Eldrige Cleaver – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 30 Apr 2025 21:35:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Eldridge Cleaver. O l’urgenza della rivoluzione. https://www.carmillaonline.com/2021/07/08/elridge-cleaver-o-lurgenza-della-rivoluzione/ Wed, 07 Jul 2021 22:00:43 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=67049 di Jack Orlando

Lee Lockwood; Conversazione con Eldridge Cleaver. Intervista al leader delle Pantere Nere; Pgreco; milano 2021; 10,00 €;126 pp.

Nel 1969 Eldridge Cleaver, ex bandito, ex galeotto, ex giornalista e ministro delle informazioni del Black Panther Party, è in esilio ad Algeri. La repressione statale di quella stagione costringe tanti tra leader e militanti alla scelta tra galera (o morte) ed esilio. Poco dopo di lui, è toccato alla comunista Angela Davis, cui oggi si tributano le copertine di riviste liberal patinate, come prima toccò al meno celebre Robert Williams, [...]]]> di Jack Orlando

Lee Lockwood; Conversazione con Eldridge Cleaver. Intervista al leader delle Pantere Nere; Pgreco; milano 2021; 10,00 €;126 pp.

Nel 1969 Eldridge Cleaver, ex bandito, ex galeotto, ex giornalista e ministro delle informazioni del Black Panther Party, è in esilio ad Algeri.
La repressione statale di quella stagione costringe tanti tra leader e militanti alla scelta tra galera (o morte) ed esilio. Poco dopo di lui, è toccato alla comunista Angela Davis, cui oggi si tributano le copertine di riviste liberal patinate, come prima toccò al meno celebre Robert Williams, reo di predicare e praticare l’autodifesa armata contro le bande del KKK.
Dopo una parentesi cubana, è l’Algeria rivoluzionaria a fare da cornice all’intervista con il giornalista Lee Lockwood, dove si ripercorrono le fasi salienti della formazione dell’uomo che, dopo Huey Newton e Malcolm X, ha più influenzato il BPP ed il pensiero radicale nero.
La biografia di Cleaver è avvincente ma non eccezionale, nel senso di evento fuori dal comune, anzi è un’altra storia paradigmatica di tanti giovani proletari neri del tempo con alle spalle un’infanzia di ribellismo e marginalità, una gioventù divisa tra piccola criminalità e carcere ed un accesso all’età adulta coinciso con la presa di coscienza dentro le patrie galere. È qui che si avvicina ai musulmani neri, al marxismo, alle attività della cellula del partito comunista, sempre qui inizia a scrivere e diventa scrittore di successo con il libro Soul on ice e le corrispondenze per la rivista Ramparts fino all’ingresso nei vertici del Partito delle Pantere Nere.
Una strada battuta da tanti e tante suoi coetanei ma con in più una dose rilevante di carisma, determinazione e capacità politica.
Negli anni in cui è dirigente del BPP, il fondatore Newton è prigioniero politico ed è Cleaver a gestire l’organizzazione, è non solo volto pubblico in marce e comizi, ma ideologo, formatore ed organizzatore. Il partito creato nel 1966 da due soli giovani diventa in pochi anni una forza nazionale proprio mentre è tra le mani di Cleaver, fino alla sua latitanza, ed è probabilmente più a lui che al mitico Newton che finisce per assomigliare.
La carriera di quello che è un idolo per la gioventù ribelle americana dei ‘60 finirà poi in un’involuzione politica e umana drammatica, nulla di strano visto che si inscrive nella tragica parabola delle Pantere che da prima forza rivoluzionaria afroamericana, possibile avanguardia di un movimento rivoluzionario generale, finisce, pressata dalla repressione e dal terrore di Stato, nello scissionismo e nella guerra fratricida, per approdare ad una marginalità assoluta e grottesca.
Ma il Cleaver “algerino” dell’intervista è ancora alle prese con un movimento in forze, ed è nel pieno del suo dinamismo teorico.
Proprio in questa lunga intervista espone in chiaro il suo pensiero: una marxismo eretico, che parte dalla questione razziale per superarla in favore di un pensiero socialista rivoluzionario che fa propri i precedenti storici delle rivoluzioni russa, cinese e cubana pur senza assumerli a modello ideale, che dialoga con le esperienze di lotta anticoloniale che incendiano metà del globo e abbraccia la prospettiva della guerra di liberazione, ma che nemmeno rigetta, pure dentro un convinto ed esplicito anti imperialismo, la tradizione politica e culturale americana.
Difficile dare una collocazione netta ad una tale concezione della rivoluzione e lo stesso Cleaver rifiuta di farsi incasellare: è un socialista, certo, ma è un americano che conosce l’umanità e la storia del suo paese e sa che non è possibile impiantare bello e buono un modello sviluppato in tutt’altro contesto, che ne cerca quindi un’applicazione originale e “localizzata”, un socialismo Yankee-Doodle-Dandy in grado di trasformare gli Stati Uniti anche riprendendo pezzi della loro Storia, mettendo sì all’ordine del giorno l’abolizione della proprietà privata ma rimanendo ancorato alla centralità dell’individuo nell’architettura sociale.
E se suona strano un leader afroamericano, in lotta con il razzismo e l’impero degli USA, riprendere miti patriottici è perché la pelle nera, nel processo di soggettivazione politica è diventata il punto d’osservazione da cui muovere l’offensiva. Semplicemente:

