Eris Edizioni – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 14 Dec 2025 09:25:41 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Fumenti *1 – storie disegnate (Fiumi) https://www.carmillaonline.com/2016/11/15/fumenti-1-storie-disegnate/ Mon, 14 Nov 2016 23:01:53 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=34448 di Simone Scaffidi

arginetumultoM. Girardi, R. Lombardi, L’argine, Becco Giallo, 2016, pp. 136, € 15.00

A. Milani, S. Rocchi, Tumulto, Eris Edizioni, 2016, pp. 168 , € 17.50

Un fiume in comune. È stata una bella coincidenza immergersi contemporaneamente nelle acque del Senio, nella bassa ravvenate, e della Drina, al confine tra la Bosnia e la Serbia. Ci sono riuscito grazie alla lettura di due romanzi a fumetti, L’argine e Tumulto, usciti quasi in contemporanea per Becco Giallo [...]]]> di Simone Scaffidi

arginetumultoM. Girardi, R. Lombardi, L’argine, Becco Giallo, 2016, pp. 136, € 15.00

A. Milani, S. Rocchi, Tumulto, Eris Edizioni, 2016, pp. 168 , € 17.50

Un fiume in comune. È stata una bella coincidenza immergersi contemporaneamente nelle acque del Senio, nella bassa ravvenate, e della Drina, al confine tra la Bosnia e la Serbia. Ci sono riuscito grazie alla lettura di due romanzi a fumetti, L’argine e Tumulto, usciti quasi in contemporanea per Becco Giallo e Eris Edizioni.

Argini e tumulti. Sebbene i titoli possano sembrare opposti di segno, addentrandosi nelle due opere ci si accorge che “argine” e “tumulto” rappresentano due termini dello stesso discorso – e dell’esistenza –, incapaci di sopravvivere l’uno senza l’altro. Ai tumulti della guerra e ai tumulti interiori, spia d’accensione delle due storie, si contrappongono gli argini, ovvero i tentativi più o meno riusciti di contenere l’irruenza dell’incertezza e della confusione. La sfida, sembrano volerci comunicare i quattro autori (tre donne e un uomo), è far fluire il tumulto tra gli argini, in un letto che possa avvicinarsi ad assumere le sembianze della serenità e della liberazione. È quasi un paradosso, ma senza l’argine, in entrambi i romanzi a fumetti, nessuna fuga o redenzione sembra possibile

Fiume-confine. La Drina e il Senio rappresentano un confine. La prima scava la frontiera serbo-bosniaca, insanguinata durante la Guerra dei Balcani, e il secondo disegna la linea del fronte bloccata a Cotignola durante la Seconda Guerra Mondiale. Se il linguaggio e l’immaginario bellico portano con sé un’idea di confine associata allo scontro e alla barriera, le parole e i disegni di queste due opere ribaltano l’assunto e il fiume-confine diviene così luogo d’incontro e di purificazione. È una zona liminale dove si aprono uno spazio e un tempo in cui è possibile dialogare con se stessi e con gli altri, ripensarsi e distruggere a colpi di poesia e musica punk ogni nefanda visione respingente e identitaria della frontiera.

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Tumulto

Otto mani. All’origine di questi due romanzi a fumetti c’è un lavoro di ricerca sul campo, un viaggio nei territori, nei luoghi del delitto e della meraviglia, per toccare con mano le storie delle persone che li abitano e li hanno abitati, e per rendere la narrazione più carica di vitalità e confronto. Sceneggiatura e trasposizione grafica sono state pensate e agite di concerto dalle due coppie di autori. Otto mani in totale. Sei femminili. Quattro per opera. Le coppie nei romanzi a fumetti non sono una novità, ma di norma si tratta di uno sceneggiatore specializzato e un disegnatore specializzato, ognuno con compiti precisi e differenziati. Non è scontato assistere a collaborazioni di questo genere, così totali e incisive nell’elaborazione scritta e disegnata delle storie.

L’argine. L’hanno scritto e disegnato insieme Marina Girardi e Rocco Lombardi. Sebbene si tratti della loro prima pubblicazione in coppia, i due collaborano da anni a diversi progetti, tra i quali l’interessantissimo Nomadisegni: un tentativo selvatico e itinerante di ridare dignità ai territori e alle storie che li attraversano, mescolando viaggio, musica e disegno. Se in questa coppia già rodata l’elaborazione bifronte della sceneggiatura può dunque non stupire, l’elemento straniante è sicuramente rappresentato dalla collaborazione sul piano del disegno e del colore. I due infatti dal punto di vista grafico non c’entrano niente l’uno con l’altra: Marina ha un tratto leggero, colorato, capace di sollevare i confini e farli cadere, è l’accordatrice dei Sigur Ros; Rocco invece ha un tratto punk, nero, raschiato, ma ha anche la padronanza dello strumento di Brian Eno. Era difficile mettere insieme questi due stili tanto lontani tra loro, eppure la commistione risulta eccellente. Marina e Rocco sono riusciti nell’impresa di metter sullo stesso palco Jonsi dei Sigur Ros e i Nerorgasmo, con Bjork e Brian Eno pronti a intervenire per lenire eventuali incomprensioni. Il risultato è un Live in Cotignola (Lungargine, aprile 1945) di rara originalità. Una melodia che sobbalza, graffia e copre i bombardamenti alleati sulla città. Scatta in volo con la poesia, che si alza lieve come un rondone, e ritorna sulla terra con la sua antitesi, la guerra. [C’è un’unica nota dolente in questo volume: il lettering. Violenta e artificiosa è la sua irruzione digitale nelle pagine. È il terzo incomodo: lacera la fluidità della storia disegnata e la riuscita commistione di due sensibilità che si esprimono con stili differenti].

