fantastico francofono – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 30 Apr 2025 21:35:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Luna Park senza zucchero filato https://www.carmillaonline.com/2023/08/25/luna-park-senza-zucchero-filato/ Fri, 25 Aug 2023 20:00:22 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=78398 di Simona Castanotto e Franco Pezzini

Jean Ray, La giostra del maleficio,  ed. orig. 1964, trad. di Camilla Scarpa, prefazione di Max Baroni, pp. 278, € 16, Agenzia Alcatraz, Milano 2023.

Ci sono un belga, un francese, un inglese e un tedesco. Non è l’inizio di una barzelletta, anzi, siamo dentro una storia da incubo, in compagnia dei personaggi di Croquemitaine, racconto folk-horror ispirato alle paurose leggende, diffuse in tutta Europa, che parlano di un orco mangiabambini, conosciuto in Francia con questo nome evocativo. Da subito la trama scivola nel surreale e la [...]]]> di Simona Castanotto e Franco Pezzini

Jean Ray, La giostra del maleficio,  ed. orig. 1964, trad. di Camilla Scarpa, prefazione di Max Baroni, pp. 278, € 16, Agenzia Alcatraz, Milano 2023.

Ci sono un belga, un francese, un inglese e un tedesco. Non è l’inizio di una barzelletta, anzi, siamo dentro una storia da incubo, in compagnia dei personaggi di Croquemitaine, racconto folk-horror ispirato alle paurose leggende, diffuse in tutta Europa, che parlano di un orco mangiabambini, conosciuto in Francia con questo nome evocativo. Da subito la trama scivola nel surreale e la storia si identifica fra le più belle inserite in questa particolare antologia del maestro Ray, l’ultimo dei suoi lavori, dato alle stampe a pochi mesi dalla morte, nel 1964.

Il merito della pubblicazione italiana di questo giro di giostra (malefica) nel weird va ad Agenzia Alcatraz, che lo ha incluso di recente nella collana “Bizarre”. La raccolta contiene tutto ciò che può rendere felici gli amanti del fantastico europeo, e infatti spazia dall’horror gotico al grottesco, al nonsense, fino a racconti che giocano macabramente con le scienze matematiche e la quarta dimensione. Ma con il passo narrativo di Ray, sfuggente e straniato, sornione e onirico, rimarchevoli persino in un fantastico francofono (Thomas Owen, Gérard Prévot, Claude Seignolle…) che queste dimensioni ama sottolineare.

La Giostra del Maleficio, tradotto da Camilla Scarpa, riprende di proposito, tramite l’artwork di copertina firmato da Henri Lievens, il visionario design dell’edizione francese apparsa nella serie Bibliothèque Marabout-Fantastique, mantenendone l’impostazione grafica per omaggiare tale collana storica della letteratura fantastica.

Certo, chi conosca Ray per romanzi-capisaldi quali Malpertuis o La cité de l’indicible peur (entrambi riproposti nel bel catalogo Alcatraz, cfr. qui e qui) può restare stupito della varietà di forme scelte dall’autore per i testi qui antologizzati. A parte i racconti di taglio più o meno “classico”, troviamo da un lato fulminanti microfiabe nere funzionali all’apparizione su riviste dagli spazi limitati, a far pensare a sintesi di puntate di The Twilight Zone o schegge da provocazione surrealista; e dall’altro testi più ampi, con il caso-limite di Il formidabile segreto del Polo, un intero romanzo breve (o piuttosto un trattamento-base per un romanzo, che in effetti verrà poi ampliato e modificato da Michel Jansen), scritto per il settimanale “Presto-films” (1936). Oltretutto di argomento fantascientifico, relativamente anomalo rispetto al resto della raccolta (ma non dimentichiamo i racconti con provocazioni fisico-matematiche, a evocare una fanta/scienza per nulla ovvia…): eppure non dobbiamo stupirci. A livello tematico, in scena ne La giostra è la lussureggiante eredità del feuilleton, storicamente aperto a un intero ventaglio di generi, dal poliziesco all’horror, dal grottesco allo “strano” e alla fantascienza: e Ray sa ben capitalizzarne il lascito, come quello dell’opera di autori eclettici quali J.-H. Rosny aîné – lui pure frequentatore di diversi linguaggi di genere. D’altra parte, sul piano della forma lo scopo prioritario di Ray resta in effetti lo spaesamento, con tutti gli strumenti utili.

