Étienne de La Boétie – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 17 Dec 2025 20:25:59 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Dalla Narodnaja volja a Superman https://www.carmillaonline.com/2020/12/09/da-narodnaja-volja-a-superman/ Wed, 09 Dec 2020 22:00:46 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=63788 di Sandro Moiso

Diego Gabutti, Superuomo, ammosciati. Da Nietzsche a Tarzan, da Napoleone agli Avengers: la fabbrica dell’Übermensch, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (CZ) 2020, pp. 204, 14,00 euro

«Due sono le costruzioni cui più suinamente s’inchina il filisteo: lo Stato e l’Io». (Amadeo Bordiga, Superuomo ammosciati!)

«du sublime au ridicule il n’y a qu’un pas!» (Napoleone Bonaparte)

L’ultima sulfurea, irriverente e, spesso, caustica fatica di Diego Gabutti, recentemente pubblicata da Rubbettino nella collana Zonafranca, potrebbe benissimo funzionare come corollario dell’ipotesi avanzata dallo storico e saggista Yuval Noah Harari nel suo testo “Sapiens. [...]]]> di Sandro Moiso

Diego Gabutti, Superuomo, ammosciati. Da Nietzsche a Tarzan, da Napoleone agli Avengers: la fabbrica dell’Übermensch, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (CZ) 2020, pp. 204, 14,00 euro

«Due sono le costruzioni cui più suinamente s’inchina il
filisteo: lo Stato e l’Io».
(Amadeo Bordiga, Superuomo ammosciati!)

«du sublime au ridicule il n’y a qu’un pas!»
(Napoleone Bonaparte)

L’ultima sulfurea, irriverente e, spesso, caustica fatica di Diego Gabutti, recentemente pubblicata da Rubbettino nella collana Zonafranca, potrebbe benissimo funzionare come corollario dell’ipotesi avanzata dallo storico e saggista Yuval Noah Harari nel suo testo “Sapiens. Da animali a dei. Breve storia dell’umanità” (Bompiani 2014), in cui si ipotizza che il motivo dell’affermazione della nostra specie sulle altre sia dovuto, sostanzialmente, alla capacità di produrre realtà intersoggettive, capaci di funzionare da collante per gruppi molto grandi di individui. Realtà “inventate”, cui solo gli uomini come specie possono credere (religione, denaro, Stato, diritto e diritti, solo per citarne alcune), ma che allo stesso tempo si sono trasformate in realtà oggettive o, almeno, in forze produttive reali.

Tema particolarmente caro ai redattori di Carmilla, quello dell’immaginario collettivamente condiviso costituisce un territorio troppo spesso relegato a fattore secondario dello sviluppo sociale e delle leggi che ne regolano il funzionamento. In ogni epoca storica e in ogni fase del cammino dell’Umanità. Una riduttivistica lettura in chiave volgarmente marxista ed economicistica l’ha infatti ridotto a mera sovrastruttura di una struttura portante basata su rapporti di produzione determinati esclusivamente dall’economia e dalla gestione delle necessità da questa pre-detefinite. Dimenticando che per far sì che queste strutture funzionino è necessario che il gruppo sociale ne condivida, intimamente e soggettivamente oltre che collettivamente, principi e finalità. E non dimenticando, neppure, che anche le necessità sono frutto non solo di bisogni materiali, ma anche di un immaginario condiviso.

E’ chiaro come al centro di questi principi condivisi risieda quello del potere e della sua gestione, sia esso di carattere monarchico o elettivo oppure ancora dittatoriale.
Problema non di certo recentissimo se si pensa che già, nel XVI secolo, Étienne de La Boétie poteva chiedersi:

Vorrei soltanto riuscire a comprendere come sia possibile che tanti uomini, tanti paesi, tante città e tante nazioni talvolta sopportino un tiranno solo, che non ha altro potere se non quello che essi stessi gli accordano, che ha la capacità di nuocere loro solo finché sono disposti a tollerarlo, e che non potrebbe fare loro alcun male se essi non preferissero sopportarlo anziché opporglisi. E’ cosa veramente sorprendente – e pur tuttavia così comune che c’è più da dolersene che da stupirsene – vedere milioni di uomini miseramente asserviti, il collo piegato sotto il giogo, non perché costretti da una forza più grande ma soltanto, sembra, perché incantati e affascinati dal solo nome di uno di cui non dovrebbero temere la potenza […]1

