Gothic – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 30 Oct 2025 21:00:58 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 The Sandman: sacrilegio o consacrazione ? https://www.carmillaonline.com/2022/08/31/the-sandman-sacrilegio-o-consacrazione/ Tue, 30 Aug 2022 22:01:53 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=73502 di Walter Catalano

In varie interviste di diversi anni fa Neil Gaiman sosteneva con convinzione che The Sandman, l’epocale saga a fumetti da lui composta per la Vertigo, sotto etichetta “adulta” della DC Comics, non avrebbe mai potuto né dovuto diventare un film: in quel caso l’autore avrebbe preferito non essere coinvolto a nessun titolo nella realizzazione. I decenni sono passati e i termini della questione stravolti: il sogno o l’incubo dei molti lettori si è avverato e The Sandman, è finalmente diventato non un [...]]]> di Walter Catalano

In varie interviste di diversi anni fa Neil Gaiman sosteneva con convinzione che The Sandman, l’epocale saga a fumetti da lui composta per la Vertigo, sotto etichetta “adulta” della DC Comics, non avrebbe mai potuto né dovuto diventare un film: in quel caso l’autore avrebbe preferito non essere coinvolto a nessun titolo nella realizzazione. I decenni sono passati e i termini della questione stravolti: il sogno o l’incubo dei molti lettori si è avverato e The Sandman, è finalmente diventato non un film ma una serie televisiva di cui proprio Gaiman è sceneggiatore e produttore esecutivo.  Distribuita da Netflix, si avvale, oltre che dello scrittore britannico, di altri due showrunner come lui legati al fumetto: David S. Goyer – collega sceneggiatore per la Marvel e la DC e in seguito collaboratore di Cristopher Nolan per vari Batman e per altri film di super-eroi – e Allan Heinberg –già autore Marvel e DC, sceneggiatore del film Wonder Woman di Zack Snyder e di serie tv come Sex and the City e Grey’s Anatomy. La prima stagione, appena uscita, va a coprire i primi albi della lunga epopea: quelli inclusi in Preludi&Notturni e Casa di bambola. Alla luce di queste premesse, una domanda si impone: si è trattato di un sacrilegio o di una consacrazione ? Un po’ una cosa, un po’ l’altra, è lecito rispondere mantenendosi equilibrati. Ma facciamo un passo indietro e, per chi non lo sapesse, vediamo meglio cosa sia stato il fumetto The Sandman.

Non ho usato a caso l’aggettivo “epocale” a proposito di un comic che va ad unire la cultura pop dei supereroi DC e quella alta delle mitologie e mitografie comparate e della narrativa horror, weird e fantastica. Uscito tra il 1989 e il 1996, è profondamente segnato, in termini tematici e figurativi, dall’immaginario di quegli anni: i riferimenti culturali, iconografici e musicali esprimono al massimo il neodecadentismo gothic e la subcultura Emo, dalla quale lo stesso – ancora giovane – Gaiman proveniva. Il protagonista, Sandman, Morfeo, il Signore dei sogni, è un sosia di Robert Smith, il cantante dei Cure; la sorella maggiore Death, la morte, avrebbe dovuto assomigliare a Nico, la ex cantante dei Velvet Underground come appariva sulla copertina del suo primo LP solo, Chelsea Girl, ma il disegnatore Mike Dringenberg propose uno schizzo che ritraeva una sua amica, quasi uguale a Siouxsie Sioux, Susan Janet Ballion, front-girl dei Siouxsie and the Banshees, e la si preferì; perfino Lucifero ricorda il David Bowie di Low e Delirio, altro membro della famiglia degli Eterni, ha il volto della cantautrice americana Tori Amos (amica intima di Gaiman che restituì l’omaggio menzionando Neil nei suoi primi tre dischi: “Little Earthquakes”, “Under The Pink” e “Boys For Pele”). Tutti questi riferimenti, musicali ed estetici, non sono neutri ma essenziali per comprendere e collocare l’opera nel giusto contesto.

Gaiman aveva realizzato già per la DC un paio di progetti di successo e ricevette l’incarico di rivitalizzare vecchi personaggi dimenticati dal pubblico: pensò così al n.47 di Justice League of America, dove, davanti alla minaccia dell’Uomo Antimateria, a fianco di Batman, Atom e Lanterna Verde si schierava anche un certo Wesley Dodds, in arte Sandman, sfoggiando un lungo impermeabile, una maschera antigas, un cappello e una pistola di gas soporifero (il personaggio è stato in seguito ripreso da Matt Wagner nella serie Vertigo Sandman Mystery Theatre: è uscito anche un cross-over tra il Sandman gaimaniano e quello wagneriano). Non resta niente di quel Sandman se non il nome, piuttosto la reminescenza gotica del Der Sandmann di E.T.A. Hoffmann, L’uomo della sabbia che spargendo granelli di una sabbia magica sugli occhi dei bambini li fa addormentare e sognare: Sandman diventa dunque il dio del sonno: Morfeo, Oneiros.

L’ispirazione mitografica di Gaiman procede da qui: i suoi protagonisti non sono supereoi ma “dei” di un pantheon caotico in cui convivono e coesistono tutte le mitologie di ogni tempo e di ogni luogo. Gli dei di Gaiman non sono onnipotenti né immortali: esistono solo finchè gli uomini credono in loro, quando la fede dei mortali nei loro confronti si affievolisce anche il dio decade, si spegne e infine muore. Spesso lo scrittore si compiace di accennare alla parabola discendente di una divinità decaduta che per sopravvivere deve adattarsi a fare lavori di bassa lega derivati dalla sua specialità divina (ad esempio un dio dell’Ade può ritrovarsi a fare sulla terra l’impresario di pompe funebri, una dea dell’amore la spogliarellista o la call-girl). L’idea deve forse qualcosa al romanzo di Jean Ray Malpertuis (1943) e Gaiman la riprende in seguito anche nei suoi romanzi principali, American Gods (2001) e, con meno efficacia, Anansi Boys (2005).

