Filippo Casaccia – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 30 Apr 2025 21:35:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Innamorarsi di Capitan Comunismo https://www.carmillaonline.com/2021/08/13/innamorarsi-di-capitan-comunismo/ Thu, 12 Aug 2021 22:01:12 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=67582 di Luca Cangianti

Filippo Casaccia, Canzoni per fare l’amore. Storia pop erotico politica di Eugenio (figlio unico di piacente madre vedova) in fuga dalla Genova borghese, De Ferrari, 2021, pp. 248, € 14,90.

C’è un supereroe che compie azioni più incredibili di arrampicarsi sui grattacieli o volare a velocità superiori a quella della luce. È l’etereo angelo custode dei meritevoli, l’implacabile nemico dei prepotenti: espropria tabaccai razzisti per finanziare operai indebitati, punisce i fascisti, protegge le utilitarie delle pensionate e sanziona le Mercedes, aiuta a segnare il centroavanti del [...]]]> di Luca Cangianti

Filippo Casaccia, Canzoni per fare l’amore. Storia pop erotico politica di Eugenio (figlio unico di piacente madre vedova) in fuga dalla Genova borghese, De Ferrari, 2021, pp. 248, € 14,90.

C’è un supereroe che compie azioni più incredibili di arrampicarsi sui grattacieli o volare a velocità superiori a quella della luce. È l’etereo angelo custode dei meritevoli, l’implacabile nemico dei prepotenti: espropria tabaccai razzisti per finanziare operai indebitati, punisce i fascisti, protegge le utilitarie delle pensionate e sanziona le Mercedes, aiuta a segnare il centroavanti del Genoa e concentrando tutti i suoi superpoteri riesce perfino a trovare l’amore a una militante di Lotta Comunista. Il suo nome è Capitan Comunismo e le sue imprese fanno da intermezzo alle vicende narrate in Canzoni per fare l’amore di Filippo Casaccia.

Il romanzo potrebbe esser definito un Porci con le ali in salsa anni ’80, ma l’atmosfera poetica, ironica e trasognata ne fanno un prodotto unico, godibilissimo. Eugenio e Annalisa sono due liceali genovesi, s’incontrano durante un kiss in indetto contro la circolare bacchettona di un preside, si perdono, si ritrovano, s’innamorano perdutamente. È il 1986, l’anno dei Mondiali del Messico e delle proteste contro la riforma della scuola della ministra Falcucci. Si è ancora in pieno riflusso: i giovani politicizzati come Eugenio e Annalisa vedono negli anni ’70 un’età dell’oro della quale si sentono orfani. Eugenio, inoltre, da bambino ha perso il padre del quale continua simbolicamente a indossare il loden blu, mentre la madre trentenne preferisce farsi chiamare Federica piuttosto che “mamma”. La narrazione ci fa bighellonare tra feste, ubriacature epocali, pomeriggi cinefili accompagnati da junk food, confessioni amicali, copule nei bagni o sotto lo sguardo televisivo di Pippo Baudo, occupazioni di scuole trasformate in “soviet sentimentali”, esami di maturità e questioni cosmiche tipo “Il comunismo, come si fa?” Sembra non ci sia una direzione precisa, ma è solo una trappola narrativa, perché il dramma è in agguato e anche Capitan Comunismo – questa reificazione lirica del nostro immaginario desiderante – non potrà sottrarsi a un’ennesima missione.

Canzoni per fare l’amore è il romanzo di formazione di una generazione che, tra mille contraddizioni, ha continuato a sognare di cambiare il mondo quando quella precedente si leccava le ferite in galera, nel privato, con un laccio emostatico stretto al braccio. È uno sguardo senza retorica e reducismo, ma pieno d’amore, di precisione storica e, perfino, merceologica nei confronti di una città (Genova), di un’epoca e di un’età della vita. Quella in cui usciamo definitivamente dall’infanzia, avvertiamo l’orrore del male nel mondo, veniamo sommersi dalle domande, scopriamo la potenza dell’amore e dubitiamo delle nostre forze. È una fase d’instabilità emotiva, ma anche di grande produttività: è lì che nasciamo ai compiti che ci guideranno nel corso degli anni a venire; è lì che diventiamo veramente “capaci di sentire nel più profondo qualunque ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo”; è in quegli anni che alcuni di noi imparano ad alzare lo sguardo al cielo e a distinguere sopra i tetti, in alto tra le nuvole, la sagoma inconfondibile di Capitan Comunismo.