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L’argine

Tumulto. A differenza di Rocco e Marina, Alice Milani e Silvia Rocchi, hanno fuso i loro stili in un sol tratto. Mentre i primi hanno consumato un soddisfacente rapporto sessuale, compenetrando i propri stili ma mantenendo ed esaltando le proprie individualità, le seconde con Tumulto hanno dato alla luce il loro primo figlio a colori. E ci sono riuscite mescolando i pastelli a un viaggio in moto. Non avendo un linguaggio grafico così agli antipodi come gli autori de L’argine, l’operazione di commistione dei tratti è avvenuta naturalmente. In ogni tavola di Tumulto c’è infatti lo zampino di entrambe le autrici ma riconoscere l’una dentro le sfumature dell’altra non è impresa facile. Due amiche intraprendono un viaggio in moto nei territori della ex Jugoslavia. Sarà la canzone di un gruppo punk-rock femminile, ormai scioltosi, a portarle fin lì. «Le curve della Drina non le puoi raddrizzare» dicono gli abitanti che vivono le sue rive. «Vinto dall’orgoglio, sconvolto dal torpore» cantava il gruppo femminile punk-rock. Le ragazze lo sanno o forse non lo sanno ancora. Intanto le curve della Drina le costringono a piegare le loro convinzioni, mentre la moto inclina nel dubbio e le marce scalano montagne d’incertezza e d’orgoglio. Ma l’asfalto corre dentro di loro, ce lo si porta dentro per anni, finché non arriva il momento di farlo fluire, di liberarsi da quel macigno incollato alle ruote. Da un lato le montagne, dall’altro la Drina. Una storia semplice, colma di domande nello spazio bianco: è possibile tagliare le curve della vita? Raddrizzarle? O così facendo si rischia forse di rimanere schiacciati tra l’acqua e il versante? [Considerando che i paragoni fin qui si son sprecati, bisogna invece riconoscere che in questo caso il lettering è completamente in armonia col disegno, un tutt’uno con l’opera che ne esalta stile e narrazione].

Confluenza. Mi son fatto trasportare contemporaneamente dalla corrente della Drina e del Senio e ora non so più in che acque nuoto, perché le storie, il punk, la Seconda Guerra Mondiale, la capretta, la guerra in ex-Jugoslavia, le rondini si sono mescolate in una storia sola che confonde la memoria, e con i suoi scherzi, sovrappone i piani, li fa crollare, li buca. Mi sembrava già una roba originale aver letto due fumetti disegnati a quattro mani da tre autrici e un autore, ma ora sono convinto di averne letto uno a otto mani e aver goduto dell’acqua fresca di un sol fiume d’argini e tumulti. Un grazie ad Alice, Marina, Silvia e Rocco per questo bello scherzo che mi hanno giocato.

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Genova 2001: Avevamo Ragione Noi / anche se non c’eravamo https://www.carmillaonline.com/2016/08/30/genova-2001-avevamo-ragione/ Mon, 29 Aug 2016 22:01:30 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=32661 di Simone Scaffidi

indexDomenico Mungo, Avevamo ragione noi. Storie di ragazzi a Genova 2001, illustrato da Paolo Castaldi, Eris Edizioni, 2016, pp. 256, € 13.00

Scrivere di Genova 2001 senza esserci stati è un po’ come recensire un libro senza averlo mai letto. Un grande classico di cui hai sentito parlare tante volte, ne conosci la trama, i personaggi principali, le ambientazioni, Carlo Giuliani, Bolzaneto e la Diaz. Hai anche visto il film di Vicari. Puoi parlarne per ore fingendo di averlo letto, di [...]]]> di Simone Scaffidi

indexDomenico Mungo, Avevamo ragione noi. Storie di ragazzi a Genova 2001, illustrato da Paolo Castaldi, Eris Edizioni, 2016, pp. 256, € 13.00

Scrivere di Genova 2001 senza esserci stati è un po’ come recensire un libro senza averlo mai letto. Un grande classico di cui hai sentito parlare tante volte, ne conosci la trama, i personaggi principali, le ambientazioni, Carlo Giuliani, Bolzaneto e la Diaz. Hai anche visto il film di Vicari. Puoi parlarne per ore fingendo di averlo letto, di esserci stato. Ma la verità è che non avrai mai più occasione di leggerla Genova 2001. Quello che ti resta è fartela raccontare.

Sei il ricordo appannato di Genova 2001.
Un tredicenne che alle medie si vestiva di nero dalle scarpe al collo e che ben prima dell’estate rideva coi compagni dichiarandosi black block. Com’erano stati bravi a farti entrare nella mente i buoni e i cattivi, il bianco e il nero, la polizia e i manifestanti. Chissà cos’è a tredici anni, con la coscienza politica compressa nei cristalli liquidi di un Nokia 5110, che ti spinge a scegliere tra il bianco e il nero. Vorresti darti una risposta consolatoria, che abbia il gusto della presenza, vorresti convincerti che quel ragazzino aveva già capito da che parte stare. Che il suo G8 era quotidiano, in classe, con le mani al cielo, le manifestazioni di dissenso, i banchi rovesciati. Ma la realtà è un’altra. Genova era a soli 40 minuti di treno da quella classe, ma nel 2001 era una gita scolastica all’acquario. E i pinguini, quelli sì, ti avevano colpito.

Cinque anni dopo. È il 2006.
Sei al liceo e Rifondazione Comunista suscita gran scalpore intitolando a Carlo Giuliani la sede del proprio ufficio di presidenza al Senato. Hai i capelli lunghi, condizione sufficiente per meritarsi l’appellativo di “comunista”. Ma Marx è solo una barba, devi ancora studiarlo e la tua coscienza politica ha lasciato perdere i cristalli per divenire totalmente liquida. Ricordi la prof di filosofia, il dibattito, l’incapacità di schierarsi con forza e intransigenza dalla parte di un ragazzo come te – sì proprio come te, non provare a storcere il naso – ammazzato brutalmente dalla polizia. E poi il silenzio e la vergogna.

