Giovanni Agnoloni – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Fri, 09 May 2025 06:05:47 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Narrativa italiana ragnatela: due libri https://www.carmillaonline.com/2020/03/03/narrativa-ragnatela-due-libri/ Tue, 03 Mar 2020 22:00:41 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=58460 Una premessa: noi di Carmilla non seguiamo molto la letteratura/letteratura. Cerchiamo di chiarire. Non è un atteggiamento snob. E’ una questione di priorità. Abbiamo altre urgenze. Sì, perché siamo impazienti. E la letteratura/letteratura, per la quale, sia chiaro, nutriamo il massimo rispetto, è rivolta molto allo stile, all’interiorità dell’autore, a certi meccanismi di pensiero trasfigurato ecc. L’insieme di queste immanenze creano un pachiderma ermafrodito che si muove lento, quasi incurante dell’ambiente che lo circonda. Mentre la nostra impazienza è rivolta soprattutto al mondo, che va in malora sotto l’aggressione globale del capitalismo neoliberista, [...]]]> Una premessa: noi di Carmilla non seguiamo molto la letteratura/letteratura. Cerchiamo di chiarire. Non è un atteggiamento snob. E’ una questione di priorità. Abbiamo altre urgenze. Sì, perché siamo impazienti. E la letteratura/letteratura, per la quale, sia chiaro, nutriamo il massimo rispetto, è rivolta molto allo stile, all’interiorità dell’autore, a certi meccanismi di pensiero trasfigurato ecc. L’insieme di queste immanenze creano un pachiderma ermafrodito che si muove lento, quasi incurante dell’ambiente che lo circonda. Mentre la nostra impazienza è rivolta soprattutto al mondo, che va in malora sotto l’aggressione globale del capitalismo neoliberista, che ha dichiarato guerra al pianeta. Intendiamoci: impazienza non vuol dire fretta. Anzi, pubblichiamo molti saggi, pensosi, articolati, documentati. Significa urgenza, perché il mondo precipita a velocità vertiginosa. Prediligiamo il genere, vale a dire una forma letteraria disposta a farsi inseminare dal conflitto e dalle tematiche sociali, senza essere didascalica: testi più “bastardi”, più contraddittori, duri, popolari, ma anche teneri, dei romanzi di fascia “alta” creati da scrittori/artisti. Ovvero opere che sentiamo più vicine a noi redattori, perché come abbiamo già scritto, Carmilla è un gruppo di redattori, non un collettivo politico.

I due romanzi che presentiamo ci hanno convinto soprattutto per un aspetto: lo stile “vischioso”, come una ragnatela che intriga il lettore, lo cattura suo malgrado. Come se lo attirasse in una trappola. Certo non è spiegabile criticamente questo strano meccanismo. E non è escluso che sia sconosciuto agli stessi autori. Eppure una simile attrazione da pianta carnivora ci affascina, perché fa parte di quella follia diffusa, e anche creativa, del sottobosco under class che cerca di sopravvivere nella società del privilegio e dell’autoreferenzialità (MB).

L’ULTIMO DISCO DEI CURE di Massimiliano Nuzzolo

Arcana Edizioni, Roma 2020 pag. 171 € 15

(Romanzo di musica e di formazione. Il protagonista, un trentenne deluso dal mondo e da se stesso parte alla ricerca del passato perduto.)

(Secondo capitolo) Lui si sdraia sul letto. Ha appena scartato un Cd dei Bluvertigo comprato in special price. Osserva con attenzione la copertina bianca, quasi ci trovasse dentro risposte che gli altri non sanno capire, inizia a sfogliare il booklet anch’esso bianco mentre la musica si sparge nella stanza e la riempie.

Con un colpo di reni raggiunge la manopola del volume e prima di ricadere lo alza. Ora il suono si diffonde uniforme, attraversa le pareti.

Chiude gli occhi. E sente che insieme alla musica cresce in lui una strana sensazione, come di vuoto, che non fa male, ma gli toglie ogni volontà, e fa venire voglia di piangere. Una incredibile voglia di frignare, come un bambino sperduto in un ipermercato. Ma non piange, si limita a respirare profondamente.

Quando è in corso una crisi
Che cos’è mai una crisi?

Si alza di scatto, raggiunge la libreria in corridoio, afferra il vocabolario, stando in piedi lo sfoglia, B, Bene, Buco, C, Cantaro, Ciclo, Ciperacee, Coorte, D, Debrayage… Torna indietro. Cri…

Crisi: 1. Stato di perturbazione, di dubbio, di incertezza nell’equilibrio
di una persona o di una collettività.

