Faust – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 30 Apr 2025 21:35:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 L’altro Faust (Nightmare Abbey 20) https://www.carmillaonline.com/2022/09/19/laltro-faust-nightmare-abbey-20/ Mon, 19 Sep 2022 20:00:43 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=74091 di Franco Pezzini

Nikolaus Lenau, Faust, trad. e introd. di Alberto Cattoi, Carbonio, pp. 259, € 16, Milano 2022.

 

L’idea che Goethe ha già scritto un Faust non può spaventarmi. Faust è un comune possesso dell’umanità, non un monopolio di Goethe. Non si dovrebbe, allora, scrivere più alcuna poesia sulla luna, perché questo o quel grande poeta l’ha già fatto?

Nikolas Lenau, lettera 11 novembre 1833 a Georg Reinbeck.

 

Molti, molti anni fa, nel profondo di anni Ottanta oggi spesso acriticamente celebrati come epoca d’oro (l’età del riflusso, della profanissima alleanza [...]]]> di Franco Pezzini

Nikolaus Lenau, Faust, trad. e introd. di Alberto Cattoi, Carbonio, pp. 259, € 16, Milano 2022.

 

L’idea che Goethe ha già scritto un Faust non può spaventarmi. Faust è un comune possesso dell’umanità, non un monopolio di Goethe. Non si dovrebbe, allora, scrivere più alcuna poesia sulla luna, perché questo o quel grande poeta l’ha già fatto?

Nikolas Lenau, lettera 11 novembre 1833 a Georg Reinbeck.

 

Molti, molti anni fa, nel profondo di anni Ottanta oggi spesso acriticamente celebrati come epoca d’oro (l’età del riflusso, della profanissima alleanza Thatcher-Reagan, del craxismo dilagante e, sì, a grandi numeri di una maggiore ricchezza), e che per me e la generazione dei Sessanta potevano essere gli anni dell’Università – molto grigi, almeno a giurisprudenza – ci trovavamo con frequenza in quattro amici per un progetto (visto oggi) delirante. Incentrato sulla lettura di tutti i testi relativi al mito di Faust – almeno da quelli dove figurasse il personaggio virtualmente storico, in avanti. In modo confuso, ci sembrava che “l’ambiguo mito del ciarlatano” (ne parlavamo in tali termini in un nostro prodotto dell’epoca) fornisse una chiave per capire la realtà in cui eravamo immersi: e a distanza di tanto tempo, possiamo oggi dire che forse non avevamo tutti i torti.

Ci trovavamo cioè a leggere e discutere insieme, annotando compulsivamente su un quadernetto i discorsi emersi (vorrei poterlo ritrovare), davanti a una bottiglia di vino e quattro bicchieri. E non solo, visto che si mangiava anche, nel luogo principe dei nostri incontri – almeno il preferito – cioè la vecchia piola (cioè osteria, a Torino) del Palazzo degli stemmi, che abbraccia coi portici un lato a metà di via Po. Si entrava da alcuni gradini sulla via laterale, e ci si trovava in un locale che per aspetto avrebbe potuto frequentare il vecchio Johann Georg Faust (ca. 1480 o 1466 – ca. 1541): soffitto altissimo, muri scabri bisognosi di una mano di bianco, tavoli e panche di legno come da secoli in simili locali. Il Faust storico però difficilmente avrebbe potuto beneficiare dei panini con acciughe e bagnèt verd che accompagnavano il vino.

Si era iniziata la lettura dal Faustbuch dell’editore tedesco Johann Spies (ca. 1540-1623) – meglio Historia Von D. Johañ Fausten/dem weitbeschreyten Zauberer vnnd Schwartzkünstler, edito 1587, in Italia Storia del Dottor Faust, ben noto mago e negromante, Garzanti, 1980 –, ancora arcaicissimo e favoloso nel suo orecchiare i primi racconti orali. Si era passati poi a The Tragical History of the Life and Death of Doctor Faustus di Christopher Marlowe, c. 1592-1593, di cui pochi anni prima Tino Buazzelli aveva offerto un’entusiasmante versione teatrale presentata in televisione (Il Fausto di Marlowe, 1978, regia di Leandro Castellani)… e poi ci si era arenati, perché incontrarsi in quattro restava piuttosto complicato. Per di più, come in una scena congrua alle nostre letture, una primavera di pioggia ossessiva (per intenderci, alla Blade Runner) aveva fatto crollare vari palazzi del centro storico di Torino: anche il Palazzo degli Stemmi era stato dichiarato inagibile, e insomma la nostra amatissima piola aveva chiuso. (Un corto viaggio sentimentale, abbondantemente onirico, tra i luoghi delle piole storiche chiuse in quegli anni potrebbe condurre a risultati narrativamente felici.)

Poi ovviamente ci eravamo fatti qualche idea almeno sulle principali letture che sarebbero dovute seguire: come ovvio Goethe, con gran timore Mann, ma anche il più gestibile testo di Grabbe (Don Juan und Faust, 1829) e altri che avevamo trovato soltanto citati, senza conoscerne i contenuti. Come per esempio, spesso menzionato, il Faust di Nikolaus Lenau, 1836, intrigante anche per il fatto di arrivare a ridosso di un’opera-mondo come la versione di Goethe, 1808 (pubbl. I parte) e 1832 (pubbl. II parte).

Il testo di Lenau, un precipitato di tutto il più tempestoso sentire romantico che ispirerà il Mephisto-Walzer di Liszt (quattro brani 1859-1885, in particolare il primo), arriva ora proposto in una gran bella edizione da Carbonio, ottimamente curata da Alberto Cattoi. E lo stacco da Goethe appare stridente: non solo nel diverso taglio dell’opera, qui infinitamente più contenuta rispetto al monumento goethiano, ma nel profilo stesso del protagonista – per certi versi più vicino al sentire odierno.

Partiamo dall’autore. “L’immagine di Lenau accreditata dalla tradizione critica è quella di un tipico Zerrissener, di un dilacerato, sospeso tra epigonismo romantico e velleità di rivolta” (così Cattoi nell’Introduzione). Per affrontarlo adeguatamente, “Il primo passo consisterà nel rifiuto di vedere in queste opere ‘minori’ (e nel Faust in particolare) solo l’espressione di una posa romantica, una mera esibizione ed enfatizzazione del sentimento”. Se le cadute del suo impegno ideologico – che gli procureranno le bacchettate di Heine – non permettono di annoverare Lenau tra gli intellettuali progressisti del periodo della Restaurazione, non si può certamente neppure ascriverlo al fronte conservatore. Col disagio del provinciale inurbato costretto a trasferirsi a Vienna (era nato a Csatád cioè oggi Lenauheim dal suo nome, nel Banato ungherese, attualmente Romania), eterno studente che cambia sempre facoltà universitaria (Filosofia, Legge, Agraria, Medicina) ma poi anche casa (Austria – dove morirà nel 1850 –, Svevia, Ungheria), vive la “perdita del centro” come “condizione esistenziale irreversibile” anche nelle proprie dimensioni privatissime, sentimentali, e nelle scelte ideologiche altalenanti, fino a identificarsi con l’Ebreo errante: ed ecco il nucleo ideale di questo Faust spesso definito Wanderer, viandante, fin quasi a svuotarne le connotazioni canoniche.

