Francisco Soriano – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 02 Jul 2025 22:01:53 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Vita passionale di un’anarchica https://www.carmillaonline.com/2024/12/27/vita-passionale-di-unanarchica/ Fri, 27 Dec 2024 21:00:11 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=86235 di Paolo Lago

Francisco Soriano, Claudia Valsania, Virgilia D’Andrea. Una poetica sovversiva, introduzione di Giorgio Sacchetti, Nova Delphi, Roma, 2024, pp. 272, euro 15,00.

È scritta con passione questa monografia su Virgilia D’Andrea di Francisco Soriano e Claudia Valsania, e riesce meravigliosamente a trasferire sulla pagina la passione poetica e politica di una grande scrittrice e poetessa che meriterebbe un ben più ampio spazio nella storia letteraria italiana del Novecento. Non si tratta di una semplice biografia ma di un’attenta disamina critica dell’opera e della militanza di Virgilia D’Andrea, la quale è stata non solo una letterata ma anche un’importante attivista [...]]]> di Paolo Lago

Francisco Soriano, Claudia Valsania, Virgilia D’Andrea. Una poetica sovversiva, introduzione di Giorgio Sacchetti, Nova Delphi, Roma, 2024, pp. 272, euro 15,00.

È scritta con passione questa monografia su Virgilia D’Andrea di Francisco Soriano e Claudia Valsania, e riesce meravigliosamente a trasferire sulla pagina la passione poetica e politica di una grande scrittrice e poetessa che meriterebbe un ben più ampio spazio nella storia letteraria italiana del Novecento. Non si tratta di una semplice biografia ma di un’attenta disamina critica dell’opera e della militanza di Virgilia D’Andrea, la quale è stata non solo una letterata ma anche un’importante attivista anarchica che ha segnato la storia dell’anarchismo di inizio Novecento. In ogni parola di Soriano e Valsania vibra una forte tensione militante e la stessa scrittura del saggio sembra attingere alla forza poetica di D’Andrea: la sua è infatti una poesia che prende spunto direttamente dalle ingiustizie dei potenti nei confronti dei più deboli. Nata a Sulmona, in provincia dell’Aquila, nel 1888, orfana dei genitori, si trovava in un convento quando nel 1900 Gaetano Bresci uccise il re Umberto I, colpevole di aver decorato il generale Bava Beccaris che aveva ordinato di sparare sul popolo inerme e affamato che chiedeva il pane compiendo una strage. Bresci è stato solo un folle e un criminale oppure è stato spinto da una qualche superiore motivazione? – si chiese Virgilia. E da qui iniziò probabilmente la sua personale presa di coscienza delle numerose violenze inflitte ai poveri e ai diseredati da parte del potere. Nel suo romanzo Torce nella notte, D’Andrea, infatti, non manca di sottolineare l’assoluta insensibilità dei governanti nei confronti delle vittime del terremoto che nel 1915 colpì l’Abruzzo e rase al suolo Avezzano: poverissime frange di popolazione abbandonate a sé stesse nel momento del bisogno ma non certo dimenticate quando si trattava di richiamarle per la leva obbligatoria allo scoppio della prima guerra mondiale per difendere la “patria” (parola che per la scrittrice è la conseguenza di un egoismo collettivo e nasconde “ambizioni di dominio e di sfruttamento”). Virgilia D’Andrea, successivamente, entrò a far parte dell’Unione sindacale e si dedicò all’attività di sindacalista, insieme al suo compagno, Armando Borghi, uno dei leader del movimento anarchico, collaborando a “Umanità Nova”. Venne perseguitata e arrestata e, dopo l’avvento del fascismo, dovette riparare in Germania, in Olanda, a Parigi e, infine, negli Stati Uniti dove morì nel 1933.

