemi due mazze di quelle da dieci chili
    Vedrete come batto la trivella, Signore, Signore
    Vedrete come batto la trivella»

    John Henry disse alla sua gente:
    «Sapete che uomo sono io.
    Posso battere ogni tappola che è mai stata inventata
    O morirò con la mazza stretta in pugno, Signore, Signore
    O morirò con la mazza stretta in pugno»

    La trivella era messa sulla destra:
    John Henry sul lato sinistro.
    Disse: «Batterò la trivella a vapore
    Oppure mi ucciderò a mazzate, Signore , Signore
    Oppure mi ucciderò a mazzate»

    John Henry buttò la mazza da cinque chili
    E prese quella da dieci;
    Ogni volta che batteva sulla mazza
    Il ferro trapassava la roccia, Signore, Signore
    Il ferro trapassava la roccia

    John Henry aveva appena cominciato
    E la trivella era già a metà;
    John Henry le disse: «Adesso sei avanti, trivella
    Ma all’ultimo vedrai che ti batto, Signore, Signore
    All’ultimo vedrai che ti batto»

    […] L’uomo che aveva fabbricato la trivella
    Pensava fosse buona assai;
    Johnn Henry avanzò per più di quattro metri
    La trivella ne fece a stento tre, Signore, Signore
    La trivella ne fece a stento tre.

    […] John Henry era uno spaccapietre,
    In tante squadre lavorò;
    Adesso è tornato all’inizio dei binari
    Per scavare ancora più lontano, Signore, Signore
    Per scavare ancora più lontano
    ”.
    Questa versione rielaborata si trova in Colson Whitehead, John Henry Festival, Minimum Fax 2002, pp. 108-113 *Capitano, captain in ambiente di lavoro sta per caposquadra, ma poteva anche essere colui che dirigeva il lavoro degli schiavi oppure i condannati al lavoro forzato.  

  3. Si veda a proposito di questa transizione: C.L.R. James – H. M.Baron – H.G. Gutman, Da schiavo a proletario, Musolini Editore 1973  

  4. Fondamentali, in questo senso, sono da ritenersi le riflessioni di Marx ed Engels scritte a caldo in quegli anni. Si vedano in: Marx – Engels, La guerra civile, Silva Editore 1971 e Hosea Jaffe, Marx e il colonialismo, Jaca Book 1977  

  5. Si ascoltino, solo come esempio tra i tanti, i due cd pubblicati dalla Rounder nel 1997: Prison Song. Historical recordings from Parchman Farm 1947-48, Volume 1: Murderous Home e Volume 2: Don’tcha Hear Poor Mother Calling?  

  6. cfr. http://www.repubblica.it/esteri/2010/08/13/news/stkanovista_super-6257615/  

  7. Cosa fu Gesù Cristo se non l’incarnazione di un ennesimo semi-dio?  

  8. Autrice nel 1852 dell’omonimo Uncle Tom’s Cabin or Life Among the Lowly  

  9. Protagonisti di infinite rivolte e azioni violente contro i proprietari e i loro cacciatori di schiavi, come si può leggere in George P. Rawick, Lo schiavo americano dal tramonto all’alba: la formazione della comunità nera durante la schiavitù negli Stati Uniti, Feltrinelli 1979  

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Come tombe sul bordo della strada https://www.carmillaonline.com/2016/06/15/tombe-sul-bordo-della-strada/ Wed, 15 Jun 2016 20:01:15 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=31196 di Sandro Moiso

in the pines Erik Kriek, In The Pines. 5 Murder Ballads, Postfazione di Jan Donkers, Eris, Torino 2016, pp. 136, € 16,00

La giovane e coraggiosa (Associazione culturale) Eris, specializzata nella pubblicazione di opere narrative di giovani autori e di fumetti, realizzati a livello internazionale e al di fuori del mainstream statunitense dei comics, dopo aver già precedentemente proposto la trasposizione a fumetti di alcuni famosi racconti di H. P. Lovecraft,1 ci offre oggi, ad opera di uno dei più [...]]]> di Sandro Moiso

in the pines Erik Kriek, In The Pines. 5 Murder Ballads, Postfazione di Jan Donkers, Eris, Torino 2016, pp. 136, € 16,00