Sandman non è però solo: appartiene ad una famiglia di sette dei, The Endless – gli Eterni, che, come i Neter dell’Antico Egitto, incarnano e sovrintendono ciascuno a un particolare aspetto dell’esistenza umana: nell’originale inglese il nome di ognuno di loro inizia per D. In ordine di anzianità: Destiny, Death, Dream, Destruction, Desire, Despair, Delirium. Ma gli Eterni non sono nomi bensì funzioni: sono quindi superiori agli stessi dei, perché incarnando e nutrendosi di sentimenti, atti e passioni comuni a tutti gli esseri senzienti e praticamente infiniti, esistono da prima che l’uomo potesse concepire l’idea stessa di divinità. Si delinea una precisa cosmogonia: Destino (Destiny), è nato appena prima che il primo essere vivente venisse al mondo, in quanto il destino di un individuo è già scritto prima che egli nasca; alla comparsa del primo essere vivente nasce anche Morte (Death). L’essere appena nato inizia a sognare, ed ecco Sogno (Dream), ma il sogno provoca cambiamento, per cui Distruzione (Destruction) di ciò che era prima, che si manifesta in Desiderio (Desire), e quindi Disperazione (Despair) per non poter avere la cosa voluta, ed infine Delirio (Delirium), che una volta era Delizia, o Piacere.

Desiderio e Disperazione sono gemelle. Ma più importanza di loro ha Death, Morte, la sorella prediletta di Sandman: non minaccioso scheletro con la falce, ma gentile e graziosa ragazzina punk, vestita di nero e con al collo un ciondolo raffigurante una croce ansata o Ankh, antico simbolo usato dagli Egizi per rappresentare la vita eterna. Compie sempre il suo sgradevole dovere con comprensione e affetto, accoglie il deceduto con un sorriso, lo abbraccia cercando di rassicurarlo e se lo porta via tenendolo per mano. Death ha avuto un successo parallelo a quello del fratello minore, tanto da guadagnarsi l’onore di alcuni albi indipendenti dalla saga di Sandman: Death the High Cost of Living (1993), Death: The Time of Your Life (1996) e il manga scritto e disegnato da Jill Thompson, Death: At Death’s Door (2003), oltre a varie comparsate in numerose serie Vertigo e DC Comics.

Il personaggio di Sandman – e questo è uno dei motivi della sua originalità – è sia protagonista della saga sia, molto spesso, semplice comparsa di vicende collaterali delle quali costituisce insieme il filo conduttore: è il tessitore di storie, il plasmatore, perché il sogno è l’archivio universale di tutte le storie possibili. Complesso lo scenario sullo sfondo: il regno di Sogno, The Dreaming, non-luogo dove Morfeo può fare qualsiasi cosa desideri attingendo alle idee e alla forza di tutti i sognatori terrestri. Gli abitanti permanenti del regno – visitato temporaneamente da ognuno di noi, ogni notte, – sono oltre ai sogni e agli incubi, esseri mitici come la viverna, il grifone e l’ippogrifo che fanno la guardia alla porta del palazzo; Mervin uno spaventapasseri con la testa a forma di zucca; i biblici Caino e Abele in eterno litigio tra di loro; Matthew, il corvo di sogno, che in precedenza era un uomo, e contrappone spesso una visione del mondo pratica e disincantata alle astratte elucubrazioni di Morfeo; il bibliotecario Lucien che sovrintende alla biblioteca del sogno in cui sono presenti tutti i libri che gli uomini hanno sognato o immaginato di scrivere e tutti i romanzi che non si sono mai concretizzati nella realtà.

La saga inizia con un Sandman prigioniero per 70 anni di un occultista inglese molto simile ad Aleister Crowley, tal Roderick Burgess, che, tentando attraverso un complesso rituale magico di imprigionare Death per divenire immortale, aveva catturato invece il fratello minore. Sandman riesce però a liberarsi, si vendica del mago e dei suoi discendenti, trova il suo regno in rovina e i suoi servitori dispersi. Per restaurare il suo pieno controllo deve recuperare i tre oggetti del potere che gli sono stati sottratti: il sacchetto che contiene la sabbia del sogno, il suo elmo e il rubino che racchiude parte del suo essere. Per far ciò deve confrontarsi con Lucifero e le sue legioni infernali (tra cui il demone crowleyano Choronzon). Nella storia fanno la loro apparizione diversi personaggi dell’universo DC come John Constantine (protagonista della serie Hellblazer), Scott Free (il Mister Miracle di Jack Kirby) e J’onn J’onzz (il Martian Manhunter, da noi Il Segugio di Marte) e viene presentata per la prima volta Death. Morfeo (curiosa caratteristica grafica del personaggio: i suoi baloons non sono bianchi, come quelli di tutti gli altri ma neri con lettering in bianco) inizia a ricostruire il regno del sogno che, dopo decenni di abbandono da parte del suo creatore, è alla deriva. Deve recuperare inoltre tutti i sogni e gli incubi che sono fuggiti, alcuni dei quali si sono rifugiati sulla terra assumendo forma umana. Per far ciò sarà costretto a infrangere l’illusione di una donna, Hippolyta Hall, e si troverà coinvolto in una convention di serial killer.