Il saggio si compone di diversi capitoli che costituiscono varie finestre sulle opere e sull’attività letteraria e militante di Virgilia: molti di essi sono dedicati a personaggi che hanno rivestito un’importanza fondamentale nel suo percorso politico, come Pietro Gori, Ottorino Manni, Sante Pollastro, Michele Schirru. Un capitolo del libro è dedicato a una interessante disamina della rivista “Veglia”, fondata da Virgilia D’Andrea nel 1926 e da lei diretta: si può notare che un periodico fondato e diretto da una donna è sicuramente qualcosa di non comune per l’epoca. Soriano e Valsania analizzano in modo filologico e preciso gli interessanti articoli presenti negli otto numeri di “Veglia”, firmati anche da importanti attivisti e letterati. Il primo numero della rivista è caratterizzato da un editoriale firmato dalla stessa Virgilia, dal titolo Braciere ardente, che poi andrà a costituire un capitolo del romanzo Torce nella notte: “Il testo racconta del momento in cui l’anarchica vede nascere intorno a lei, nei suoi compagni di esilio, l’idea di una rivista mensile che fosse «la eco di tutte le nostre voci» e insieme lo spazio strappato al buio per essere restituito all’«Ideale», segnando così il primo passo per la nascita di «Veglia»”. Sempre nel primo numero è presente anche un articolo del pittore e architetto futurista Vinicio Paladini, dal titolo L’influenza dell’anarchia nell’arte, firmato con lo pseudonimo Vasco dei Vasari. La grande arte, per l’autore dell’articolo, è data dall’indipendenza degli artisti da qualsiasi forma di potere, in aperta opposizione agli accademismi di ogni tipo sottoposti alle logiche di controllo che lo stesso potere esercita: ecco allora – tra gli altri – grandi artisti come Corot, Millet, Cézanne, Degas, Courbet, Manet, Van Gogh che non hanno piegato la testa di fronte alle imposizioni del potere. Il secondo numero di “Veglia” è invece dedicato “ai tragici eventi che riguardarono Sacco e Vanzetti” mentre risulta interessante, fra i molti analizzati da Soriano e Valsania, un altro testo scritto da Virgilia D’Andrea presente nel n. 6 di “Veglia”, intitolato Adolescenza luminosa e dedicato a Anteo Zamboni, il quindicenne che nel 1926, a Bologna, attentò alla vita di Mussolini e venne catturato da Carlo Alberto Pasolini, ufficiale dell’esercito padre di Pier Paolo Pasolini. Sempre nel n. 6 risulta interessante la presenza di una poesia firmata da “uno sconosciuto consigliere comunale di Ravenna” dal titolo Imprecazione poetica contro i ricchi nei giorni di loro maggiore esultanza: si tratta della prima stesura di un componimento di Lorenzo Stecchetti (alias Olindo Guerrini), poeta scapigliato e realista, che molto ricorda le taglienti rime del più famoso Canto dell’odio. A Sacco e Vanzetti è poi dedicato anche l’ultimo numero, il n. 8, che reca in copertina un’inquietante illustrazione (riprodotta insieme ad altre in appendice al volume) in cui vediamo la Statua della Libertà che, invece della fiaccola, tiene una sedia elettrica nel suo braccio levato al cielo (ancora più inquietante dell’immaginario kafkiano che, in Amerika, rappresentava il braccio alzato recante una spada).

Nel capitolo intitolato “Richiamo all’anarchia”, Soriano e Valsania si concentrano sull’importante attività di conferenziera di Virgilia D’Andrea: in Chi siamo e che cosa vogliamo, conferenza tenuta a New York il 20 marzo del 1932, “Virgilia ben argomenta la sua idea di anarchia laddove sfida chi afferma che senza un governo, una legislazione, una repressione non può esistere l’ordine”. Interessante è ricordare come la poetessa e attivista ritrovi nella storia della letteratura un pensiero anarchico ante litteram, addirittura a partire dall’Iliade, laddove il personaggio di Tersite, emarginato e deforme, si scaglia contro gli dei e contro qualsiasi forma di potere. Fino a Shakespeare, Cervantes, Victor Hugo, Zola, per giungere poi agli autori prediletti Carducci, Pascoli, Rapisardi, Ada Negri e Pietro Gori, incontriamo personaggi spinti da una sorta di spirito anarchico, ribelli e indomabili, personaggi che D’Andrea sente vicini e affini alla sua ispirazione. Un’altra conferenza, tenuta a New York il 6 gennaio 1929, è invece dedicata a Pietro Gori: “Con questo intervento-parafrasi sulla poesia di Pietro Gori, l’anarchica mostra tutta la sua magnificenza umana, etica, artistica e letteraria. Scorge nei versi di questo mirabile poeta risvolti di dolcezza ed eleganza difficili da riscontrare in altri scrittori”.

