etnologia – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 12 Jul 2025 20:03:52 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 AfrichE.Tra(N)s-formazioni postcoloniali. Un’indagine psicoanalitica tra il Corno d’Africa e il Magreb https://www.carmillaonline.com/2025/07/11/afriche-trans-formazioni-postcoloniali-unindagine-psicoanalitica-tra-il-corno-dafrica-e-il-magreb/ Thu, 10 Jul 2025 22:01:03 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=88891

di Walter Catalano

Livio Boni, Cristiano Rocchi, Daniela Scotto di Fasano, AfrichE. Tra(N)s-formazioni postcoloniali. Un’indagine psicoanalitica tra il Corno d’Africa e il Magreb, Armando Editore, Roma 2024, pp. 216, 17 euro.

Il testo nasce da anni di lavoro nel sito della Società Psicoanalitica Italiana (SPIWEB), dove i tre curatori di questa raccolta di saggi a più voci curano nell’ambito di Geografie della Psicoanalisi curano la finestra AfrichE. Si tratta di un libro corale in cui, con la tecnica dell’intervista, si racconta un’Africa, anzi, meglio dire delle AfrichE, decisamente inedite e spesso inaspettate, cercando di superare stereotipi e preconcetti. Il tema [...]]]>

di Walter Catalano

Livio Boni, Cristiano Rocchi, Daniela Scotto di Fasano, AfrichE. Tra(N)s-formazioni postcoloniali. Un’indagine psicoanalitica tra il Corno d’Africa e il Magreb, Armando Editore, Roma 2024, pp. 216, 17 euro.

Il testo nasce da anni di lavoro nel sito della Società Psicoanalitica Italiana (SPIWEB), dove i tre curatori di questa raccolta di saggi a più voci curano nell’ambito di Geografie della Psicoanalisi curano la finestra AfrichE. Si tratta di un libro corale in cui, con la tecnica dell’intervista, si racconta un’Africa, anzi, meglio dire delle AfrichE, decisamente inedite e spesso inaspettate, cercando di superare stereotipi e preconcetti. Il tema centrale è l’incontro tra psicoanalisi e pluralità culturale africana, con particolare attenzione al concetto di riparazione attraverso il quale si cerca di comprendere le ferite del colonialismo, la frammentazione culturale e la negazione storica che ne sono derivate e le conseguenti attuali identità.

Tre psicoanalisti, cimentandosi con un esperimento inedito, sollecitano un’interlocuzione al contempo intima e critica con una serie di personalità – artisti, scrittori, attivisti e studiosi africani o «afropei» (africani europei) – allo scopo di illustrare la pluralità delle figure soggettive, delle aspirazioni e delle forme di «disagio della civiltà» in un continente concepito e anche fantasticato come omogeneo e indistinto. Concentrandosi su Corno d’Africa e Magreb, questa piccola raccolta di saggi si focalizza sul lascito del colonialismo e le vie, anche contorte, inaugurate dalle decolonizzazioni.

Composto essenzialmente di interviste e di letture critiche di opere contemporanee, il saggio scommette su una metodologia condivisa tanto dalla psicoanalisi quanto dall’antropologia contemporanea e dagli studi postcoloniali: lasciare la parola all’altro, accettando di essere spiazzati da un’enunciazione talora provocatoria, altre volte sfumata, comunque aperta al dialogo e al confronto.