Iniziano qui le storie collaterali alla principale (spesso sono le più belle): la leggenda di una antica tribù africana e della loro regina, Nada, così come viene tramandata di padre in figlio. Gaiman inserisce Sogno all’interno della leggenda con la narrazione del tormentato love-affair fra Sandman e la bella mortale. Poi la vicenda di Robert Gadling a cui Morte ha concesso, un po’ per divertimento e un po’ per insegnare a Sogno il senso della vita terrena, di non morire. Ogni 100 anni lui e Morfeo hanno appuntamento in un bar e tra loro nasce una sorta di amicizia travagliata. Il volume successivo, il terzo (Dream Country), sarà composto da quattro storie indipendenti tra loro in cui Sogno non è il protagonista ma ha una presenza quasi marginale. La prima storia ha come protagonista la musa Calliope (musa della poesia epica e ispiratrice di Omero) tenuta prigioniera da uno scrittore senza talento che ne abusa sessualmente e la costringe a dargli ispirazione letteraria rendendolo immeritatamente ricco e famoso. Calliope è stata nell’antichità amante di Sogno e da lui ha avuto un figlio, Orfeo. Sarà proprio il signore dei sogni ad aiutarla a fuggire. La seconda storia ha per protagonisti i gatti: Gaiman, che è un grande amante di questi animali, ci spiega cosa sognano e sperano i felini. La terza storia, vincitrice del World Fantasy Award del 1991 nella categoria racconti brevi (in seguito sono stati introdotti nuovi regolamenti per impedire a un fumetto di entrare in classifica), racconta della prima della commedia Sogno di una notte di mezza estate messa in scena da Shakespeare in persona e dalla sua compagnia, in onore di Morfeo e dei suoi insoliti ospiti: gli stessi Titania, Oberon, Puck, e la loro corte fatata. L’ultima vicenda ha come protagonista una donna i cui superpoteri rappresentano una dannazione: proprio grazie ad essi non riesce a togliersi la vita come vorrebbe. Interverrà Death ad aiutarla.

Il quarto volume, Season of Mists è forse l’albo più bello di tutta la serie: vi si intrecciano due storie, la discesa all’Inferno di Sandman che, pentito dopo un travagliato consulto con i suoi fratelli Eterni, intende liberare il suo vecchio amore Nada (già conosciuta in Doll’s House) che ha condannato spietatamente ad essere relegata all’eterno tormento diecimila anni prima; e quella di Lucifero, stanco e nauseato del ruolo di Maledetto e di Nemico, che si dimette dalle sue sgradevoli mansioni, lasciando il suo regno infernale vuoto e abbandonato e consegnandone le chiavi allo stesso Morfeo. Quasi tutti gli dei di pantheon reali e immaginari si precipitano nel regno di Sandman reclamando l’eredità di Lucifero (che, personaggio affascinante e filosoficamente nietzschiano, diverrà protagonista di una collana indipendente per la DC Comics: Lucifer, per l’appunto, che racconta delle sue avventure sulla terra come “pensionato” e che ispirerà a sua volta una mediocre serie tv omonima). Alla fine i designati saranno due angeli, Remiel e Duma, che accetteranno con dolore e rimpianto di precipitare come il loro predecessore per subentrare a svolgerne le funzioni. Sandman riesce però a liberare l’anima di Nada che era stata portata come riscatto dal demone Azazel. Pentito per averla punita solo perché lei lo aveva rifiutato, le propone di diventare la regina del suo regno, ma anche questa volta lei rifiuta. Preferisce l’alternativa della reincarnazione e rinasce sulla Terra, immemore di tutto ciò che ha vissuto.

In A Game of You, quinto volume, si contrappongono i personaggi immaginari del mondo del sogno infantile di Barbie, una ragazza che vive a New York, e i vicini di casa del suo mondo reale adulto, le due lesbiche Hazel e Foxglove, il travestito Wanda, la misteriosa strega Thessaly e il cupo George. Anche Fables&Reflections, sesto volume, contiene storie indipendenti in cui Sandman è solo un personaggio collaterale e in cui si affiancano protagonisti fantastici ma anche reali come Joshua A. Norton, primo e autoproclamato Imperatore degli Stati Uniti d’America; i rivoluzionari Saint Just, Robespierre e Thomas Paine; l’imperatore Augusto e il suo nano Licio; Marco Polo e Rustichello da Pisa; Hārūn al-Rashīd, quinto califfo della dinastia abasside; oltre ai mitologici Orfeo e Euridice ed Ade e Persefone, e ai biblici Caino e Abele ed Eva. Orfeo ricompare nel successivo Brief Lives insieme alla dea babilonese Ishtar, ex amante di uno degli Eterni, Distruzione, conduttore di questa vicenda.