Sì, descrive il suo stato, ma anche la definizione 5 potrebbe andar bene:

5. Fase di perturbazione, di squilibrio più o meno grave in campo economico
e sociale.

Richiude il vocabolario e con lo sguardo basso torna al letto, si lascia cadere sulle coperte in disordine, poi spegne lo stereo. Schiaccia la testa più forte che può in mezzo alle lenzuola che profumano ancora del recente bucato di sua madre, ma non cambia nulla.

Suona il telefono.

Lo lascia squillare, poi pigia l’eject, estrae il Cd, lo rimette nella custodia, apre la finestra, lo lancia fuori. E ride.

Ride, sì.

Perché non farebbe mai una cosa simile: ha troppo rispetto per i suoi Cd. Ride, perché si è comportato come un quindicenne. In fondo chi mai potrebbe comprare un disco e cercarvi dentro qualcosa? Solamente un ragazzino pipparolo e pieno di brufoli. Anche Mario, il suo amico fraterno, gliel’aveva detto, era stato cortese, ma lo aveva fatto sentire stupido, proprio come adesso. Ride, perché lui ha quasi trent’anni, una buona famiglia di ceto medio, una ragazza che gli vuole bene, due pasti caldi assicurati al giorno, vestiti puliti e stirati, un’automobile, anche se il fine settimana deve dividerla col fratello che torna a casa, insomma non gli manca niente.

O quasi…
Che cosa c’è che non va?

Una famiglia ce l’hanno tutti, no?! È una cosa normale. Come avere la ragazza, la macchina, i vestiti, il cibo garantito.

Avere quasi trent’anni…
Avere trent’anni…
Trent’anni…
Sono davvero tanti.
Troppi.
Insopportabili.
Trent’anni e non aver combinato nulla di buono.

VIALE DEI SILENZI di Giovanni Agnoloni

Arkadia Editore, Cagliari 2019, pagg. 131 € 15

(Un viaggio sospeso tra Varsavia, Berlino e l’Irlanda alla ricerca del padre scomparso)

(Incipit) Ancora quella sensazione.

Che tutto si stesse svuotando, risucchiato in un gorgo. Uno spazio oscuro, un corridoio d’ombra dove deboli bave di luce permettevano a stento di distinguere profili di oggetti. Come se la vita fosse scivolata in uno stato di apnea e per pochi, brevi attimi, le cose si mostrassero per com’erano quando nessuno le osservava: traslucide, prive di sostanza.

Mi capitava sempre più spesso, forse perche anch’io stavo diventando invisibile. Del resto, era questa l’impressione che ricavavo dagli sguardi della gente che incrociavo per strada. Una garbata, imperturbabile indifferenza.

Era cosi da quando avevo intravisto per la prima volta quella parentesi aperta: quella che tu avevi creato dentro di me, non so se prima o dopo essertene andato. Quando il calzino umido e appiccicoso del mondo aveva iniziato a capovolgersi, sfilandosi dai miei piedi indolenziti e lasciandomi nudo a contatto col suolo.

L’aria di Varsavia era una cenere immateriale e senza nome, che ben s’intonava con la mia inconsistenza; uniforme come il tono medio dei miei giorni, che ormai non contavo più. Il tempo mi si sfarinava tra le mani, che tendevo nello spazio per afferrare, fugacemente, soltanto luoghi.

Quella fuori dalla finestra era un’arteria trafficata. Percepivo il suo brusio di fondo, simile al suono del mare. Remoto, appartenente a un universo irraggiungibile. Come il passato, che a tratti si avvicinava alle mie sinapsi intorpidite, sfiorandole con uno stelo urticante e accendendo lampi di immagini nitide della vita di prima. Quella dove c’eri ancora tu, e che non avrei voluto ricordare. Osservai la mia stanza per un intervallo indefinito. Cominciava l’ultimo tratto di quel periodo di tre mesi che mi ero preso per stare lontano da tutti. E per scrivere. Un’opportunità offertami da un’istituzione culturale polacca, che mi era parsa una benedizione. L’occasione per far coincidere il mio bisogno di concentrarmi sul lavoro con l’esigenza irrimandabile di lasciare Firenze. Via dall’ombra del mio matrimonio finito. Via dagli spettri della città, e soprattutto dal tuo, immancabile fin dal giorno in cui eri scomparso.