Le stesse scene sono diverse da quelle “classiche” del mito di Faust: rupi montane dove pratica l’alpinismo, un teatro anatomico (dove Mefistofele fa la sua comparsa), una fitta foresta dove – forse anche a seguito dell’incontro con un monaco – si consuma il patto fatale, l’appartamento dove l’ennesimo benintenzionato, un vecchio amico, tenta di sistemarlo con la propria sorella, qualche scena in campagna con tanto di festa nuziale… Più consueto ai soliti sfondi faustiani il giardino di una reggia, dove Mefistofele consiglia un ministro, e una sala del palazzo reale. Ma poi torniamo alle libere trovate di Lenau con la bottega di un maniscalco, una processione notturna e paesaggi da dipinto di Caspar David Friedrich, la villa del duca Hubert dove Faust si rivela (ohibò) pittore e uccide il duca per amore della sua bella fidanzata, e nuovi paesaggi da quadro romantico – compreso il cimitero dove è sepolta la madre di Faust, un bosco e una spiaggia. Ma è soprattutto originale la soluzione del protagonista a bordo di una nave, della tempesta e della scena nella locanda dove i marinai, tra vino, danze e donne, festeggiano la propria salvezza. Poi di nuovo una spiaggia battuta dalla burrasca, dove Faust si uccide sbeffeggiando il diavolo:

 

Io sono un sogno che vola via dalla tua prigione!

Io sono un sogno fatto di piacere, di colpa e di dolore,

E sogno di immergermi il coltello nel petto!

Si pugnala.

 

Nel 1833 Lenau, tornato deluso dall’America (il viaggio per mare di Faust potrebbe trarne qualche suggestione), viene accolto a Stoccarda come grande poeta a seguito della pubblicazione di un volume di liriche per Cotta, l’editore che ha pubblicato non solo il suo Faust ma la seconda parte di quello di Goethe – da cui varie polemiche. Ma negli anni 1833-35 di redazione del Faust, Lenau è “in piena crisi esistenziale, in uno stato di completo smarrimento”: già caratterialmente facile a deprimersi e autocompiangersi, è tornato delusissimo dall’America paradiso degli affari e dello sfruttamento, ha incassato l’ascetica rinuncia impostagli da Sophie von Löwenthal – moglie di un amico – di cui è perdutamente innamorato e del cui fantasma resterà succube, e ha aperto un dialogo con il teologo danese Martensen che avrà un ruolo importante nel varo del Faust.

Il risultato sono ventiquattro quadri di genere misto (all’interno dello stesso episodio troviamo aspetti lirici, epici, drammatici…) come stazioni “di quella via crucis e circolo vizioso insieme, che è per Faust la vita dell’uomo”. E se Mefistofele offre a Faust l’unica verità in suo possesso, “pura e semplice negazione di ogni valore, come affermazione dell’io egoistico e istintuale”, ma nessuno dei benefit concessi in altre opere sul tema, al patteggiante manca la volontà/capacità di godere, e in radice forse quella stessa di desiderare e di essere felice. Perennemente disperato (Lenau passerà gli ultimi anni, 1844-50, ricoverato per demenza), può solo patire rimorsi, provar fastidio per i “poveri di spirito” e invidia per chi pecchi col cuore allegro. Vorrebbe soltanto dimenticare d’essere una creatura, confida nel monologo che precede il suicidio – e mostra prefiguranti affinità con il pensiero di Nietzsche.

L’età moderna è fortemente connotata, al suo sorgere, dal mito di Faust. In realtà con origini molto antiche, legate al tema degli aspetti oscuri del pattuire: se il mondo ebraico e poi cristiano sorge sull’idea di un Testamento quale impegno divino e il contratto stesso appare nel mondo indoeuropeo come istanza divina (si pensi a Mitra, il dio-contratto), già molto presto emerge in letteratura il tema del volto oscuro della contrattualizzazione. In fondo fin dal giuramento dei capi achei, pretendenti della fatale Elena, di difendere lo sposo che lei avrebbe liberamente scelto: una trovata di Odisseo, che gli si ritorcerà contro, spingendolo inutilmente a fingersi pazzo per sfuggire agli oneri di quanto giurato – la discesa in guerra a fianco di Menelao. Più conforme alla logica sofistica del diritto sarebbe stata a quel punto la risposta di Cinira di Cipro, che obbligato a mandare navi le spedirà di terracotta… Ma poi c’è tutta la sequela dei pre-Faust, Cipriano e Teofilo e tutti gli altri, fino all’arrivo di questo ciarlatano tedesco che, anche in grazia di una morte brutta e misteriosa, avrà la sorte di fornire un archetipo e forse il primo mito dell’età moderna. Ma di lì gli epigoni si sprecano: da Cazotte che, col suo delizioso Diavolo in amore rococò avvia la letteratura fantastica francese di età moderna, a Beckford col Vathek e il primo inferno per vocazione della letteratura, a Schiller col Visionario, dove il patto non è col diavolo ma con dimensioni oscure retrostanti la politica… a suggerire che tutta l’età moderna sia in fondo figlia delle tentazioni di un accordo losco, che porterà su lungo periodo un danno infinitamente superiore ai vantaggi. Un danno/dannazione metafisica, per chi continua a credere, o invece tutta mondana di una finta libertà che guasta dentro.

Il Faust di Lenau è un depresso, consumato da un inesausto male di vivere; e lo stesso finale in cui Mefistofele annuncia la sua dannazione resta metafisicamente ambiguo. La sensazione è che il finale resti aperto proprio perché tutto quanto vissuto da Faust appartiene al profondo del suo rovello interiore:

 

Faust è l’uomo che ‘subisce’ le proprie azioni; il male che egli commette non è imputabile a lui, ma alla sostanza negativa del mondo. Con questa concezione così radicalmente pessimistica, Lenau sembra ricusare in blocco tutto l’umanesimo quasi è venuto configurando nella cultura occidentale da Socrate in poi.

 

E Faust appare un fratello di Edipo che mira ad “annullarsi misticamente nel Tutto indistinto, […] progenitore di tanti moderni cultori dell’eclissi dell’io ed esteti dell’irresponsabilità”.