Possibile che non avevi ancora letto niente su Genova 2001?
Che nessuno t’aveva mai raccontato nulla di cos’era successo per davvero. Che c’erano solo la televisione e una canzone dei Modena City Ramblers a raccontarti quel libro? Erano già passati cinque anni da quell’assolato pomeriggio di luglio e il nero liquido che si apriva dietro la nuca di Carlo era già diventato oblio. Possibile che il grande classico della letteratura del terzio millennio – AA.VV, Genova 2001 – era andato perduto per sempre. Ne avevano censurato le copie originali. Le avevano mandate al macero. E poi ne avevano occultato i capitoli, riscrivendo paragrafi, inserendo nuovi personaggi e nuovi artifizi letterari. L’avevano fatto prima di luglio: con le sacche nere, il sangue infetto; durante quei giorni: con le molotov alla Diaz e il tossico spagnolo ammazzato; e non si sono ancora fermati, continuano a farlo quando si presenta l’occasione. No. Non poteva essere.

avevamo-ragione-noi-domenico-mungo-4A 15 anni da Genova 2001 cosa è cambiato.
Un diciottenne deve guadagnarseli con le unghie quei racconti di contrabbando. Deve cercare, scavare. Avere la fortuna di trovare qualcuno che gli racconti cosa sia successo. Che gli ripeta allo spasmo come un mantra che “la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale” è avvenuta proprio in Italia, pochi anni fa. Ma lo sai che hanno torturato? Che hanno ammazzato? Che hanno spaccato teste? E che i responsabili della mattanza, gli stessi che hanno esultato alla morte di un ragazzo di 23 anni, sono stati premiati, hanno fatto carriera e ora siedono in posti di responsabilità e potere. E chi ha preso le botte? Chi è stato massacrato quei giorni di luglio? Be’, ha subito condanne penali durissime. Sapevi che due di loro dopo quindici anni sono ancora in carcere?

Farselo raccontare.
Prendersi tempo, domandare, farsi bruciare gli occhi dai video gonfi di gas CS e ingiustizia, conoscere chi quel giorno ha scritto con l’entusiasmo e col sangue un racconto tanto vicino alla fantascienza da rappresentare la più cruda realtà umana. Impossibile capirla da soli Genova 2001, neanche se ci sei stato. Piano piano si strozzano in gola i silenzi, la bocca inizia ad aprirsi e chiudersi, boccheggi e ti ritrovi in un mare troppo denso da decifrare, troppo profondo da affrontare da solo. Le eliche degli elicotteri rimbombano sopra le teste e ti tengono sveglio. Empatia. Il racconto diventa cura e comprensione comunitaria. Potevo esserci io. Potevo essere Carlo. Il mio sacco a pelo blu alla Diaz. Empatia. Non c’ero, ma ho mal di pancia. Non c’ero, ma avevate ragione voi.

“Avevamo Ragione Noi. Storie di ragazzi a Genova 2001” di Domenico Mungo.
È appena uscito per Eris Edizioni ed è uno di quei tasselli che contribuiscono a raccontarci quel libro collettivo che è Genova 2001. Fuggendo le retoriche e le manipolazioni dell’informazione mainstream e del potere. È un libro fastidioso, a tratti insopportabile, scritto da chi c’era e ha voluto raccontare la guerra. Quella vera, non la sua rappresentazione. Un coro di voci in azione, mosse da una vitalità urlata, un flusso caotico e disordinato che chiama il lettore a confrontarsi con una narrazione satura di “come” e di similitudini senza sosta. Come a dirci, lo capite quanto è difficile raccontare Genova 2001? Senza i “come” non posso raccontarvela. L’esasperato utilizzo della metafora è un’arma di difesa di fronte alla semplificazione binaria della narrazione dominante su Genova 2001 e rappresenta allo stesso tempo il tentativo di rendere giustizia alla biodiversità che ha contraddistinto quell’esperienza.

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Accanto alla similitudine, ai “come”, la ripetizione.
La ripetizione: funzionale a fissare qualcosa di talmente esagerato, che non resta che trovare parole sempre diverse per descriverlo, in maniera tale da dare consistenza al dramma collettivo. L’evento che si ripete nel libro senza soluzione di continuità è la morte di Carlo. Non si può raccontarla in una maniera sola e non si può permettere che la si racconti in una sola maniera viziata dall’infamia. E allora ascoltami. Ti ripeto da angolazioni diverse come è morto Carlo, per farti capire che ciò è stato e sempre sarà. Non fu finzione, non fu esercizio di stile. Fu morte. E io ancora quasi non ci credo che l’hanno ammazzato come un cane e hanno infierito sul suo corpo. Ma le tue orecchie devono comprendere la ribellione di corpi sanguinanti, violati in vita, violati in morte. Quanti Carlo eravamo ad abbracciare le strade di Genova 2001. La nostra morte non è altro che l’affermazione più degna delle nostre vite. Come possiamo non raccontarla?

Nessun tossico dietro quei passamontagna.
Nessuno spagnolo, nessun italiano, ma ragazzi attaccati a un rotolo di scotch, strappati, appesi al muro, violentati dalle forze dell’ordine nelle strade, nelle caserme, nelle scuole, dai media di regime, da tutti quei benpensanti che continuano a credere che se eri a Genova 2001 potevi morire, dovevi metterlo in conto, è inutile che fai finta di non essertela cercata, ti è andata solo bene che non ti chiamavi Carlo.

Se cercate una testimonianza classica o un’analisi politica ragionata di ciò che è successo a Genova non la troverete in Avevamo Ragione Noi, quello che troverete è la rabbia, la vitalità ribelle che non cede alla potenza mortifera del potere autoritario, la giustificazione della violenza come atto di resistenza e dignità. Domenico Mungo è lapidario, attraverso le voci dei personaggi del suo romanzo, nei giudizi contro il Genoa Social Forum, le Tute Bianche e Luca Casarini, rei di aver messo un cappello di gommapiuma al movimento. Caricaturale nella descrizione del poliziotto romano fascista, ultrà, figlio di un comunista, che non accetterà di festeggiare la morte di Carlo. Prudente nell’assunzione di responsabilità collettiva, nel riconoscere gli errori, riflettere la sconfitta. Ma questo non è il punto. Il suo è un romanzo prezioso, forse soprattutto per chi non c’era, un buon trampolino per tuffarsi nel mare denso che fu Genova 2001 e riemergerne un po’ più consapevoli di prima.

Il libro è arricchito da sette splendide illustrazioni di Paolo Castaldi, compresa la copertina. Graffi chiaro-scuri che restituiscono la misura dell’ingiustizia. Chi aveva ragione non ha volto: non ce l’ha Carlo dietro il passamontagna, non ce l’ha il ragazzo con il casco del Toro al fianco di Carlo, non ce l’hanno i muscoli tesi e le braccia contro il muro nella Caserma di Bolzaneto, e nemmeno quelle in copertina alzate contro il cielo. Chi aveva torto invece non ha occhi, è l’ombra cieca di se stesso.