La scrivania, che spiccava col suo dignitoso marrone sull’indaco pallido della carta da parati, era in ordine: il portatile, il mio taccuino degli appunti, una penna. Non avevo mai perso l’abitudine di scrivere prima a mano. Era una necessità fisica, di contatto con le cose. Mi aiutava a sentire che la realtà era ancora solida, che il macro contenitore nel quale mi muovevo in cerca di un significato non era prossimo a sfaldarsi in un’entropia di calcinacci. Cosi, con una gradualità costante, quel libro era venuto prendendo forma. Un romanzo che avrebbe dovuto riguardare tutt’altro, ma che aveva finito per parlare di te. O forse con te.

Mi riscossi. Non potevo più restare lì: avevo bisogno di uscire, di camminare. Mi chiusi la porta alle spalle con la sensazione di aver lasciato quella storia in custodia a una casa che non era mai stata – ne sarebbe diventata – veramente mia. Un ambiente anonimo, incaricato di conservare, per qualche ora, il nucleo del tuo segreto.

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Il postino di Mozzi, l’ultima frontiera della psichedelia https://www.carmillaonline.com/2019/05/09/il-postino-di-mozzi-lultima-frontiera-della-psichedelia/ Thu, 09 May 2019 21:29:08 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=52446 Il postino di Mozzi, Arkadia editore, Cagliari 2019, pagg. 136 € 14

Esce per Arkadia questa originale antologia, curata da Marino Magliani e Luigi preziosi, dove un gruppo di scrittori di formazione e stili diversissimi trova riparo sotto l’accogliente ombrello del nominativo Fernando Gugliemo Castanar. La fiction di base sta nell’operato di un aspirante autore (lo stesso Castanar) che per anni ha spedito, inutilmente, testi e lettere a un famoso editor e scrittore di nome Giulio Mozzi, il quale ovviamente non ha mai risposto.

Così, diventato postino, proprio nella [...]]]> Il postino di Mozzi, Arkadia editore, Cagliari 2019, pagg. 136 € 14

Esce per Arkadia questa originale antologia, curata da Marino Magliani e Luigi preziosi, dove un gruppo di scrittori di formazione e stili diversissimi trova riparo sotto l’accogliente ombrello del nominativo Fernando Gugliemo Castanar. La fiction di base sta nell’operato di un aspirante autore (lo stesso Castanar) che per anni ha spedito, inutilmente, testi e lettere a un famoso editor e scrittore di nome Giulio Mozzi, il quale ovviamente non ha mai risposto.

Così, diventato postino, proprio nella città di Mozzi, ha iniziato a sottrarre posta al suddetto, assemblando questa raccolta fatta di pagine narrative, poetiche, invettive, riflessioni. Il risultato è un furioso, anarcoide ipertesto che si può leggere in tutte le direzioni: dalla fine, dal centro, dall’inizio. E’ un cut up pirotecnico di stili, che vanno dal classico all’epistolare allo sperimentale; è come imbarcarsi nel carrello di un lunapark, dove veniamo schiaffeggiati, cosparsi di ragnatele, accecati da lampi, assordati da grida cavernose. Di sicuro non ci si annoia.

Di seguito pubblichiamo un testo, proprio dello stesso Giulio Mozzi, che potrebbe avere, come sottotitolo, Vita complicata di uno scrittore che non scrive storie (MB).

* * *

Da due anni e mezzo Giulio non inventa una storia. Lui è uno scrittore di racconti, uno che di solito brulica di storie. In nove anni ha scritto sessantaquattro racconti, di varia lunghezza, dalle settanta pagine a tre, mediamente di quindici-venti pagine. Fanno sette racconti virgola uno periodico all’anno, calcola. Zero virgola cinquantanove pressoché periodico racconti al mese. Insomma, scrivendo in certe stagioni di più, in certe stagioni di meno – per esempio, quando lavorava in libreria, scriveva molto durante le ferie – Giulio ha potuto sempre pensare a se stesso come a uno che le sue storie se le pensa, se le rigira in mente, se le scrive: con tranquillità. Agli amici però diceva: «Non mi toccherà mica tutta la vita fare lo scrittore»; suscitando strilli e rimproveri.

