green economy – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Tue, 29 Apr 2025 20:00:41 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Il resto è chiacchiera https://www.carmillaonline.com/2023/10/04/tutto-il-resto-e-chiacchiera/ Wed, 04 Oct 2023 20:00:01 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=78998 di Sandro Moiso

John Clegg, Rob Lucas, Jasper Bernes, Nutrire la rivoluzione. Cibo, agricoltura e rottura rivoluzionaria, Porfido Edizioni, Torino 2023, pp. 108, 5 euro

Michele Garau, L’ultrasinistra e il «partito storico» della rivoluzione, Porfido Edizioni, Torino 2023, pp. 63, 5 euro

E come le api nell’alveare deserto un cattivo odore emanano le parole morte (Nikolaj S. Gumĭlëv – La parola, 1921)

Il poeta acmeista Nikolaj Gumĭlëv, marito della poetessa russa Anna Achmatova dal 1910 al 1918, poi fucilato dai bolscevichi nel 1921 per aver preso parte alla guerra civile come ufficiale delle armate bianche, sicuramente pensava alle parole [...]]]> di Sandro Moiso

John Clegg, Rob Lucas, Jasper Bernes, Nutrire la rivoluzione. Cibo, agricoltura e rottura rivoluzionaria, Porfido Edizioni, Torino 2023, pp. 108, 5 euro

Michele Garau, L’ultrasinistra e il «partito storico» della rivoluzione, Porfido Edizioni, Torino 2023, pp. 63, 5 euro

E come le api nell’alveare deserto
un cattivo odore emanano le parole morte
(Nikolaj S. Gumĭlëv – La parola, 1921)

Il poeta acmeista Nikolaj Gumĭlëv, marito della poetessa russa Anna Achmatova dal 1910 al 1918, poi fucilato dai bolscevichi nel 1921 per aver preso parte alla guerra civile come ufficiale delle armate bianche, sicuramente pensava alle parole cadute in disuso o a quelle espresse dal vuoto ideologismo di regime quando scrisse, nello stesso anno della sua fucilazione, il poema citato in epigrafe. Ed è proprio a partire da una riflessione sulle parole morte oppure nate morte che sembra utile a chi scrive iniziare a svolgere una riflessione sui due interessanti testi pubblicati dalle edizioni Porfido qui recensiti.

In effetti viviamo, soprattutto i più giovani, in anni di parole nate morte, pretenziose nel voler disvelare il mondo e assolutamente inutili per un un percorso reale di cambiamento dello stesso. Green economy, uso dell’asterisco, dello schwa o di altri segni che “opacizzano” le desinenze maschili e femminili, e mille altri piccoli sotterfugi linguistico-ideologici che suggeriscono la possibilità di cambiare il mondo a partire da una concezione platonica della funzione della parola, senza peraltro misurarsi con il gigantesco problema di rovesciarlo, distruggendo il modo di produzione e riproduzione della vita che “materialmente” lo fonda nella sua forma attuale.

Vale per gli esempi appena fatti e vale per un termine come “antropocene” che tende a dare l’dea di un mondo “completamente” a misura d’uomo, in cui la specie, in ogni sua manifestazione sociale e produttiva, si rivelerebbe capace di dominare e trasformare l’ambiente e lo spazio in cui vive, fino alla sua completa distruzione, fin dalla sua comparsa sulla Terra, mentre alcuni già proiettano le disastrose conseguenze della sua capacità di “terraformazione” su altri pianeti, per ora mai raggiunti e ancora irraggiungibili (nonostante le sparate di Elon Musk e della NASA) a causa delle distanze e dei mezzi tecnici realmente a disposizione di chi ne teorizza la diffusione.

Chi qui scrive è abbastanza anziano per contare tra i suoi libri un vecchio testo di Edward Hyams, Terre e civiltà (in origine Soil and Civilization), edito dal Saggiatore nel 1962, ma la cui edizione originale inglese risaliva a dieci anni prima. Già all’epoca lo scrittore e ricercatore di origine britannica, articolista per una delle più antiche riviste di sinistra di lingua inglese («The New Statesman», fondata da esponenti della società fabiana fin dal 1913), pur nel delineare l’evidente parassitismo dell’uomo nei confronti della terra e degli spazi occupati dalle sue società e dai diversi modi di produzione, non dimenticava di sottolineare che: «Esistono dei mutamenti climatici, ma essi sono anche influenzati dalle civiltà, e quindi dalla presenza di uomini dediti a una particolare economia» ovvero che non tutte le forme di organizzazione sociale e della produzione hanno influito in egual modo nei confronti del clima, dell’ambiente e delle sue risorse primarie.