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L’«ospite di Dracula» in viaggio https://www.carmillaonline.com/2017/04/16/lospite-di-dracula-in-viaggio/ Sat, 15 Apr 2017 22:01:36 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=37581 di Paolo Lago

l'ospite di draculaBram Stoker, L’ospite di Dracula (Dracula’s Guest), testo originale a fronte, Leone Editore, Milano, 2016, pp. 51, € 6,00

L’ospite di Dracula è un capitolo tagliato del romanzo di Bram Stoker, Dracula (1897), recentemente recuperato come un godibilissimo racconto e pubblicato da Leone Editore nella collana di classici della letteratura con testo a fronte, nella bella traduzione di Andrea Cariello. Al centro del racconto vi è il tema del viaggio, importantissimo anche nella versione definitiva del romanzo dello scrittore irlandese: il protagonista (presumibilmente lo stesso Jonathan Harker), durante [...]]]> di Paolo Lago

l'ospite di draculaBram Stoker, L’ospite di Dracula (Dracula’s Guest), testo originale a fronte, Leone Editore, Milano, 2016, pp. 51, € 6,00

L’ospite di Dracula è un capitolo tagliato del romanzo di Bram Stoker, Dracula (1897), recentemente recuperato come un godibilissimo racconto e pubblicato da Leone Editore nella collana di classici della letteratura con testo a fronte, nella bella traduzione di Andrea Cariello. Al centro del racconto vi è il tema del viaggio, importantissimo anche nella versione definitiva del romanzo dello scrittore irlandese: il protagonista (presumibilmente lo stesso Jonathan Harker), durante il suo viaggio per raggiungere la dimora del conte, fa tappa a Monaco e, incautamente messosi in cammino all’approssimarsi della notte di Valpurga (peccato per il refuso, sul risvolto di copertina, «notte di Valpurnia»), si troverà immerso in una situazione da incubo. Secondo il folklore germanico e dell’Europa settentrionale, nella notte di Valpurga (della quale la più famosa eco letteraria si può incontrare nel Faust di Goethe), fra il trenta aprile e il primo maggio, le streghe si ritrovano per danzare alla luce della luna. Nell’area tedesca e nordica, in questa notte, vengono celebrati dei festeggiamenti per salutare l’arrivo della primavera.

Il racconto è interessante perché sembra rispecchiare al suo interno la struttura di viaggio dello stesso Dracula. La narrazione in prima persona è incentrata sulla partenza del protagonista dopo aver alloggiato a Monaco in un albergo, l’hotel Quatre Saisons. Dopo aver percorso un certo cammino in carrozza, fra boschi e vallate, il cocchiere si rifiuta di proseguire poiché sta facendo sera e quella che sta giungendo è la ValpurgisNacht (cioè la notte di Valpurga). Nessun tedesco, infatti, si avventurerebbe in quei luoghi in quella notte. Il personaggio ribatte che lui non è tedesco e, ostinatamente, insiste per proseguire a piedi fino ad imbattersi in un cimitero abbandonato. Il movimento di viaggio avviene tra una grande città come Monaco e uno spazio ‘desertico’ e lontano caratterizzato da boschi, vallate e montagne. Lo scrittore ci presenta poi uno scontro tra due mentalità: quella razionalista del giovane inglese e quella superstiziosa e legata ad arcaiche credenze del cocchiere tedesco. Anche in Dracula assistiamo al progressivo avanzamento del protagonista in uno spazio ‘esotico’ e lontano dal razionalismo inglese, verso l’Europa centro-orientale. Ad esempio, quando Harker raggiunge Budapest, annota nel suo diario (il romanzo è costituito da pagine di diario e da lettere) di avere la sensazione di trovarsi in un punto di incontro fra Oriente e Occidente. Lo spirito con il quale il personaggio va incontro alla terra incognita della Transilvania è lo stesso di un razionalista inglese del Settecento: afferma infatti di aver fatto ricerche al British Museum, prima di partire, sugli usi e i costumi di quella lontana e ‘selvaggia’ regione; annota inoltre nel suo diario ogni particolarità sulla cucina e le usanze dei paesi che attraversa, soprattutto della Transilvania. Un universo strano, esotico, affascinante, velato quasi di magia, si affaccia all’orizzonte del viaggiatore inglese che, gradatamente, si sta immergendo in territori sconosciuti. Come ha scritto Edward W. Said, il viaggiatore colto inglese che si reca in Oriente in epoca vittoriana si muove come un padrone sulla sua terra poiché attraversa un territorio colonizzato culturalmente e politicamente dalla Corona britannica. In questo senso, Dracula riflette profondamente la mentalità vittoriana (periodo in cui l’Inghilterra conosce un vero e proprio predominio culturale, commerciale e coloniale): Harker che si muove verso la Transilvania sembra rappresentare quasi la raziocinante mentalità inglese che si incontra con l’altro da sé, il Diverso, lo Straniero. Dal centro del mondo, rappresentato dalla Londra vittoriana, dallo spazio «striato» per eccellenza, lo spazio cittadino – per utilizzare un’espressione di Deleuze e Guattari – Harker si muove verso lo spazio «liscio» e nomadico del «deserto». Lo stesso conte Dracula appare come l’incarnazione più perturbante della figura dello Straniero. Egli, in un movimento di viaggio contrario rispetto a quello del protagonista, si recherà successivamente nella città per sferrare il suo attacco al cuore della civiltà e contemporaneamente al cuore del capitalismo colonizzatore e accentratore. Come un nuovo Dioniso, Dracula diffonde l’irrazionalità e la malattia all’interno del razionalismo borghese dell’Ottocento, proiettandosi nel cuore di quella Londra vittoriana che, nei suoi interstizi, produceva comunque già di per sé numerosi ‘mostri’ e creature fantastiche, come racconta il bel libro di Franco Pezzini, Victoriana. Maschere e miti, demoni e dèi del mondo vittoriano, uscito recentemente per Odoya.

Proprio come avviene in L’ospite di Dracula, anche nel romanzo la mentalità razionale di Harker si scontra con quella superstiziosa delle popolazioni indigene. Nel momento della partenza dalla locanda verso la magione di Dracula, la vecchia locandiera si reca nella stanza di Harker scongiurandolo di non partire poiché si sta avvicinando la notte di San Giorgio (specchio della notte di Valpurga del racconto), in cui i poteri oscuri e malvagi si aggirano sulla Terra. Durante il viaggio in carrozza, poi, il cocchiere e gli altri viaggiatori si rivolgono al protagonista con strani gesti e con segni della croce, poiché sapevano che il giovane straniero si sarebbe diretto al castello ‘maledetto’ di Dracula. Harker liquida ogni ammonimento dei locali con l’espressione «fantomatiche paure». Come nel racconto, egli insiste nel proseguire il suo cammino nonostante i numerosi avvertimenti del pericolo imminente.

L’albergo, la locanda è uno spazio letterario assai importante nella narrativa di viaggio e in Dracula in particolare. Se in esso, Harker, in Transilvania, alloggia in un’antica locanda in un paesino sperduto, nel racconto il personaggio alloggia a Monaco in un grande albergo di lusso dal nome francese. La sosta nella locanda (nonché la stessa struttura del viaggio) sarà un topos ricorrente anche nelle diverse riletture cinematografiche del romanzo di Stoker, dal Nosferatu (Nosferatu. Eine Simphonie des Grauens, 1922) di Friedrich Wilhelm Murnau fino al Dracula di Bram Stoker (Bram Stoker’s Dracula, 1992) di Francis Ford Coppola passando attraverso le produzioni Hammer degli anni Sessanta. La sosta nella locanda viene poi narrativamente ampliata in quella che è la più geniale parodia cinematografica dedicata a Dracula, Per favore non mordermi sul collo (The Fearless Vampire Killers, 1967) di Roman Polanski. Il film narra le avventure del professor Abronsius e del suo assistente Alfred i quali, dopo un lungo viaggio attraverso l’Europa centrale dedicato alla ricerca dei vampiri, si fermano in una locanda in un paesino della Transilvania. Qui si succedono ad un ritmo incessante numerose gag, dagli scambi di persona e dagli inseguimenti notturni per i corridoi fino all’innamoramento non ricambiato dell’ingenuo Alfred per la bella locandiera, figlia della padrona, che verrà ‘vampirizzata’ dal conte.

