Filo Sottile – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 30 Apr 2025 21:35:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 La lotta di Filo Sottile: “Senza titolo di viaggio” https://www.carmillaonline.com/2022/05/30/la-lotta-di-filo-sottile-senza-titolo-di-viaggio/ Mon, 30 May 2022 20:00:02 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=72122 di Paolo Lago

Filo Sottile, Senza titolo di viaggio. Storie e canzoni dal margine dei generi, Alegre, Roma, 2021, pp. 381, euro 16,00.

Senza titolo di viaggio di Filo Sottile, cantastorie, anzi “punkastorie”, e scrittrice, è un libro coraggioso, la cui lettura è assolutamente consigliata a tutti. È un libro di lotta. L’autrice imbastisce una narrazione dalle tonalità autobiografiche e, davvero, ci accompagna in un vero e proprio viaggio attraverso la sua personale battaglia per vedere riconosciuta la sua identità transgender. Un viaggio percorso da clandestina perché, come leggiamo nel risvolto di copertina, [...]]]> di Paolo Lago

Filo Sottile, Senza titolo di viaggio. Storie e canzoni dal margine dei generi, Alegre, Roma, 2021, pp. 381, euro 16,00.

Senza titolo di viaggio di Filo Sottile, cantastorie, anzi “punkastorie”, e scrittrice, è un libro coraggioso, la cui lettura è assolutamente consigliata a tutti. È un libro di lotta. L’autrice imbastisce una narrazione dalle tonalità autobiografiche e, davvero, ci accompagna in un vero e proprio viaggio attraverso la sua personale battaglia per vedere riconosciuta la sua identità transgender. Un viaggio percorso da clandestina perché, come leggiamo nel risvolto di copertina, “i confini di genere, come quelli tra nazioni, sono presidiati. Varcarli è un’impresa. I lasciapassare sono concessi di rado e a condizioni umilianti. Spesso le persone trans, non binarie e queer hanno necessità di passare comunque. Come? Da clandestine. E a volte nei reticolati restano impigliati brandelli di nomi”.

La battaglia portata avanti da Filo (abbreviazione di Filomena) Sottile, però, per come emerge dalle pagine del libro, non è squisitamente privata e personale. Si tratta di una vera e propria lotta che assume i contorni di una opposizione costante e quotidiana alle dinamiche della società capitalistica, la quale si presenta anche come una società di tipo “eterocispatriarcale”. Dopo la lettura di Senza titolo di viaggio si comprende chiaramente come una lotta per una società più giusta, liberata dalla gabbia imprigionante del capitale non possa essere scissa da una contro le quotidiane violenze che vengono riservate a chi semplicemente chiede di essere se stesso senza conformarsi ai modelli imposti dall’alto dallo stesso capitale. Battersi contro quest’ultimo e contro le sue gerarchie significa battersi per una società più umana: ciò vuol dire anche riconoscere come lo sfruttamento capitalistico degli individui intacchi diverse sfere della vita di quegli stessi individui. L’identità è sicuramente una di queste: il capitale impone dei modelli e pretende che vengano seguiti. Non meravigliamoci, perciò, quando capiamo finalmente “che oppressione eterocispatriarcale, asservimento neoliberista e discriminazione razziale sono facce diverse di un unico dispositivo”. Come ci ricorda Michel Foucault, non esiste un solo ed unico potere imposto dall’alto, ma maglie di diversi poteri stretti in connessione fra di loro. Ecco perché – scrive Filo Sottile – “desideriamo mettere in discussione i principi gerarchici, le piramidi di potere, ciò che viene dato per naturale, la violenza quotidiana dell’eterocispatriarcato e del neoliberismo”. Senza titolo di viaggio è la testimonianza di una lotta quotidiana per “sfare” il capitalismo perché, nota Filo, “come dice Stefania Consigliere in Favole del reincanto, «ogni cosa fatta dagli umani – e il capitalismo è una di queste – può altrettanto bene essere sfatta». E anche su questo ci mettiamo tutto il nostro impegno”. Perché, in definitiva, il transfemminismo “non è un progetto riformista” ma “è allo stesso tempo il sogno e la pratica quotidiana della rivoluzione”.