Ad esempio, Hyams ricordava come nelle terre delle primitive comunità germaniche, e nelle forme loro sopravvissute in Età medievale in Europa, «venivano ripartiti i terreni da coltivare per trarne il sostentamento, terreni chiamati family land […] Ma, va sottolineato, ciò che era in tal modo divisibile non era la terra come proprietà materiale ma una partecipazione al diritto di fare certi usi della terra»1. Tale sistema, secondo l’autore inglese, «era stabile e il suo trattamento della terra, quantunque non certo ideale, fu tale che quando la rivoluzione agraria introdusse la high farming, la terra con cui i nuovi uomini ebbero a lavorare era, nel complesso, in condizioni di floridezza»2.

Una terra coltivata per secoli era stata conservata in condizioni di “floridezza” nonostante lo sfruttamento umano conseguente non soltanto alla rivoluzione agraria a cavallo tra XVI e XVIII secolo, ma anche a quanto avvenuto fin dalla prima rivoluzione agricola avvenuta sul finire del Paleolitico, circa dodicimila anni anni prima. Sempre secondo Hyams tale sistema, basato sulla « responsabilità collettiva dell’amministrazione della terra, regolata dalla consuetudine e l’armonioso ordinamento di mutuo servizio dalla sommità alla base, il tutto posante sul sistema di coltivazione su terreno pubblico – tale era lo stato dell’Europa atlantica da circa il 500 d. C. al 1500» era entrato in crisi quando «la graduale sostituzione di una economia commerciale all’autoconsumo andava abbattendo questo sistema e introducendo quello della proprietà privata, che gli successe»3.

Ipotesi che collima perfettamente con quanto affermano le ricerche storiche più recenti a proposito del golden spike da fissare per definire il momento in cui l’attività umana inizia a diventare decisiva per comprendere l’evoluzione non tanto delle società quanto del clima e dell’ambiente.

Avendo stabilito che la Terra si sta avviando verso un nuovo stato, esaminiamo i sedimenti geologici per definire un’epoca, proprio come si sono definite le epoche passate della storia della Terra. Occorre scegliere un cambiamento chimico o biologico specifico che segni l’inizio di un nuovo strato sedimentario influenzato dall’umanità. Questo marcatore deve essere anche correlato ai cambiamenti in altri sedimenti in tutto il mondo. Il marcatore, chiamato «chiodo d’oro» (golden spike), indica: dopo questo punto la Terra procede verso un nuovo stato.
Abbiamo passato ai vaglio i vari chiodi d’oro che sono stati proposti e la conclusione della nostra analisi è che la prima data in cui questi criteri geologici sono stati soddisfatti è l’anno 1610, contrassegnato da una riduzione di breve durata ma pronunciata dell’anidride carbonica atmosferica presente in una carota di ghiaccio antartico, che raggiunse il livello minimo quell’anno. Il 1610, il cosiddetto Orbis spike, (chiodo globale, dal latino orbis: mondo, globo – NdR) segna il momento in cui si può osservare lo scambio colombiano4 nei sedimenti geologici.
Gran parte della diminuzione avvenne perché gli Europei portarono per la prima volta nelle Americhe il vaiolo e altre malattie, causando la morte di più di 50 milioni di persone in pochi decenni. Il collasso di queste società portò alla riforestazione dei terreni agricoli in un’area tanto estesa che la quantità di anidride carbonica atmosferica assorbita dagli alberi in crescita fu sufficiente a raffreddare temporaneamente il pianeta – l’ultimo momento globalmente freddo prima dell’inizio del caldo durevole dell’Antropocene [Questo] è il cambiamento decisivo nella relazione Homo sapiens con l’ambiente. In termini narrativi, l’Antropocene iniziò con la diffusione del colonialismo e della schiavitù: è la storia di come le persone trattano l’ambiente e di come trattano i propri simili […] La nostra tesi è che dall’inizio del mondo moderno nel Cinquecento due circuiti di feedback auto-rinforzati e collegati – l’investimento dei profitti per generare altri profitti e la produzione crescente di conoscenza mediante il metodo scientifico – hanno dominato in misura sempre maggiore le culture del mondo. Queste forze hanno scatenato tassi di cambiamento, compreso il cambiamento ambientale, sempre più elevati5.