Da due anni e mezzo invece Giulio non inventa una storia. Qualche racconto l’ha cominciato: e l’ha interrotto, magari dopo molte pagine, non perché venisse poi male, no, ma perché si rendeva conto di avere già scritta quella storia, magari più di una volta, con travestimenti diversi. E le storie, a un certo punto, vanno ammazzate. Tutto sommato, pensa Giulio, è vero che ciascuno di noi ha solo una, forse due storie da raccontare. Ma comunque, a un certo punto, le storie bisogna ammazzarle. Per l’ennesima volta Giulio inizia a scrivere la storia d’un abbandono, d’un amore odioso, di una repulsione affascinata: scrive cinque pagine, dieci, quindici, fingendo d’essere una donna di trent’anni che scrive al proprio padre, immaginando un padre amante della figlia fin dai primissimi tempi dell’adolescenza di questa, immaginando una figlia prima sedotta e poi spaventata, fuggita, indurita; scrive, Giulio, più di trenta pagine, immaginandosi di essere questa donna, scrivendo attraverso questa donna che immagina di essere parole che lui da solo non sarebbe mai capace nemmeno di pensare; scrive, e un bel giorno butta via tutto. Via. Cestino, Svuota cestino. Perché la storia è sempre la stessa storia, e lui l’ha raccontata così tante volte da saperla raccontare, ormai, se n’è accorto, come col pilota automatico. Datemi la storia d’un amore disperato, possibilmente contro natura di quel tanto, e io darò voce ai suoi attori. Li farò parlare in modo tale da farli compatire e amare. Questo io so fare. Questa è la mia specialità.

In questi due anni e mezzo senza storie – una storia buttata via è una storia inesistente – Giulio ha scritto molto. Ultimamente si è specializzato in testi descrittivi di luoghi. Lo chiamano studi di architettura, aziende di promozione turistica, agenzie di pubbliche relazioni: gli chiedono di andare nel posto tale, di vistare l’edificio tale, di farsi un giro nei supermercati della catena tale, e di tornare a casa con una storia. Giulio dice di sì, sempre; fa quello che deve fare; descrive località turistiche, terreni edificabili, edifici incongrui, punti vendita, cimiteri; a volte è accompagnato da un fotografo, a volte no, a volte è lui che accompagna un fotografo; alla fine il cliente è soddisfatto, quasi sempre. Non sempre: perché qualche assessore al turismo se la prende per un testo che non ha niente di turistico, o qualche agenzia di pubbliche relazioni si scandalizza per un testo che manca di rispetto al cliente. In questi casi di solito non pagano.

Giulio si mantiene facendo un po’ di questi lavori, ma soprattutto con i laboratori di scrittura e narrazione. Ogni settimana, più o meno, affronta un gruppo nuovo. Pensionati che si ricordano ancora il tempo in cui tutto questo che c’è oggi non c’era, prima che tutto quello che oggi non c’è più scomparisse, e vogliono fissare, ricordare, conservare. Giovani mamme che inventano favole e filastrocche per i loro bambini presenti e futuri. Carabinieri convinti che la loro vita sia un romanzo. Ragazzotti che vogliono «diventare uno scrittore» (questi Giulio, se può, cerca di mandarli via). Lettrici accanite curiose di capire come funzionano e «come si fanno» quelle narrazioni che le affascinano così tanto. Ingegneri navali, chimici del bitume, operatori di call center, bibliotecarie, ragioniere iscritte all’ordine dei ragionieri: c’è di tutto, in questi laboratori. Giulio veramente è un po’ stanco di affrontare ogni settimana un gruppo nuovo, di riprendere a rotazione gli stessi argomenti, di ricominciare ogni volta da un inizio; tuttavia non sa sottrarsi, pensa a quanto importante sia stata, per lui, l’educazione al parlare al leggere allo scrivere ricevuta prima in casa, poi a scuola, poi nel lavoro; gli risuona sempre in mente la battuta di don Milani che dice, più o meno: «Tu sai cento parole, il tuo padrone mille; per questo lui è il tuo padrone». Non è altro che questo, il mio lavoro, pensa Giulio, e in effetti è un lavoro che gli piace molto, anche se adesso, dopo quasi sei anni che è il suo primo lavoro, veramente è un po’ stanco.