La giovane e coraggiosa (Associazione culturale) Eris, specializzata nella pubblicazione di opere narrative di giovani autori e di fumetti, realizzati a livello internazionale e al di fuori del mainstream statunitense dei comics, dopo aver già precedentemente proposto la trasposizione a fumetti di alcuni famosi racconti di H. P. Lovecraft,1 ci offre oggi, ad opera di uno dei più famosi ed originali disegnatori olandesi, la rilettura di alcune delle più famose “Murder Ballads” della tradizione folk anglo-americana.

Erik Kriek, nato ad Amsterdam nel 1966 dove tuttora vive e lavora, nasce, a suo dire, come musicista ancor prima che come disegnatore di fumetti e proprio con la presente opera riunisce le sue due principali passioni. Nell’edizione originale il testo era accompagnato da una riproposizione musicale, su cd e ad opera dello stesso Kriek, delle cinque ballate contenute nelle sue pagine più quella che dà il titolo all’opera che non compare, però, tra le cinque narrate dai disegni dell’autore olandese.erik-kriek

Ma cosa sono le murder ballads cui si fa riferimento? Molti lettori probabilmente ricollegheranno le ballate omicide all’omonimo disco di Nick Cave, pubblicato nel 1996 dalla Mute Records, ma in realtà si tratta di una tradizione narrativa e musicale molto più antica. Soprattutto, come si diceva all’inizio, nel contesto folklorico anglo-americano.

Sono storie di assassini e di omicidi, di violenze banditesche e di rappresaglie della giustizia. Costituiscono spesso la memoria di femminicidi oppure di manifestazioni della violenza maschile, e talvolta femminile, connessa all’amore passionale. O meglio ad una sua distorta e brutale interpretazione. E stanno molto spesso alla base di tantissimi successi rielaborati e rivisitati nell’ambito della musica rock e di tanta musica folk inglese ad americana.

Sono state cantate e, spesso, rese famose da personaggi come Woody Guthrie, Bob Dylan, Bob Frank, Dave Van Ronk e da un’infinità di altri cantastorie bianchi e afro-americani. Costituiscono un patrimonio immenso di storia orale e popolare e hanno contribuito a dar vita ad un’epica delle classi subalterne più profonda, ben al di là della semplicistica immagine risultante dalla, troppo spesso, retorica riproposizione dei canti del lavoro e delle lotte.

long black veilLong Black Veil”, una delle ballate disegnate da Kriek, ha costituito un grande successo per Johnny Cash, ma è stata interpretata anche dai Byrds (soltanto dal vivo), da Nick Cave, nel disco “Kicking Against the Pricks” del 1986, e da molti altri ancora. E’ la storia di un uomo ingiustamente accusato di omicidio e condannato a morte, a causa di un tranello tesogli dal marito della donna da lui amata, e del lutto che la donna del suo cuore porterà in seguito per sempre con sé.

La stessa “In The Pines”, che dà il titolo al libro, ha avuto un’infinità di versioni, spesso contraddittorie tra di loro e accomunate talvolta soltanto da pochissimi versi.
Kurt Cobain e i Nirvana ne hanno data una delle interpretazioni più drammatiche2, ma prima della loro versione se ne conoscono molte altre incise nei contesti più diversi e dai titoli più disparati. Da Leadbelly ad una moltitudine di cantanti e gruppi degli anni sessanta, come ad esempio i texani Sir Douglas Quintet, oppure da gruppi glam come i Mott The Hoople.