La nascita dello sfruttamento intensivo del pianeta e della specie coincide con la nascita del capitalismo mercantile, cui seguirà poco più avanti quello industriale e finanziario, e il fatto rende evidente come il termine Antropocene rischi di essere non solo riduttivo, ma addirittura fuorviante. Motivo per cui andrebbe sostituito, come suggerito già da altri autori e in altre e numerose sedi, da quello di Capitalocene, proprio per indicare una responsabilità non genericamente “umana”, ma di un ben definito e preciso (e distruttivo) modo di produzione e del conseguente modello sociale e di consumo che ne sono derivati.

Anche se a qualche lettore potrà sembrare che la lunga disquisizione fin qui condotta sia servita soltanto a menar il can per l’aia, in realtà va qui affermato che il primo dei due libelli editi da Porfido, Nutrire la rivoluzione, proprio in quest’ambito di riflessione va a situarsi, ovvero su quali siano le responsabilità effettive (sociali, politiche, economiche e scientifiche) non solo dei cambiamenti climatici in atto, ma anche della difficoltà sempre più crescente nel produrre e distribuire cibo senza creare miseria, fame, dipendenza e danno per i suoli, l’ambiente e il futuro del pianeta e della specie.

Nel fare questo, soprattutto nel saggio di Jasper Bernes (Il ventre della rivoluzione: agricoltura, energia e futuro del comunismo, pp. 43 – 94), non si dimenticano affatto alcuni autori classici del socialismo, cui nel libro, e a ragione, si rimprovera di essersi lasciati spesso fuorviare da un’eccessiva fiducia nel progresso di stampo borghese, ma utilizzando comunque ancora le pagine migliori espresse da quegli stessi nei loro testi. Come capita, ad esempio, nei confronti di Friedrich Engels e della sua analisi del rapporto tra città e campagna e di come questo dovrebbe essere modificato in futuro.

La soppressione dell’antagonismo tra città e campagna non solo è possibile, ma è diventata una diretta necessità della stessa produzione industriale, così come è diventata del pari una necessità della produzione agricola ed inoltre dell’igiene pubblica. Solo con la fusione di città e campagna può essere eliminato l’attuale avvelenamento di acqua, aria e suolo, solo con questa fusione le masse che oggi agonizzano nelle città saranno messe in una condizione in cui i loro rifiuti siano adoperati per produrre le piante e non le malattie6.

Cui andrebbe forse aggiunta un’altra osservazione, più tarda (1952) ma pur sempre in anticipo sui tempi attuali, di Amadeo Bordiga sulla necessità di giungere all’«arresto delle costruzioni di case e luoghi di lavoro intorno alle grandi città e anche alle piccole, come avvio della distribuzione uniforme della popolazione sulla campagna» (Cfr. qui).

I due testi riportati nel volumetto7 ruotano intorno al problema, tutt’altro che risolto in passato, del rapporto intercorrente tra Rivoluzione e Ri/costruzione di una società altra definibile come comunista e provengono da autori che a vario titolo ruotano intorno alla rivista «Endnotes» realizzata da un gruppo di discussione, con sede in Germania, Regno Unito e Stati Uniti, orientato principalmente a definire le condizioni per un possibile superamento comunista del modo di produzione capitalistico.

Per chi scrive risulta particolarmente importante che tali riflessioni, dedite a recuperare l’esperienza dell’ultrasinistra francese post-68 e conseguentemente della Sinistra Comunista nel suo senso più ampio, siano svolte a partire da quello che è ancora, nonostante l’epoca di crisi, il cuore del capitalismo occidentale e delle sue forme di dominio politico, economico, militare e culturale. Recuperando “parole” e ambiti di riflessione che solo gli allocchi della modernità possono considerare “superati” dalle parole vuote, “morte alla nascita” e inconsistenti cui si è accennato in apertura.

Come affermano i due autori di Le tre rivoluzioni agricole, anche se Marx era notoriamente restio a dare al termine “comunismo” qualsiasi connotazione prefigurativa “da osteria” e preferiva definirlo come il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti, pur rimanendo ferreamente motivata la necessità di incentrare l’attenzione sulle lotte e il loro sviluppo storico, è evidente che tale affermazione possa condurre a ragionamenti di tipo teleologico, «perché senza un criterio atto a definire le lotte e i loro limiti» i rivoluzionari, o pretesi tali, si troverebbero ad aggirarsi in circolo all’inseguimento di lotte e posizioni che di volta in volta sorgono dalle infinite, e irrisolvibili al suo interno, contraddizioni derivanti dall’ordinamento socio-politico-economico imposto dall’attuale modo di produzione.