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Special Track – CCCP, Sono come tu mi vuoi, Live in Punkow, 1996.
come un sudario / come il bagliore intermittente che si riflette sulla facciata / come un fiume che tracima, come una lama / come il fango di un’alluvione, come ululati primordiali / come bestie da macero / come fiammiferi di peltro / come i coriandoli a natale / come le tracce lasciate dalla selvaggina braccata dai lupi / come una fonderia che può esplodere da un momento all’altro / come ombre a Hiroshima / come dettato da una batteria di tamburi che attraversano le strade / come fosse un racconto! / come animali / come un pallone da calcio / come al circo. come al Colosseo. come allo stadio / come i nostri figli / ̀come vivere in un mondo di spaghetti di soia / come essere protagonista di uno di quei film giapponesi sulla Yakuzaa / come se fosse colorata dal sangue, dal vomito e dal cerone dei Danidanzatori Kabuki / come samurai cibernetici e vecchi reduci dell’Impero del Sole / come i cani con l’occhio di vetro che ruscano nei sacchi neri d’immondizia / come un mostro incurante degli affanni e del terrore / come cartellini della spesa che ho appena espropriato dall’ipermercato globale / come robocop avveniristici / come la campana di bronzo che rintocca a morto ogni 6 agosto / come un fiore di loto / come grotteschi musici paramilitari / come se fossero state ideate e disegnate dal genio visionario di H.R. Giger / come le sculture di Boccioni / come i bellissimi emaciati ragazzi di Pasolini / come i vergini di Salò / come lanzichenecchi da Blade Runner / come mosche radunate attorno all’increspato dolciastro del miele / come fuscelli nodosi / come un pallone sgonfio / come le letterine dello Scarabeo quando inizi una mano nuova di gioco / come tarantolate / come scenari della Hanoi posticcia di Full Metal Jacket / come corvacci spelacchiati e puzzolenti / come se fossero stati eterei specchi mobili / come ingoiate da un portentoso sciacquone / come falangi macedoni / come rami rassegnati di salici piangenti / come lapilli di arsenico / come un simulacro svuotato di prepotente violenza / come dei robot / come un mortaretto afono / come formiche impazzite / come una fontanella di vino rosso / come se Brixton e le banlieu in ebollizione esplosiva si fossero trasferite fra Marassi e Nervi, corso Torino e piazza Ferraris. Blade Runner e Che Guevara, i Rage Against the Machine che tiravano un calcio nel culo a Manu Chao e sfondavano i timpani di Fede e Mentana / come alla Millemiglia / come Terminator / come due minatori italiani in Belgio nel 1962 / come pellegrini a San Giovanni Rotondo / come robocop di carne e imbottiture / come stuzzicadenti spezzati / come un corridore-gladiatore di rollerball / come un grottesco cuore estirpato dal suo corpo ormai defunto dopo la violenza subita / come un interminabile serpente di celluloide che nel veleno conteneva le immagini della verità / come una forma di pecorino di carne umana / come er grande Francesco. Er Pupo. / come diceva quer frocio, ’na vita violenta / come n’imbuto senza uscita / come tanti topi a cerca’ de scappa’ da ’na parte all’artra / come quanno pescano li tonni / come jene / come allo stadio con ’na cintura in mano e mi rifila ’na frustata in pieno volto / come una ferita che non si coagula / come il coperchio di una scatola di sardine / come i solchi di questi anni / come le stagioni, come le persone, nella ciclicità del rimosso / come limoni in una fabbrica di limoncello di Gela / come sepolcri / come la marmellata di ciliegia Santarosa sul parquet della palestra di via Battisti / come un bracciale di una vecchia zia indossato per scherno / come napalm / come la guerra / come il partigiano che scendeva a valle, a mani nude, in canottiera / come una trance che blocca tutti gli altri sensi / come carne da cannone / come grottesche statue di guerrieri, all’assalto del popolo esasperato / come una cappa di invisibile fuliggine che si adagia sul piccolo e magrissimo fantoccio che travolto per due volte dalla fuga dissennata e terrorizzata, giace, ora, sull’asfalto, fra i cocci di bottiglia, i bastoni, le pietre, un accendino, delle monete da 500 lire e l’estintore, che, maledetto, sembra pascersi, saziandosi orridamente ingordo, del sangue nero, rosso / come i Comunardi nel 1871, a Parigi, sparare agli orologi per fermare il tempo della Rivoluzione / come mosche imprigionate in un bicchiere, che urlano, si agitano impazzite, rimbalzano contro il vetro / come una marionetta dinoccolata / come Pinocchio / come una carcassa di tacchino / come onde del mare agitate dal vento di ponente / come epigrafe di qualche edizione economica di Einaudi o di Feltrinelli / come un tiro al volo, scagliato di prorompente gioventù, dal limite dell’area all’incrocio dei pali / come un atleta e rapido come uno stambecco in fuga / come un pallone da calcio che ti colpisce in pieno viso / come un fiume in piena / come Corbari / come lupi eccitati e assetati di sangue / come le braccia festanti e le teste urlanti dopo un gol sugli spalti di uno stadio /come spartani alla volta delle Termopili / come quando andavo ai rave illegali nei boschi prealpini e tornavo a Torino due giorni dopo strafatto e incosciente / come in un film / come le sirene d’Ulisse ci incatena / come un pettirosso curioso / come il petrolio / come api impazzite / come statue di sale / come manichini avvizziti dalla paura / come guidare in galleria, a 1000 all’ora a fari spenti / come il cane rabbioso che abbaia perché ha paura, emette l’ultimo esclamativo / come la pece / come lucertole al sole sul lungomare farcito di diossina e sangue nella nebbia di polvere / come neve accumulata in un angolo / come quella di una macelleria / come un’onda che si riavvolge su se stessa dopo aver schiumato rabbiosa fin dentro la risacca / come un mostro biomeccanico, un mutoide cablato di viscere in pvc e legamenti di alluminio e argento chirurgico / come i fiumi che si gettano nel mare a parapendio concludendo la loro vorticosa fuga verso l’infinito / come i sinti ubriachi di gioia e dolore, raccontano gli istanti racchiusi nel pianto come un pugno di miele / come la colonna sonora dei suoi fotogrammi d’appendice.