World’s End contiene ancora storie indipendenti e, forse, una possibile analogia tematica con Jean Ray e i suoi Les Derniers Contes de Canterbury (1944): due ragazzi, durante un lungo viaggio in macchina, vengono bloccati da una bufera di neve. Trovano riparo all’interno di una locanda chiamata “La fine dei mondi”. Al suo interno incontrano personaggi provenienti da tempi e dimensioni differenti che per divertimento si raccontano delle storie: al di fuori della locanda infuria una “tempesta di realtà” e l’unica alternativa è aspettare che passi. In The Kindly Ones i rimandi colti alla tragedia classica divengono più evidenti: Daniel, il figlio che Hippolyta Hall ha concepito nel sogno, viene rapito. La madre, sconvolta, incolpa ingiustamente Sandman, reo di averle distrutto la vita infrangendo le sue illusioni. Il bambino in realtà è stato preso dal dio Loki che Morfeo aveva liberato dalla sua prigionia in Season of Mists. Hippolyta, impazzita per la perdita del figlio, intraprende una sorta di viaggio spirituale che la porterà ad incontrare molte creature fantastiche tra cui Steno e Euriale. Le due gorgoni le offrono senza successo di prendere il posto della loro defunta sorella Medusa. Con l’aiuto della strega Thessaly (già apparsa in A Game of You) Hippolyta riesce a contattare le Eumenidi (o Erinni) che la sostengono nei suoi propositi di vendetta contro Morfeo (colpevole, a loro giudizio, della morte del figlio Orfeo). Gli eventi innescati non possono più essere fermati e le Furie distruggono il reame del sogno alla ricerca di Sandman che, in uno struggente dialogo finale con la sorella Death, in una sorta di catarsi classica, sceglie di porre fine alla sua esistenza. Un’incarnazione del sogno deve però continuare ad esistere e sarà proprio il piccolo Daniel a sostituirlo, diventando così la nuova personificazione dell’Eterno. Una personificazione, però, del tutto differente dal suo predecessore (un giovane non più dark-gothic ma albino e completamente vestito di bianco) e forse meno ieratica e più umana. Nell’ultimo episodio, The Wake, assistiamo alla cerimonia funebre di Morfeo alla fine della quale Daniel assumerà il suo nuovo ruolo.

Pur da un sommario riassunto come il mio, emerge la complessità labirintica dell’opera, la pirotecnia dell’immaginazione, la profondità dei personaggi e, assolutamente inusuale in un fumetto, la delicata evoluzione psicologica del protagonista. Sogno non è sempre uguale a sé stesso: nel corso dei millenni il contatto con gli uomini lo espone sempre più alle loro passioni, rendendolo finalmente un essere capace di provare sofferenza e pietà. Il tema portante dell’intera epopea è la crescita, l’evoluzione, lo sviluppo: un bildungsroman metafisico. La formazione del protagonista non può chiaramente essere intesa come maturazione fisica, trattandosi di un essere immortale, e neanche come un passaggio attraverso nuove esperienze, visto che Sogno sussiste nel corso delle ere. Si tratta piuttosto di un’espansione morale che permette a Sandman di correggere situazioni ed eventi che lui stesso aveva contribuito a creare o che aveva favorito con le sue omissioni. Essere divino o quantomeno trascendentale, sceglie di sottomettersi alla legge del Karma e di non sottrarsi alla catena di eventi che lui stesso ha messo in moto. In qualche modo si rende umano fino a morire e, catarticamente, si rigenera in Daniel la sua prosecuzione e inversione, il suo “viraggio” al bianco. Sandman redime la sua millenaria impermeabilità alle emozioni: per le donne con le quali ha avuto relazioni, Thessaly, Calliope, Nada; per l’unico amico umano, Hob Gadling, che incontra solo una volta ogni secolo. Si apre finalmente alla riconciliazione definitiva con la finitudine e la fragilità delle creature che non lo servono ma che – come gli spiega Death – lui deve servire.

Cosa resta di tutto questo nella serie tv ? Poco, in verità, almeno a giudicare dalla prima stagione che si arresta alle prime fasi della saga, fino a Casa di bambola, come si è già detto. Ma poco non vuol dire nulla. Si perdono ovviamente la contestualizzazione culturale ed i riferimenti musicali, l’immaginario Emo/Gothic (ridotto a mero décor), lo spirito anni ‘80/’90, l’“epocalità” quindi, ma non poteva essere altrimenti. Si perdono tutti i collegamenti ai personaggi del mondo DC comics: per motivi di diritti e di costi possono essere utilizzati solo quelli creati da Neil Gaiman, tutti gli altri scompaiono o vengono modificati, come il John Constantine di Alan Moore, protagonista di Hellblazer e comprimario in Swamp Thing, che cambia sesso e caratteristiche diventando, nella serie, Johanna Constantine. Si perde un po’ dell’asprezza ieratica e dell’altero riserbo del protagonista, Morfeo, che incarnato da Tom Sturridge, diventa fin troppo piacione e civettuolo evocando, più che il dark mood dei Cure, il merluzzo surgelato di Capitan Findus. Molte linee narrative vengono cambiate – non sempre felicemente – e molte altre restano assolutamente fedeli (riportando testualmente addirittura le stesse battute di dialogo del fumetto).

Infastidisce particolarmente il cedimento al politicamente corretto televisivo con le quote imposte o prescritte di personaggi afroamericani, gender, LGBT, ecc.  Quelli necessari c’erano già nel fumetto, la serie li ha moltiplicati senza giustificati motivi narrativi: così il bibliotecario Lucien, diventa Lucienne, donna e nera; Lucifero diventa Lucifera, seppur incarnato nella bellezza mascolina di Gwendoline Christie (la Brienne di Games of Thrones); Johanna Constantine è donna, bianca e lesbica; l’incubo istigatore di serial killer Corinzio è omosessuale; perfino Death non assomiglia più a Siouxie Sioux ma, al limite, a Whitney Houston, perché, unica dei sette fratelli della famiglia degli Eterni, è nera: e la cosa fa proprio ridere, come quando nel Macbeth di Joel Cohen abbiamo visto la Scozia medievale popolata da una larga minoranza africana e lo stesso usurpatore più intonato al paesaggio di Kinshasa che a quello di Dunsinane. Ugualmente fanno ridere, con un tocco di amarezza in più, le coppie interraziali, frequentissime e del tutto naturali, solo in televisione però, molto meno per le strade dell’America di oggi. Pura ipocrisia.