Con tutta la sequela di inutili speranze, illusioni, confusioni e “creatività linguistica” non dettate dalla effettiva capacità di interpretare il “reale” in vista di una sua trasformazione radicale, ma piuttosto dalla volontà di affrontarlo con poco sforzo e semplici affermazioni di principio (quale principio, poi, sarebbe ancora tutto da vedere), oggi facilmente condivisibili sui social. Spesso costeggiando le spiagge del politically correct liberale contemporaneo che forse rappresenta ancora, a più di cinquant’anni di distanza, la peggiore eredità del ’68. Che si liberò spesso più rapidamente del filo rosso della tradizione rivoluzionaria che di una concezione individualistica dei conflitti sociali che discendeva dritta, dritta dal liberalismo borghese.

Ed è a partire proprio da questo secondo ragionamento che si rivela altrettanto interessante, anche se più contraddittoria, la lettura del secondo dei due testi qui proposti: quello di Michele Garau sull’ultrasinistra e il «partito storico» della rivoluzione.

Se nel primo dei due testi, come si è detto poco innanzi, l’attenzione oltre che alla possibile progettualità comunista era rivolta anche alla necessaria critica di un ”marxismo” spesso infarcito di esagerate speranze nello sviluppo della tecnologia di stampo capitalistico e di una scienza troppe volte rivelatasi coscientemente asservita, facendo sì che le necessità produttive, di consumo e di dominio inficiassero sempre più pesantemente gran parte della ricerca scientifica ottundendone finalità e libertà, nel secondo l’attenzione dell’autore si rivolge in particolare al fatto che l’analisi, per quanto attenta e radicale del reale e della storia del movimento operaio, possa talvolta perdere il “filo rosso” per trasformarsi in una compiaciuta dissertazione rinunciataria sull’inevitabilità della sconfitta.

Per fare questo, come si afferma fin dal titolo, il volumetto analizza in particolare le derive del pensiero di Jacques Camatte e dell’ultra-sinistra più in generale. Che, come già si sottolineava nel primo dei due testi, rischiano di trasformarsi in una sorta di visione teleologica del divenire, spesso nemmeno più ipotizzando una possibile azione rivoluzionaria, ma soltanto auspicando l’inevitabilità del cambiamento.

Al di là delle conclusioni cui Garau giunge, dimenticando però che per la Sinistra Comunista le “lezioni delle controrivoluzioni” ovvero delle sconfitte (tante) sono altrettanto importanti di quelle derivanti dalle vittorie (poche e transitorie), quello che val la pena qui di sottolineare è come ancor oggi, nell’epoca del trionfo delle parole “morte”, sia necessario far riferimento, seppur in maniera critica, a testi tutt’altro che defunti, che solo la polvere alzata inutilmente dagli sproloqui degli innovatori linguistici (più che dei contenuti politici utili alla lotta per il rovesciamento di questo immondo “reale”) può cercare ancora di nasconderne il significato ultimo sotto una montagna di fumisterie.

Un’autentica battaglia per la “decolonizzazione” dell’immaginario fondata su parole e discorsi che ad alcuni potranno sembrare fuori luogo o superate, ma che ricordano ancora oggi, dopo decenni di ricerche di nuovi soggetti, nuove cause e diritti per cui battersi, che la lotta di classe deve avere un centro di aggregazione e che questo, piaccia o meno, si tratti pure di liberazione della donna, di lotta contro la guerra impellente e sempre più presente o di salvaguardia dell’ambiente che ancor ci resta per vivere, deve fondarsi sul coinvolgimento della maggioranza o di una significativa minoranza della classe oppressa per eccellenza, qualunque sia il suo sesso, il colore della sua pelle o la sua dislocazione geografica: quella proletaria.

Classe, quella proletaria, che d’altra parte non può certo permettersi il lusso di commuovere ministri come Pichetto Fratin col piagnisteo sul futuro che gli viene negato o che gli è stato “rubato” poiché, fin dal suo primo apparire sulla scena della Storia, il proprio futuro, insieme a quello dell’intera specie, ha sempre dovuto conquistarselo con scioperi, lotte, battaglie spesso sanguinose, sofferenze e rivoluzioni (nient’affatto improvvisate o di velluto).