Gli è successo, in questi sei anni, di incontrare persone che, come lui, avevano il dono. Ormai Giulio usa spudoratamente questa parola: il dono; perché solo questa parola gli permette di parlare della cosa che lui ha, o ha avuta, come di una cosa che ad averla non si ha nessun merito, avendola ricevuta in dono. Giulio sa che il suo dono, quello che ha ricevuto lui, è un dono mediocre; sa che il suo lavoro è farlo fruttare; sospetta di averne cavato ormai tutto il frutto che poteva cavarne; ed è felice, di tutto il frutto che ha cavato dal suo dono. Quando incontra persone che, gli sembra, hanno come lui il dono, Giulio si emoziona. Il suo primo pensiero è che di quel dono, di quel dono altrui, lui deve prendersi cura. Si può dire che a volte Giulio si innamori del dono altrui; che lo curi e si adoperi per farlo fruttare più di quanto, negli anni passati, si sia curato del suo proprio dono. In fondo, nel proprio dono Giulio ha avuto molta fiducia: ciò che vorrà darmi come frutto, ha pensato spesso, verrà quasi da sé; io devo essere soprattutto pronto ad accogliere, ad accettare, a ospitare. Invece verso il dono altrui a Giulio verrebbe da essere invadente, sollecitante, troppo premuroso. Così che a volte sbaglia, esagera, ha troppa fretta, non fa le cose come dovrebbero essere fatte. «Sei una mamma un po’ isterica», gli è stato detto una volta; e sarà stato ben detto. Le persone con il dono di cui Giulio decide di prendersi cura, diventano i suoi amici e le sue amiche. Ogni tanto lui pensa che sarebbe bello, vivere per loro. Ogni tanto pensa che forse queste che lui pensa come amicizie non sono veramente amicizie, perché lui è ossessionato dal prendersi cura; e questo non va bene.

Il terrore di Giulio è: ingannarsi, vedere il dono in chi non ce l’ha. Ha provato questo terrore per qualche anno, perché nessuno dei suoi amici, nel cui dono Giulio credeva fermamente, trovava attenzione presso gli editori. Non essendo capace di dubitare del dono dei suoi amici, Giulio ha dubitato di se stesso. Che cosa posso fare, che cosa posso fare, che cosa posso fare? Certi giorni non pensava ad altro.

Da qualche tempo un editore ha chiesto a Giulio di scegliere dei libri da pubblicare. Giulio ne è stato felice: ha potuto chiamare i suoi amici con il dono, e dire loro: ecco. Qualcuno nel frattempo ha trovata una via per suo conto; qualcuno ha rinunciato; qualcuno si è arrabbiato con Giulio; qualcuno è stato felice di accogliere la possibilità; qualcuno ha detto di sentirsi non ancora pronto. Fatto sta che da due anni e mezzo il tempo di Giulio è sempre più occupato dai libri degli amici, e da due anni e mezzo Giulio non inventa più storie nuove. Giulio non è preoccupato per le storie che non gli vengono più. In fondo a lui importa che i libri esistano, ci siano; non è importante che sia lui o siano altri a scriverli. Se in nove anni ha scritto sessantaquattro storie, può bastare. Gli piace molto discutere fino a mattina con Umberto, scambiare lettere con Laura, telefonare a Maria Luisa, prendere il treno per andare da Giuseppe, leggere le e-mail chilometriche di Livio. In fondo, pensa Giulio, io non faccio niente. Queste persone scrivono i loro libri, e non li scrivono certo perché io li aiuto o li sostengo o gli dico come fare o gli risolvo dei problemi. Farebbero lo stesso, anche senza di me; in altri modi forse, con altri tempi forse; ma farebbero lo stesso. Tutto ciò che io devo fare, è stare lì. Esserci. Io sono quello che ci crede, che pensa che tutto questo abbia senso. Sono quello che può testimoniare: che giocarsi un pezzo della vita su una storia o venti storie o sessantaquattro storie da raccontare, è una cosa che ha senso. Io l’ho fatto, la mia esistenza in vita dimostra che ha senso.

Perché in effetti, ciò che temono gli amici di Giulio, così lui pensa, è di morire. Temono che la loro storia uscirà da loro, andrà per il mondo, e loro moriranno. Anche Giulio, a suo tempo, ha temuto questo. Ma adesso lui è lì, le sue storie sono completamente uscite da lui, non ne ha più nessuna, sono tutte in giro per il mondo, e lui è vivo. Vivo. Vivo. Vivo.

[Gli autori:
Giovanni Agnoloni, Franco Arminio, Mauro Baldrati, Mario Bianco, Valter Binaghi, Adrián N. Bravi, Marco Candida, Riccardo de Gennaro, Arianna Destito, Valentina di Cesare, Marco Drago, Riccardo Ferrazzi, Nunzio Festa, Francesco Forlani, Sergio Garufi, Alessandro Gianetti, Carlo Grande, Franz Krauspenhaar, Marino Magliani, Emilia Marasco, Claudio Morandini, Paolo Morelli, Giulio Mozzi, Giacomo Sartori, Beppe Sebaste, Giorgio Vasta, Alessandro Zaccuri, Stefano Zangrando]

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