A parte queste cadute di gusto, lo show complessivamente si difende. Se però il fumetto era assolutamente rivoluzionario e innovativo nel contesto dell’epoca, la serie non lo è affatto. E’ una serie come tante, professionale, ben fatta, assolutamente uniformata agli standard medio-alti dell’offerta televisiva. Un prodotto di qualità, ma senza più magia. Speriamo che avvenga a The Sandman il contrario di quanto è successo all’altra serie tratta da opere di Neil Gaiman: American Gods, iniziata in modo strepitoso (decisamente superiore a questa), dopo la prima, brillante, stagione perde lo showrunner, la brillantezza e la direzione e si trascina, senza convinzione né stile, fino alla terza quando viene pietosamente interrotta ex abrupto. Auguriamo invece a The Sandman, iniziata senza infamia e senza lode, di acquisire carisma nel corso delle stagioni fino a non sfigurare troppo di fronte al glorioso fumetto.

POSTILLA. Ad una decina di giorni dall’uscita dei primi 10 episodi della serie, ne viene aggiunto un undicesimo come bonus. E’diviso in due parti tratte da due delle storie autoconcluse del terzo volume: Dream Country. Ne parlo per questo in appendice al resto. Il primo racconto riprende A Dream of A Thousand Cats, una delle short-stories parallele e indipendenti rispetto alla trama principale in cui Sandman non appare nemmeno, o meglio appare come “gatto dei sogni”, essendo i felini i protagonisti assoluti della narrazione. L’episodio, affidato all’animatore olandese Hisko Hulsing, viene realizzato come splendido cartoon in 3D e, fedelissimo al testo originale del fumetto, rappresenta probabilmente uno dei momenti migliori di tutto lo show (è in questa direzione che, speriamo, il corso delle prossime stagioni dovrebbe indirizzarsi). Il secondo è invece Calliope che non differisce in niente dal resto della serie e conferma anzi la tendenza, che già ho segnalato, a depotenziare ed edulcorare l’impatto originario del comic. La storia della dea della poesia epica imprigionata con un incantesimo da uno scrittore fallito e svenduta poi come una schiava ad un altro scrittore a corto di idee che la sfrutta per farsi ispirare e non la libera finchè Sandman non interviene draconianamente a salvarla, è decisamente forte e crudele, riferendosi esplicitamente all’abuso sessuale, nella versione disegnata. Il film censura invece completamente ogni tensione sadica, ogni scena di stupro, ogni sensualità morbosa, e la nudità della dea viene sempre pudicamente ricoperta dal candido peplo che, nelle intenzioni, dovrebbe evocare l’immaginario ellenico: un testo di ben altre suggestioni viene così ridotto a fiaba mitologica per bambini. In questo singolo episodio si rivela ancora più evidente la debolezza di un po’ tutta la serie: voler ad ogni costo smorzare le asperità, accontentare tutti, essere più mainstream possibile.

Decisamente, quanto a trasposizioni televisive tratte da fumetti, alla compassata costumatezza di The Sandman preferisco di gran lunga la scorrettezza politica, la violenza splatter e le oscenità volgari di The Boys, la serie capolavoro, giunta ormai alla terza stagione, tratta dal grande fumetto di supereroi – anzi contro i supereroi – scritto da Garth Ennis e disegnato da Darick Robertson, che la DC Comics, alla sua uscita, affossò dopo soli sei episodi. Ne riparleremo, spero, prossimamente.

 

 

 

 

 

 

 

 

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American Horror (Hi)Story https://www.carmillaonline.com/2016/05/11/american-horror-history/ Wed, 11 May 2016 21:30:17 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=29007 di Gioacchino Toni

american horrFederico Boni, American Horror Story. Una cartografia postmoderna del gotico americano, Mimesis, Milano – Udine, 2016, 125 pagine, € 12,00

Se da una parte l’immaginario orrorifico gotico è utile alla cultura dominante per potervi sublimare i traumi e le ingiustizie occidentali, riportando «ciò che non vuole (riconoscere di) essere in una dimensione “altra”, immaginaria, dove una realtà fatta di ingiustizie e soprusi viene contraffatta e proiettata nelle figure perturbanti di fantasmi, mostri e altri abominî» (p. 11), dall’altra non viene meno l’aspetto sovversivo del gotico, visto che, [...]]]> di Gioacchino Toni

american horrFederico Boni, American Horror Story. Una cartografia postmoderna del gotico americano, Mimesis, Milano – Udine, 2016, 125 pagine, € 12,00

Se da una parte l’immaginario orrorifico gotico è utile alla cultura dominante per potervi sublimare i traumi e le ingiustizie occidentali, riportando «ciò che non vuole (riconoscere di) essere in una dimensione “altra”, immaginaria, dove una realtà fatta di ingiustizie e soprusi viene contraffatta e proiettata nelle figure perturbanti di fantasmi, mostri e altri abominî» (p. 11), dall’altra non viene meno l’aspetto sovversivo del gotico, visto che, «benché contraffatto, l’elemento perturbante torna comunque a infestare la società, suggerendo che l’orrore e il terrore rappresentati potrebbero scaturire da noi, potrebbero parlare di noi» (p. 11).
Il gotico americano non avvalora di certo il mito dell’America come paese di speranza ed armonia e «se il gotico americano ha una sua caratteristica distintiva, forse è proprio quella di porsi come critica a tale mito nazionale, fondato sulla a-storicità e l’innocenza di un intero paese, su un immaginario di purezza ed eguaglianza» (p. 12). Si può dire, secondo l’autore, che il gotico americano recupera quella storia americana che è stata dimenticata o rimossa, dunque intende rendere visibile l’invisibile.