Domanda e ipotesi poi rafforzata da David Hume che, nel 1741, nel suo saggio Sui primi principi del Governo, affermava:

Nulla appare più sorprendente, a chi consideri le cose umane con occhio filosofico, della facilità con cui i molti vengano governati dai pochi, e dell’implicita sottomissione con cui gli uomini rinunciano ai loro sentimenti e alle loro passioni per quelle dei loro governanti. Quando ci chiediamo attraverso quali mezzi si realizzi questo prodigio, troviamo che, essendo la forza sempre dalla parte di chi è governato, chi governa non ha nulla a proprio sostegno se non l’opinione. Pertanto è sull’opinione soltanto che si fonda il governo; e questo principio si estende tanto ai domini più dispotici e militari, come a quelli più liberi e popolari.2

Preludio, infine, a quello stato di minorità volontario di cui avrebbe parlato Immanuel Kant, nel suo Che cos’è l’Illuminismo?, circa quarant’anni dopo, nel 1784.
Mi scuso con i lettori, e con l’autore, per la lunga passeggiata tra i filosofi del XVI e XVIII secolo, ma questa era necessaria per ricollegare le osservazioni iniziali al libro di Gabutti di cui qui si parla, poiché l’autore riporta il problema all’interno dell’epoca moderna, con una lunga cavalcata che a partire dal Palais Royal di fine Settecento, passando per i nichilisti russi, Dostoevskij e Nietzsche giunge fino al ‘900 delle dittature, delle grandi utopie trasformate in incubi e, ancora, alla narrativa popolare di Edgar Rice Burroughs, creatore di Tarzan, ai fumetti della DC Comics con Batman e Superman a farla da padroni e, successivamente, a quelli degli Avengers e di Spiderman della Marvel.

Sono i due, tre secoli in cui è più forte la spinta verso l’affermazione della capacità del singolo individuo, o del manipolo di eroi (organizzati bolscevicamente in Partito oppure in banda dai poteri sovrumani) di cambiare il mondo, distruggendo quello che lo precede o già contiene oppure, molto più prosaicamente, riformarlo eliminandone i cattivi e gli indesiderati guastafeste (Batman contro il Joker, Lenin contro il capitalismo mondiale, Stalin contro gli anarchici e i fascisti, la Lorenzin, oggi Speranza, contro i NoVax, i fascisti e i populisti contro tutti).

E’ una lettura non priva di rischi quella che Gabutti propone al pubblico, ma, sicuramente adatta a vangare e a rivoltare un terreno troppo spesso ricoperto dalla melma dell’ideologia. Ideologia che, troppo spesso, è ancora figlia di una “Rivoluzione” borghese che ha promesso di cambiare radicalmente il mondo senza mai davvero volerlo o poterlo fare. Una promessa o una speranza riposta in individui, di cui i supereroi, buoni e cattivi, non sono altro che le proiezioni popolari e semplificate, che pur Amadeo Bordiga, nel testo citato in epigrafe aveva già liquidato quasi settant’anni fa.

Individui, comunque e sempre, dai ‘trogloditi’ russi3 a John Lennon4, inadatti a cavalcare i movimenti sociali, quasi sempre sotterranei e profondi, che li ispirano. Così, quello di mantenere le cose come sono, se non addirittura peggiorarle, attraverso la promessa di cambiarle per mezzo di un eroe e della sua volontà, rispettando naturalmente la volontà del popolo, è il prodotto di un’epoca, iniziata con l’avvento della macchina e del vapore, preludio di ogni altra energia a venire (da quella elettrica a quella nucleare), che hanno contribuito come pochi altri fattori a ridurre a scarto la volontà e la capacità d’azione dell’individuo. E che proprio di questa impotenza, individuale e collettiva, costituisce l’immagine specularmente rovesciata.

Ecco allora l’individuo, figlio del libero arbitrio cristiano e dell’illusione democratica liberale, che con la bomba e il terrore, oppure indossando le mutande sugli abiti, come ogni buon supereroe, si illude, ma soprattutto illude il singolo oppure le masse che la “libertà” (altro termine fantasmagorico) sia a portata di mano (oppure di pistola, di manganello, di coltellaccio da decapitazione, come negli horror movie prodotti dall’Isis, o qualsiasi altro strumento legato all’uso della forza).