In L’ospite di Dracula il movimento verso il luogo ‘esotico’ che sarà lo sfondo della vicenda da incubo vissuta dal protagonista è una vera e propria immersione in un ambiente naturale descritto come dotato «di un’affascinante bellezza». Ugualmente, in Dracula, mentre Harker viene condotto in carrozza al luogo dell’appuntamento con il cocchio del conte, rimane letteralmente affascinato da una natura descritta come bellissima e stupefacente. Nella rilettura quasi ‘filologica’ del film di Murnau attuata da Werner Herzog con Nosferatu, il principe della notte (Nosferatu, Phantom der Nacht, 1979) viene accentuato proprio l’elemento della bellezza della natura durante il viaggio a piedi di Harker verso il castello di Nosferatu, viaggio musicalmente cadenzato dal Preludio all’Atto I de L’oro del Reno di Wagner. Nel nostro racconto, la natura che era apparsa al protagonista come un bellissimo e placido teatro naturale si trasforma improvvisamente in uno scenario terribile: comincia infatti a imperversare una tormenta di neve e lo sprovveduto viaggiatore sarà costretto a trovare rifugio in un cimitero abbandonato. Qui egli farà un perturbante incontro con una vampira, la contessa Dolingen di Graz, morta suicida, personaggio femminile nel quale si rispecchiano le vampire incontrate da Harker al castello in Dracula (del resto, la donna vampiro aveva debuttato in letteratura ben prima di Dracula, nel 1872, con Carmilla di Joseph Sheridan Le Fanu).

Salvato in extremis dalle fauci della vampira e da quelle di un lupo mostruoso ad opera un gruppo di soldati, l’incauto viaggiatore inglese viene ricondotto a Monaco all’Hotel Quatre Saisons. Qui scoprirà che l’albergatore aveva allertato i soccorsi proprio grazie a una lettera di Dracula nella quale il conte si raccomandava di vegliare su quel suo giovane ospite, «inglese, quindi di indole avventurosa». Il racconto si chiude su queste parole dell’incauto viaggiatore: «Di certo godevo di una misteriosa forma di protezione. Da un paese lontano era arrivato, proprio in extremis, un messaggio che mi salvava dal pericolo di rimanere addormentato nella neve e dalla minaccia delle fauci del lupo» (p. 51).

Ancora non sa, l’ingenuo protagonista, che di lì a poco quel ‘protettore’ misterioso, «da un paese lontano», sferrerà un terribile attacco alla sua Londra vittoriana, cuore economico e culturale di un inconsapevole Occidente.

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Il patto col demonio prima di Faust https://www.carmillaonline.com/2017/01/03/il-patto-col-demonio-prima-di-faust/ Mon, 02 Jan 2017 23:01:27 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=34987 di Gioacchino Toni

cover_antenati-faustAlfonso D’Agostino, Gli antenati di Faust. Il patto col demonio nella letteratura medievale, Mimesis edizioni, Milano – Udine, 2016, 122 pagine, € 10,00

L’interessante saggio di Alfonso D’Agostino tratta le narrazioni dei patti che gli esseri umani stringono con il maligno – per sete di conoscenza, di potere, di ricchezza o di sesso – nella letteratura medioevale. Si tratta di uno studio di tipo letterario su un tema antropologicamente significativo concentrato sui tipi narrativi che anticipano la comparsa di Faust. Ad essere prese in esame sono fondamentalmente la letteratura latina [...]]]> di Gioacchino Toni

cover_antenati-faustAlfonso D’Agostino, Gli antenati di Faust. Il patto col demonio nella letteratura medievale, Mimesis edizioni, Milano – Udine, 2016, 122 pagine, € 10,00

L’interessante saggio di Alfonso D’Agostino tratta le narrazioni dei patti che gli esseri umani stringono con il maligno – per sete di conoscenza, di potere, di ricchezza o di sesso – nella letteratura medioevale. Si tratta di uno studio di tipo letterario su un tema antropologicamente significativo concentrato sui tipi narrativi che anticipano la comparsa di Faust. Ad essere prese in esame sono fondamentalmente la letteratura latina medievale e le letterature romanze dell’Età di Mezzo, pur non mancando riferimenti ad alcuni testi in altre lingue (es. greco) e di altri periodi (es. il teatro barocco).

A tale scopo l’autore, docente di Filologia romanza presso l’Università degli Studi di Milano, passa in rassegna tanto capolavori letterari – come Cantigas de Santa María di Alfonso X, Miracoli di Gautier de Coinci, Miracolo di Teofilo di Rutebeuf, Conde Lucanor di Juan Manuel, Libro de buen amor di Juan Ruiz, El mágico prodigioso di Calderón de la Barca… – quanto testi che, pur affrontando la tematica indagata, risultano di minore qualità letteraria.

The Tragical History of Doctor Faustus (ca. 1590) di Marlowe e Faust (1808) di Goethe hanno reso la vicenda di Faust “il patto col demonio per antonomasia” generando una miriade di varianti successive. D’Agostino sottolinea come la creazione di Marlowe, sicuramente debitrice di una lunga tradizione medievale, riesca a dar vita, «sulla base di una struttura testuale dai tratti fantastici, a un complesso sistema di potenzialità che avrebbe incrociato alcuni dei temi più scottanti della riflessione filosofica e dell’ispirazione artistica presenti e futuri. In primo luogo, la meditazione etica sulla scienza (da un lato) e le teorie dell’Uebermensch (ossia del Superuomo, dall’altro) assimilano a volte scienziati folli (o “stregoni”) e superuomini a Faust novelli, innescando non di rado procedimenti narrativi come quello fantascientifico degli universi paralleli o quello moral-metafisico del Doppelgänger (la figura del “doppio”). Ma […] anche la passione amorosa, il denaro e la volontà di potenza sono rappresentati sovente come daimones (spiriti, guide od ossessioni semi-divine) in grado di soggiogare l’animo umano. E nelle metamorfosi del tema s’inseriscono pure le tensioni polari fra libero arbitrio e necessità, fra titanismo e melancolia, fra pentimento e conversione» (p. 10).