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Comincia adesso. Fughe ed evasioni quotidiane https://www.carmillaonline.com/2016/06/22/comincia-adesso-fughe-ed-evasioni-quotidiane/ Tue, 21 Jun 2016 22:01:18 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=31085 Cover Evasione_fronte2di Redazione

Simone Scaffidi, Comincia adesso. Fughe ed evasioni quotidiane, Eris Edizioni, 2016, pp. 232, € 13.00

Segnaliamo l’uscita della raccolta Comincia adesso. Fughe ed evasioni quotidiane curata da Simone Scaffidi e edita da Eris Edizioni. Si tratta di un progetto che ha coinvolto 32 autori: 16 scrittori e scrittrici, e 16 disegnatori e disegnatrici, chiamati a raccontare la fuga, l’evasione, da una condizione di costrizione. Parte del ricavato di questo progetto andrà a sostegno della Biblioteca Popolare Rebeldies (vedi in basso il riquadro “trasparenza” di [...]]]> Cover Evasione_fronte2di Redazione

Simone Scaffidi, Comincia adesso. Fughe ed evasioni quotidiane, Eris Edizioni, 2016, pp. 232, € 13.00

Segnaliamo l’uscita della raccolta Comincia adesso. Fughe ed evasioni quotidiane curata da Simone Scaffidi e edita da Eris Edizioni. Si tratta di un progetto che ha coinvolto 32 autori: 16 scrittori e scrittrici, e 16 disegnatori e disegnatrici, chiamati a raccontare la fuga, l’evasione, da una condizione di costrizione. Parte del ricavato di questo progetto andrà a sostegno della Biblioteca Popolare Rebeldies (vedi in basso il riquadro “trasparenza” di Eris, per sapere dove va il tuo contributo se decidi di acquistare il libro) che da anni si occupa di far entrare i libri in carcere fuggendo logiche paternalistiche e ricattatorie ai danni dei detenuti e delle detenute. In calce trovate le parole di Valerio Evangelisti, impresse in quarta di copertina, l’introduzione alla raccolta di Simone Scaffidi, e alcune delle illustrazioni che animano questo volume.

Il progetto grafico di copertina è di Sonny Partiplo. Gli autori e le autrici dei racconti sono: Veronica Pacini, Deborah Sannia, Marilù Oliva, Clelia Bettini, Slavina, Lorenzo Iervolino, Alberto Prunetti, Fabrizio Lorusso, Paolo Pasi, Filippo Casaccia, Filippo Sottile, Andrea Staid, Claudio Morandini, Simone Torino, Luca Gallo, Marco Capoccetti Boccia. Gli illustratori e le illustratrici dei racconti sono: Alice Socal, Marco Martz, Luigi Filippelli, Daniele La Placa, Rocco Lomabardi, Gianluca Costantini, Margherita Tramutoli, Hurricane Ivan, Valentina Addabbo, Nicola Gobbi, Lucia Biagi, Silvicius, Claudio Calia, Francesco Frongia, Cristina Portolano, Armin Barducci.

Valerio Evangelisti (quarta di copertina)
Secondo Hobbes la fuga è un diritto di ogni prigioniero. Intendeva proprio l’evasione, ma di modi di fuggire ce ne possono essere tanti. In questa antologia ne troverete un’intera gamma, descritta nel migliore dei modi. Cambia la gabbia da cui si scappa, ma non la liceità di sottrarsi, in varie forme, alla costrizione.

Jack London, ne Il vagabondo delle stelle, permetteva a un carcerato di superare le sbarre di Alcatraz lasciando imprigionato il corpo in una camicia di forza, e facendo vagare la mente altrove. Dovrebbe essere il primo passo per ogni aspirante fuggitivo. Anzitutto immaginare la libertà, introiettarne la nozione. Poi dedicarsi, eventualmente, al lavoro concreto.

Questo libro è una guida esaustiva all’arte della fuga. Ma attenzione: così come il prigioniero ha diritto a evadere, allo stesso modo il carceriere ha liceità morale di ricatturarlo e tenerlo rinchiuso. L’ideale è evidenziare un capovolgimento di situazione, verificabile nei fatti. Il secondino è il vero recluso; il detenuto è un uomo libero. Il primo non può vagabondare tra le stelle, non riesce nemmeno a concepirle. Il carcerato sì.

Comincia Adesso Prezzo

Una galera narrativa in mare aperto – Simone Scaffidi
Quello che stringete tra le mani è un raro esemplare di galera narrativa. Una nave agile che solca il mare aperto delle inquietudini quotidiane, alla ricerca di un’onda liberatoria che restituisca il senso della fuga. Il suo equipaggio è composto da autori e autrici condannati a remare sottocoperta in acque di impedimenti e restrizioni, di parole arrabbiate e disegni increspati. Ma tutte e tutti, lungi da rassegnarsi a questa condizione di subalternità, bramano ammutinamenti e ricercano nell’evasione un altrove collettivo, un orizzonte e un immaginario liberi dall’oppressione.

Le cose sono andate più o meno così. Un curandero e una bruja tricefala – che si nasconde sotto le malcelate spoglie di casa editrice indipendente – si sono incontrati e hanno deciso di armare una nave di carta e di grafite. Porto per porto si sono andati cercando volenterosi escapisti dalla penna e dalla matita facile, i quali, valutata la proposta, hanno accettato di imbarcarsi in questa impresa, consapevoli dell’importanza del gruppo quando si architetta un’evasione.

Una volta a bordo ad alcuni di loro, quelli con le penne tra le dita, sono state affidate le parole e agli altri, quelli con le matite tra i capelli, i disegni. Ai primi è stato chiesto di sviluppare il proprio racconto immaginando la fuga, o il tentativo di fuga, da una condizione di costrizione liberamente eleggibile tra le infinite che popolano le nostre esistenze. Ai secondi è stato invece dato il compito di trasporre in immagini le parole dei primi, incrociando dialoghi e punti a capo, con schizzi di china e punti di fuga. Il risultato è una raccolta di racconti illustrati sull’incertezza e la liberazione della fuga. Un elogio senza celebrazione dei fuggiaschi e delle fuggiasche di tutti i giorni.