Filo Sottile ricorda poi come la sua vicinanza al movimento NO Tav e la sua militanza in esso siano state fondamentali per portare avanti la propria battaglia. In fin dei conti, anche gli attivisti della Val Susa combattono per rivendicare la propria identità e quella del loro territorio, che non può essere violentato in alcun modo dalle dinamiche economiche imposte dal capitale. Come Filo afferma in un’intervista rilasciata al Collettivo Paolo Uccello (leggibile qui) nel febbraio 2019, è necessario “lottare su tutti i fronti”, “essere il più molteplici possibile”. E, dal movimento No Tav, Filo ha imparato anche che “lavorare sugli immaginari è fondamentale”: infatti, continua nell’intervista, “fino a quando non ti immagini un’alternativa… e lo posso leggere anche in ambito queer: fino a che io non mi sono immaginata che potessi farla io una transizione, che potessi esistere veramente, che potessi dire alla persona che vive con me, a mia figlia, ai miei parenti, ai miei amici, alle mie amiche che io ero così, che finché non ho potuto immaginare che potevo vivere così non me lo sono permessa”.

Senza titolo di viaggio è anche una testimonianza dal periodo del lockdown del 2020 e dei suoi strascichi infiniti. Un periodo in cui il motto “state a casa”, ripetuto fino alla nausea, suonava come una imposizione soprattutto nei confronti dei soggetti più deboli, di chi, in quello stare a casa non andava incontro a una idilliaca ‘famiglia da Mulino Bianco’ ma a incomprensioni e violenze. Del resto, la stessa nozione di “famiglia naturale”, di “parenti stretti” ai quali era esclusivamente consentito fare visita, suonava come una inaccettabile imposizione di identità burocratica dall’alto. E contro i risvolti burocratici del potere capitalistico, Filo ha dovuto lottare non poco. Raccontando le sue esperienze di lavoro come guida presso il Museo del Cinema di Torino e, successivamente, come bibliotecaria presso le biblioteche universitarie della città, è soprattutto in questa seconda esperienza che si è trovata di fronte l’insormontabilità della burocrazia. Ogni volta che prendeva posto al suo PC e si identificava, invece di “Filomena”, le appariva il nome della precedente identità maschile. Una lotta per rivendicare se stessi e la propria identità si configura anche e soprattutto come una lotta contro i vuoti involucri che il capitale dissemina sul suo percorso, siano essi meccanismi di identità o vie commerciali che annientano l’ecosistema.

Anche da un punto di vista formale, il libro sembra rifuggire la rigidità dei generi prestabiliti, preferendo una fluidità difficilmente identificabile. Non è un saggio ma nemmeno una narrazione puramente autobiografica in quanto aperta a svariate implicazioni di natura sociale, antropologica e politica. La sua apertura formale permette il continuo inserimento di testi in versi (nella direzione del prosimetro) e di canzoni della stessa Filo ma anche di altri compositori amici. È un testo cantato, perché, come leggiamo nel risvolto di copertina, “qui dentro c’è la punk e la folk”, una mescolanza di generi, di forme e di modalità narrative. Come in una magia fantasmagorica e onirica, il testo che Filo ci offre si presenta anche come un lungo racconto fatto a tre streghe (Lena, Mela e Bertìn) che appaiono lungo il Sangone e lungo i corsi d’acqua, delle “masche” piemontesi che però non predicono il futuro perché ancora non è stato scritto. Perché il futuro, come ci insegna Filo Sottile nel suo stupefacente Senza titolo di viaggio, ce lo scriviamo da noi, con il coraggio delle nostre scelte, con le nostre lotte inscindibili da un immaginario resistente che ogni attimo dischiude inediti percorsi di liberazione.

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Divinare significa non dover mai dire mi dispiace https://www.carmillaonline.com/2021/06/30/divinare-significa-non-dover-mai-dire-mi-dispiace/ Wed, 30 Jun 2021 20:52:13 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=66941 di Franco Pezzini

Massimiliano Kornmüller, L’oracolo di Alessandro Magno. Il metodo divinatorio del mago Astrampsico, pp. 155, € 12, Hermes, Roma 2020.