Quello di cui abbiamo bisogno negli Stati Uniti è un Fronte di Liberazione Nordamericano che non sia né un’organizzazione nera né un’organizzazione bianca, né un’organizzazione messicana né un’organizzazione portoricana. Dovrebbe essere solo un organo di collegamento tra le forze rivoluzionarie di tutte le comunità, per consentire a quest’ultime di svolgere la loro attività disciplinatamente ed in maniera coordinata. Chi è un vero rivoluzionario supera tutti questi limiti comunitari e parla a nome di tutta l’umanità […]
Il popolo più oppresso in un dato contesto sociale ha buone probabilità di essere il popolo più rivoluzionario. Nell’area che è la più oppressa è probabile che ci siano più rivendicazioni da fare. Il che significa che in quell’area c’è più gente disperata, ed un bisogno più urgente di soluzioni e una maggiore probabilità che in quell’area si producano dei rivoluzionari ed un’ideologia rivoluzionaria. Noi diciamo che la popolazione nera è la più oppressa d’America e quindi i neri hanno motivi d’agire più validi di altri. Ma non sto dicendo che non ci siano altri oppressi. In realtà l’uomo più oppresso è l’indiano americano. Ma siccome in America ci sono più neri che indiani, sembra che ci sia più da fare nelle aree nere.1

Il punto centrale del discorso è che il soggetto afroamericano si trova in una posizione di combattimento avanzato: sottoposto alla dominazione razziale che ne fa una colonia interna, lo lega agli altri movimenti di liberazione nazionale del sud del mondo; inserito nei circuiti dello sfruttamento capitalista si trova a muoversi nelle stesse contraddizioni di classe della working class, ed essendo presente negli Stati Uniti, capofila del dominio del capitale e dell’imperialismo globale, si trova nella posizione per cui, prendendo il potere, decapiterebbe il più grande ostacolo all’autodeterminazione dell’umanità.
Quello che Cleaver sottolinea è un pensiero profondamente radicato nella contingenza storica. E nella recente riscoperta delle Pantere Nere è fondamentale tenere a mente questo: la contingenza di un mondo in guerra, dove sono concrete e possibili alleanze internazionali non solo con altri movimenti ma con altri Stati che incarnano la possibilità di una costruzione politica e sociale alternativa e nemica al capitalismo imperialista di cui gli USA sono i capofila. Non è un caso che la presidenza algerina riconoscerà al BPP lo status di movimento di liberazione nazionale, ed a Cleaver il ruolo di “ambasciatore” degli afroamericani, dopo aver chiuso i rapporti diplomatici con la Casa Bianca.
È al crocevia di questa esperienza, dove si intrecciano classe, razza, colonia, impero, che emergono le pantere e per comprendere la profondità e l’intelligenza di quell’esperimento bisogna comprendere come fossero figlie di quel contesto; un unicum magari non irripetibile in assoluto ma certamente fuori dai radar dell’oggi.
A voler riprendere i nodi lasciati in sospeso dalle Pantere allora, è bene leggere e analizzare i loro documenti, i pensieri e i discorsi, fuori dalla mitizzazione e dal feticismo, cogliendo in primo luogo i nessi tra strategia e contingenza, tra prassi e teoria, qui sta la vera ricchezza, l’attualità, del BPP, ben più che nei berretti e nelle carabine.
La questione non è la ricerca di un supereroe da adorare e di cui nutrire nostalgia, ma di un precedente che ponga la questione dell’urgenza e della possibilità rivoluzionaria.
Perché, in fondo, come dice lo stesso Cleaver:

Capisci, io le cose le vedo così, come se l’oppressore stesse facendo perdere alla gente un mucchio di tempo. Per me è a questo che si riduce la cosa, perché ci sono altre cose che mi piacerebbe fare. Invece sono gli altri che interferiscono nelle tue faccende, e tu sai che non puoi fare quello che vuoi, perché se non badi a quello che succede intorno a te, puoi statene là seduto sotto un albero, capisci, a leggere delle poesie e a fumarti una sigaretta di marijuana e a parlare alla tua metà, e arrivano due o tre porci e ti portano nella camera a gaso ti sparano addosso o ti rompono la testa. Così devi alzarti da sotto l’albero, ricordando che quello che vuoi fare è tornare sotto quell’albero appena puoi, e allora è meglio tirarsi su e schiarirsi le idee, rimandare il “viaggio” ad un altro momento ed occuparti solo dei porci, e solo dopo potrai dire di tornare a farti i fatti tuoi.2

1 Lee Lockwood; Conversazione con Elridge Cleaver. Intervista al leader delle Pantere Nere; Pgreco; milano 2021; pp. 107-109

2 Ivi pp. 125-126.

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Black Panther Party tra storia e mito https://www.carmillaonline.com/2019/05/28/black-panther-party-tra-storia-e-mito/ Tue, 28 May 2019 21:30:12 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=52551 di Gioacchino Toni

Paolo Bertella Farnetti, Pantere Nere. Storia e mito del Black Panther Party, Mimesis, Milano-Udine, 2019, pp. 306, € 24,00

Dopo essere stato pubblicato originariamente da ShaKe nel 1995 (seconda ediz. 2006), torna in libreria, per Mimesis, il libro Pantere Nere. Storia e mito del Black Panther Party di Paolo Bertella Farnetti, storico formatosi nell’ambito dell’esperienza di “storia sul campo” della rivista «Primo Maggio», studioso di storia sociale degli Stati Uniti nel Novecento ed in particolare della “black question”, attualmente impegnato nell’ambito della Public History e nel progetto Returning and Sharing [...]]]> di Gioacchino Toni

Paolo Bertella Farnetti, Pantere Nere. Storia e mito del Black Panther Party, Mimesis, Milano-Udine, 2019, pp. 306, € 24,00

Dopo essere stato pubblicato originariamente da ShaKe nel 1995 (seconda ediz. 2006), torna in libreria, per Mimesis, il libro Pantere Nere. Storia e mito del Black Panther Party di Paolo Bertella Farnetti, storico formatosi nell’ambito dell’esperienza di “storia sul campo” della rivista «Primo Maggio», studioso di storia sociale degli Stati Uniti nel Novecento ed in particolare della “black question”, attualmente impegnato nell’ambito della Public History e nel progetto Returning and Sharing Memory, per il recupero e la condivisione delle fonti, soprattutto private, della storia del colonialismo italiano.