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1. Un mago conduce Teofilo presso il diavolo che gli consegna un cartiglio con un sigillo: il patto è siglato – Taymouth Hours (Inghilterra, prima metà del XIV secolo), British Library, Londra

L’autore, nell’accennare agli esempi di patti col demonio moderni meglio riusciti indica The Bottle Imp (Il diavolo nella bottiglia, 1893) di Robert Louis Stevenson, l’incompiuto Master i Margarita (Il Maestro e Margherita, ante 1940) di Michail Bulgakov, Doktor Faustus (1947) di Thomas Mann, Mulata de Tal (Mulatta senza nome, 1963) di Miguel Ángel Asturias, oltre ad alcune opere che “affrontano o sfiorano” il patto diabolico, come The Picture of Dorian Gray (Il ritratto di Dorian Gray, 1890) di Oscar Wilde e The Monkey’s Paw (La zampa di scimmia, 1902) di William W. Jacobs.

D’Agostino opera una distinzione fra creature demoniache non-umane ed esseri umani che intrattengono rapporti col demonio, dunque in grado di stipulare accordi con esso. È di quest’ultima categoria che si occupa il saggio, sebbene le stesse creature demoniache a cui fa riferimento la prima tipologia possono risultare dalla trasformazione subita da esseri umani votati al male (es. i dibbuk della tradizione ebraica o il “principe impalatore” che diviene Dracula).

Altra distinzione esplicitata dall’autore è fra le narrazioni che trattano un vero e proprio patto col maligno e quelle in cui interviene il demonio, come nel caso del tema dell’alleato del diavolo o dei “figli di Satana”.

Un racconto che intende rappresentare il patto col demonio deve esplicitare come esso si sviluppi in una sua sequenza narrativa. Patti tra esseri umani e dèi sono presenti nella mitologia greca e latina o nella tradizione pagana ma, sostiene l’autore, non si trovano miti o vicende assimilabili al patto di tipo faustiano. È solo con l’aprirsi dell’era cristiana che si sviluppa tale tematica; la stessa interpretazione del serpente dell’Eden (Genesi) come demonio avviene in epoca decisamente posteriore.

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2. Grazie al patto demoniaco Teofilo entra in possesso di ingenti ricchezze – Taymouth Hours (Inghilterra, prima metà del XIV secolo), British Library, Londra

Nel suo studio D’Agostino, sulla falsariga di quanto fatto da Adolfo Mussafia a fine Ottocento con le novelle del Libro dei Sette Sapienti, distingue i diversi tipi di patto col diavolo indicandoli con un lemma latino, anche se il più delle volte i testi propongono contaminazioni tra tipi diversi. I principali lemmi individuati e proposti dall’autore sono: Servus, Theophilus, Gerbertus, Fur, Uxor, Abnegatio e Cyprianus.

A questi sette aggiunge altri nove “tipi minori” di patto col diavolo, poco studiati, a cui l’autore attribuisce un lemma provvisorio: Visio, Sosia, Triplicatio, Mater, Columba, Hostia, Marinus, Raptus, Odium.

Oltre a soffermarsi sullo studio dei tipi principali di patto ed una successiva più sommaria trattazione dei minori, il saggio affronta anche alcuni “tipi affini”, ove il protagonista nello stringere un patto col diavolo, anziché se stesso, gli offre la moglie od il figlio. Tali tipi affini vengono così indicati dallo studioso: Substitutio, Robertus ed Oblatus.

Passando in rassegna i sette tipi principali di patto col demonio, con il lemma Servus l’autore indica il patto di Proterio, servo di Felladio, contenuto nella Vita Sancti Basilii Caesareae Cappadociae Archiepiscopi (prototipo greco del V-VI sec) ove si ritrovano tanto gli attanti base (essere umano e diavolo ed oggetto del patto) che gli elementi facoltativi (intermediario, documento e sabba).

Con il lemma Theophilus si fa riferimento alla leggenda di Teofilo giunto a noi in forma scritta in greco da Eutychianos verso il 661 ove «il patto è descritto in tutta la sua ampiezza, con la “doppia conversione” del protagonista, lo stato di necessità, l’intermediario satanico, il sabba, il documento (che a un certo punto della metamorfosi del racconto sarà firmato col sangue dell’apostata), il rito di sottomissione, il pentimento, la preghiera alla Vergine e così via. Da risaltare la promozione del culto mariano e, al tempo stesso, l’evidente antisemitismo» (pp. 26-27). A tale tipo appartiene il Miracle de Theophile di Rutebeuf (sec. XIII).

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3. Teofilo si pente e prega la Vergine Maria – Taymouth Hours (Inghilterra, prima metà del XIV secolo), British Library, Londra

A proposito del terzo tipo di patto medievale, indicato con il lemma Gerbertus, l’autore riprende la leggenda relativa a Gerberto d’Aurillac, papa Silvestro II (m. 1003), di cui vengono ricordati tanto gli studi di Arturo Graf (di fine Ottocento) quanto quelli di Massimo Oldoni (di fine Novecento). A partire dall’analisi del racconto di Walter Map, l’autore individua tra i caratteri specifici del Gerbertus: «la complessità dei moventi (l’erotismo si aggiunge alla passione per la scienza e al desiderio di potenza); la posizione ambigua del protagonista, che, contro il mònito biblico, pare in realtà voler servire due padroni; la sostanziale mancanza degli elementi “secondari”, come l’intermediario e il sabba; e il profilo tutto particolare del demonio, che risulta o poco determinato (come nella vicenda maggioritariamente ripetuta dalla tradizione) o al contrario fortemente virato nei colori della mitologia celtica» (p. 34). Il racconto di Walter Map introduce il personaggio del “diavolo-servitore” che è originariamente un folletto servizievole, animato da intenzioni più o meno buone che conduce al personaggio di Mefistofele.

La storia del ladro (spesso un ricco caduto in povertà) che stipula un patto col demonio al fine di poter rubare impunemente rappresenta il quarto tipo fondamentale di patto indicato dallo studioso con il lemma Fur. Tra gli esempi più importanti il saggio indica una novella del Conde Lucanor di Juan Manuel e un racconto del Libro de buen amor di Juan Ruiz, entrambi spagnoli e databili attorno agli anni Trenta del XIV secolo. A proposito del primo esempio D’Agostino sottolinea l’abilità nell’uso della “sospensione d’animo” (suspense) ed il ricorso ad un tempo della narrazione dilatato o contratto in maniera inversamente proporzionale al tempo del narrato.

Con il lemma Uxor viene indicato il quinto tipo di patto. Si tratta di un tipo scarsamente usato e può essere identificato da un exemplum raccolto da Klapper ove si narra di una donna che, maltrattata dal marito, ricorre ai consigli di un’anziana che al fine di farle riconquistare l’amore del marito coinvolge il demonio che impone alla donna il sacrificio dell’unico figlio e di rinnegare Cristo e i santi. Nonostante la sottomissione al volere del demonio la donna continua ad essere maltrattata dal marito ed il racconto termina con il pentimento al cospetto di un sacerdote della peccatrice che ottiene così il perdono. Abbiamo dunque il peccatore, l’intermediario, il demonio, l’abiura (con infanticidio), il pentimento e la redenzione. Oltre a ciò compare la figura del sosia, visto che il diavolo compare alla donna sotto le spoglie del marito.