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La corazzata Potëmkin non è una cagata pazzesca https://www.carmillaonline.com/2017/12/21/la-corazzata-pote%cc%88mkin-non-cagata-pazzesca/ Thu, 21 Dec 2017 22:00:09 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=42220 di Mauro Gervasini

[È in libreria Divine Divane Visioni di Filippo Casaccia aka Dziga Cacace, Odoya, 2017, pp.462, € 24,00. Ne anticipiamo l’introduzione scritta da Mauro Gervasini, critico cinematografico e direttore del settimanale FilmTV]

Con un nome tra il serio e il faceto già di suo, Dziga Cacace si esercita da anni nella critica cinematografica: com’è noto terza professione di tutti, seconda per chi non ama il calcio. Lo fa però tenendo fede al vecchio detto Nomen omen, che nel caso della sua identità presunta traccia una duplice [...]]]> di Mauro Gervasini

[È in libreria Divine Divane Visioni di Filippo Casaccia aka Dziga Cacace, Odoya, 2017, pp.462, € 24,00. Ne anticipiamo l’introduzione scritta da Mauro Gervasini, critico cinematografico e direttore del settimanale FilmTV]

Con un nome tra il serio e il faceto già di suo, Dziga Cacace si esercita da anni nella critica cinematografica: com’è noto terza professione di tutti, seconda per chi non ama il calcio. Lo fa però tenendo fede al vecchio detto Nomen omen, che nel caso della sua identità presunta traccia una duplice missione. Il situazionismo formalista di Dziga, esteta sopravvissuto alla prospettiva Nevskij, e la pratica dei bassifondi di Cacace, un tipo oscuro che pare uscito da una commedia di Mariano Laurenti. A differenza del dottor Jekyll, ignaro di trasformarsi nottetempo in mister Hyde, Cacace è perfettamente consapevole di essere anche Dziga, e viceversa. Anzi, diciamo pure che la cosa si fa più intrigante quando nella medesima recensione si scorgono echi di entrambe le voci. Come ad esempio in quella dell’“immortale capolavoro” di Sergej M. Ejzenštejn, La corazzata Potëmkin, restituito al suo legittimo e consacrato valore da Dziga senza che Cacace se ne possa lamentare più di tanto. A volte, lo confesso, si spera nella prevalenza del secondo, che nonostante l’etimo napoletano ha un curioso intercalare genovese. Stupendo in questo senso l’incipit de Le due sorelle: «L’attacco del film avrà sicuramente provocato spontanee polluzioni in quei fanatici che s’esaltano con tutte quelle fregnacce sullo spettatore voyeur che guarda un personaggio voyeur, a sua volta osservato – non visto – da qualche altro voyeur che bla, bla e altre belinate discorrendo». Sono passato anch’io attraverso le “belinate” qui messe alla berlina e vale la pena continuare a dissacrare, nonostante la critica cinematografica, come la nostalgia, non sia ormai più quella di un tempo: conta sempre meno, è inascoltata, soprattutto non convince più nessuno ad andare al cinema e questo purtroppo lo confermano le cifre disastrose se si guarda al gradimento di pubblico dei cosiddetti film d’essai. Nel libro di Dziga Cacace però non si aprono dibattiti, non si rifondano correnti estetiche, non si fa storiografia, non si vanno a comporre campioni statistici per indagini sociologiche. No, semplicemente si prendono i film e ci si sbatte contro con il corpo, i sensi, a volte il cuore. Sorprende nella narrazione del Nostro questo essere colto dalla visione quasi suo malgrado all’improvviso, magari facendo zapping nella notte o ritrovando qualcosa d’inatteso su una VHS (preistoria, lo so, ma tant’è) che avrebbe dovuto registrare tutt’altro – è il caso di Un orfano chiamato San Mao di un anonimo cinese caro a Enrico Ghezzi –, oppure acquistando una cassetta a caso dall’edicolante di Bonassola. Lo stupore di Cacace (o Dziga, qui si confondono di nuovo) è contagioso. Frequentatore abituale (in gioventù) del leggendario Cineclub Lumière di Genova, nel capitolo Lo sguardo mutilo colleziona recensioni brevi, quasi in forma di diario, con annotazioni che riportano anche il critico con i piedi per terra (non si sarà mica assopito guardando questo piuttosto che quello? Boh…). In tutto ciò, esercitando in modo così forsennato la lettura trasversale dei film, capitano anche stroncature che meriterebbero duelli all’alba (diciamo che De Palma non è il suo regista preferito, e quando ho letto la rece de La presa del potere di Luigi XIV «di un pesantissimo Roberto Rossellini» mi è venuto un colpo…) ma ovviamente fa parte del gioco. D’altro canto la schiettezza del Cacace a volte provoca più invidia che rabbia. Per dire: la recensione di Bus in viaggio di Spike Lee inizia così: «Dio che ciofeca». Lo penso anch’io ma non so se avrei potuto scriverlo. Eccolo, il senso di un’operazione che trasuda competenza e paradossale buonsenso: fare della critica cinematografica un esercizio (anche) liberatorio.
Dziga Cacace ci riesce. Anzi: ci riescono.

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