Sulla nave sono saliti in trentadue e nella penombra della stiva illuminata da ceri incerti si sono sistemati a coppie su precarie assi di legno. Sedici a babordo e altrettanti a dritta. Ciascuna pariglia, formata da un/a cantastorie e un/a illustrastorie, afferra con quattro mani un remo, che si oppone alla forza contraria dell’acqua, ricercando la resistenza necessaria al moto. Le pale disegnano nell’aria e nel mare ellissi irregolari che vanno a comporre i sedici movimenti di quest’opera. Sedici storie illustrate che s’intrecciano senza soluzione di continuità, garantendo il ritmo della remata ed evitando lo stallo della galera.

Tuttavia, sebbene l’equipaggio non sembri intenzionato a tirare i remi in barca, non siamo riusciti a trovare un porto sicuro al quale approdare. Siamo sempre in mezzo al mare, curandero e bruja inclusi, a immaginare insieme ai lettori e alle lettrici una strategia che renda più dolce il nostro navigare a vista. A nulla è servito il salto collettivo da poppa per raggiungere la terraferma, siamo ritornati a nuoto a bordo della contraddizione di sempre, quella che non permette la fuga definitiva e spettacolare, ma esige quotidiani ammutinamenti individuali ed evasioni collettive organizzate.

Anche per questa ragione, e per molte altre ancora, metà dei proventi della vendita di ogni singolo libro andranno alla Biblioteca Popolare Rebeldies, progetto senza fini di lucro con sede a Cuneo che si occupa di far arrivare libri ai detenuti, direttamente e senza intermediari, ribadendo il diritto alla lettura all’interno del carcere e fuggendo logiche meramente assistenzialiste o subdolamente ricattatorie. Inoltre, come tutte le pubblicazioni di Eris Edizioni, quest’opera è distribuita con licenza Creative Commons per garantire la libera circolazione dei saperi – e delle galere narrative – nell’insidioso mare dell’editoria nostrana.

L'illustrazione di Alice Socal al racconto "È giusto così" di Veronica Pacini

L’illustrazione di Alice Socal al racconto “È giusto così” di Veronica Pacini

L'illustrazione di Rocco Lombardi al racconto "La falena" di Clelia Bettini

L’illustrazione di Rocco Lombardi al racconto “La falena” di Clelia Bettini

L'illustrazione di Lucia Biaci al racconto "Amori tossici" di Slavina

L’illustrazione di Lucia Biaci al racconto “Amori tossici” di Slavina

L'illustrazione di Claudio Calia al racconto "La pena" di Filippo Casaccia

L’illustrazione di Claudio Calia al racconto “La pena” di Filippo Casaccia

Armin Barducci

L’illustrazione di Armin Barducci al racconto “Io non sono più io, son quello là” di Simone Torino

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«Segnali di Fumo»: la nuova rubrica a fumetti di Carmilla https://www.carmillaonline.com/2016/02/11/segnali-di-fumo-la-nuova-rubrica-a-fumetti-di-carmilla/ Wed, 10 Feb 2016 23:10:25 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=28563 Segnali di Fumodi Redazione

Partirà venerdì 19 febbraio, anniversario della nascita del calciatore brasiliano Sócrates e avrà cadenza bimensile. Si chiamerà «Segnali di fumo» e si proporrà di segnalare e recensire, con gli strumenti del fumetto, libri che riteniamo degni di attenzione.

Nicola Gobbi, autore dei fumetti In fondo alla speranza. Ipotesi su Alex Langer (Comma 22) e Come il colore della terra (Eris Edizioni) curerà i disegni, mentre le parole saranno affidate a Simone Scaffidi, redattore di Carmilla e curatore di una raccolta di racconti illustrati sull’evasione, di [...]]]> Segnali di Fumodi Redazione

Partirà venerdì 19 febbraio, anniversario della nascita del calciatore brasiliano Sócrates e avrà cadenza bimensile. Si chiamerà «Segnali di fumo» e si proporrà di segnalare e recensire, con gli strumenti del fumetto, libri che riteniamo degni di attenzione.

Nicola Gobbi, autore dei fumetti In fondo alla speranza. Ipotesi su Alex Langer (Comma 22) e Come il colore della terra (Eris Edizioni) curerà i disegni, mentre le parole saranno affidate a Simone Scaffidi, redattore di Carmilla e curatore di una raccolta di racconti illustrati sull’evasione, di prossima uscita per Eris Edizioni.

Le tavole e le sceneggiature saranno il risultato dello scontro tra lettere e immagini, significati e immaginari; fumi e nuvole di un conflitto in cui siamo vogliosi d’immergerci e ci guardiamo bene dal voler sanare.

L’esperimento forse è un po’ folle.
Quanti in questo Paese leggono recensioni?
Quanti leggono fumetti?
Quanti potranno mai leggere recensioni a fumetti di libri che non hanno ancora letto e forse mai leggeranno?
Chi lo sa, ma ci importa fino a un certo punto “quanti”, convinti che l’ibridazione dei generi e delle forme attraverso cui raccontare storie possa far emergere significati non quantificabili.

Abbiamo appena acceso il fuoco, presto manderemo i primi «segnali di fumo».
Restate di vedetta.

[Per info e contatti: segnalidifumo@inventati.org]

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Fate fuori il vostro capo: Licenziatevi! https://www.carmillaonline.com/2015/07/01/fate-fuori-il-vostro-capo-licenziatevi/ Tue, 30 Jun 2015 22:01:41 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=23592 1di Simone Scaffidi L.

Vivian Abenshushan, Fate fuori il vostro capo: Licenziatevi!, trad. Francesca Bianchi, Eris Edizioni, Torino, 2015, pp. 304, € 18.00

Quanto è facile criticare con le parole il lavoro e quanto è difficile metterlo radicalmente in discussione nella pratica? Chi di voi, magari con famiglia da mantenere, si licenzierebbe dal proprio posto di lavoro per dedicare la sua vita a ciò che più le piace o gli piace. Pochi, pochissime, lascerebbero le certezze di uno stipendio mensile per l’incertezza di [...]]]> 1di Simone Scaffidi L.