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4. La Vergine Maria sconfigge il demonio facendogli vomitare il cartiglio con il patto – Taymouth Hours (Inghilterra, prima metà del XIV secolo), British Library, Londra

Con Abnegatio viene indicato il sesto tipo di patto che, sottolinea D’Agostino, «va considerato a parte, dato che in verità il patto col diavolo non giunge quasi mai a perfezionarsi, perché il peccatore, disposto a rinnegare Dio e i santi, si rifiuta di fare lo stesso nei confronti della Madonna» (pp. 45-46). Probabilmente la prima espressione latina di tale tipologia è rappresentata dal Dialogus miraculorum di Cesario di Heisterbach ma lo studioso preferisce «presentare il racconto, con parole di Angelo Monteverdi, secondo il testo dello Specchio di vera penitenza di Jacopo Passavanti, che peraltro segue l’Alphabetum narrationum di Arnoldo da Liegi, il quale a sua volta si ispira proprio a Cesario» (p. 47).

Il settimo tipo di patto viene indicato con il lemma Cyprianus. In questo viene fatto riferimento alla leggenda di San Cipriano del IV secolo anche se nella sua forma originaria manca l’apostasia. Si deve attendere qualche tempo affinché la vicenda si accosti al tema faustiano: «la piena adesione dell’exemplum ciprianeo al patto col diavolo si ha con gli sviluppi moderni del tema, che raggiungono il punto più elevato nel dramma di Calderón de la Barca, El mágico prodigioso» (p. 61).
Al tipo di patto definito Cyprianus nel saggio viene accostata la vicenda di Antemio e di Maria di Antiochia ove si rintracciano diversi tratti tipici come il movente passionale, l’intermediario, l’abiura, il documento scritto, l’incontro notturno col demonio, la processione… Si tratta comunque di un caso particolare visto che il peccatore pentito non riesce a rientrare in possesso della scrittura, resta dubbia la salvazione ed Antemio viene palesemente descritto con tratti diabolici prima del patto stipulato col demonio. Nonostante tale racconto si allontani da Cyprianus anche perché «il protagonista non è un mago (prima) né un martire (dopo)» (p. 66), vi sono elementi, come il movente passionale, la magia ed i ripetuti tentativi di seduzione della ragazza che lo possono accostare a tale tipologia.

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5. Teofilo si salva – Taymouth Hours (Inghilterra, prima metà del XIV secolo), British Library, Londra

Circa gli “altri tipi” di patto, con il lemma Visio l’autore si riferisce ad un peccatore che reso omaggio al demonio e consegnatogli un documento firmato col sangue ha una visione del suo giudizio. Con il lemma Sosia nel saggio viene fatto riferimento in particolare alla storia di un cavaliere che stipula un patto col demonio impegnandosi a non prestare ascolto ad una predica, a non farsi il segno della croce e ad evitare di entrare in chiesa. Convinto da alcuni amici il cavaliere entra in chiesa e, dopo che il diavolo, prendendo le sue sembianze, litiga coi vicini, il cavaliere decide di confessarsi. Con il lemma Triplicatio si rimanda alla storia di un uomo che per divenire ricco accetta di sottomettersi al diavolo a condizione che questi gli appaia tre volte prima della morte. Dopo che il demonio gli è apparso tre volte – non riconosciuto – sotto le sembianze di un povero, nella quarta apparizione il travestimento viene svelato e, nonostante le proteste, il demonio se lo porta all’inferno. Nel caso del Mater viene fatto riferimento alle vicende di un figlio che con la sua penitenza libera la madre – che aveva stretto un patto col maligno – dalle pene infernali. Con il lemma Columba il riferimento è alle vicende di un monaco che verrà perdonato dopo aver rinnegato il battesimo e Gesù per poter prendere in sposa la figlia di un sacerdote pagano. A proposito del tipo indicato con Hostia D’Agostino rimanda al patto non riuscito dell’exemplum del negromante di Magdeburgo nella raccolta di Klapper, mentre un altro patto non riuscito è nell’assempro 25 di Filippo degli Agazzari definito dallo studioso con il lemma Marinus dal nome del protagonista. Al XXXIX assempro di Filippo degli Agazzari è accostabile anche un originale racconto di Giovanni Sercambi in cui il protagonista «distilla odio allo stato puro» (p. 78) e per tale motivo viene lemmatizzo Odium.

Relativamente ai “tipi affini”, con Substitutio viene fatto riferimento al «miracolo della Madonna in cui Maria sostituisce la moglie ceduta al demonio» (p. 3) a partire dalla Legenda aurea di Iacopo da Varazze (storia ripresa, con qualche variazione nel Dit du povre chevalier di Jean de Saint-Quentin). Con il lemma Robertus ci si riferisce alla tipologia in cui è la prole ad essere offerta al maligno, mentre con Oblatus si prende in esame la storia di un fanciullo consacrato al demonio la cui prima redazione pare essere quella di un testo latino pubblicato da Mussafia simile a quello di Vincenzo di Beauvais, a cui ricorre Gautier de Coinci nel miracle intitolato Dou jovencel que li dyables ravi, mais il ne le pot tenir contre Nostre Dame.

 

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Vite nella Rivoluzione: Michail Bulgakov. https://www.carmillaonline.com/2014/03/12/vite-nella-rivoluzione-michail-bulgakov/ Tue, 11 Mar 2014 23:10:20 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=13410 di Sandro Moiso

bulgakovMarietta Čudakova, Michail Bulgakov. Cronaca di una vita, Odoya, Bologna 2013, pp. 480, euro 30,00

La morte si sconta vivendo” (G.Ungaretti, 1916)

Se la storia della letteratura russa prodotta in età sovietica, e soprattutto durante l’era di Stalin, è già di per sé drammatica, la lettura dell’opera di Marietta Čudakova dedicata alla biografia di Michail Afanas’evič Bulgakov può risultare addirittura straziante. Basato su lettere, testimonianze e, soprattutto nella parte finale, sui diari della terza moglie di Bulgakov, Elena Sergeevna Bulgakova, il testo ricostruisce esattamente la cronaca, ordinata per periodi triennali, della vita del grande scrittore russo.

Marietta Čudakova [...]]]> di Sandro Moiso

bulgakovMarietta Čudakova, Michail Bulgakov. Cronaca di una vita, Odoya, Bologna 2013, pp. 480, euro 30,00

La morte
si sconta
vivendo
(G.Ungaretti, 1916)

Se la storia della letteratura russa prodotta in età sovietica, e soprattutto durante l’era di Stalin, è già di per sé drammatica, la lettura dell’opera di Marietta Čudakova dedicata alla biografia di Michail Afanas’evič Bulgakov può risultare addirittura straziante.
Basato su lettere, testimonianze e, soprattutto nella parte finale, sui diari della terza moglie di Bulgakov, Elena Sergeevna Bulgakova, il testo ricostruisce esattamente la cronaca, ordinata per periodi triennali, della vita del grande scrittore russo.