Gabutti proprio non vorrebbe essere accostato ai marxisti (al massimo, ma con distaccata ironia, a Bordiga) eppure come non cogliere in una celebre lettera di Karl Marx a Kugelmann il principio e il motore delle sue riflessioni?

Finora si era creduto che la formazione dei miti cristiani sotto l’impero romano fosse stato possibile solo perché non era ancora stata inventata la stampa. Proprio all’inverso. La stampa quotidiana e il telegrafo, che ne dissemina le invenzioni in un attimo attraverso tutto il globo terrestre, fabbricano più miti (e il bue borghese ci crede e li diffonde) in un giorno di quanti se ne potessero un tempo costruire in un secolo5

Peccato, ci sarebbe da aggiungere, che anche quello che dovrebbe essere l’affossatore “naturale” della classe al potere ci creda altrettanto e forse di più. In un’epoca in cui si sono aggiunti il cinema, la radio, i comics, la tv, internet, i social e tutti i loro infiniti derivati. La rivolta luddista corre nelle immagini della serie infinita di film dedicati a Terminator e Skynet e la paura delle macchine si ribalta, poi, ancora in fiducia nelle stesse e nel loro utile e sano uso per tramite delle app suggerite dal governo, sia per contrastare la diffusione del Covid che per il cashback e le sue lotterie natalizie. Così dal teatro pedagogico di Bertold Brecht si è passati alle influnencer “impegnate” alla Chiara Ferragni, ma in un’epoca di mass-media il passo tra i due è stato probabilmente sempre molto breve.

L’emancipazione femminile passa attraverso l’immagine di Uma Thurman di Kill Bill 1 e 2, ma resta pur sempre in mano ad Hollywood e al movimento MeToo che ne è scaturito. Spettacolo nello spettacolo e dello spettacolo. Così, mentre anche a Guy Debord sarebbe iniziata a girare la testa, il Superuomo o Übermensch oppure ancor la Superdonna ne sono il prodotto diretto, così come lo era la creatura di Victor Frankenstein all’epoca dalla prima rivoluzione industriale.

Se, come sottolineava già Pirandello, è la vita a copiare dal teatro oppure, come ci ricorda Gabutti, i poeti tragici vennero raffigurati, già ne Le rane di Aristofane, come educatori del popolo che tenevano alto il modello da ammirare:

Otto e Novecento sono secoli in cui fiction e realtà coincidono quasi del tutto.
E una vertigine. Oscar Wilde, gli anarchici con la fissa della dinamite, Huck Finn e Tom Sawyer, Giuseppe Garibaldi, gli apaches parigini e quelli della frontiera americana, la Regina Vittoria, Madama Butterfly e la Creatura del Barone Frankenstein, Sandokan, lo stesso Nietzsche prima e dopo l’incidente di Torino: quando non sono letterati, sono personaggi letterari, e quel che fanno e sempre e soltanto letteratura e intrattenimento. Showbiz… «è tutta industria dello spettacolo», dirà poi William Burroughs, dadaista pulp. Un utopista che sale al potere, come Lenin in Russia in che cosa si distingue da Fu Manchu, un personaggio immaginario che la vede come lui e che, nella finzione romanzesca e cinematografica, agisce esattamente come gli utopisti agiscono nella realtà storica (smontando e rimontando il giocattolo a molla delle società umane: più libertà, più libero arbitrio… no, meno, di più, così è troppo, così troppo poco)?6