pretty polly Anche le altre ballate riscritte dai disegni di Kriek affondano le loro radici in una tradizione che risale all’Ottocento e talvolta anche al Settecento. “Pretty Polly”, ad esempio, è la storia della vendetta del fantasma di una donna che insegue il proprio assassino anche sull’ oceano, fino a spingerlo a suicidarsi tra le onde del mare in tempesta. Mentre “Taneytown”, “Caleb Meyer” e “Where The Wild Roses Grow” hanno risalito il corso del tempo per giungere fino a noi attraverso le versioni di artisti come gli Stanley Brohers, Judy Collins, Sandy Denny, Steve Earle, la Band, Grateful Dead, Gillian Welch e Handsome Family. Ma non voglio citarli qui tutti proprio perché nella postfazione a cura di Jan Donkers il lettore potrà trovare una colta ed istruttiva ricostruzione dei percorsi discografici seguiti dalle stesse. E che i magnifici disegni dell’autore,ispirati dalla grafica degli EC Comics degli anni cinquanta, privi di “garanzia morale” e visti come fumo negli occhi dai benpensanti dell’epoca, rendono in maniera davvero drammatica ed immaginifica.

A queste si potrebbero aggiungere altre famosissime canzoni, non contenute nella ricostruzione di Kriek, come “Hey Joe”, resa celebre dal primo 45 giri di Jimi Hendrix nel 1966 e poi ripresa da centinaia di gruppi in tutto il mondo. Basti citare, oltre al solito australiano Nick Cave, anche la versione sessantottesca, adrenalinica e folle dei nipponici Golden Cups. La storia di un femminicidio premeditato e di un uomo che viaggia solo, sulla strada per il Messico e armato di un fucile a pompa, per raggiungere la sua donna e l’uomo con cui è fuggita.

Oppure la straordinaria “Tom Dooley” che, nel 1958 con il successo internazionale della versione eseguita dal Kingston Trio (giunse al vertice di tutte le classifiche internazionali, Italia compresa), aprì più di ogni altra istanza la strada al successo del folk revival al di qua e al di là dell’Oceano Atlantico. Una canzone che risale agli anni successivi alla Guerra di secessione americana e che narra l’attesa della morte per impiccagione di un ex-soldato confederato, Tom Dooley appunto, per l’uccisione della sua fidanzata. In questo caso però la canzone sembra non voler dare un giudizio certo sulla colpevolezza del condannato, forse per drammatizzarne di più le parole e i rimpianti in esse contenuti.

long black veil 1Questi drammi costituiscono, però, soltanto una piccola parte di quell’imponente eredità di storie che la memoria popolare ci ha trasmesso attraverso la popular music.
In una sua prefazione ad un’antologia di canzoni popolari americane incise tra il 1913 e il 1938, Tom Waits ha scritto: “Cicloni, inondazioni, fame, questioni di soldi, naufragi, epidemie, uragani, suicidi, infanticidi, omicidi, malessere, incidenti ferroviari ed aerei, incendi…disastri. Non hanno costituito soltanto il pane e il burro oppure la succulenta bistecca del business della notizia.

Tutto ciò è contenuto anche nelle canzoni popolari: tragiche cronache dei pericoli connessi all’esistenza umana. Canzoni che sono come fosse scavate in fretta lungo le strade e appena ingentilite da croci di legno mentre il delitto era ancora fresco […] Nei tardi anni Venti e nei primi anni Trenta la Depressione strangolava la Nazione. Quello fu il tempo in cui le canzoni costituivano strumenti per poter continuare a sopravvivere. Un’intera comunità cercava di rielaborare i propri lutti e le proprie perdite , diffondendone così i semi della memoria. Questa collezione è un giardino selvaggio sviluppatosi da quei semi”.3

La stessa cosa si potrebbe dire di questa bellissima, preziosa e commovente raccolta di storie che Erik Kriek e la Eris ci hanno voluto così intelligentemente proporre nella collana Kina.


  1. Erik Kriek, H.P. Lovecraft Da altrove e altri racconti, Collana Kina, 2014, pp. 112  

  2. con il titolo “Where Did You Sleep Last NIght” nel disco “Unplugged in New York City” del 1994  

  3. Tom Waits, The Daily Record in People Take Warning! Murder Ballads & Disaster Songs, 1913 – 1938, libro e box di tre cd a cura di Christopher C. King e Henry “ Hank” Sapoznik, Tompkins Square 2007  

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