Il saggio di Federico Boni analizza la serie televisiva American Horror Story (dal 2011) individuando in questa una mappatura delle diverse declinazioni dell’American Gothic. Nel primo capitolo del volume l’autore contestualizza la serie all’interno dell’horror televisivo mettendo in luce tanto gli elementi di novità, quanto quelli di continuità, rispetto alla tradizione del gotico televisivo. Vengono dunque analizzati il rapporto tra il mezzo televisivo e la dimensione del perturbante, il panorama dell’horror television a partire dagli anni ’50 e gli aspetti produttivi della serie, come l’aver optato per una scansione antologica ma su base stagionale. Nel secondo capitolo vengono passati in rassegna gli spazi orrorifici che strutturano le diverse stagioni della serie (la casa stregata, il manicomio…) che rappresentano i luoghi ove si concentra l’immaginario perturbante del gotico americano. Si tratta di luoghi in cui si esercitano istanze di potere e, di conseguenza, gli spettri che abitano tali spazi possono essere identificati come “spettri del potere”. Infine, nel terzo capitolo vengono analizzate alcune tematiche affrontate dalla serie.

In American Horror Story ogni stagione ruota attorno ad un luogo specifico e questo è indicato sin dal titolo che identifica la stagione. La prima serie, Murder House (titolazione aggiunta a posteriori), ruota attorno alla casa stregata di Los Angeles ove si trasferisce la famiglia Harmon, la seconda, Asylum, è ambientata nell’ospedale psichiatrico di Briarcliff, nei pressi di Boston, la terza stagione, Coven, è collocata a New Orleans, in particolare in una scuola per streghe, la quarta, Freak Show, si concentra attorno ad un circo itinerante americano nella Florida del 1952, proprio all’epoca della scomparsa di questo tipo di spettacoli. Al momento della stesura del saggio non era ancora stata trasmessa la quinta stagione, Hotel. Ad ognuno di questi luoghi l’autore associa un elemento caratterizzante del gotico: il fantasma (ritorno del rimosso) per l’haunted house, la violenza dell’istituzione totale per l’ospedale psichiatrico, la stregoneria e la caccia alle streghe per la scuola di New Orleans, l’orrore grottesco per le deformità dei corpi per il freak show e la rimozione dei traumi della storia statunitense per l’hotel della quinta stagione.

boni_american_horror_story_cover«La casa stregata della prima stagione di American Horror Story, appropriatamente ribattezzata Murder House, è la “casa stregata dell’America”, il deposito delle violenze e degli orrori di cui si è macchiata la sua storia» (p. 52). Se il gotico europeo, soprattutto inglese, ha scelto di far dimorare i fantasmi soprattutto in castelli, monasteri od antiche dimore, il gotico americano opta spesso per una casa. Dalla Casa degli Usher (1839) di Poe in poi, sostiene l’autore, la haunted house ha assunto un ruolo molto importante nell’immaginario americano. «Nell’immaginario costruito da Poe, Hawthorne e Thoreau prima, e poi da Faulkner, James, Fitzgerald e tutta la schiera di scrittori statunitensi contemporanei, la casa trasforma il sogno americano in un incubo. Un vero e proprio “incubo americano” […] la haunted house americana è davvero il ricettacolo dell’orrore dell’America» (p. 53). E la Murder House della prima serie è stata «edificata sui cadaveri dei nativi, dei neri portati dall’Africa, degli stessi coloni più deboli – quelli sfruttati, emarginati, annichiliti, fantasmizzati. E lo racconta a suo modo, in una ridda di riferimenti alla letteratura, al cinema, alla cultura “alta” e alla cultura pop, che non è puro gusto citazionistico e intertestuale, ma – questa è peraltro la tesi dell’intero volume – una mappatura barocca del topos della casa infestata nel gotico americano, delle sue retoriche narrative e discorsive; un’esplorazione dei sensi di colpa di una nazione seppelliti nelle fondamenta o nella cantina – ma anche nascosti in soffitta – di una casa che vive e si nutre di traumi e violenze del passato e del presente» (p. 54).
I fatti che accadono presso l’istituto psichiatrico di Briarcliff, nella seconda stagione, Asylum, secondo Federico Boni, ricordano le colpe della società americana che ha voluto rimuovere e reprimere coloro che non si sono adeguati ad un ordine sociale puritano, anche se “veri mostri” sono da ricercarsi, sottolinea l’autore, in quei meccanismi di potere che portano l’istituzione totale manicomiale a distinguere tra cittadini dotati di diritti ed esseri privi di essi.

In Coven, terza stagione di American Horror Story, si fronteggiano due tipi di streghe, quelle provenienti da Salem in Massachusetts, cittadina famosa per la caccia alle streghe di fine Seicento, con quelle vudù di derivazione afro-caraibica. A livello narrativo, soprattutto nella parte finale della stagione, lo stile sembra «votato all’eccesso e all’artificio, enfatizzato dagli interni della scuola, dell’elegante dimora di Madame LaLaurie e di altri spazi della New Orleans del presente e del passato, fa da contrappunto estetico a una serie di richiami ad alcuni degli episodi più dolorosi della storia degli Stati Uniti: la “caccia alle streghe”, e dunque la repressione femminile, e la schiavitù. Anzi, qui la stregoneria può essere vista come una vera e propria risposta ai soprusi del potere da parte di una società patriarcale e razzista» (p. 66).