Mariano Tomatis, Mesmer. Lezioni di mentalismo. Vol. 2: La zona del Crepuscolo, 1784-1819, Prefazione di Filo Sottile, pp. 383, stampato in proprio, Torino 2020.

“La divinazione ha per dominio tutto ciò che lo spirito umano non può conoscere tramite le sue sole forze, in primo luogo l’avvenire – quando sfugge a una previsione razionale – in secondo luogo il presente e il passato, in quello che hanno di inaccessibile all’investigazione ordinaria”. [...]]]> di Franco Pezzini

Massimiliano Kornmüller, L’oracolo di Alessandro Magno. Il metodo divinatorio del mago Astrampsico, pp. 155, € 12, Hermes, Roma 2020.

Mariano Tomatis, Mesmer. Lezioni di mentalismo. Vol. 2: La zona del Crepuscolo, 1784-1819, Prefazione di Filo Sottile, pp. 383, stampato in proprio, Torino 2020.

“La divinazione ha per dominio tutto ciò che lo spirito umano non può conoscere tramite le sue sole forze, in primo luogo l’avvenire – quando sfugge a una previsione razionale – in secondo luogo il presente e il passato, in quello che hanno di inaccessibile all’investigazione ordinaria”. Con queste parole Massimiliano Kornmüller, avvocato cassazionista specializzato in penale, penale minorile e penale militare, attivissimo nella “tutela giuridica per artisti, scrittori, pittori, scultori ed arti drammatiche” (così il sito iustlab.org) ma insieme raffinato artista a sua volta, studioso dell’esoterismo antico e letterato scherzoso da arcadicherie di età barocca, avvia la curatela del Libro delle sorti del mago Astrampsico, testo greco precedentemente inedito in Italia.

Dove due paiono gli aspetti degni di nota, al di là di quello tecnicamente divinatorio che può interessarci limitatamente (se la vita, come sostiene Zeno Cosini, non è né bella né brutta ma originale, perderne l’originalità a colpi di spoiler sembra imperdonabile). E cioè da un lato lo straordinario fascino della compilazione e del mondo che evoca: il contesto è quello ellenistico (riferimenti a “vescovi” e “chierici” fanno ipotizzare titoli corrispondenti delle amministrazioni pagane, assieme forse a ricorsi più tardi in tempi cristiani a una forma divinatoria utilizzata con adattamenti), e si spalancano sullo sfondo gli orienti favolosi dei meticciati tra greci ed ex-sudditi achemenidi in terre dai nomi evocativi (Battriana, Sogdiana, Carmania, Margiana, Aracosia, eccetera). Un mondo che sincretizzava arti e culti, e dove la misura greca classica si confrontava con diverse morbidezze lungo le vie carovaniere: ovvio immaginare che vi transitassero anche dottrine ermetiche, magiche e divinatorie. Le strofe a forma di colombe dei bibliotecari di Alessandria ricordate da Borges, i prodigi della tecnica ellenistica – fino a giochetti come l’accensione del fuoco su un altare che fa aprire illusionisticamente le porte di un sacello – incontrano su quegli sfondi altri sogni, culture e urgenze, tra elefanti e cammelli e bestie feroci dei serragli: un mondo all’ombra della memoria dell’Alessandro Magno trasfigurato in mille tradizioni locali, insieme eroe sempre giovane, cadavere ingioiellato in qualche tomba segreta e icona di storie fantastiche degli orienti.