Nonostante l’esperienza del Pantere Nere afroamericane – «la più grande minaccia alla sicurezza interna degli Stati Uniti», secondo quanto affermato nel 1969 dall’allora direttore dell’FBI J. Edgar Hoover – abbia, per certi versi, mantenuto nel tempo un certo interesse mediatico, fino ad anni recenti non sono stati molti gli studi scientifici ad essa dedicati; tra questi vi è certamente il voluminoso libro di Paolo Bertella Farnetti che, nell’attuale edizione, presenta alcuni aggiornamenti rispetto alla prima uscita.

I primi dieci capitoli del volume ricostruiscono la storia dell’organizzazione indagandone: le radici (Dai diritti civili al Black Power), le origini (Un’organizzazione per i “fratelli di strada”), l’iniziazione (Da Oakland a Sacramento), l’affermazione (L’influenza di Eldrige Cleaver), la struttura (Organizzazione nazionale e quadri), l’assedio (L’attacco dello stato contro le Pantere), tre casi di repressione (Los Angeles, New York e Chicago), la resistenza (Contraddizioni con il movimento), la crisi (L’attacco finale contro le Pantere) e l’epilogo (Dalla scissione al tramonto). A questi si aggiungono poi un undicesimo capitolo, dedicato ad una riflessione sulla memoria a proposito dell’organizzazione afroamericana, ed una sezione con alcuni aggiornamenti, una cronologia (1965-1989) ed una preziosa bibliografia scelta.

Come più volte sottolineato nel volume, al fine di comprendere la parabola del Black Panther Party occorre fare i conti, oltre che con gli errori interni all’organizzazione, anche con la sconfitta dell’intero movimento entro cui le Pantere avevano avuto un ruolo di primo piano. La portata della sconfitta di cui si sta parlando è efficacemente  resa dalle riflessioni della Pantera David Hilliard che, all’uscita di prigione, si scopre catapultato in un contesto totalmente trasformato durante la sua detenzione.

«Ho uno shock culturale mentre vado in giro. Per le strade non c’è più traccia di politica. Prima della mia andata in prigione la politica era una presenza costante del paesaggio. Non potevo percorrere un isolato senza incontrare qualcuno che vendeva un giornale o distribuiva un volantino che annunciava un raduno o una manifestazione; in più, naturalmente, Telegraph Avenue e l’area intorno a Barkeley erano un’ebollizione continua di ribellioni studentesche e di scontri di piazza fra poliziotti e manifestanti. Ora l’azione principale nelle strade è rappresentata da droga e prostituzione […] Quel genere di ragazzi – asiatici, bianchi, neri, latinoamericani – che quattro o cinque anni fa cantavano “Free Huey!” e “potere al popolo!” ora esibiscono i loro corpi senza pudore o spacciano agli angoli di strada. Oakland non è più la città delle Pantere, ma una “città aperta” del divertimento, un posto dove si viene da fuori per procurarsi donne o droghe. Anche la base economica della città è cambiata. L’Oakland della mia giovinezza era una città di lavoratori, gente che ci dava dentro dalle nove alle cinque. Ora la comunità sembra sempre più devastata» (p. 207).1

La lunga rimozione dell’esperienza delle Pantere Nere è figlia della scissione avvenuta nel 1971 e della sua successiva involuzione, fenomeni che però non possono che essere collocati all’interno di un generale declino del dibattito politico statunitense. «La sconfitta complessiva del movimento nato negli anni Sessanta, è stata particolarmente dura per la componente afroamericana. […] La massiccia introduzione di droga – soprattutto il devastante crack – nella comunità nera, nell’indifferenza, se non compiacenza, delle autorità, ha trasformato i ghetti in “terre di nessuno” dove l’attività criminale e l’appartenenza a una gang rimane l’unica forma di ascesa sociale e di riconoscimento, e la violenza dei neri contro neri ha raggiunto livelli intollerabili. Il “problema nero” è stato abbandonato a se stesso, al suo autocontrollo distruttivo, da una società americana sorda e insicura che ha rinchiuso i neri poveri fra le mura invisibili del ghetto e quelle, tangibili, delle prigioni» (p.216).