  1. E. Hyams, Terre e civiltà, «Il Saggiatore», Milano 1961, p. 197  

  2. Ivi, p. 198  

  3. Ivi, p.197  

  4. Con scambio colombiano si intende generalmente lo scambio biologico (flora, fauna, malattie, virus e batteri) avvenuto tra Vecchio e Nuovo continente a partire dalla “scoperta” dell’America nel 1492.  

  5. Simon L. Lewis, Mark A. Maslin, Il pianeta umano. Come abbiamo creato l’Antropocene, Giulio Einaudi Editore, Torino 2019, Prefazione, pp.XVII – XVIII.  

  6. F. Engels, Anti-Dühring ora in J. Bernes, Il ventre della rivoluzione in J. Clegg, R. Lucas, J. Bernes, Nutrire la rivoluzione. Cibo, agricoltura e rottura rivoluzionaria, Porfido Edizioni, Torino 2023, p. 56  

  7. L’altro è quello di J. Clegg, R. Lucas, Le tre rivoluzioni agricole, pp. 17 – 39  

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I segreti dell’energia del vacuum: l’Energia Punto-Zero https://www.carmillaonline.com/2017/03/23/segreti-dellenergia-del-vacuum-lenergia-punto-zero/ Wed, 22 Mar 2017 23:01:37 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=37020 di Maverick

puntozero1Ricorda, i nostri ET non violenti dal vicino universo ci stanno aiutando a portare sulla Terra l’Energia Punto Zero. Non tollereranno alcuna forma di violenza militare sulla Terra o nello spazio” (Edgar Mitchell, astronauta a John Podesta – fonte Wikileaks)

Una piccola notizia raccolta nel sito della Nasa e riportata, forse come filler o come “curiosità”, in un altrettanto piccolo trafiletto sull’inserto “Tuttoscienze” de “La Stampa” del 14 Dicembre 2016, ci dà l’occasione per riprendere un discorso già avviato1. Sotto il titolo “Test della Nasa. Il motore impossibile”, si [...]]]> di Maverick

puntozero1Ricorda, i nostri ET non violenti dal vicino universo ci stanno aiutando a portare sulla Terra l’Energia Punto Zero. Non tollereranno alcuna forma di violenza militare sulla Terra o nello spazio” (Edgar Mitchell, astronauta a John Podesta – fonte Wikileaks)

Una piccola notizia raccolta nel sito della Nasa e riportata, forse come filler o come “curiosità”, in un altrettanto piccolo trafiletto sull’inserto “Tuttoscienze” de “La Stampa” del 14 Dicembre 2016, ci dà l’occasione per riprendere un discorso già avviato1. Sotto il titolo “Test della Nasa. Il motore impossibile”, si diceva del “motore spaziale EmDrive, definito ‘impossibile’ perchè promette di produrre energia a partire dal vuoto e spingere le astronavi senza utilizzare alcun combustibile…”, un motore “che sembra violare alcuni dei principi-cardine della fisica”.

Quella parola, “vuoto”, messa li un po’ genericamente, poteva suonare insignificante al lettore distratto. Al sottoscritto ha fatto rizzare le antenne perchè la definizione di vacuum in astronomia indica il vuoto delllo spazio, un tessuto di materia, antimateria e energia solida (cioè massa): “Essa permea l’intero universo e fluttua continuativamente come interazione tra materia e antimateria […] è una riserva grande quanto l’universo…si annichila e si ricrea da sola” riferisce il prof. Paul Czysz.2

zero_point_energy Quell’energia ricavata dal vuoto spaziale è chiamata Zero-point Energy e, sempre secondo Czysz, “fornisce circa 40-50 megawatts di potenza per pollice cubo (3 cmc) di spazio. Volendola utilizzare nessuno venderebbe più benzina o petrolio“. Secondo Sakharov che ci lavorava, “è un oceano di energia galleggiante, congelata in un quantum temporale, infinita come l’universo” che confermerebbe l’esistenza e la permeazione di onde gravitazionali ma soprattutto confermerebbe le tesi di Thomas T. Brown e di Tesla secondo cui con il giusto “sistema”, il giusto spettro elettromagnetico, si potrebbe alimentare dalla Terra una base umana su Marte, si potrebbe garantire energia infinita, “pulita” e decretare la fine della dipendenza dal petrolio con tutto ciò che ne consegue per i benefici all’umanità: ci si potrebbe alimentare qualsiasi cosa, dalle automobili ai voli spaziali.