Ma tutto questo resta implicito nell’asciuttezza del libro dedicato al suo mago. Sfogliandolo, troviamo anzitutto un’introduzione sulla divinazione cleromantica, cioè tramite sorti (dadi, listarelle eccetera); si passa poi alla vita del misterioso Astrampsico – mago persiano per Diogene Laerzio – e alle sue opere, tra le quali un Lapidarium nauticum per garantirsi buone navigazioni con pietre talismaniche, un Oneirocriticon di interpretazione dei sogni (con responsi politicamente scorrettissimi come “Se la tua pelle [in sogno] è diventata nera, questo non fa del bene a nessuno” e altri lapalissiani come “Seduti in una fossa: non è di buon auspicio”), una Formula magica […] per attrazione amorosa e buona riuscita negli affari che interpella direttamente il dio Ermete e appunto il Libro delle sorti presuntamente usato con profitto da Alessandro. Con istruzioni in una lettera (più tarda?) del mago a re Tolomeo, un elenco di novantatré domande (alcune curiose: “Erediterò da mia moglie?”, “Verrò venduto?”, “Sarò ambasciatore?”, “Sono stato avvelenato?”), una tavola di corrispondenze numeriche e centotré decadi di risposte (che meritano qualche assaggio: “Non avrai sorte di diventare vescovo, non lo sperare”, “Otterrai la moglie che desideri, ma avrai dei sospetti”, “Se entri nell’esercito te lo ricorderai”, “Sarai curiale, ma ladro”, “Non sei stato avvelenato: perché sei così apprensivo?” eccetera).

Per la consultazione occorre un decaedro, dado a dieci facce, che il lettore mancante in casa di oggetto tanto necessario può ritagliare da p. 155 e costruirsi in autonomia. Tanto più che pratiche di tipo divinatorio non appartengono solo al passato e alle scelte di sovrani assoluti, ma sembrano trovare interesse ancor oggi nella politica e persino (come peraltro l’astrologia, mi risulta da fonti private) nei quadri di alcune aziende. Che la divinazione impatti cioè con effetti surrealmente concreti nel mondo reale – magari in forma di profezie che si autoavverano – non dovrebbe stupire.

Un secondo elemento d’interesse riguarda però il curatore. Dal profilo estremamente eclettico, come già accennato (un ritratto qui: il suo Magica incantamenta pare venga effettivamente utilizzato in circoli di maghi neopagani). Se nel caso del volume in esame le sue abilità di artista sono documentate dall’apparato grafico, con immagini a china di sorti e sculture, si tratta di poca cosa a fronte dei superbi encausti e acqueforti – alcuni proprio su sfondi ideali ellenistici – presentati in più mostre in giro per il Mediterraneo e anche altrove (per qualche assaggio rinvio al suo sito). Dove un sottotesto sornione di vaga ironia resiste sotto il velo del rigore documentale: e a testimonianza di questa sua vena a tratti esilarante è atteso per i tipi Bertoni di Perugia un suo Scherzi in rima.

Divinare, come spiegato, non riguarda però solo la conoscenza del futuro, aprendo anche a ciò che non è noto del presente e del passato. A partire in fondo da quelle dimensioni di mistero fitto che non riguardano gli arcana imperii ma le nostre profondità interiori e la gestione della relativa libertà. Per cui non sembra una forzatura accostare al volume su Astrampsico il nuovo testo di un altro tipo di mago, il mentalista – anzi, “iniettore di meraviglia” – Mariano Tomatis, cioè il secondo volume della sua monumentale opera Mesmer. Lezioni di mentalismo (sul primo volume, il senso dell’opera e il profilo militante dell’autore, cfr. qui). Un libro bellissimo, anche come oggetto editoriale di straordinaria eleganza, tutto da gustare per la forza affabulatoria della narrazione e la ricchezza vertiginosa di dati: in oggetto stavolta è quella che Tomatis – omaggiando Rod Serling – chiama zona del Crepuscolo, relativa agli anni 1784-1819, in cui tra gabinetti scientifici e palcoscenici “si sprigionarono visioni e potenzialità che sembravano paranormali”. Un “libro di rivoluzioni”, osserva Filo Sottile nell’ottima Prefazione,

 

lungo un trentennio […] luogo di scontro e di incontro fra scienza e teatro, incubi e premonizioni, poteri ESP e giochi di prestigio. […] Il crepuscolo – come la rivoluzione – non è un luogo circoscritto, puntiforme, ma quel lasso di tempo in cui il giorno trascolora nella notte, per sua stessa definizione sfumato, compresenza ibrida, terra di nessuno, landa bizzarramente abitata. In questa zona, che è in effetti un’ampia soglia, Mariano ci propone cinque percorsi liminali, in cui i nostri passi abitano il confine più che oltrepassarlo, i nostri sensi sono messi all’erta e il muscolo dello stupore continuamente sollecitato.