Vivian Abenshushan, Fate fuori il vostro capo: Licenziatevi!, trad. Francesca Bianchi, Eris Edizioni, Torino, 2015, pp. 304, € 18.00

Quanto è facile criticare con le parole il lavoro e quanto è difficile metterlo radicalmente in discussione nella pratica? Chi di voi, magari con famiglia da mantenere, si licenzierebbe dal proprio posto di lavoro per dedicare la sua vita a ciò che più le piace o gli piace. Pochi, pochissime, lascerebbero le certezze di uno stipendio mensile per l’incertezza di un reddito e la speranza di un po’ di felicità. «In qualche modo bisogna pur vivere» risponderebbero i più davanti a una simile provocazione. Ma è vivere passare otto ore al giorno della propria esistenza a fare cose che ci disgustano, che non ci interessano, che ci rendono indifferenti? Quando – se siamo fortunati – non ci intossicano, non ci deformano le carni o ci uccidono?

Siamo a un punto di non ritorno. Il lavoro come lo intendiamo oggi è un’autentica privazione delle libertà personali. L’arciusata espressione “tempo libero” dovrebbe farci riflettere. Il lavoro è il tempo dell’imposizione, della non scelta, della costrizione. Non sappiamo neppure più cosa sia il “tempo libero”. Forse è il tempo delle vacanze estive, della pausa pranzo, della cena, dell’accompagnare le figlie a scuola, del sonno e del sogno: la «lunga attesa del fine settimana eterno». Solo pochissime, i più fortunati, le eccezioni, possono permettersi di far coincidere il tempo del piacere con il tempo del lavoro.

Vivian Abenshushan, scrittrice ed editrice messicana, a 33 anni si licenzia da caporedattrice di una rivista e rinuncia alle prospettive di una possibile carriera accademica, fonda Tumbona Ediciones («una cooperativa senza capo, senza orari, senza ufficio e presumibilmente senza soldi») e inizia a dedicare gran parte del suo lavoro culturale alla sistematica messa in discussione di un’etica del lavoro sfruttatrice e ingannevole. Fate fuori il vostro capo: Licenziatevi! è il tentativo fieramente incompleto di scalpellare con le armi della cultura un immaginario in cui il lavoro occupa lo spazio della vita, determinando l’identità degli individui stessi. Un libro ibrido ed espanso – come il Laboratorio de Escritura Espandida da lei creato, multidisciplinare e transmediale –, sviluppatosi sul web e in continuo aggiornamento. Grazie a Sur+ e Eris questo progetto ha trovato nella carta stampata uno degli spazi di espressività per decolonizzare l’immaginario gerarchico e mortifero che permea il mondo del lavoro.

Blissett_Milan_83-84L’autrice definisce a più riprese quest’opera un controsaggio, ma se vi aspettate di imbattervi in un testo che usa gli strumenti accademici tradizionali per criticare la quotidianità del lavoro rimarrete delusi. Sia nella forma che nei contenuti questo libro aspira ad «unire ciò che è stato fallacemente diviso e allontanato e disgiungere ciò che è stato fallacemente avvicinato». Sosteneva questo bisogno anche Luther Blissett, a cui è dedicato un paragrafo del libro, riprendendo una frase di Bachtin. Lo stile narrativo, l’anarchia come organizzazione, l’eccentrismo nel senso letterale del termine che pervadono questo testo permettono al lettore di entrare nella narrazione in prima persona: non c’è una fruizione passiva o frontale dell’opera ma partecipata e inclusiva. Ci siamo dentro tutti al meccanismo, nessuno può chiamarsi fuori.

La rielaborazione di numerosissime citazioni (Basho, Baudelaire, Chuang-Tzu, Fourier, Russel, J. K. Jerome, Stevenson, Wilde, Unamuno, Marx, Larbaud, Woodcock, Yutang, Bukowski, Kerouac, Huizinga, Marcuse, Hakib Bey, Dada, Tiqqun, Villon, Diogene, Seneca, Epicuro, Lafargue, Adorno, Arlt, Cage, i fratelli Cohen, Debord, Vaneigem, Onfray, Barthes, Thoreau, Walser, l’Internazionale Situazionista, il Comitato Invisibile, San Precario, Russel, Cioran, Luther Blissett, Wu Ming e molti altri) si alterna al frammento o all’elogio della digressione. L’impaginazione tradizionale a tratti salta per lasciar spazio a una nota a margine che dura un intero sottocapitolo, in cui segni grafici a forma di bicicletta e mouse si alternano tra i frammenti; o all’apertura improvvisa di spazi nelle righe di testo, come a suggerirci di prendere tempo, riflettere tra una frase e l’altra, tra una parola e l’altra. Non siamo più giustificati – né noi, né il testo – a correre nella lettura e divorare freneticamente il nostro ozio, ma invitati a godere con la calma necessaria della nostra libera lettura.

escritos-para-desocupados-3Appassionate accuse all’orologio («Che cos’è l’orologio? Un modo per frazionare l’esistenza in frammenti delimitati e attività regolamentate. Un oggetto d’arredamento con funzioni poliziesche») e all’aspirina («L’aspirina inibisce i momenti di ozio e non solo crea dipendenza ma il suo uso è consigliabile come fare aerobica senza sottrarre ore all’ufficio») convivono poi, in feconda coabitazione, con critiche incisive al turbocapitalismo e alle logiche di mercato che fagocitano il mondo del lavoro e i suoi abitanti. Tra di loro c’è chi si ribella, ribaltando con creatività paradigmi consolidati e proponendo nuove forme di esistenza e convivenza. È così che un intero capitolo è dedicato a quella che può essere definita la Confraternita dei Fratelli della Costa dei giorni nostri, coloro che disobbediscono: hackers, agitatori, blissettiani, ostinati osteggiatori del copyright, freegans, devoti di San Precario e della Church of Life After Shopping, fedeli al Grande Lebowski e tanti altri. Tutta gente che lotta per un cambiamento radicale della realtà, che affondi le sue radici in un mutamento dell’immaginario e delle pratiche collettive. Le 8 ore lavorative al giorno, non sono solo un diritto calpestato, ma oggi non possono più essere considerate una conquista dei lavoratori e delle lavoratrici, dal momento che sono a tutti gli effetti ore defraudate alla vita e alle libertà personali degli individui.

Bukowski non aveva dubbi in questione: «Come diavolo può un uomo [o una donna] essere contento di farsi svegliare alle 6:30 di mattina da una sveglia, saltar giù dal letto, vestirsi, mangiare in fretta, cacare, pisciare, lavarsi i denti e pettinarsi, e combattere contro il traffico per arrivare in un posto in cui essenzialmente fai un sacco di soldi per qualcun altro e ti chiedono pure di essere grato per averne l’opportunità?».