La quarta stagione, Freak Show, ha come luogo privilegiato il circo popolato da corpi deformi e grotteschi. Nella sua analisi, Boni riprende gli studi di Laslie Fiedler (Freaks, Miti e immagini dell’io segreto) in cui viene descritto il passaggio da una lettura del freak come fenomeno divino ad una che vi individua malattie scientificamente definite. «La centralità del passaggio dal regime discorsivo teologico a quello teratologico (e infine, a quello clinico) in Freak Show è evidente sin dalla collocazione temporale delle vicende narrate. La quarta stagione […] è ambientata nella Florida del 1952, quando il “Cabinet of Curiosities” di Elsa Mars è uno degli ultimi freak show presenti nel paese […] i freak di Freak Show sono una razza in via di estinzione: sempre più individui affetti da malformazioni classificabili clinicamente, e sempre meno meravigliosi “scherzi della natura”. Siamo quindi nell’epoca del tramonto di questo tipo di spettacolo, soppiantato soprattutto da una nuova, temibile, concorrente: la televisione» (p. 76). Vale la pena sottolineare come la fine dei freak show coincida con l’avvento della televisione che, per certi versi, rende davvero obsolete tali forme di spettacolo ed al tempo stesso le assorbe all’interno del suo palinsesto quotidiano seppur in nuove forme.

I mostri che compaiono in American Horror Story, tanto quelli tipicamente americani, quanto quelli derivati dalla tradizione europea, sostiene Boni, possono essere interpretati come reificazioni di traumi ed orrori reali. Alla figura del mostro la società tende ad applicare quei valori negativi che le consentono di costruire, per opposizione “altro”/”io”, un’identità positiva. L’autore, riprendendo le riflessioni di W. Scott Pole (Monsters in America. Our Historical Obsession with the Hideous and the Haunting), sostiene che «questi “mostri della storia americana sono reali”, metafore di una serie di circostanze e azioni storiche ben più che mere immagini della letteratura, del cinema o della televisione. Guardare all’America attraverso i suoi mostri offre una nuova prospettiva ad antiche questioni, senza sconti per nessuna di queste. Anzi, la prima vittima di questo orrore è il tanto celebrato “eccezionalismo americano”, che vorrebbe l’America un “Nuovo Mondo” innocente e puro, in grado di insegnare la democrazia in giro per il mondo» (p. 84).

Le figure degli zombie in American Horror Story riprendono la “versione originaria” haitiana che vuole lo zombie non come mostro ma come vittima di chi riporta in vita gli individui riducendoli ad una “schiavitù post-mortem”. Gli zombie di American Horror Story, nel loro «mettere insieme la versione “originaria” del morto vivente con l’estetica della “zombie renaissance” cinematografica e televisiva contemporanea, […] recuperano le attuali metafore dello zombie, che vedono questo “schiavo eterno” come vittima dello sfruttamento, delle nuove schiavitù, delle migrazioni, ma anche come “proletariato inattivo” per cui non solo il lavoro è un ricordo, ma anche lo stesso consumo delle merci è una sorta di istinto inconscio e quasi involontario (come negli zombie della saga cinematografica di George A. Romero)» (p. 86). Se da un lato lo zombie può incarnare la figura della schiavitù, dall’altro, però, incarna anche l’idea di ribellione.

pretend we're deadTrattando la figura del serial killer, che certo non mancano in American Horror Story, l’autore sottolinea come questa, pur derivando da matrici europee, rappresenti una tipicità americana: «l’idea di una sorta di “fordismo” dell’omicidio, un’arte dell’uccidere “nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, appunto un’arte dell’omicidio in serie, che riporta tale mostruosità nell’alveo del gotico americano» (p. 87). Riprendendo le riflessioni di Annalee Newitz (Pretend We’re Dead. Capitalist Monsters in American Pop Culture), l’autore sostiene che i serial killer che popolano le vicende narrate da Murphy e Falchuk, «sono “mostri del capitalismo”, la loro brutalità condanna i metodi della produzione capitalistica americana portandoli al loro estremo, arrivando in definitiva alla produzione di massa (in serie) di corpi morti. Il serial killer restituisce una versione gotica e orrorifica del “lavoro morto” marxiano, proiettando sulle vittime i sentimenti distruttivi ispirati dal luogo di lavoro» (p. 88).
Per certi versi, continua Boni, anche il mad doctor è un mostro del capitalismo. «L’“americanità” di fondo di tale figura […] è legata al suo legame col capitalismo statunitense: i dottori della tradizione del gotico americano sono infatti portati alla follia, in parte, perché ritengono di dover lavorare ai loro progetti ininterrottamente, senza pausa, in un lavoro intellettuale che prevede la vendita delle proprie idee a istituzioni professionali. […] In un paese, come l’America, che ha conosciuto una progressiva “proletarizzazione” della professione medico-scientifica, il mad doctor diviene un mostro perché scisso tra manie di grandezza e lavoro alienato; così diviso, non è mostruoso perché devia dalla sua professionalità, ma proprio perché la incarna» (pp. 89-90).