Gli autori/curatori sono Livio Boni, psicoanalista, dottore di ricerca in psicopatologia, direttore di programma al Collège International de Philosophie, autore di L’inconscio post-coloniale. Geopolitica della psicoanalisi (Milano, Mimesis, 2019) e Psychanalyse du reste du monde. Géohistoire d’une subversion (codiretto con Sophie Mendelsohn, Paris, La Découverte, 2023). che vive e lavora a Parigi. Cristiano Rocchi, membro ordinario con funzioni di training SPI-IPA, vive e lavora a Firenze, insegna a Roma. Recentemente ha pubblicato “La disclosure controtransferale come precursore dell’analisi reciproca” in Rileggere Ferenczi oggi (Borla, 2019), “The Body in Psychoanalysis” in When the body speaks (2021Routledge) e “Il corpo in psicoanalisi”, in Il corpo che parla (2023, Mimesis). Daniela Scotto di Fasano, membro ordinario SPI-IPA, ha insegnato presso la Scuola di Specializzazione in Psicologia e il Corso di Laurea in Psicologia dell’Università di Pavia. E’ stata nella redazione di Psiche dal 2001 al 2009. Tra le pubblicazioni (cocurate con M. Francesconi), L’ambiguità nella clinica, nella società, nell’arte (Antigone Edizioni, 2012); Il sonno della ragione. Saggi sulla violenza (Liguori, 2014); Aree di Confine (Mimesis, 2017); Nec Nomine. Nell’Argentina delle stragi: Menzogne, Verità, Identità (edizioni Bette, 2024); Freud a Gaza. Tutti e tre fanno parte del gruppo di studio internazionale Geografie della Psicoanalisi coordinato da Lorena Preta.

Intervista a Cristiano Rocchi e Daniela Scotto di Fasano

Domanda: Chiedo loro innanzitutto perché AfrichE e non Africa, sia come titolo della finestra in SPIWEB sia come titolo di questa raccolta di saggi.

Risposta: Quello che ci ha interessato è consistito innanzitutto nel tentativo di suggerire un’idea della complessità e della varietà delle situazioni, individuali e collettive, irriducibili al fantasma dell’Africa come blocco unitario, fantasmaticamente accomunato da un solo carattere dominante, sia esso negativo (la miseria, la guerra, la “primitività”) o positivo (la vitalità, la Natura, il Continente del futuro ecc.). Abbiamo infatti tenuto conto della coesistenza, sul continente africano, di una molteplicità di regimi storici, che vanno dai più antichi ai più postmoderni, il che rende lo spazio africano irriducibile ad una temporalità storica univoca, e rilancia la questione freudiana della coesistenza tra più regimi temporali, nella vita individuale quanto nella vita collettiva. Un altro fattore di cui abbiamo ritenuto necessario tenere conto è quello dell’interiorizzazione negli Stati del continente africano di modelli ereditati dalla dominazione coloniale, tanto a livello del comportamento delle classi dirigenti africane quanto a livello di un desiderio di massa di costruire Stati-nazione omogenei, culturalmente unitari, sul modello delle Nazioni europee, e i contraccolpi patologici di una simile introiezione. Da qui l’esigenza di declinare al plurale il nome proprio “Africa”, che si è imposto come tale in coincidenza con l’apogeo dell’impresa coloniale e che, per quanto rivendicato in seguito dai movimenti panafricanisti, non deve occultare la varietà irriducibile delle AfrichE. Prestare un orecchio analitico ad una serie di interlocutori legati alle AfrichE significa infatti restituire alla condizione africana la sua plurivocità, contro la tendenza ad unificare indebitamente la molteplicità reale del continente sotto un tratto identificatorio univoco.

Domanda: Avete fatto cenno, in questa risposta, alla “questione freudiana” e siete tre psicoanalisti. Allora vi chiedo: cosa ha a che fare la psicoanalisi con le AfrichE?