E in tema di propulsione, Hal Puthoff, fisico teoretico e sperimentale con un curriculum che comprende General Electric, Stanford University, Sri International, Institute for Advanced Studies e, non casualmente, un periodo di consulenza alla Nsa, riferisce che “l’Air Force stabili un programma chiamato Mass Modification per studiare la possibilità di applicare le prerogative dell’Energia Punto Zero alla propulsione spaziale e verificò le (nostre) teorie consultando laboratori, aziende e università…una delle potenziali applicazioni minori è la produzione di energia a basso costo per la desalinizzazione dell’acqua3

Un sistema che assorba Zero-point Energy e le impedisca di interagire con la struttura atomica di un velivolo spaziale – spiega Mark McCandish, contractor di grandi aziende del settore aerospaziale – favorendone allo stesso tempo la potenza, potrebbe sviluppare capacità antigravitazionali straordinarie, ridurre di molto la massa del velivolo e favorire il superamento della velocità della luce. L’Alien Reproduction Vehicle (Arv) che McCandish sostiene di aver esaminato presso la Norton Air Force Base di San Bernardino, California, sarebbe dotato di un dispositivo centrale, definito vacuum tube, appositamente destinato a convogliare Energia Zero e processarla per ottenere prestazioni sorprendenti.4

L’energia estratta dal vacuum viene definita “Zero-point” perché può sopravvivere al congelamento a zero gradi dell’universo, una temperatura che annichilerebbe ogni movimento fisico. Dello stato attuale della ricerca che la riguarda si sa molto poco perchè è annegata nel magma degli USAPs, gli Unaknowledged Special Access Programs, programmi “non riconosciuti” cioè supersegreti, finanziati in nero. Ma si sa dei risultati conseguiti da scienziati indipendenti che hanno elaborato teoria e prototipi in grado di convogliarla, i cosiddetti overunity systems (ad autoalimentazione e funzionamento autonomo), ma non hanno la forza economica per produrli e trovano innumerevoli ostacoli per ottenerne il brevetto.5

Risulta infatti che a partire dai risultati conseguiti dai fisici russi Vladimir Roshchin e Serge Godin, che negli anni Novanta misero a punto un Convertitore di Energia Magnetica (MEC), sia stato possibile individuare un apporto anomalo di energia, un surplus di alimentazione del Mec riconducibile all’energia del vuoto dell’universo, che supporta la creazione di fenomeni di elettrogravità riconducibili ai comportamenti degli Ufo riscontrati in diverse occasioni, quel librarsi immobili su acqua o terreno causandone prima un risucchio e successivamente, nel momento della fulminea “ripartenza”, l’espulsione.6

Chi sembra aver messo a punto i principi su cui è basata la produzione di Energia Punto Zero è il prof. Thomas E. Bearden, secondo cui “la libera fonte universale di energia che i ricercatori si propongono di estrarre è lo scambio violento di fotoni virtuali tra le cariche elettriche dell’overunity system e il vacuum quantistico che lo avvolge“.7 Per trovare la soluzione, Bearden ha dovuto riformulare in senso rivoluzionario il concetto di energia: “Energia è qualsiasi elemento ordinatore, statico o dinamico, del flusso di particelle virtuali del vuoto” e cosi quella elettromagnetica “è ordinatore del flusso di fotoni virtuali del vuoto“. Il segreto – dice Bearden – sta nel superare le teorie convenzionali sulla composizione della natura come la conosciamo: tridimensionale. Mentre invece la natura lavora in quattro dimensioni perchè include lo spazio-tempo; si tratterebbe quindi di interrompere il flusso energetico tridimensionale, favorire l’in-flusso dalle quattro dimensioni e accompagnarne la trasformazione per utilizzarne l’eccesso. Il problema non è catturare l’energia dello spazio, ma come favorirne la produzione in eccesso. Risolto quel problema – afferma Bearden- è come risucchiare acqua da un fiume: il vuoto si riempie simultaneamente.8

Se Bearden ha formulato la teoria, chi ha invece prodotto un dispositivo per generare energia dal vuoto è il fisico Floyd Sweet. L’ha chiamato Vacuum Triode e può produrre energia in eccesso fino a 5000 Watt. Con il meccanismo universale studiato da Bearden e il dispositivo di Sweet si possono sviluppare applicazioni anche in campi diversi, come per esempio la medicina per bloccare l’invecchiamento o curare cancro, leucemia e arteriosclerosi.