I suoi riferimenti, oltre che al prodigioso bacino belga dei pittori visionari (Jean Delville, James Ensor, Fernand Khnopff, Armand Rassenfosse, Félicien Rops…) e alle sirene ebbre del simbolismo, a un po’ dello straordinario lascito del fantastico e del nero francese dell’Ottocento (Villiers de L’Isle-Adam, Léon Bloy,…) e ai suoi strascichi anche più paradossali (come nei copioni del Grand Guignol da cui sembra sorgano le continue teste mozze di questa raccolta), alle stesse sciarade del surrealismo, sanno guardare ben oltre i confini nazionali. Persino a livello di sfondi, i racconti non si esauriscono tutti tra personaggi francofoni, esattamente come La cité de l’indicible peur presenta una godibilissima – ancorché onirica e surreale – ambientazione inglese che rimanda ai relativi narratori.

Ray, durante la sua vita, ha scritto sotto innumerevoli pseudonimi, dimostrando una fecondità fuori dal comune; ciò che lascia sbalorditi è la capacità della scrittura di cambiare e plasmarsi sul racconto, tanto da chiedersi se i nomi di piuma non corrispondano a personalità narrative multiple. È una prosa che palpita, la sua, che sostiene e si fonde col testo quasi a plasmare questi racconti quali maschere di cera. Come in fondo quelle dei ghigliottinati che lasciarono al fantastico francese – già lo speculava Sade a proposito del gotico – un macabro peculiare.

Molto diversa, in effetti, è la costruzione dei testi: in particolare tra il citato, serioso Formidabile segreto del polo e quasi tutti gli altri, più inclini al grottesco, nonché per il lettore forse più intriganti proprio perché volutamente incontenibili dagli strumenti linguistici. Ci si riferisce, nello specifico, a una punteggiatura che non argina, nella quale i segni grafici s’accavallano, prendono il sopravvento o giocano a nascondino, e solo talvolta conducono a un tradizionale assetto narrativo. Più spesso, anzi, ci si vede costretti a tornare indietro, per assicurarsi di non avere “saltato” qualcosa, e poi arrendersi al fatto che per leggere Ray ci si debba abbandonare all’emozione pura senza opporre resistenza.

Quali sono, dunque, le bussole per tentare di restare a galla nella sua fantasia sbrigliata? Ferma restando la necessità fondamentale di lasciarsi spaesare come lui desidera…

La risposta è anzitutto in alcuni temi ricorrenti: l’onnipresenza del cibo – la carne in particolare – come marcatore di una varietà di orrori e spiacevolezze morali; i bambini come testimoni e vittime; la testa, intesa proprio come parte del corpo umano capace persino di diventare un personaggio a sé (e torniamo al discorso dell’eredità immaginale della Rivoluzione: basti pensare che, su circa trecento pagine, la parola testa ricorre più di sessanta volte); le provocazioni matematiche e fisiche, legate anche al tipo di riviste di destinazione… D’altra parte La suite del ragno finisce col rimandare a un altro caposaldo dell’orrore europeo, il celebre e conturbante Il ragno di Hanns Heinz Ewers. Se poi Malpertuis vedeva divinità in disarmo, come interpretiamo le (terribili) figure eponime di Tre vecchiette su una panchina? Non saranno le Parche?

Tutto questo è poi inserito, come suggerisce il titolo, in una sorta di baraccone espressionista dove lo spaesamento è recato anzitutto da un grottesco straniante, malefico di diavoli, streghe, paradossi di fisica & metafisica. Una sorta di lascito finale o di congedo di un autore a cui una vita non bastava e che a colpi di autofiction l’aveva allargata, amplificata, resa fantastica.

Ma il vero filo conduttore, come evidenzia nella bella prefazione Max Baroni, è il j’accuse senza sconti che Ray rivolge alla borghesia, meschina, debole, empia e perbenista, alla deriva tra scandali, delitti o invece mostruose piccole meschinità: qualcosa che neppure la morte fisica realmente argina.

Nell’incubo, nelle atmosfere distorte, gli uomini e le donne sono caratterizzati con pochissime pennellate, spogliati di ogni aggettivo superfluo. Descrizioni asciutte, che lasciano libere di brillare le definizioni accattivanti e mature, in cui ogni parola è scelta con accuratezza: rappresentazioni spoglie e al contempo pregne come gemme; come nell’amato Dickens, infatti, anche qui c’è la costante ricerca della parola più fertile.