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Lo zapatismo a fumetti – Come il colore della terra https://www.carmillaonline.com/2015/05/12/lo-zapatismo-a-fumetti-come-il-colore-della-terra/ Mon, 11 May 2015 22:01:57 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=22452 Colterra0di Simone Scaffidi L.

Marco Gastoni, Nicola Gobbi, Come il colore della terra, Eris Edizioni, Torino, 2015, prefazione di Pino Cacucci, pp. 128, € 16.00

Un’altra bella uscita per la combattente casa editrice Eris che si affida al talento di due giovani autori dalle spalle larghe per ribadire il valore e l’originalità della propria proposta culturale. Come il colore della terra è il risultato delle fatiche dello sceneggiatore Marco Gastoni e del disegnatore Nicola Gobbi, già autore insieme a Jacopo Frey di un interessante lavoro su Alexander Langer. Un [...]]]> Colterra0di Simone Scaffidi L.

Marco Gastoni, Nicola Gobbi, Come il colore della terra, Eris Edizioni, Torino, 2015, prefazione di Pino Cacucci, pp. 128, € 16.00

Un’altra bella uscita per la combattente casa editrice Eris che si affida al talento di due giovani autori dalle spalle larghe per ribadire il valore e l’originalità della propria proposta culturale. Come il colore della terra è il risultato delle fatiche dello sceneggiatore Marco Gastoni e del disegnatore Nicola Gobbi, già autore insieme a Jacopo Frey di un interessante lavoro su Alexander Langer. Un omaggio al movimento zapatista, all’ostinazione del suo percorso politico e alla moltitudine di storie che – grazie alle capacità comunicative degli zapatisti e all’attenzione internazionale nei confronti di un esperimento socio-politico senza precedenti – sono riemerse dall’oblio a cui era stata relegata la memoria dei popoli maya. Grazie agli zapatisti e alle zapatiste «il mondo ha scoperto che i maya esistono ancora, e pretendono di continuare a esistere» scrive Pino Cacucci nella prefazione al libro.

Colterra13bisSegue una storia per bambini ed adulti che ripercorre alcune tappe fondamentali del movimento zapatista senza costringere la narrazione alla cronaca, ma intrecciando con abilità narrativa l’invenzione letteraria e la fattualità storica. Juana e José sono due bambini, abitanti di un piccolo villaggio del sud-est messicano, nella regione del Chiapas. Portano al collo il fazzoletto rosso e lanciano ghiande contro i militari messicani, gli stessi che incendiano il loro villaggio e permettono al fuoco di propagarsi nella selva. Nel frattempo nel palazzo del presidente messicano, uomini in giacca e cravatta discutono su come estirpare la piaga zapatista, l’intervento militare non è bastato a far chinare la testa agli indigeni e la soluzione che si prospetta – e che si protrae fino ai giorni nostri – è una guerra a bassa intensità che nelle intenzioni del governo affievolirà la resistenza fino a farla scomparire.

Inoltrandosi nella selva, altri personaggi fanno il loro ingresso nella fiaba. Il fagiano ha tra il becco uno scarabeo nero quando interdetto si vede attaccato dalla volpe. Il fuoco sopraggiunge e costringe gli animali alla fuga, i corvi alla vista del fumo si dirigono sul luogo del misfatto per comprendere meglio cosa stia accadendo. Del fagiano e lo scarabeo non ne sentiremo più parlare mentre storie di volpi e corvi condiranno i sogni e le nottate insonni di Juana e José. Tuttavia, per chi ama le fiabe zapatiste, l’apparizione di uno scarabeo nero – che si è davvero perso di vista? – ha il sapore del tributo al leggendario Don Durito de la Selva Lacandona, colui che nominò suo fido scudiero e mozzo il Subcomandante Marcos, che si unì all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale come consigliere politico e che venne definito da Octavio Paz «un’invenzione letteraria memorabile».

Come-il-colore-della-terra-7bisLo scarabeo non ha però la pipa tra i denti, che ritroviamo invece nel becco del vecchio corvo Joj, memoria storica della selva, a cui Juana chiederà consiglio per risolvere i problemi che lei, José e la loro comunità hanno con la volpe. Le storie degli umani s’intersecano così con quelle degli animali e della terra che dà loro la vita relazionandosi in maniera orizzontale e inserendosi a pieno titolo nelle convinzioni cosmologiche dei maya, che vedevano l’uomo e la donna come frutti della terra, mescolanza di mais e acqua. La voce fuori campo che accompagna la narrazione è in realtà un volto immerso nella milpa, un passamontagna che nasce dal mais e racconta una storia di resistenza e solidarietà che dura da più di vent’anni. Il tempo scorre ma gli zapatisti e le zapatiste sono ancora lì a resistere e a reinventarsi. Juana e José, ormai adulti, continuano la loro lotta contro le ingiustizie e la distruzione della loro principale fonte e compagna di vita: la natura.

Come il colore della terra caffè malatestaA dare il senso di questa continuità, oltre alla struttura del racconto e all’evidenza dei fatti, sono due tavole/omaggio che seguono la storia di Gobbi e Gastoni. La prima è un riconoscimento da parte del disegnatore Paolo Cossi al lavoro dei due autori; la seconda, dello stesso Gobbi, è la conferma del mutuo sostegno tra gli autori e la Torrefazione Artigianale Autogestista Caffè Malatesta, che dal 2011 si occupa della torrefazione e confezionamento del Caffè Durito (eccolo che ritorna!) prodotto dalla Cooperativa zapatista Yachil Xojobal Chulchan, in Chiapas.

Come il colore della terra è fiaba e Storia al tempo stesso, ed è un’esplosione di colore che fa brillare i neri passamontagna degli zapatisti e dà ragione alla scommessa di Gobbi, amante dei bianchi e neri marcati, di mettersi in gioco e servirsi di ogni strumento a sua disposizione per incendiare coi colori i significati del racconto a fumetti. La matita è un machete che affonda nella milpa senza strattoni ma con l’intensità e il ritmo giusto, un’arma di resistenza e solidarietà che sconfina tra il reale e il fantastico e che rivendica il diritto all’autodeterminazione dei propri sogni.

[Per godere al meglio delle tavole, fai click sulle immagini per ingrandirle]

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