Del superuomo, o più precisamente di chi passa per tale, o semplicemente si richiama a questa spettacolare figura della modernità, si continua naturalmente a parlare. Non si parla, anzi, quasi d’altro. Perché il superuomo non e soltanto, come a volte capita di pensare, una presenza fissa nel nostro immaginario («anche filosofico», aggiunge il pedante). Causa che s’autopromuove – attraverso il cinema, come attraverso la politica e le religioni, ma che conquista spazio e audience soprattutto attraverso la sua eccezionale e finora ineguagliata natura camaleontica, grazie cioè alla sua capacità d’incarnare contemporaneamente la Tecnica che divora il mondo e il suo contrario, cioè la guerra per mare e per terra alla riduzione della vita a incubo chapliniano-orwelliano – l’Übermensch è un’ombra a lato dello sguardo d’ogni nostra esperienza storica recente. E l’abisso che ci restituisce lo sguardo ogni volta che ci affacciamo incautamente nel vuoto. E il fantasma che, come nell’incipit d’un manifesto rivoluzionario old style, infesta il castello della Zivilisation.
Ma non ne sono piu invasati gli avventurieri letterari, come nella belle époque, quando nel calderone della radicalità ribollivano insieme il sesso e la politica, il misticismo e il materialismo, l’impassibilità nichilista, la rivoluzione socialista (o quella conservatrice) e la poesia sfrenata come una danza sufi. Romanzieri e filosofi, artisti e poeti, hanno superato indenni le prove infernali che il XX secolo ha imposto a tutti quanti, persino ai chierici che in genere sgusciano fuori vista quando le cose si fanno difficili, ma non hanno conservato il ruolo che avevano un tempo, quando gli amori di Lady Chatterley, gli inni londoniani al popolo dell’abisso, le imprese militari del Vate e quelle di Lawrence d’Arabia (la prima tarocca, la seconda non del tutto vera) galvanizzano il fan club del superuomo.
Tifosi del sesso libero, della bella morte, della rivoluzione purchessia, di destra o di sinistra è lo stesso, i tifosi dell’intellighenzia oltreumana e «immoralista», attivi soprattutto nell’interregno tra le due guerre mondiali, sciolgono le loro curve sud dell’apocalisse quando a nessuno è più possibile negare l’esistenza del lato oscuro e nichilista del tempo presente: una guerra terribile, uno spaventoso dopoguerra totalitario, seguito da un’altra guerra e da altre sventure. Succede esattamente come nei sixties americani dopo l’eccidio di Bel Air da parte della Famiglia Manson, ala satanista della controcultura. Niente più fiori nei capelli, basta con le svenevolezze e d’ora in avanti, ai concerti rock, nessuno si metta più nudo: prudenza.
E’ il momento in cui l’uomo potenziato, sospettando d’averla fatta troppo grossa, entra prudentemente (anche lui) in clandestinità, come se temesse le torce e i forconi degli abitanti del villaggio planetario, che da un momento all’altro, pensa, potrebbero decidere di dargli la caccia come a una Creatura delle dimensioni del Leviatano di Hobbes, o di Godzilla. Circospetto, sguardo a destra, sguardo a sinistra, questo Übermensch inesistente, simile per consistenza al cavaliere d’Italo Calvino, lascia la copertura metafisica (chiamiamola cosi) e si trasforma, per istinto di conservazione, in un personaggio immaginario, eroe e antieroe dei fumetti, del cinema, dei tabloid. Ma e una precauzione inutile, data la sua natura illusoria7.

Si avvicina Natale e il governicchio dei super-omuncoli vi costringerà a rimanere chiusi in casa più del dovuto e più di quanto vi sareste aspettati. Già solo per questo motivo il libro di Gabutti potrebbe rivelarsi una lettura provocatoria, intelligente e divertente, per sfuggire alle maglie di un quotidiano ormai profondamente addomesticato in ogni sua espressione. Una riflessione destinata, infine, a suggerire come la linea che divide l’utopia dalla distopia e la Storia dalla commedia o da un horror movie sia, quasi sempre, molto sottile.

«Non sono un socialista, sono un furfante» (Pëtr Stepanovič Verchovenskij, I demoni)

«Diventammo sovversivi perché eravamo delinquenti potenziali. Fummo rivoluzionari perché non avremmo potuto essere altro. Inutile raccontarsela o raccontarla diversamente. La coscienza venne dopo. Più tardi. Dopo innumerevoli errori e pratiche irridenti e folli. Alla faccia di qualsiasi ortodossia marxista. Sempre e soltanto pretesa e mai realmente efficace» (S. M., L’estate del 1964 o giù di lì e oltre)


  1. É. De La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria (1576), Edizioni Il Foglio, Milano 2018, p. 4  

  2. D. Hume, Essays, Literary, Moral and Political, ora citato in Murray N.Rothbard, Il pensiero politico di Étienne de La Boétie, Introduzione a É. De La Boétie, op. cit., p. XXXIX  