I due studiosi si concentrano poi sull’attività poetica di D’Andrea analizzando alcune significative poesie appartenenti alla raccolta Tormento la cui prima edizione uscì nel 1922 con una prefazione di Errico Malatesta: “I testi poetici di Tormento rappresentano un chiaro esempio di poesia civile, non riconducibile tuttavia a uno specifico canone, partorito in una cornice storica dominata da autoritarismi e sistemi di governo che non esitavano a utilizzare metodi violenti per reprimere le libertà di pensiero e di parola”. Successivamente, incontriamo l’analisi di alcuni saggi politici e letterari dell’autrice: in I “bravi” sulla fossa di Manzoni, D’Andrea afferma che Manzoni, con il personaggio di Renzo, ha dato vita alla voce del popolo perennemente oppresso; in Perché cercate il vivente tra i morti?, dedicato a Giacomo Matteotti, “Virgilia apre la sua narrazione immaginando di ripercorrere quanto accaduto a Matteotti nel momento dell’omicidio e il dialogo con i suoi assassini”.

Il capitolo finale è dedicato al sodalizio culturale, affettivo e umano fra Virgilia D’Andrea e Armando Borghi fino alla scomparsa di lei, avvenuta a New York nel 1933 a causa di una grave malattia: unendosi a lui, Virgilia si immedesimò nelle battaglie che egli portava avanti in seno al movimento sindacale e trovò un sincero compagno di ideali e di lotta. Nelle parole dello stesso Borghi, la scomparsa di Virgilia D’Andrea lasciò un vuoto incolmabile nel movimento anarchico e nella cultura letteraria e poetica. Virgilia D’Andrea non va dimenticata, anche e soprattutto oggi, in questi tempi di buio e d’incertezza. Il bel volume di Soriano e Valsania, con passione e vera militanza culturale, ci aiuta a tenerla viva: lei, la sua lotta e la sua opera.

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Noe Itō, anarchica e femminista giapponese https://www.carmillaonline.com/2018/12/05/noe-ito-anarchica-e-femminista-giapponese/ Wed, 05 Dec 2018 22:00:02 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=49942 di Gioacchino Toni

Francisco Soriano, Noe Itō. Vita e morte di un’anarchica giapponese, Mimesis, Milano-Udine 2018, pp. 116, € 13,00

Nel settembre del 1923 il “Male Oscuro” si abbatte sulla regione del Kantō in Giappone: un violento terremoto devasta i territori di Tōkyō e Yokohama ponendo termine ad oltre centomila vite umane. Sullo sfondo di tale catastrofe naturale, sfruttando il generale disorientamento, uno squadrone della polizia militare non ha di meglio da fare che arrestare e uccidere la scrittrice anarco-femminista Noe Itō, l’anarchico Sakae Ōsugi ed il piccolo nipotino che era con loro.

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di Gioacchino Toni

Francisco Soriano, Noe Itō. Vita e morte di un’anarchica giapponese, Mimesis, Milano-Udine 2018, pp. 116, € 13,00

Nel settembre del 1923 il “Male Oscuro” si abbatte sulla regione del Kantō in Giappone: un violento terremoto devasta i territori di Tōkyō e Yokohama ponendo termine ad oltre centomila vite umane. Sullo sfondo di tale catastrofe naturale, sfruttando il generale disorientamento, uno squadrone della polizia militare non ha di meglio da fare che arrestare e uccidere la scrittrice anarco-femminista Noe Itō, l’anarchico Sakae Ōsugi ed il piccolo nipotino che era con loro.

Il libro di Francisco Soriano, oltre a fornire elementi di storia, cultura, religione e politica del Giappone, narrando la vicenda di Noe Itō e il dibattito prodotto dalla rivista «Seitō», contribuisce a ricostruire la nascita e l’evoluzione dei movimenti anarchici e femministi nipponici  nella prima metà del Novecento.