Risposta: indispensabile situare brevemente la congiuntura nella quale prende posto il nostro saggio. Se per un verso si tratta infatti di (re)introdurre l’Africa nell’orizzonte dell’attenzione analitica, tale esigenza non è dettata solamente da considerazioni epistemiche, ma dalla convinzione condivisa che l’Africa continui a funzionare come una fucina fantasmatica nella cultura, italiana e non solo. A dispetto della storia coloniale del nostro Paese – che è ormai diventato luogo comune definire come “rimossa” -, della prossimità geografica e della presenza ormai imprescindibile di una popolazione africana, o italo-africana, l’Africa continua a trovarsi assegnata ad una serie di stereotipi, per lo più negativi, o ad essere semplicemente ignorata, come nel campo analitico. Questa pubblicazione polifonica non pretende certo sopperire ad una tale lacuna, intende però proporre, più modestamente, un’apertura, sotto forma dialogante, tra la psicoanalisi e una serie di voci e di apporti emananti dal mondo civile, culturale e letterario del continente africano. L’Africa è indubbiamente il continente assente dalla cartografia freudiana. Nel suo immaginario, sebbene esso fosse incentrato sul mondo europeo e sulla cultura greco-romano-giudaica, il continente africano è pressoché assente. O meglio, esso vi compare negativamente, attraverso la celebre metafora della sessualità femminile come Dark Continent, introdotta nel 1926 (in La questione dell’analisi laica) e indirettamente ispirata dal saggio omonimo dell’esploratore e avventuriero Henry Morton Stanley, che svolse un ruolo di primo piano nella sanguinosa conquista del Congo per conto di Leopoldo II del Belgio, e poi ripresa da Joseph Conrad nel suo Heart of Darkness (Cuore di Tenebra), coevo a L’Interpretazione dei sogni di S. Freud. Nella metafora freudiana del Dark Continent si ritrova infatti un duplice implicito: l’Africa come Terra incognita, inesplorata; e l’Africa come luogo oscuro, potenziale riserva di una pulsionalità indecifrabile, di una tenebrosità che resiste ai Lumi. Il disinteresse per l’Africa non è tuttavia un tratto distintivo proprio unicamente alla cultura e alla visione di Freud e ha contraddistinto una gran parte della storia e della letteratura psicoanalitica post-freudiana, con alcune eccezioni significative, tra le quali occorre menzionare lo psicoanalista russo-lituano Wulf Sachs, emigrato in Sudafrica all’inizio degli anni Venti, considerato precursore dell’etnopsichiatria; Octave Mannoni, autore del primo studio di orientamento analitico sulla situazione coloniale; e, infine, Edmond e Anne-Cécile Ortigues. Questo significa che, malgrado la psicoanalisi “canonica” si sia sostanzialmente disinteressata, fino ad un’epoca recente, del continente africano, sono esistite, ai margini del Movimento analitico, incursioni  etnografico-analitiche in Africa, in particolare dopo la Seconda guerra mondiale, tanto che si potrebbe affermare che, a fronte della quasi inesistenza della psicoanalisi in senso stretto, la sua presenza si declina comunque attraverso l’etnopsichiatria. Insomma, esiste una presenza, marginale ma reale, della psicoanalisi sul continente africano, presenza rarefatta e discontinua, ma effettiva, della quale sarebbe istruttivo e prezioso fornire una mappatura critica. Ma tale non è l’intento del nostro libro, che non si interesserà, se non marginalmente, della storia della psicoanalisi in Africa, né a quella delle occorrenze dell’Africa nella letteratura analitica. Altra è l’intenzione che ci ha animato, al contempo più modesta e più arrischiata: proporre qualche esempio di dialogo immanente tra psicoanalisti e autori contemporanei africani o “afropei”.Che cosa intendere per immanente? Innanzitutto il partito preso di dialogare nel modo più diretto possibile con una serie di interlocutori legati all’Africa, facendo risuonare delle questioni psicoanalitiche, orientando la discussione verso la questione dell’inconscio, ma senza saturare lo spazio dialogico con un ricorso massiccio al sapere analitico, e accordandosi di conseguenza ilmassimo di spontaneità, talora persino di ingenuità, nell’interlocuzione.

Insomma, è un metodo sui generis quello qui adottato – tre psicoanalisti, di generazioni e formazioni differenti, dialogano ‘liberamente” con autori o testi contemporanei afferenti all’Africa, anche quando questi non sembrano detenere un rapporto diretto con la psicoanalisi. Last but non least, anzi!, non a caso la Prefazione è della notissima antropologa, psichiatra, psicoanalista e scrittrice marocchina Rita (Ghita) El Khayat.

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