  3. Come «fu battezzato un piccolo gruppo di giovani rivoluzionari della capitale che si distingueva per il fatto che nessun estraneo sapeva dove abitassero e sotto che nome vivessero. Perciò si disse che avevano trovato rifugio in segrete caverne», secondo Franco Venturi nel suo libro Il populismo russo, Einaudi, Torino 1972  

  4. Übermensch involontario, al quale oggi, in occasione del quarantesimo anniversario della morte, i tg italiani attribuiscono la formazione dei movimenti pacifisti grazie alle sue canzoni Imagine e Give Peace a Chance  

  5. K. Marx, Lettere a Kugelmann, Editori Riuniti, Roma 1976, lettera del 27 luglio 1871, 173  

  6. D. Gabutti, Superuomo, ammosciati. Da Nietzsche a Tarzan, da Napoleone agli Avengers: la fabbrica dell’Übermensch, pp. 96-97  

  7. D. Gabutti, op.cit., pp. 111-113  

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Tutti insieme, fuori dal tunnel: Torino 8 dicembre 2018 https://www.carmillaonline.com/2018/12/12/fuori-dal-tunnel-torino-8-dicembre-2018/ Wed, 12 Dec 2018 21:01:15 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=50165 di Sandro Moiso

Pour Julien Coupat et tous les autres arrêtés

Poiché è inevitabile parlare di cifre, calma e gesso e iniziamo con un paragone. Se i media e i giornali infeudati alle mafie politico-economiche delle grandi opere avessero utilizzato per la manifestazione contro il TAV di sabato 8 dicembre lo stesso metro utilizzato per quella del 10 novembre a favore del buco nero tra i monti, avrebbero dovuto parlare di un numero di manifestanti compreso tra i 250 e i 300mila. Quattro-cinque volte il numero reale che, comunque è stato altissimo.

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di Sandro Moiso

Pour Julien Coupat et tous les autres arrêtés

Poiché è inevitabile parlare di cifre, calma e gesso e iniziamo con un paragone.
Se i media e i giornali infeudati alle mafie politico-economiche delle grandi opere avessero utilizzato per la manifestazione contro il TAV di sabato 8 dicembre lo stesso metro utilizzato per quella del 10 novembre a favore del buco nero tra i monti, avrebbero dovuto parlare di un numero di manifestanti compreso tra i 250 e i 300mila. Quattro-cinque volte il numero reale che, comunque è stato altissimo.

La vecchia busiarda torinese ha parlato di “manifestazione oceanica” e la sua consorella Repubblica ha fatto ballare i numeri tra i 40, 50 e 70 mila. Detto dal nemico non è male, per cui ci si può ampiamente accontentare; senza dimenticare, però, che l’ecumenico telegiornale di Mentana sulla 7, domenica sera, ha avuto la faccia tosta di affermare che quella NOTav ha “pareggiato” la manifestazione delle madamine SìTav. Forse sarà per questo che lo scanzonato Enrico è sempre più presente in qualità di spalla, come il secondo dei fratelli De Rege, ai dibattiti pubblici col ministro degli interni e capo della Lega.

Ma, poiché i calcoli da partita doppia poco ci interessano, occorre qui subito parlare anche di quella sporca dozzina di associazioni imprenditoriali (non se ne abbia male per la citazione il genio cinematografico di Robert Aldrich) che, prima con il cappello in mano a Torino e poi con aria un po’ più tronfia a Roma, si sono rivolte al Governo per un’elemosina a suon di taglio delle tasse e di investimenti a fondo perduto .
Confermando la tendenza storica di una classe im/prenditoriale italiana sempre pronta a mungere la mammellona dello Stato (o dell’EU) e a scaricare i costi, le spese e i danni sulla comunità e sui cittadini. Profitti privati per alcuni (avere) e perdite e danni distribuiti tra tutti (gli altri – dare).1

Confermando anche, però, nell’incontro al Viminale con il solito Mister Muscolo domenica 9 dicembre, che l’innamoramento per il Fascismo e l’autoritarismo hanno sempre costituito il necessario corollario politico dell’interventismo keynnesiano-mussoliniano statale in favore delle grandi opere2 destinate a rilanciare i profitti di imprenditori paurosi e spilorci, rispetto ai quali i gestori dei traffici internazionali di droga della ‘ndrangheta attuale sembrano autentici geni della gestione aziendale, eroi del rischio di impresa e giganti dell’organizzazione della distribuzione delle merci a livello internazionale.