Scrive Rossella Renzi nella Prefazione che quando in un Pese monta l’ossessione per la sicurezza, così come accadde nel Giappone di inizio Novecento che fa da sfondo alle vicende narrate nel libro di Soriano, «tutto ciò che diverge dai Codici […], dal Diritto costituito e dalla Legge consuetudinaria deve essere espulso o distrutto. A livello più generale, il desiderio psicologico delle autorità di avere tutto sotto controllo e di aspirare a una sicurezza assoluta può portare a conseguenze terribili, come ci ha tristemente dimostrato il XX Secolo, sfociando nei fenomeni del totalitarismo. Il terremoto aveva generato negli abitanti dell’isola un senso di precarietà, insieme al bisogno di trovare una “causa”, una radice che avesse generato quella calamità che si era abbattuta sulla loro terra. Proprio in quegli anni, in pieno sviluppo economico, quando stava nascendo un proletariato consapevole della propria identità e stava prendendo forma una “coscienza collettiva popolare”, ci si iniziava ad interrogare sulla correttezza e sul rispetto dei principali diritti civili: si percepiva allora un fermento di rinnovamento e di desiderio libertario che infastidiva non poco le autorità giapponesi. La gestione della sicurezza interna diviene una preoccupazione ossessiva, così l’autorità giapponese – attraverso corpi di polizia e squadre di controllo – mette in atto azioni di persecuzione nei confronti di quegli attivisti che agivano per affermare e proteggere il bene dell’individuo, per ottenere leggi più giuste e umane, in particolare in favore dei lavoratori e delle donne. In questa campagna di odio, scaturita in particolare nei confronti di anarchici e coreani, vengono perseguitati i movimenti libertari composti da operai, studenti, medici e professori, intellettuali e monaci buddisti, le cui attività erano pacifiche» (p. 14).

Nel caos seguente al disastro naturale che nel settembre 1923 aveva sconvolto la regione del Kantō, con il pretesto che trame bolsceviche e rivoluzionarie avrebbero potuto usurpare il potere, il governo giapponese ritenne necessario scatenare la persecuzione e la soppressione degli oppositori politici. Con la scusa di evitare atti di sciacallaggio vennero conferiti maggiori poteri ai militari che, in una escalation paranoica, giunsero persino a bloccare gli aiuti di prima necessità inviati dalla Russia nel timore che tra viveri e medicine si potessero celare sobillazioni sovversive.

«Fu il tempo di una sistematica e programmata caccia alle streghe: cominciò una capillare ricerca di presunti responsabili di azioni di sabotaggio. Moltissimi cittadini indifesi rimasero uccisi nei linciaggi della folla inferocita e aizzata dalla propagazione di false notizie diramate anche dalle autorità nipponiche. Fu un gesto ragionato e criminoso, messo in opera da coloro i quali intendevano sconfiggere il potere di un male oscuro, alimentato da un demone occulto nella coscienza collettiva popolare. In Giappone, già tre anni prima del sisma del Kantō, si verificarono i primi casi di insofferenza. Si diede inizio a una persecuzione sorprendente di intellettuali e di dirigenti dei movimenti antagonisti al regime» (pp. 23-24).

L’ossessione securitaria era dilagata al pari delle notizie incontrollate e abilmente diffuse dal regime che volevano gruppi di socialisti, nei pressi degli incendi divampati a causa del terremoto, intenti ad agitare le loro bandiere rosse inneggiando alle fiamme divoratrici della società capitalistica, si diceva di anarchici e socialisti intenti ad appropriarsi dei beni dei cittadini, appiccare fuochi e avvelenare i pozzi. Anche gli stranieri, soprattutto coreani, vennero additati di condotte criminali durante le fasi convulse successive alla catastrofe. Furono organizzate milizie di cittadini per dare la caccia e uccidere i coreani; nella sola Yokohama almeno trenta furono giustiziati sommariamente (bruciati vivi), mentre a Saitama vennero presi d’assalto i camion sui quali venivano trasportati i coreani fermati e molti di costoro finirono per essere torturati, uccisi e fatti a pezzi.

Negli anni dell’Era Taishō (1912-1926), che portano il Giappone a diventare una potenza industriale, un nascente proletariato cosciente della propria identità e forza oppositiva, insieme a una parte della borghesia più illuminata, mette in discussione alcuni dei valori fondanti il sistema imperiale. Con l’avvento di Hirohito e il radicamento di forme estremiste di sciovinismo, il paese che intendeva presentarsi come moderno e progressista virò presto su posizioni liberticide che portarono alla promulgazione di leggi emergenziali esplicitamente rivolte a contrastare l’azione antagonista di anarchici, socialisti e comunisti.