 

Spinto da un amore profondo e dichiarato per il proprio lavoro, proprio per esplorarlo in profondità Tomatis si propone di mirare ai relativi difetti, richiamando la frase di Leonard Cohen, “C’è una crepa in ogni cosa. È da lì che entra la luce” (ed è in fondo questo lo stesso spirito di chi scrive, in riferimento all’oggetto divinazione). A partire da un episodio personale di intuizione – un mattino di fine estate a metà tra sonno e veglia, con risoluzione di un enigma matematico – del tipo che nel Settecento, Tartini docet, veniva attribuito nientemeno che al Maligno.

Di qui l’esplorazione di cinque “cinque soglie cruciali” per la storia del mentalismo – e in fondo più in generale per lo studio del cervello umano – aperte nell’arco di tempo considerato. Anzitutto quella tra il sonno e la veglia, con gli esperimenti e le teorie del marchese di Puységur – a partire dallo strano caso (1784) del contadino ventitreenne Victor Race che, magnetizzato, prende a parlare nel sonno in modo curiosamente forbito e intelligente – e l’attenzione al sonnambulismo spontaneo e a quello degli spettacoli: un magma di fenomeni che ispirerà il nascere dell’ipnosi medica da un lato, del mentalismo dall’altro.

La seconda soglia è quella tra la vita e la morte, e riguarda la “terra d’incubo della fantasmagoria”, le lanterne magiche dall’illusionista Philidor in avanti (ma ci sono anche pittoreschi precedenti), dove i fantasmi inconsci evocati non si limitano a speculare ad ampissimo campo sui misteri dell’esistenza. Le apparizioni del re da poco ghigliottinato o – a un livello più privato – di parenti scomparsi finiscono infatti col recare implicazioni politiche e conturbanti mozioni affettive (“vampirismo della nostalgia o rituale psicomagico?”, sintetizza felicemente Filo Sottile). Straordinario del resto lo spettacolo che un epigono di Philidor, Étienne-Gaspard Robertson inscena proiettando l’ombra di Marat e altre, tra le quali quelle dei giacobini morti per mano dei controrivoluzionari: uno spettacolo che meriterebbe richiamare oggi, a fronte del sostanziale oblio del Terrore bianco e di un sempre più diffuso – almeno in Italia, in una vulgata da Primula rossa – derubricare l’intera epopea libertaria della rivoluzione a semplice, feroce mattanza da parte giacobina contro il buon sovrano e i suoi fedeli.

Terza soglia, tra il visibile e l’invisibile: qui il discorso si fa, se possibile, ancor più surreale con la saga (1800) delle donne invisibili; mentre la quarta, tra realtà e simulazione, affronta il caso dell’abate Faria (quello vero, José Custodio Faria di Goa in India, 1756-1819, non il personaggio di Dumas a lui ispirato, e di cui pure Tomatis parla), “il primo a spettacolarizzare in modo esplicito il sonnambulismo”. Ma più terribile della prigionia al castello d’If è quella evocata a proposito della quarta soglia, tra lucidità e follia, con il caso di Ersilia Rouy (1814-1881), figlia a sua volta di un impresario di fantasmagorie, finita al manicomio di Charenton per opera di un losco fratello. “Usando la scrittura come un piccone, la donna farà di tutto per abbattere le mura che la tengono rinchiusa”, oltre a una serie di trovate da illusionista con cui si ribella al sistema manicomiale. L’incontro con un medico diverso dagli ottusi persecutori incrociati per anni, Edouard Le Normand des Varannes, permetterà venga liberata e prenda a narrare per scritto la storia della sua ingiustificata detenzione, perché casi del genere non si ripetano. La storia è affascinante ed è prezioso che venga riproposta anche nel clima di oggi, a manicomi chiusi – anche se “L’aspetto più struggente delle Mémoires [di lei] sta nell’impossibilità, da parte dell’autrice, di dimostrarsi sana di mente una volta per tutte; il libro la colloca testardamente sulla tragica zona del crepuscolo che separa lucidità e pazzia, ostacolando ogni tentativo di assegnarla all’uomo o all’altro versante”.