Marietta Čudakova può probabilmente ancora essere considerata, a livello internazionale, la massima esperta bulgakoviana. Teorica letteraria e scrittrice va considerata fra le più alte autorità nel panorama critico letterario russo e, oltre ad insegnare presso l’Istituto Letterario Gor’kij di Mosca, è stata visiting professor all’Università del South Carolina, a Stanford e all’École Normale Supérieure di Parigi. Inoltre, è la presidentessa della Fondazione Bulgakov e ha curato l’introduzione di molte opere dello stesso pubblicate in Italia.

Ma proprio questa cronaca, importante sia per chi è interessato alla storia della letteratura di età sovietica quanto per chi lo è nei confronti dell’era di Stalin, costituisce il coronamento della sua attività e, quasi sicuramente, di una vita. Infatti, dal 1965 al 1984 l’autrice ha lavorato al Dipartimento dei Manoscritti della Biblioteca di Stato dell’URSS, svolgendo un ruolo fondamentale nell’acquisizione dell’archivio personale dell’autore custodito dalla vedova Elena Sergeevna, grazie alla quale i suoi lavori inediti (quasi tutti) furono salvati dall’oblio e pubblicati molti anni dopo la sua morte. La prima edizione della biografia risale in Russia al 1988 e ha costituito fino ad oggi il primo ed autorevole studio approfondito sulla vita dello scrittore.

Vita che ha inizio a Kiev nel 1891, in una famiglia profondamente intrisa dalla tradizione culturale e religiosa russo-ortodossa, socialmente lontana dagli ambienti in cui si formava solitamente l’intelligencija. Laureatosi in Medicina, si troverà coinvolto prima nei drammi del primo conflitto mondiale e, in seguito, in quelli della guerra civile, durante la quale, proprio per tradizione famigliare, egli parteggerà per le armate bianche anche se il suo coinvolgimento sarà sempre legato, prima di tutto, alla sua professione medica.

La Čudakova è abilissima nel collegare, sempre, alle fasi della vita di Bulgakov le pagine dei suoi racconti e dei suoi romanzi. Risulta, infatti, chiaramente che fin dai primi scritti, pubblicati su vari giornali, e fino a quelli pubblicati, poi, su alcune riviste letterarie sovietiche e dal primo romanzo, “La guardia bianca”, fino al suo capolavoro “Il Maestro e Margherita”, ogni pagina dell’autore russo è impregnata di autobiografismo.

Costantemente “mosso dalla volontà di trasformare il rapporto tra «biografia» e «creazione»”, si possono individuare “ nel processo creativo di Bulgakov […] due movimenti convergenti. Da un lato le riflessioni sulle proprie scelte e sul proprio destino si vestono di mire letterarie e vengono acconciate nella cornice di un’idea a essa precedente. Dall’altro il romanzo (in questo caso “Il Maestro e Margherita” – NdA), con le questioni che tocca e la sua extratemporalità […], non può che lasciare un segno sull’interpretazione dei problemi autobiografici di chi scrive, inducendolo a guardare alla propria vita come qualcosa che dal tempo è slegato. Alle conseguenze di scelte fatali non c’è rimedio […] e chi cerca aiuto in Satana e lega per sempre le sue sorti al diavolo ( e dunque «non merita la luce») ne pagherà lo scotto in eterno” (pag.358).

La questione, qui efficacemente sintetizzata dalla Čudakova, non è di poco conto, perché se, da un lato, apre ad una riflessione sull’opera letteraria in generale, dall’altro ricollega l’opera di Bulgakov non solo alle scelte morali, politiche e culturali dello stesso ma, più in generale, al destino di tutti i letterati, e non solo, dell’epoca staliniana in cui l’autore si trovò a vivere.
Nel primo caso, la riflessione rende evidente che spesso le maggiori opere degli autori più importanti della letteratura universale, da Dante Alighieri a Louis-Ferdinand Céline, da Giacomo Leopardi a Franz Kafka e da Marcel Proust allo stesso Michail Bulgakov, solo per citarne alcuni e molto diversi tra loro, sono il risultato proprio di un processo in cui l’autobiografismo, trasfigurato in elemento romanzesco, si eleva al di sopra della misera vita individuale per diventare invece lo specchio delle ansie, delle delusioni e delle speranze dell’intera specie umana.

Mentre nel secondo, pur rimanendo anch’esso un tema universale della grande letteratura, la questione delle scelte individuali in tempi di dittatura totalitaria, anche se travestita da “comunista” o “proletaria”, rende chiaro come il “libero arbitrio” degli artisti, dei letterati e degli intellettuali, anche se si potrebbe affermare la stessa cosa per tutti i cittadini, finisce quasi sempre con l’essere estremamente condizionato dall’autoritarismo e dalle giravolte ideologico-politiche di chi sta al potere. Fatto che, proprio in epoca staliniana, raggiunse i vertici dell’assurdo e dell’auto-cannibalismo.

Bulgakov non volle, non seppe e non poté mai dichiararsi bolscevico o avvicinarsi all’ideologia del partito comunista russo e, proprio per questo motivo, si trovò a vivere culturalmente e letterariamente come un escluso , come un vero e proprio paria. Ma anche coloro che, come tanti autori da Majakovskij a Mandel’štam e da Mejerchol’d a Isaak Babel’ fino a Boris Pilniak, avevano abbracciato la causa rivoluzionaria fin dal suo primo apparire, avrebbero pagato un crudele tributo di sangue sull’altare del piccolo padre di tutte le Russie. Chi col suicidio, chi con la deportazione e lo sfinimento fisico, chi con la fucilazione. La stessa sorte che toccò a tutta la vecchia guardia bolscevica, da Bucharin a Kamenev, e ai migliori generali dell’armata rossa come Michail Tukhachevsky. Anche a coloro che avevano voltato, per tempo, le spalle a Trockij e all’Opposizione operaia.

Scelte fatali, appunto, che non lasciano rimedio. Sicuramente quella di Bulgakov di non piegarsi al potere, anche quando questo si rivolse a lui direttamente, con una telefonata dello stesso Stalin cui, evidentemente, lo scrittore non seppe o non volle dare le giuste risposte. Oppure il rifiuto opposto a chi, ancora nella primavera del 1938 gli chiese di scrivere un romanzo sovietico d’avventura: “«Tiratura imponente, traduzioni in tutte le lingue, soldi a palate – anche valuta estera – e un Assegno seduta stante, come anticipo. Che ne dice?» Bulgakov rifiuta: «Non posso»” Al che lo stesso incaricato lo convince – a fatica – a leggergli “Il Maestro e Margherita”:”Dopo i primi tre capitoli commenta: «Questo non si pubblica di certo». «Perché?» chiede Bulgakov. «Perché no»” (pag. 440).