Ci sono notizie anche dall’Italia: l’enigmatico scienziato iraniano Mehran Keshe che da noi ha stabilito la sua Fondazione per gli studi energetici e la propulsione aerospaziale, sostiene di aver prodotto (e brevettato in almeno 300 applicazioni) un microreattore che stimolando i campi magnetici e convogliando il vacuum dell’universo che ci circonda sarebbe capace di produrre energia libera, pulita e infinita (quindi a basso costo) da utilizzare in ogni campo della scienza e in ogni aspetto della vita quotidiana, dal trasporto all’ambiente ai sistemi medico-sanitari alla nutrizione, all’agricoltura, alla decontaminazione nucleare.

Un caso diplomatico era scaturito dalla avvenuta consegna da parte del prof. Keshe dei protocolli del microreattore al Sottosegretario agli Esteri del governo Monti, Marta Dassù, il 26 Ottobre 2012 all’ambasciata italiana di Bruxelles. L’incontro e la consegna della chiavetta con i dati sono stati confermati dallo stesso Sottosegretario agli Esteri Marta Dassù nella risposta all’interrogazione alla Camera del deputato Fabio Meroni (Lega Nord) il 13 Dicembre 2012 . L’incontro sarebbe stato videoregistrato, ma secondo il protocollo diplomatico e il Sottosegretario Dassù, la registrazione non è divulgabile ”e non rappresenta la prova di un impegno ufficiale“. Lo stesso deputato Meroni ha reiterato nella stessa data l’interrogazione poiché la risposta scritta ricevuta non rispondeva alla richiesta di conoscere le valutazioni sulle tecnologie acquisite e “a quali enti, non specificati nella precedente risposta, siano stati inviati i file acquisiti e quali siano le valutazioni in corso“. La risposta del Ministero non risulta mai pervenuta e la chiavetta con i protocolli è sparita.9 Giova ricordare che sia Monti che la Dassù sono membri permanenti della Trilateral (Monti anche del club Bilderberg).10

Sta di fatto che tutti quelli che hanno creato dispositivi in qualche modo collegati alla produzione di energia dal vuoto avrebbero trovato gravi difficoltà nell’ottenere brevetti e nell’avere credito nei circuiti della scienza ufficiale. Altri, che hanno venduto i loro ritrovati a grandi aziende private – denuncia Bearden – si sono ritirati a vita privata ricchi mentre i loro studi sono stati risucchiati nei programmi segreti e mai diffusi pubblicamente. Qualcuno che si è rifiutato avrebbe fatto anche una brutta fine.11

In effetti, ci sono riscontri significativi sulla questione brevetti:; ad esempio la circolare del 15 gennaio 2008 dei direttori del US Patent and Trademark Office (Uspto) inviata alla sezione Tecnologie per ricordare agli esaminatori di non ammettere richieste che riguardassero soggetti di “interesse speciale” come: a) macchine da moto perpetuo (categoria che include tecnologie per produrre energie innovative; b) dispositivi antigravità; c) superconduttività del calore; d) energia libera; e) dispositivi di propagazione superluminale; f) altre materie che violano le leggi generali della fisica; g) richieste per scopi pioneristici; h) richieste per invenzioni che se diffuse genererebbero potenzialmente eccessiva pubblicità…”.12

In perfetta sintonia con il dogma accademico della scienza ufficiale che tutto deve controllare, che si tiene stretta i magri finanziamenti pubblici, che detta i confini insuperabili della ricerca: solo ciò che è osservabile sperimentalmente. La nuova fisica dell'”etere” sembra invece affermare che il mondo fisico è solo una manifestazione di un ambito molto più fondamentale e sottile che non è direttamente accessibile ai nostri sensi le cui proprietà possono essere sollecitate con l’aiuto delle appropriate tecnologie. Certo, riconoscere tali nuove linee di frontiera concettuale significherebbe forse accettare una visione del mondo e dell’universo in cui la scienza trova punti di contatto con il misticismo o la parapsicologia, ma quella consapevolezza potrebbe apportare all’umanità vantaggi sottoforma di nuova etica, di predisposizione a concepire le tecnologie avanzate che oggi ci vengono negate.