A concludere la parte di trattazione, un esame del caso della “bella addormentata” del Museo Tussauds di Londra, il pezzo più antico della collezione, la cui contemplazione conduce alla fine l’autore a una riflessione bellissima sul senso del suo lavoro. Segue una bibliografia e le vere e proprie Lezioni di mentalismo, centoquaranta pagine di tecniche irrorate di storie e Storia, richiami letterari e riflessioni. Un’opera insomma straordinaria, che a ogni volume amplia un panorama su una divinazione certo molto diversa da quella di Astrampsico, ma non meno sorprendente o esistenzialmente ricca. Anche dove – e forse soprattutto dove – non si appiglia a ineffabili dimensioni esoteriche ma rivela una buona tecnica tutta umana per schiudere gli occhi alla meraviglia e il cervello a macchine per pensare. Lavorare sull’immaginario calatoci addosso ed elaborare – con la benedizione di Ersilia Rouy –  immaginario di resistenza significa anche questo.

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Una perduta Età dell’Oro in Val di Susa https://www.carmillaonline.com/2018/06/25/una-perduta-eta-delloro-in-val-di-susa/ Mon, 25 Jun 2018 20:30:44 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=46136 di Sandro Moiso

Matilde Dell’Oro Hermil, Roc Maol e Mompantero. Tradizioni, costumi, leggende (1892) / Mariano Tomatis – Davide Gastaldo – Filo Sottile, Il codice dell’oro. Sulle tracce del tesoro del Rocciamelone, Edizioni Tabor, Valle di Susa 2018, pp.130, € 10,00

Giunge in tempo per una rilassante e, allo stesso tempo, appassionante lettura estiva un testo double face delle valsusine e, come sempre, curatissime Edizioni Tabor. Testo double face che si rivela tale non soltanto per le due immagini e i due titoli che contraddistinguono di fatto i due lati della copertina [...]]]> di Sandro Moiso

Matilde Dell’Oro Hermil, Roc Maol e Mompantero. Tradizioni, costumi, leggende (1892) / Mariano Tomatis – Davide Gastaldo – Filo Sottile, Il codice dell’oro. Sulle tracce del tesoro del Rocciamelone, Edizioni Tabor, Valle di Susa 2018, pp.130, € 10,00

Giunge in tempo per una rilassante e, allo stesso tempo, appassionante lettura estiva un testo double face delle valsusine e, come sempre, curatissime Edizioni Tabor.
Testo double face che si rivela tale non soltanto per le due immagini e i due titoli che contraddistinguono di fatto i due lati della copertina e le due parti in cui è, specularmente, diviso e “rovesciato” il libro, ma anche per le differenti letture (che talvolta possono essere ben più di due) che dello stesso possono essere date.

Il tutto prende avvio dalla ristampa, una delle due parti del libro stesso, di un testo pubblicato per la prima volta nel 1892 e scritto da Matilde Dell’Oro Hermil, un’autrice che mescolava la ricerca, che oggi si direbbe antropologica, sui costumi e le tradizioni locali con la fascinazione per i culti misterici, le civiltà perdute e le sette e i segreti che ne sono derivati così di moda fin dalla seconda metà dell’Ottocento e che nel corso del secolo successivo avrebbero offerto lo spunto per le opere di Louis Pauwels e Jacques Bergier e a quelle di Peter Kolosimo, solo per citare alcuni degli autori “di genere” più famosi.

Il tutto prende spunto dall’indagine sulla presunte esistenza di una sorta di Età dell’oro sviluppatasi in Valsusa intorno ad una città, ora scomparsa ma di cui sarebbero rintracciabili rovine e testimonianze proprio sulle pendici del Rocciamelone, un tempo Roc Maol, autentico monte santuario e colossale (3.538 m.s.l.) che domina la bassa valle. Che verso Torino si chiude o si apre, a seconda della direzione di percorrenza, con un altro monte straordinariamente noto per i suoi misteri: il Monte Musiné, da sempre collegato, nell’immaginario non solo locale, a culti esoterici oltre che ad avvistamenti di UFO.