«Dalla sordida retorica del regime, gli anarchici erano stati etichettati come sabotatori di idee positive colpevoli di minare l’ottimismo nazionalista, di essere irriguardosi verso la fede e l’obbedienza all’imperatore, di cospirare contro le istituzioni a favore di forze straniere. La repressione fu senza esclusione di colpi proprio nel momento in cui, il terremoto aveva devastato e reso fragili, le coscienze degli uomini. Una logica perversa messa in atto per annientare i propri figli illegittimi come agnelli sacrificali» (p. 26).

Partiti radicali messi fuori legge, stampa sottoposta a censura e a veline di regime, sospensione dagli incarichi e condanne a chiunque si mostrasse non in linea con le autorità, epurazioni e sparizioni di personaggi scomodi, riunioni pubbliche sottoposte a controllo poliziesco, questo era il clima che si respirava nel Giappone dei primi decenni del Novecento. «In venti anni, fino al 1945, più di 75.000 persone furono attenzionate, imprigionate e torturate. Le vittime vennero sottoposte a regimi detentivi inumani e trattate con inusitata efferatezza: pochi riuscirono a sopravvivere alle malversazioni fisiche e psicologiche. Le formazioni politiche più reazionarie, con la collaborazione delle forze dell’ordine e dei militari, riuscirono a costruire un clima culturale di aggressione incondizionata al fine di tutelare la sicurezza» (p. 26).

La figura di Noe Itō, nata nel 1895 da una famiglia poverissima sull’isola di Fukuoka, scrive Soriano, deve essere inquadrata in un momento storico caratterizzato da un serrato scontro generazionale e di classe, in cui si fronteggiavano aspramente movimenti antagonisti e istituzioni, istanze internazionalistiche pacifiste e nazionalismi. «In tale contesto la società patriarcale tentò una strenua resistenza come risposta alla moltiplicazione di idee e gruppi di oppositori politici. La prospettiva di superamento del feudalesimo non fu certo indolore e le contraddizioni sociali non fecero altro che estremizzarsi all’ombra di una centralizzazione nel potere nipponico parallelamente a una deriva decisionale e sovranista senza precedenti» (p. 80-81).

L’approccio politico di Noe Itō e del compagno Sakae Ōsugi «era completamente diverso da quello di socialisti e comunisti: si innestava sui principi anarchici universali che superavano culture, Stati e frontiere. A differenza di molti esponenti del socialismo nipponico ma anche di tanti libertari, non subirono mai la folgorazione del culturalismo nazionale, riferimento imprescindibile per le istituzioni e per una larga maggioranza della popolazione educata allo sciovinismo, al consenso e alla sete di conquista» (p. 84).
Nel 1911 Noe Itō etra a far parte del gruppo della rivista «Seitō», pubblicazione caratterizzata da una «vocazione polemica che poneva l’accento su problematiche che riguardavano il mondo femminile, nel suo ruolo sociale e nella sua funzione politica. Il matrimonio combinato, l’aborto, la prostituzione, la contraccezione furono i primi temi affrontati dalla rivista nel tentativo di sensibilizzare l’opinione pubblica non solo femminile alla rivendicazione dell’uguaglianza di genere» (p. 85). La rivista verrà chiusa nel 1916 dalla censura dopo numerose vessazioni poliziesche.