Delle madamine è inutile parlare, non solo perché si trae poca gloria dallo sparare bordate sugli incapaci e gli inconsapevoli, ma anche perché, in fin dei conti, sulla scia del governatore della regione Piemonte e il suo partito, continueranno a farsi sempre più male da sole, cinguettando in pubblico dalla Gruber oppure sui social e sui giornali. In un atteggiamento masochistico che avrebbe lasciato perplesso anche Leopold von Sacher-Masoch, convinto com’era che dall’infliggersi o dal farsi infliggere qualche forma di dolore si dovesse, almeno, trarre una qualche forma di piacere.

Così come è inutile parlare del Movimento 5 Stelle che, pur presente in piazza per ragioni elettorali, con il suo atteggiamento ondivago e incerto ha contribuito più a rafforzare le speranze del partito del PIL e a ridestare le sue richieste di trattativa per la realizzazione del tunnel mangia soldi e divora ambiente che non a mettere una decisa parola “fine” sulle grandi opere inutili e dannose, così come era richiesto da tutti i suoi elettori, oggi illusi e delusi allo stesso tempo.

E allora parliamo di questo movimento grande, forte, propositivo.
Di un movimento che, insieme a tutti gli altri che lottano per la difesa dell’ambiente, dei territori e delle comunità che li abitano, grandi o piccole che esse siano, rappresenta non solo il futuro, ma anche l’unico vero governo del cambiamento. Sia che questo avvenga a Torino, nel Salento oppure nelle strade di Parigi, Marsiglia e Bruxelles.
A dispetto di quanti vogliono infatti dipingere i valsusini, i salentini o i gilets jaunes come retrogradi e nemici del miglioramento delle condizioni di vita, tutti questi movimenti rappresentano già, nelle strade delle città o nelle valli montane e nelle zone costiere, l’unica forma di governance possibile per il futuro della specie umana.

Già da tempo infatti non hanno più alcun bisogno di far derivare la propria azione dai programmi di partiti già ammuffiti dal tempo o falsamente innovativi, perché, liberatisi dal fardello del paradigma politico novecentesco e dalle sue dialettiche rappresentative, sono gli unici ad avere una prospettiva che sia in grado di scavalcare e superare la palude del presente, in cui le sabbie mobili del produttivismo e di un ciclo di accumulazione giunto ormai in Occidente alla sua fine continuano a trascinare verso il suo fondo melmoso la ricchezza socialmente prodotta, i risparmi, la salute e le condizioni di vita di milioni di cittadini.

Un fondo melmoso che, come in un film di serie B degli anni ’50, non può che far emergere mostri e mostricciattoli dai tratti orribili e ridicoli allo stesso tempo.
Una melma nera e untuosa che si incolla alle suole degli stivali di chi vive della terra, che stringe le caviglie dei lavoratori e dei disoccupati e che cerca di trascinare nel suo profondo coloro che l’attraversano come un mare nazionalizzato e sovranizzato fa con i migranti, ma che, alla fine, vedrà depositarsi sul suo fondo soltanto le scorie e i funzionari di un modo di produzione che, tra qualche secolo, sarà ricordato come quello più imbecille e dannoso tra i tanti prodotti dalle società umane nel loro percorso lungo centinaia di migliaia di anni.

Un sistema di dominio e sfruttamento che nel giro di pochi secoli, superbi e sciocchi, ha cercato di ridisegnare e disintegrare i rapporto tra la specie e la natura di cui fa parte, tra uomo e uomo e uomo e donna, in nome del profitto, della proprietà privata dei suoli e dei mezzi di produzione e di un progresso che già il vecchio Jean-Jacques Rousseau, unico nel suo tempo, aveva individuato come un processo di involuzione piuttosto che evolutivo.