Mompantero, la località sul cui territorio sarebbero rinvenibili le tracce archeologiche oltre che mitiche di tale antica cultura, si trova oggi, anche se ancora danneggiata dal punto di vista naturalistico dagli incendi dell’autunno scorso, al centro di un territorio in cui si sono svolte sia significative battaglie della resistenza partigiana che della resistenza NoTav all’opera più devastante, inutile e costosa proposta, e non ancora mai veramente realizzata, da un keynesismo malato e corrotto nella sua più intima essenza.

Su questi aspetti culturali, storici e politici ci guidano i tre testi proposti da Tomatis, Gastaldo e Sottile che compongono l’altra “faccia” del libro e che svolgono molto bene il compito di coinvolgere il lettore nella sua lettura con la proposta di ipotesi, talvolta ludiche, talvolta politiche, talvolta storico-culturali, sempre estremamente interessanti.
Per tale motivo si è scelto qui di anticipare alcune pagine del testo di Tomatis: Il codice dell’oro.

“Sgombriamo il campo degli equivoci: Roc Maol e Mompantero non è una mappa del tesoro.E’ un libro di storia locale pieno di riferimenti magici. Tra le sue pagine, Matilde Dell’Oro Hermil ricostruisce frammenti del passato di Mompantero e della sua montagna – il Rocciamelone – senza troppo rigore metodologico; mescola evidenze archeologiche e voci leggendarie, discutibili etimologie ed elementi della tradizione esoterica, cronache medievali e allusioni astrologiche, magnetismo e alchimia; chiama all’appello imperatori e contadini, empirici e maghi, professori e ciarlatani, dai frati della Novalesa a Dante Alighieri, dalle streghe del Pampalù a Victor Hugo; traccia percorsi che tengono insieme fantasmi e folletti, UFO ante litteram e apparizioni sinistre. Coacervo di stimoli tanto variegati ed eterogenei, il libro sfugge a qualsiasi classificazione.1

Libera da ogni reverenza verso i miti eterni cui allude Hermil, un’escursione narrativa così concepita non attraversa solo borgate in pietra e boschi, ma ci fa scoprire storie minime e dimenticate, vicende marginali lontane dalla tronfia Storia delle Nazioni; è un percorso i cui protagonisti sono geni incompresi e minatori sudati, guaritori perseguitati e ossessi, folletti che si danno alla macchia e oscuri lanternisti: individui che sfuggiranno a qualsiasi controllo sinarchico, rifugiandosi negli anfratti segreti del territorio che nessuna tecnologia informatica sarà mai in grado di mappare. Paradossalmente, pur auspicando forme di governo discutibili, Roc Maol e Mompantero è uno straordinario catalogo di persone e luoghi resistenti a tali deliri.
Ma che la zona sia sensibile a dimensioni «altre» lo documentava già Goffredo Casalis nel 1842, scrivendo che i Panteremesi sono «propensi ai mali fatti delle streghe, dei vampiri, degli spiriti folletti». Propensione incoraggiata, negli ultimi anni, dal riemergere delle ostilità tra la Valsusa e Torino: la forza bruta della «città del Toro» si manifesta oggi con l’imposizione di progetti infra strutturali – primo fra tutti il Treno ad Alta Velocità – figli di una gestione irresponsabile dei beni comuni, della spesa pubblica e del territorio. A Mompantero e in tutta la Valsusa, la lotta contro le grandi opere inutili e imposte si gioca anche sul piano dell’immaginario: si chiama Giacu il leader della Resistenza gnomica contro il TAV. Da anni il folletto si materializza oltre le reti che proteggono il cantiere di scavo di Chiomonte, manomette le recinzioni e partecipa ad azioni di disturbo, gettando scompiglio tra le Forze dell’Ordine con il suono di un campanaccio […] Forte di un’identità multipla, riesce ad essere uno, nessuno e centomila – come nota preoccupato il sostituto procuratore Andrea Padalino nella sua requisitoria del 24 settembre 2014, citando un gruppo di Giacu, folletti della Val Clarea, [che] si materializza nel cantiere e sferra un attacco improvviso e veloce al cantiere, poi svaniscono nell’oscurità amica…”.2


  1. pag. 6  

  2. pp.23-24  

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