«Noe Itō fu una donna intelligente e brillante; nonostante fosse di umili origini seppe imporsi, in un contesto sociale fortemente discriminante, con lo studio appassionato e uno spirito di abnegazione incredibile. Con coraggio e ostinazione, prima collaborò con i suoi articoli al successo della rivista «Seitō», in seguito ne divenne la caporedattrice. Al suo arrivo, la testata giornalistica subì una vera e propria mutazione genetica: si caratterizzò nella rivendicazione dei diritti di uguaglianza di genere conferendo ai suoi scritti una chiara impronta anarco-femminista. Le autorità seguirono con estrema attenzione la svolta che Noe Itō aveva impresso al mensile: mise in discussione, radicalmente, i valori di una cultura maschilista e oscurantista […] Con una critica sociale serrata e con la rivendicazione forte della libertà d’opinione, Noe Itō testimoniò il suo impegno politico portando a compimento la traduzione del libro The Tragedy of Woman’s Emancipation, di Emma Goldman. Dalla libertaria occidentale trasse l’afflato femminista più autentico e interpretò con estrema coerenza il principio dell’azione diretta per il raggiungimento di obiettivi reali. Fu compagna e attivista di Sakae Ōsugi che collaborò alla traduzione degli scritti della pensatrice russo-lituana. Fu grazie a questa iniziale collaborazione che fra i due nacque una vorticosa relazione amorosa. Il loro rapporto basato sul rispetto assoluto della libertà individuale e sessuale sorprese i benpensanti e scatenò scandali e dicerie. […] Noe Itō ha rappresentato per il suo Paese l’anima ribelle di una nuova generazione di donne. La sua lotta è la testimonianza che l’afflato libertario ha pervaso anche comunità di popoli geograficamente e culturalmente distanti ma non marginali alle realtà europee e occidentali. L’elaborazione teorica, l’azione diretta, la fondazione di movimenti sindacali, l’infaticabile lavoro di traduzione di classici dell’anarchismo internazionale, dimostrano quanto sia fuorviante la convinzione che a oriente del mondo, i modelli libertari siano irrealizzabili o incomprensibili» (pp. 30-31).

Tra i responsabili della feroce eliminazione di Noe Itō, Sakae Ōsugi e del nipotino, figura il capitano Amakasu Masahiko, tristemente noto per il suo sadismo nei confronti dei prigionieri. Dopo aver ammesso di aver organizzato e preso parte alla spedizione punitiva, strangolando personalmente i tre dopo averli bastonati, Masahiko dichiarò di “aver agito per l’amor di patria e nel timore che gli anarchici potessero provocare disordini nella difficile ora del terremoto”. Insomma il fine supremo del mantenimento dell’ordine giustificò la formazione di squadroni della morte al fine di bonificare cittadini inermi e ideologicamente antagonisti al potere. Nelle due settimane successive al sisma furono arrestati e assassinati in una caserma di Tōkyō almeno altri quattordici operai attivisti del movimento sindacale, probabilmente con modalità non tanto diverse da quelle con cui era stata eliminata la famiglia Ōsugi.

Nel primo anniversario del terremoto, l’anarchico Kyutaro Wada pensò di vendicare l’uccisione dei compagni con un attentato nei confronti del generale Fukuda Masataro, comandante militare all’epoca dei fatti. L’attentato fallì e Wada, condannato per tentato omicidio a vent’anni di carcere nel terribile terribile penitenziario di Akita, dopo quattro anni di detenzione venne ritrovato impiccato. Il capitano Masahiko, torturatore e pluriomicida, venne invece condannato a dieci anni di carcere poi commutati in due per amnistia.

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La storia di Noe Itō e Ōsugi Sakae è stata narrata nel film Eros + Massacre (1969) di Kijū Yoshida, regista formatosi nell’ambito del cinema d’avanguardia nipponico degli anni Sessanta.

Film: Eros + Massacre (1969) di Kijū Yoshida

«Il film è una sequenza di immagini che sembrano astratte e si sovrappongono vorticosamente in azioni, gestualità e dialoghi che giocano ruoli di realtà e finzioni su piani diversi e sospesi. Le voci degli attori fuori campo diventano suoni suggestivi e spesso i protagonisti sembrano recitare con i loro sguardi fissando il vuoto: i due studenti che si mettono sulle tracce di Itō e Ōsugi, si muovono in un gioco di realtà e finzione, nel tentativo di rappresentare l’ellissi umana e politica dei due libertari. Eiko e Wada sono ricercatori e indagano sulla vita politica di questi personaggi intersecando le esistenze dei protagonisti in un gioco complesso e affascinante. Yoshida esalta alcune problematiche che la coppia Ōsugi-Itō cercava di affrontare sublimando la loro idea libertaria e antistatalista. Il crimine di Stato perpetrato in quell’occasione rimane un fatto storico di analisi e riflessione. È la consapevolezza forse, come ammette lo stesso Yoshida nel 1970 in una intervista alla rivista «Cahiers du Cinema», che “alcuni dei problemi posti da Ōsugi sono quelli che ancora sopravvivono nel sociale del Giappone contemporaneo e sono utili per capire come cambiare le cose e in che modo farlo”» (pp. 96-97, n. 40).

 

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