Risulta interessante la parte del saggio in cui l’autore riprende l’analisi di Helen Wheatley (Gothic Television) che, considerando la tv un mezzo gotico, enfatizza il ruolo del televisore di portare l’orrore esterno all’interno delle abitazioni fino a metterlo a contatto con le ansie domestiche. Federico Boni sottolinea che quando «a essere trasmessi sono testi gotici che rappresentano case infestate o edifici inquietanti, in quel caso è possibile parlare di un incontro tra “due case gotiche”: una è quella rappresentata nel testo televisivo, dove la narrazione si ripete serialmente e dove quindi le immagini ritornano – come dei revenants – con cadenza giornaliera o settimanale; l’altra è quella che ospita il mezzo televisivo e dove avviene la visione, e che corrisponde dunque allo spazio domestico e familiare. La televisione diviene così il vero spazio perturbante della casa, un vero e proprio “fantasma in casa”, la soglia che ci porta “ai confini della realtà” e che restituisce una accezione inquietante e perturbante dell’idea della televisione come “finestra sul mondo” e come “specchio” dell’interno (dell’inferno) domestico» (p. 93)

In alcuni episodi di American Horror Story viene enfatizzato il ruolo perturbante ed orrorifico della televisione. Ad esempio, in Coven Madame LaLaurie, riportata in vita negli anni Duemila, nello scoprire la televisione non manca di denunciare come questa sia di fatto basata sull’umiliazione dei suoi “ospiti”, mentre invece in Freak Show, la televisione viene indicata come “l’orrore contemporaneo” e come creatrice di freak. A tal proposito risultano interessanti le analisi di Jon Dovey (Freakshow. First Person Media and Factual Television) sulla reality television, riprese dal saggio di Boni, che evidenziano come tale tipo di programmazione sfrutti il bisogno di esprimere la propria identità da parte di individui che rivendicano con orgoglio il loro essere freak e che sentono la necessità di mettere in scena «l’ordinarietà della loro straordinaria soggettività» (p. 95).

Altra questione su cui si sofferma il volume è quella relativa a diverse figure femminili presenti nella serie; molte delle donne presenti in American Horror Story risultano accomunate da una vita segnata da ingiustizie e sofferenze a cui, però, reagiscono ribellandosi. «In Murder House la stessa haunted house protagonista della stagione è associata al corpo femminile, e di rimando il corpo femminile è associato alla casa […] Il femminile, del resto, è da sempre presente nel topos narrativo della haunted house, soprattutto laddove la donna, a cui è negato lo spazio esterno della vita pubblica, viene relegata negli spazi chiusi dell’ambiente domestico» (p. 97).
Il saggio passa in rassegna anche quelli che definisce gli “spettri della sessualità” soffermandosi in particolare sulla coppia gay dei vecchi proprietari della casa della prima stagione, Murder House, ridotta ad essere una coppia fantasma in linea con la fantasmizzazione, dunque repressione, dell’omosessualità. «E però, lo spettro torna a infestare i vivi: così fantasmizzata, l’omosessualità si ripropone comunque e si impone nel presente e nella coscienza della nazione» (p. 100). In Asylum si fa riferimento anche all’omosessualità femminile; Lana verrà rinchiusa e sottoposta a terapie disumane al fine di “curare” il suo lesbismo.

In American Horror Story è presente anche la questione del razzismo, soprattutto in Coven, tematica spesso presente nel Southern Gothic, in particolare a proposito della segregazione razziale. Boni, a tal proposito, riprendendo alcune considerazioni di Teresa Goddu (Gothic America) evidenzia come le storie narrate dal gotico americano «ben lungi dall’essere storie che ci proiettano in mondi lontani e di fantasia, quelle gotiche sono storie intimamente connesse alla cultura che le produce […] Questo genere registra le contraddizioni della sua cultura, presentando una versione distorta della realtà, ma non scollegata da essa» (p. 101).
Alcune considerazioni interessanti riguardano anche le giovani presenze nell’immaginario gotico. Se storicamente nel gotico non è infrequente imbattersi in giovani “posseduti”, vittime di colpe non proprie, nel panorama del cosiddetto New Teen Gothic, i giovani tendo ad abbandonare il ruolo di vittime per divenire la fonte stessa dell’orrore. Tale cambiamento parrebbe aver ricevuto un netto impulso dai tragici eventi della Colombine High School del 1999.

È nota l’importanza del mito della frontiera all’interno della cultura americana e la stessa serie American Horror Story, a partire dal suo essere una sorta di cartografia del gotico americano, non manca di evidenziarlo. Si intrecciano nelle diverse stagioni itinerari e frontiere di diverso tipo, ad esempio: in Murder House gli Harmon nel trasferirsi da Boston a Los Angeles compiono il medesimo itinerario (da Est ad Ovest) dei pionieri. Facendo invece riferimento all’ospedale psichiatrico della seconda stagione, la (labile) frontiera sembra essere quella tra ragione e follia. In Freak Show la carovana itinerante sembra invece ormai essersi insabbiata nelle paludi della Florida in procinto di essere inghiottita definitivamente dalle sabbie mobili rappresentate dal nascente mostro televisivo.
Chiudendo la disanima, non resta che segnalare un’ultima riflessione proposta dal saggio. L’ossessione americana per il mito dell’apertura offerta dalla frontiera, associata allo spirito chiuso del puritanesimo, nel momento in cui si esaurisce la frontiera storica, a fine Ottocento, implode in una forsennata ricerca di nuovi spazi anche attraverso il ricorso della “furia catalogatrice” che, secondo F. Tarzia ed E. Ilardi (Spazi (s)confinati. Puritanesimo e frontiera nell’immaginario americano) porterà ad un puritanesimo inquisitorio e poliziesco che dal Proibizionismo conduce alla cacce alle streghe comuniste per arrivare fino ad Echelon ed al Patriot Act: ogni ambito dell’esistenza umana deve essere catalogato ed etichettato.

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