I riferimenti e i richiami, quando si parla di Ray, si sprecano. In questa raccolta in particolare, si possono individuare alcuni racconti surreali di Gogol’ (Il naso), atmosfere luciferine familiari a Il maestro e Margherita di Bulgakov, e addirittura una strizzata d’occhio alla poetica del nonsense inglese alla Lewis Carroll – si pensi alla famosa The Walrus and the Carpenter – citato anche esplicitamente. Un linguaggio che, dalle nursery rhymes in avanti vede andare a braccetto di pari passo comico, inquietante e grottesco.

Impossibile non pensare anche alla tradizione orale raccolta dai fratelli Grimm, specialmente quando sono forti i richiami all’angosciosa fiaba di Hansel e Gretel, che racchiude molti dei temi cari all’autore: l’innocenza violata, la grettezza, la gola, la stregoneria, l’egoismo.

Come notato, rispetto ad altri lavori di Ray, La giostra del maleficio è meno improntato al terrore e più all’angoscia del grottesco. Il suo è un orrore fatto di sguardi, di ombre che distorcono le cose, di bisbigli e creature impressionanti per pratiche e dissolutezze.

Nel suo puntare il dito verso la società borghese in particolare, e la natura umana in generale, Ray non ci lascia nemmeno il refrigerio della speranza.

La sua opinione su una società-Orca traspare del resto dalla conclusione per nulla tranquillizzante del succitato Croquemitaine:

 

«[…] Croquemitaine non esiste più!». […]

«Croquemitaine non è affatto morto! Vive! È immortale! Croquemitaine non potrà mai morire, finché vivranno gli uomini!».

 

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Gérard Prévot e la “scuola franco-belga del bizzarro” https://www.carmillaonline.com/2020/12/26/gerard-prevot-e-la-scuola-franco-belga-del-bizzarro/ Fri, 25 Dec 2020 23:01:49 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=64041 di Walter Catalano

Gérard Prévot, Il demone di febbraio, Alcatraz Edizioni, pp. 231, 14 €.

Gérard Prévot, La notte del nord, Alcatraz Edizioni, pp. 192, 14 €.

Sembra profilarsi un anno di riscatto per il fantastico francofono da sempre snobbato e poco seguito nel nostro paese. Infatti, mentre l’editore Hypnos – già artefice del recupero di Jean Ray con l’esauritissimo Il Gran Notturno (2010) e I racconti del Whisky (2013) – annuncia un’imminente raccolta del meglio di Claude Seignolle, Agenzia Alcatraz – che ricordiamo anche per un’altra [...]]]> di Walter Catalano

Gérard Prévot, Il demone di febbraio, Alcatraz Edizioni, pp. 231, 14 €.

Gérard Prévot, La notte del nord, Alcatraz Edizioni, pp. 192, 14 €.

Sembra profilarsi un anno di riscatto per il fantastico francofono da sempre snobbato e poco seguito nel nostro paese. Infatti, mentre l’editore Hypnos – già artefice del recupero di Jean Ray con l’esauritissimo Il Gran Notturno (2010) e I racconti del Whisky (2013) – annuncia un’imminente raccolta del meglio di Claude Seignolle, Agenzia Alcatraz – che ricordiamo anche per un’altra bella iniziativa di un paio d’anni fa: la collana Solaris dedicata alla fantascienza sovietica – licenzia i primi due volumi addirittura di un’intera collana, Bizarre, intesa a traghettare in Italia buona parte del suggestivo catalogo della Marabout Fantastique. Volumi riproposti nello stesso formato, anzi addirittura migliorato rispetto all’originale: meno pocket, più grande e leggibile, con copertina rinforzata, stampa e carta superiore, e per di più mantenendo le straordinarie copertine del Karel Thole belga: il grande illustratore Henri Lievens (1920 – 2000).

Mentre si fa il nome più noto dopo Jean Ray, fra gli autori in prossima uscita, quello di Thomas Owen – che da noi non è mai andato oltre il singolo racconto disperso in qualche antologia miscellanea e un’unica e ormai quasi introvabile raccolta, Le dimore inquietanti (Panozzo Editore – 1994) – i geniali curatori  spiazzano invece tutti con una coraggiosa dichiarazione di intenti che pospone la comparsa dei personaggi più attesi per un secondo tempo ed esordisce con ben due volumi dedicati ad un illustre sconosciuto: Gérard Prévot.