Quando anche le Pantere hanno conquistato qualche riga nei libri di storia americana, queste, scrive Bertella Farnetti, finiscono per essere ricordate come un esempio di estremismo degli anni Sessanta statunitensi da collocarsi in un’epoca “di eccessi” del tutto irripetibile fuori da quel contesto. «Il fatto che le condizioni sociali e politiche che hanno prodotto il Black Panther Party si siano mantenute e probabilmente ingigantite non sembra, apparentemente, turbare le autorità. La loro vittoria appare totale e la retorica violenta delle Pantere sembra sopravvivere solo nella “tradizione orale” del gangsta rap, un messaggio musicale muscolare e osceno, ma innocuo» (p. 208).

Negli anni più recenti qualche segnale di riscoperta della storia del BPP da parte della comunità nera c’è stato; è come se nel corso del lungo periodo di silenzio politico intercorso tra la dissoluzione del movimento ed oggi, vi fosse stato «uno strisciante ma significativo processo di riappropriazione della memoria di un’epoca che li ha visti protagonisti» (p. 209). Si pensi a quanto la figura di Malcom X sia stata recentemente affrontata dall’editoria e dal cinema.

«Come dice Cornel West, uno degli intellettuali neri più lucidi, l’eredità del movimento nero degli anni Sessanta continua ancora a perseguitare gli afroamericani ed è un nodo che va risolto, sia nei suoi aspetti positivi sia in quelli negativi. Da qui è necessario ripartire, perché nella storia afroamericana “gli anni Sessanta furono testimoni dell’indimenticabile comparsa delle masse nere sulla scena storica, da cui peraltro furono presto trascinate via – uccise, mutilate, messe in riga, imprigionate o comprate”» (p. 209).2

Con l’uccisione di Huey P. Newton da parte di uno spacciatore di crack nel ghetto di West Oakland nel 1989 e la fine dell’epopea reaganiana, il dibattito sull’esperienza e sull’eredità delle Pantere si è improvvisamente riaperto, soprattutto sulla “stampa bianca”, in un botta e risposta tra denigratori e difensori della controversa figura del leader del BPP. A rinverdire il ricordo delle Pantere hanno sicuramente contribuito la breve esperienza del People’s Organized Response, organizzazione messa in piedi da alcuni ex militanti dopo la scomparsa di Newton, e la messa in circolazione, per quanto a diffusione limitata, di due diverse pubblicazioni: «The Commemorator», che con i suoi 54 numeri cessa le pubblicazioni nel 2012, e «The Black Panther», durato soltanto dal 1991 al 1993. Un ruolo importante nella circolazione dei materiali vecchi e nuovi sulle Pantere è svolto, oltre che da siti in internet, dalla casa editrice Black Classic Press di Baltimora, fondata dall’ex Pantera Paul Coates.

Negli anni Novanta sono state pubblicate diverse autobiografie di ex militanti del BPP, tra queste lo studioso segnala quella di David Hilliard, dirigente della “vecchia guardia”, e quella di Elaine Brown, leader post scissione. Nonostante siano contraddistinte da omissioni difensive e da diversi errori nelle ricostruzioni degli avvenimenti, si tratta di testimonianze decisamente utili alla ricostruzione del percorso politico della struttura afroamericana e a contrastare le letture tese esplicitamente alla criminalizzazione dell’intera esperienza del BPP. Importanti contributi alla riscoperta delle Pantere sono stati sicuramente anche il film Panther (1995) diretto da Mario Van Peebles e scritto dal padre Melvin e la campagna mondiale in favore dell’ex Pantera Mumia Abu-Jamal, condannato a morte con l’accusa di aver ucciso un poliziotto nel 1982.