Da tutto questo grumo intricato di informazioni tanto si può dedurre.
1. Che esistono programmi avanzati secretati per produrre energia dal vuoto dello spazio tramite applicazioni di procedimenti collegati all’elettrogravità che la renderebbero multiutilizzabile;
2. Che tali programmi avanzati sono in possesso della stessa “community” privata/militare che possiede e gestisce altre tecnologie segrete collegate alla propulsione aerospaziale, un terreno che, si ammette apertamente, riguarda anche le ricerche sul fenomeno Ufo; una community clandestina all’opinione pubblica, un’ elite di potere che controlla la scienza tramite il segreto, la negazione dei brevetti, l’accaparramento tramite i black budget di ingenti finanziamenti, le conoscenze che derivano da livelli di sviluppo tecnologico forse non immaginabili da chi ne sta fuori, forse decenni più avanti rispetto alla realtà che viviamo;.
3. Che all’umanità vengono tenuti celati risultati e applicazioni civili di quella ricerca che porterebbero enormi vantaggi e avanzamenti nella qualità di vita, che inciderebbero positivamente sui fattori ambientali con l’abbandono della dipendenza dai carburanti fossili: una catastrofe economica per chi da quelli trae enormi profitti diretti e indiretti e controlla sviluppo e mercati.

Con l’apertura alle tecnologie dell’energia libera (free energy) anche le “innovazioni” tecniche e culturali della green economy risulterebbero più che superate, illusorie. E’ palese il sospetto che la green economy sia un diversivo indotto nel mercato per capitalizzare al massimo sui profitti e per dilazionare allo stesso tempo ulteriori passi nella diffusione degli avanzamenti tecnologici in campo energetico. Materia di riflessione per i movimenti ambientalisti: cerchiamo di non celebrare un ambientalismo innocuo.

Rimane la questione Nasa da cui siamo partiti: a giudicare dalla leak riportata sul proprio sito, la Nasa sembrerebbe aprire una piccola breccia nel cover up pur dichiarando una presunta arretratezza della ricerca. Potrebbe essere un riferimento al dispositivo di Sweet integrato dalle teorie di Bearden, ma la Nasa, definendo la propulsione basata sull’utilizzo dell’Energia del vuoto “impossibile”, fa disinformazione perchè fa finta di non sapere che c’è molto di più. Perchè le quantità di energia che dichiara possibile estrarre risalgono a esperimenti risalenti a prima della Seconda Guerra Mondiale. Poco credibile. E perchè anche la Nasa ha molto da nascondere. Stay tuned.


  1. v. Fabrizio Salmoni, https://mavericknews.wordpress.com/2014/02/27/gruppi-di-elite-segretezza-sicurezza-nazionale-e-innovazioni-tecnologiche-un-problema-di-democrazia-parte-1/
    e https://mavericknews.wordpress.com/2016/03/09/ufo-sicurezza-nazionale-e-progresso-negato/  

  2. Paul Czysz è docente di Ingegneria Areonautica al Parks College di St. Louis, Missouri. Ha lavorato 8 anni presso la base militare Wright-Patterson, in Ohio, e 30 anni alla McDonnell-Douglas nella sezione “Tecnologie Esotiche. v. Steven Greer, Disclosure, Crossing Point 2001  

  3. Steven Greer, ibidem  

  4. Steven Greer, ibidem  

  5. Ten. Col. Thomas E. Bearden, Ceo della Ctec Inc. Direttore della Association of Distinguished American Scientist, professore emerito del Institute of Advanced Studies della Alpha Foundation, in Steven Greer, ibidem. V. anche Paul Laviolette, Secrets of Antigravity Propulsion. Tesla, Ufos and classified Aerospace Technology, Bear & Co. 2008  

  6. Paul Laviolette, ibidem  

  7. The Works of Thomas Bearden, http://nexusilluminati.blogspot.it  

  8. Testimonianza di Thomas Bearden in Steven M. Greer, ibidem  

  9. Fabrizio Salmoni, https://mavericknews.wordpress.com/2014/04/13/disclosure-atto-primo/  

  10. Domenico Moro, Il Gruppo Bilderberg, Aliberti, 2014  

  11. Steven Greer, ibidem  

  12. Paul Laviolette, ibidem  

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