Sconosciuto da noi, beninteso, perché lo scrittore belga – nato nel 1921 nella città vallona di Binche, vissuto a Ostenda e morto a Bruxelles nel 1975 – è stato poeta, drammaturgo, memorialista della Resistenza nel suo paese, nei ranghi della quale ha combattuto, arrivando alla narrativa fantastica piuttosto tardi: nel 1970, proprio con una delle due raccolte ora tradotte, Il demone di febbrario, alla quale sono seguite nel 1974 La notte del nord, e altre due – Celui qui venait de partout e Le Spectre large , e due romanzi: La Fouille del 1972 e L’Empan del 1973 –  più i sei volumi della serie fantascientifica per ragazzi Dan Dubble, firmati sotto lo pseudonimo di Red Port. Il tutto compreso in 5 anni, fra il 1970 e il 1975, anno della prematura morte.

L’approdo di Prévot alla cosiddetta scuola belga del bizzarro giunge dopo l’incontro con Jean-Baptiste Baronian, romanziere, antologista e autore di alcune delle migliori monografie sull’argomento – Panorama de la littérature fantastique de langue française: Des origines à demain; Jean Ray: l’archange fantastique, e altre – oltre che direttore della collana fantastica di Marabout. Nell’intervista raccolta dal bravo traduttore Luca Fassina e inserita in appendice a La notte del nord, Baronian ricorda il collega ed amico: “Era ispirato, vedeva il mondo con i suoi fantasmi, i suoi spettri, i suoi demoni, era calato in una dimensione metafisica, anche se non era per forza una visione. Era assolutamente convinto che la realtà fosse solo un velo. […] Era un poeta nel senso più classico del termine. […] (con) l’eleganza, il classicismo, la proprietà di linguaggio e soprattutto quella sua visione post-romantica, un po’ alla maniera di Gérard de Nerval…”. Nel suo saggio panoramico sul fantastico francese poi, così spiega la minore diffusione dell’opera di Prévot, nel capitolo a lui dedicato Priez pour le pauvre Gérard: Forse perché proclama alto e forte angosce mortali che sarebbe meglio non svelare troppo ? Forse perché è davvero inquietante ? […]scrittore allucinato, che scatena la tormenta umana come una tela di James Ensor”.

In effetti i testi di Prévot suonano assai più letterari e meno pulp di quelli dei colleghi Ray e Owen e gran parte dei racconti di queste due antologie spiccano ancor più che per l’originalità delle idee o per la coerenza della trama, soprattutto per il nitore adamantino dello stile e per la fascinazione ipnotica dell’atmosfera. Prévot incanta il lettore con le melodie del pifferaio di Hamelin, lo conduce per i vicoli tortuosi delle città del nord, lungo le nebbie sui canali, oltre moli spettrali e bettole portuali fumose, fino alle dune spazzate dai venti di spiagge deserte, fra echi di onde e di gabbiani, e lì lo attende al varco, mentre è ancora letargicamente perso dietro a false piste, per stenderlo con un inaspettato e fulmineo twist finale.

La tecnica è infallibile sia nel passo lungo dei tre racconti di La notte del nord che in quello breve e brevissimo dei ventuno di Il demone di febbraio. Fra i racconti lunghi ci hanno ammaliato quello morbosamente erotico che dà il titolo al volume, “La notte del nord”, e il quasi romanzo “Gli sparti” – cioè i giunchi marini – inclassificabile ed enigmatico in precario equilibrio fra claustrofobico noir, cupa e apocalittica fantascienza o allusione delirante ad una passione pedofila. Fra i brevi il fulminante “Il demone di febbraio”, l’ellittica ghost-story “Pergolesi”, il sorprendente “La confessione di Gert Verhoeven”, il visionario “Il chitarrista di mezzanotte”, il sadiano “Corrispondenza”, lo psicanalitico “La smemorata”, il gotico “Il giullare di Damme”, l’omaggio a Mary Shelley “Il cadavere di Beachy Head”, il romantico “Strana eclisse”, il mystery “Il rapporto venuto dal Reno”.

L’esordio della nuova collana di Agenzia Alcatraz si rivela un colpo da maestri: Prévot va subito a collocarsi nei nostri cuori alla destra di Jean Ray (…alla sinistra c’è Thomas Owen). A dimostrare che non è la fama di un nome a contare ma la qualità del testo proposto. In più c’è la maneggevolezza, la leggibilità, il garbo tipografico dei volumi e la cura scrupolosa della traduzione di Luca Fassina. Riconoscenti per la scoperta di un territorio quasi inesplorato restiamo in attesa delle prossime auspicate uscite.

 

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