Signori di Confindustria, esponenti della Lega delle cooperative, parlamentari e rappresentanti di tutti i partiti egualmente responsabili del disastro sociale e ambientale, esponenti delle camarille politico-mafiose nazionali e internazionali, amministratori locali asserviti ad interessi che non sono certamente quelli dei cittadini rappresentati, dirigenti di Confcommercio, signori del cemento e delle armi, rappresentanti della finanza internazionale e dell’UE, le orecchie già vi fischiano, ma non volete ancora capire. La pressione interna sta salendo e i vostri cuori economici e politici, siano essi a Milano, Torino, Roma, Londra, Bruxelles o Parigi stanno per collassare o implodere. Il vostro pargoleggiar d’ingegni non convince più nessuno. Tanto meno i tecnici e gli scienziati: quelli veri, certo non quelli dei salotti televisivi.

Arresterete e denuncerete ancora, sparerete flashball e granate esplosive per mutilare i manifestanti oppure cercherete di soffocarli con il gas Cs; scatenerete ancora guerre sul suolo altrui e in casa vostra e chiuderete i confini oggi agli uomini e alle donne e domani alle merci nemiche. Userete il cemento, il feticcio denaro, la produzione e il trasporto di merci inutili e il lavoro coatto per soffocare ancora la Natura e tutte le specie che la abitano. Ma noi siamo la Natura e voi avete già perso.

Sarà forse, come per le madamin torinesi, una risata che vi seppellirà oppure, come già aveva profetizzato, alla metà del XVI secolo e agli albori del vostro momentaneo trionfo, Étienne de La Boétie, il consenso su cui si basa il vostro potere semplicemente crollerà poiché, ancor prima di ribellarsi, i protagonisti dei movimenti attuali hanno smesso di credere alle vostre miserabili promesse.3

Le strade di Torino, Parigi, Bruxelles e i movimenti in ogni angolo d’Europa e del mondo ve lo stanno gridando forse per l’ultima volta: guardatevi allo specchio e vedrete riflessi dei morti viventi. Noi siamo vivi e voi siete già tutti morti.
Macron è già malato. Gravemente. Ed è forse per questo che cercate di evitarlo come un appestato, ma il nostro virus si sta diffondendo rapidamente e sta arrivando anche per voi.

Noi siamo la malattia che più temete, per la quale non avete più anticorpi e allo stesso tempo, come portatori sani di una diversa prospettiva per il futuro, siamo la cura per salvare la specie e il suo habitat.
Voi avete governato questo pianeta per qualche miserabile tempo; noi, a fianco dei nostri antenati tutt’altro che pre/istorici e sicuramente più evoluti di voi, tutti uniti in social catena, possiamo invece affermare che c’eravamo, ci siamo e ci saremo. Sempre


  1. Un vizio comunque antico e diffuso non soltanto in Italia, visto che, a proposito della patria per eccellenza dei self-made men e dell’imprenditoria privata, un autore disincantato come Robert Hughes poteva scrivere, nel 1993: “E’ vero che la revisione della storia del West può mettere in crisi miti molto amati. Un esempio fra tanti: il West è il luogo archetipico della diffidenza verso la Mano Pubblica, la terra dell’uomo indipendente che ce la fa da solo. Eppure l’esistenza economica di gran parte del West – di uno Stato come l’Arizona, per esempio – è dipesa, non marginalmente o occasionalmente ma sempre e totalmente, dai fondi federali di Washington. Gli Stati del Sud-Ovest non avrebbero mai potuto raggiungere l’attuale densità di insediamento senza gli enormi stanziamenti per le opere idrauliche. Più che il John Wayne dello sviluppo americano, essi sono un modello di interventismo assistenziale.” Robert Hughes in La cultura del piagnisteo. La saga del politicamente corretto, Adelphi, Milano 1994, edizione 2003 pp. 151-152  

  2. Un paragone, azzeccato, che può essere fatto è con l’affermazione di John Maynard Keynes secondo cui, al fine del rilancio dell’economia, del ‘lavoro’ e degli investimenti, lo Stato potrebbe anche prendere la decisione di far scavare una gigantesca buca (un tunnel?) per poi tornare a farla riempire.  

  3. “Decidete una volta per tutte di non servire più, e sarete liberi. Non vi chiedo di scacciare il tiranno, di buttarlo giù dal trono, ma soltanto di smettere di sostenerlo; allora lo vedreste crollare a terra e andare in frantumi per il suo stesso peso, come un colosso a cui sia stata tolta la base. [Poiché se] non si presta loro obbedienza […] rimangono nudi e sconfitti.” Étienne de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, Liberilibri, Macerata 2004  

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