E’ il destino dell’autore: apprezzato come scrittore e commediografo dai vertici del Partito e dallo stesso Stalin che, insieme a Kirov e Zdanov, assistette svariate volte alla rappresentazione della sua opera teatrale “I giorni dei Turbin” (tratta proprio da quella “Guardia bianca”, mai pubblicata integralmente in patria); ignorato come autore della stessa opera che fu rappresentata centinaia di volte mentre Bulgakov era in vita; inascoltato nei suoi appelli per avere a disposizione almeno una nuova macchina da scrivere o un permesso, per lui e la moglie, per recarsi all’estero per un breve periodo e, infine, costantemente rifiutato come autore di opere letterarie e teatrali sempre apprezzate, in prima battuta, ma quasi mai realmente pubblicate o rappresentate in seguito.

Una vita artistica e personale costantemente rimossa, spinta ai margini della vita culturale o della vita tout court se si pensa alle costanti difficoltà economiche cui l’autore dovette sempre far fronte. Spesso disperatamente. Ma, soprattutto, una vita che costantemente ostacolata nelle sue manifestazioni letterarie ed artistiche si trasformava, di fatto per l’autore, in una non vita. Rimozioni e divieti che, alla fine, accomunarono Bulgakov ad altri autori sovietici, ma dei quali, almeno, non condivise l’onta di aver denunciato altri nel tentativo di affermarsi o sopravvivere, come era invece successo a Boris Pasternak, nell’estate del 1936, quando, insieme a Kostantin Fedin e molti altri, aveva firmato l’esortazione del Direttivo dell’Unione degli Scrittori ad “applicare ai nemici del popolo la pena massima della difesa socialista: fatelo per il bene dell’umanità!” pubblicato sulla Pravda con l’inquietante titolo: “Cancellateli dalla faccia della terra!” che avrebbe, di fatto , inaugurato la stagione dei grandi processi di Mosca e del terrore staliniano.

No, non cercò mai la vendetta o il compromesso Bulgakov. La sua arma era la scrittura, spesso fortemente ironica, come nella migliore tradizione russa da Puskin a Gogol’ fino al più recente Varlan Salamov. Ironia che faceva paura, tanto che i pochi lettori del work in progress bulgakoviano spesso vedevano il fantasma di Stalin anche là dove non c’era, come nella figura di Woland che nel romanzo capolavoro di Bulgakov rappresenta davvero Satana e non il dittatore, in un’opera in cui il Faust di Goethe, rivisitato in ambito sovietico, si mescola alle vicende storiche di Ponzio Pilato e Yeoshua.

Lo conferma anche Elena Sergeevna, che annota: «Finito di leggere Miša (nomignolo attribuito all’autore – NdA) chiese:”Chi è Woland?” Vilenkin disse di averlo intuito, “Ma non speri che lo annunci a gran voce!”». Anche Vilenkin cita la domanda nelle sue memorie, e aggiunge: «Nessuno si decise a rispondergli: era un rischio». Ognuno, dunque, scrive la risposta su un pezzo di carta, che poi passa agli altri.«Michail Afanas’evič, curioso, venne alle mie spalle, e quando mi vide scrivere “Satana” mi carezzò la testa»” (pag.455).

D’altra parte la vena fantastica che attraversava le sue opere più importanti (oltre al solito “Il Maestro e Margherita” anche “Diavoleide” oppure “Le uova fatali” o, ancora “Cuore di cane“), pur affondando le proprie radici nella tradizione letteraria russa, non poteva essere apprezzata in un tempo in cui il severo realismo promosso da Zdanov richiedeva esclusivamente opere che cantassero il valore dell’industrializzazione forzata, dello stakanovismo e della lotta ai kulaki. Senza contare che Bulgakov, nella sua carriera di medico, avendo potuto osservare quanto poco eroico ed affidabile fosse quel popolo russo che la letteratura ufficiale chiedeva di esaltare ad ogni piè sospinto, non poteva prestarsi ad essere un ingegnere dell’animo umano così come lo stesso Stalin chiedeva agli scrittori di diventare1. Finendo con l’essere molto più vicino alle opere ottocentesche, ironiche e crudeli insieme, di Saltykov-Ščedrin che al realismo socialista, insopportabilmente retorico, di un Fadeev.

Ma le capacità letterarie di Bulgakov, che sovrastavano indiscusse quelle di tanti pseudo sperimentatori ed autori della letteratura proletaria, spingevano i critici burocrati della letteratura di partito a chiedergli di rivolgere la sua satira contro i nemici del popolo e del socialismo in un solo paese. Cui, l’autore, non poteva far altro che rispondere:”Qualunque tentativo di creare la satira è condannata a fallire miseramente. La satira non si crea da fuori. La satira nasce da sola quando meno te lo aspetti. E nasce quando uno scrittore che ritiene imperfetto il suo presente si indigna e decide di smascherarlo con la letteratura. Perciò ritengo che avrà vita grama, in terra sovietica, anzi gramissima”. (pag. 361)

Relegato al ruolo di adattatore di opere letterarie per il teatro, poi a librettista, talvolta ad attore, Bulgakov sopravvisse attraverso gli anni del terrore vedendo rappresentati ottocento volte i suoi “Giorni dei Turbin” senza mai essere citato dai giornali sovietici come autore di quello straordinario successo di pubblico; vide ancora rappresentata la sua “Vita del Signor di Molière”, diversamente detta “Cabala dei Bigotti”, con l’appoggio di Stanislavskij, ma non vide mai la pubblicazione dei suoi romanzi preferiti e del suo capolavoro2 .

Condannato ad un’autentica morte civile, non troppo diversa dalla morte vera e, talvolta, più dolorosa poiché prolungata nel tempo in una sorta di ultra-decennale agonia, Bulgakov lavorò fino quasi all’ultimo giorno sulle pagine del suo ultimo ed insuperato romanzo. Morì, come il padre, di nefrosclerosi ipertensiva, tra atroci sofferenze, il 10 marzo 1940. Per tutto questo vale, dunque, la pena di ricordarlo ancora oggi, a settantaquattro anni dalla morte, con rispetto estremo, attraverso le pagine di questo testo bellissimo, anche se non sempre di facile lettura.

E’ tutto finito dunque?
Proprio così, caro il mio discepolo
(Michail Bulgakov, “Il Maestro e Margherita”)


  1. Stalin approvò e proclamò obbligatoria per tutta l’arte sovietica la parola d’ordine del realismo socialista. La cosa riguardava innanzitutto la letteratura: il metodo del realismo socialista fu infatti definitivamente formulato e approvato per la prima volta nel corso del primo congresso dell’Unione degli scrittori nel 1934 e solo in seguito trasferito senza alcuna modifica nelle altre arti […] L’estetica e la prassi dell’epoca staliniana tendono fondamentalmente all’educazione e alla formazione delle masse, una concezione formulata da Stalin utilizzando in un diverso contesto una metafora dell’avanguardia: gli scrittori sono gli ingegneri dell’animo umano“, Boris Groys, Lo stalinismo ovvero l’opera d’arte totale, Garzanti 1992, pp. 48 – 49  

  2. Pubblicato per la prima volta, in edizione integrale, in Italia da Einaudi nel 1967  

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