In apertura del nuovo millennio diversi storici e ricercatori hanno iniziato a collocare l’esperienza del BPP nel contesto storico in cui si è data e, nel giro di poco tempo, si sono accumulati parecchi studi finalmente basati su fonti solide e ricerche negli archivi e se, sottolinea Bertella Farnetti, «le Pantere sono finalmente state prese sul serio dagli storici, il loro mito, la loro presenza sottotraccia nella cultura africanoamericana non ha mai smesso di esistere per arrivare a esplodere in varie forme in concomitanza con la celebrazione dei 50 anni dalla fondazione del partito. La riapertura recente di un fronte di lotta per la liberazione nera e l’emergere di nuove organizzazioni militanti come reazione alla brutalità della polizia nei confronti della popolazione nera, un tema strategico e un obiettivo che il BPP voleva attuare immediatamente, sono diventati l’occasione per un confronto e un bilancio sull’eredità politica delle Pantere» (227) . Tra le questioni oggi indagate in maniera più approfondita occorre sicuramente segnalare quella relativa al ruolo delle donne all’interno del BPP alla luce delle critiche di maschilismo mosse al partito dal femminismo allora nascente.

Venendo ad anni più recenti, lo studioso ricorda come durante la finale del Super Bowl del 2016, nella sua performance, l’icona della pop music Beyoncé ed il suo corpo di ballo, si siano presentati sulla scena con un abbigliamento chiaramente ispirato alla storica divisa delle Pantere suscitando un certo scalpore. La settimana dopo la performance di Beyoncé le televisioni statunitensi hanno mandato in onda The Black Panthers: Vanguard of the Revolution (2015) di Stanley Nelson, documentario che ricostruisce la storia del BPP attraverso fotografie e filmati, spesso rari, con numerose interviste a vecchi militanti.
«La storia delle Pantere Nere viene celebrata e il loro messaggio politico dispiegato – e unito alle lotte recenti – facendo giustizia delle precedenti narrazioni mediatiche che le presentavano come un gruppo d’odio e anti bianco, o come una banda di puri e semplici gangster nascosti dentro un fumo rivoluzionario. La repressione istituzionale e di Cointelpro [Counter Intelligence Program – programma di infiltrazione e controspionaggio interno dell’FBI attivo formalmente tra il 1956 e il 1971] viene analizzata, mentre i filmati documentano la partecipazione di massa alle attività del partito e il successo delle loro iniziative a favore della comunità. Alle Pantere viene restituita la dignità di soggetto politico americano in una rappresentazione che sintetizza la potenza mitografica dei giovani e affascinanti rivoluzionari neri e la ricerca storica» (pp. 250-251). Il documentario ha ottenuto un grande successo di pubblico ma non ha mancato di attirarsi critiche sia per aver omesso episodi poco gloriosi della storia del BPP che, a detta di alcuni vecchi militanti, per aver svilito la portata rivoluzionaria delle Pantere a causa di una ricostruzione storica eccessivamente semplificata.

Se per certi versi la storia del BPP è riuscita ad uscire dalla rimozione collettiva, resta il fatto che la strada da compiere per una comprensione del fenomeno al di là del mito e della demonizzazione è ancora lunga. Secondo Paolo Bertella Farnetti «l’eredità e la memoria del Partito della Pantera Nera dipende dalla capacità degli afroamericani di riappropriarsi del proprio passato, con le sue conquiste, i suoi errori e le sue sconfitte; ma soprattutto dipendono dalla capacità di utilizzare questo passato nel cammino verso la liberazione, altrimenti la memoria diventa soltanto imbalsamazione. La storia del BPP è solo un tassello dell’esperienza degli afroamericani, ma è centrale a un periodo che ha affrontato tutti i nodi problematici della loro pressione: quei nodi, quel periodo, sono un passaggio obbligato per la comunità nera» (p. 216).


  1. In  David Hilliard e Lewis Cole, This Side of Glory. The Autobiography of David Hilliard and the Story of the Black Panther Party, Scarecrow Press, Metuchen, N.J., 1976, p. 384 

  2. In Bruno Cartosio, a cura di, Senza Illusioni. I neri degli Stati Uniti dagli anni Sessanta alla rivolta di Los Angeles, ShaKe, Milano, 1995, p. 53 

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