Edicola Ediciones – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 30 Apr 2025 21:35:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Folle affanno di Pedro Lemebel https://www.carmillaonline.com/2022/03/24/folle-affanno-di-pedro-lemebel/ Thu, 24 Mar 2022 21:30:26 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=71133 Edicola Ediciones, Ortona 2022, pp 224, € 18

di Paola Rambaldi

“Non sono Pasolini che chiede spiegazioni. Non sono Ginsberg espulso da Cuba. Non sono un frocio mascherato da poeta. Non ho bisogno di maschere. Questa è la mia faccia. Parlo in nome della mia differenza. Difendo ciò che sono. E non sono poi così strano. Mi fa schifo l’ingiustizia. E non mi fido di questa cueca democratica. Ma non parlatemi di proletariato, perché essere povero e frocio è peggio. Bisogna essere acidi per sopportarlo. È girare alla larga dai machos dell’angolo. È [...]]]> Edicola Ediciones, Ortona 2022, pp 224, € 18

di Paola Rambaldi

“Non sono Pasolini che chiede spiegazioni. Non sono Ginsberg espulso da Cuba. Non sono un frocio mascherato da poeta. Non ho bisogno di maschere. Questa è la mia faccia. Parlo in nome della mia differenza. Difendo ciò che sono. E non sono poi così strano. Mi fa schifo l’ingiustizia. E non mi fido di questa cueca democratica. Ma non parlatemi di proletariato, perché essere povero e frocio è peggio. Bisogna essere acidi per sopportarlo. È girare alla larga dai machos dell’angolo. È un padre che ti odia poiché il figlio è dell’altra sponda. È avere una madre con le mani spaccate dal cloro, invecchiate di pulizie, che ti cullano ammalato. Per cattive abitudini. Per cattiva sorte. Come la dittatura. Peggio della dittatura. Perché la dittatura passa e arriva la democrazia e subito dopo il socialismo. E poi? Che ne farete di noi compagni? Ci legherete per le trecce come pacchi indirizzati a un centro per malati di AIDS cubano?” Pag. 105/106.

“Non è che da piccolo mi piacesse giocare con le bambole: io volevo essere la bambola”.
Dopo una giovinezza indigente, l’autore adotta il cognome della madre Violeta Lemebel. Frequenta una scuola industriale di falegnameria e forgiatura metalli e studia arte plastica presso l’università del Cile diventando insegnante d’arte al liceo, dove viene licenziato per presunta omosessualità. Frequenta seminari di scrittura ottenendo il primo riconoscimento nel 1982 quando vede premiare un suo racconto. Amatissimo dalla comunità omosessuale si è sempre battuto per i diritti umani. Tra il 1987 e il 1995 realizza 15 memorabili eventi pubblici dove mescola performance provocatorie, trasformismo, fotografia, video e installazioni per rivendicare il diritto alla libertà sessuale. Le sue opere sono tradotte in francese, italiano e inglese. E in Cile il suo primo romanzo Ho paura torero è stato il più venduto del 2001.

Folle affanno è una raccolta di trentaquattro racconti, fedelmente tradotta da Silvia Falorni, che offre un punto di vista inedito sul vissuto degli omosessuali nell’America Latina degli anni ‘80 e ‘90 tra dittatura di Pinochet e AIDS. Sono racconti che divertono e commuovono, che vedono protagoniste bistrattissime locas in tacchi alti e lustrini. Non esiste parola italiana che sostituisca il termine locas, se in spagnolo sta per pazze, per Lemebel le locas sono: dive, regine proletarie, omosessuali, transessuali e travestiti.

Folle affanno è un misto di biografia, giornalismo e narrazione graffiante che parla di travestitismo omosessuale e di storie di vita vissuta di una comunità solidale che si aiuta fino in fondo nella buona e nella cattiva sorte, nella malattia e nel dolore. Sono storie di solitudine, povertà e violenza, che riportano le verità scomode e i calvari di tanti emarginati cileni, cronache di omofobia e di lotte per l’emancipazione soffocate dalla dittatura e dalla grande peste, che l’autore tratta con ironia sdrammatizzando la tragedia. Qui l’AIDS è quotidianità e Lemebel lo definisce: la nuova moda gay per morire, l’ultima cena degli apostoli froci e l’ultima tendenza funebre per dimagrire. I locali gay vanno per la maggiore, l’offerta erotica è alta, i profumi eccessivi e i banconi dei club sono sempre forieri d’incontri. Un mondo dove i malati si confondono coi sani e dove i sani sono sempre meno. Le locas si tagliano il petto da sole con le lamette per inserire silicone nelle tette e si ricuciono a mano. Molte di loro mantengono una famiglia e quando escono la mamma gli aggiusta le parrucche e aggiunge profilattici in borsa.

Sono racconti disarmanti come quello ambientato a Santiago nel dicembre del 1972 dove le locas, incuranti dell’odore di polvere da sparo che si respira per strada, organizzano una mitica festa di capodanno confidando in incontri sorprendenti, come la star del momento, il famoso ballerino Lolo, che pensano sia della loro stessa sponda. Puntano su trucco e vestiario esagerati, per poi scoprire che la festa è nettamente al di sotto delle aspettative. Ma le sorprese non mancheranno comunque. Otterranno infatti di farsi rubare le pellicce e non potranno nemmeno denunciarne il furto per non finire bastonate in guardina. Del sognato capodanno resterà solo una foto sbiadita e delle pellicce rubate non si saprà più nulla.

Poi ci sono storie come quella di Pilola Alessandri che importa per prima l’AIDS da New York diffondendolo rapidamente nei vicoli, con l’AZT come unica dubbia cura per mantenersi in vita, difficile da reperire anche di contrabbando. Quando tutte le locas saranno infette i clienti non mancheranno egualmente e si ostineranno a non usare i preservativi.

La loca Madonna, una delle prime a contrarre il morbo nel quartiere San Camilo, è innamorata della cantante, conosce a memoria tutte le sue canzoni e fa di tutto per somigliarle. Quando, col progredire della malattia perde i capelli a pugni le amiche le regalano una parrucca perché torni a lavorare e non si deprima. E lo farà finché avrà forza per stare in piedi, incurante delle botte della polizia. Vivrà il suo momento di notorietà esibendosi nuda davanti alle telecamere, col membro nascosto tra le natiche, che rimbalzerà fuori all’improvviso, quando meno se l’aspetta, rovinando l’esibizione. E se questo decreterà la fine della riprese, quando il video verrà riproposto dopo qualche anno otterrà un successo strepitoso, ma questo lei non lo saprà mai.

Loba balla il mambo in tacchi a spillo, ha l’AIDS ma non si rende conto di essere portatrice. È risultata positiva al test ma pensa che vada tutto bene. Non è più voluta tornare dal dottore. Col progredire del male è sempre più stanca e non balla più. Ha resistito fin che poteva. Quando peggiora le altre locas la accudiscono amorevoli e si prendono cura di lei fino alla fine. Al funerale la vestono con l’abito più bello. Quello che tutte le locas mettono da parte per la cassa da morto deve essere firmato e favoloso perché anche la morte è spettacolo.
Quando una muore di AIDS le altre negano di conoscerla.

Poi ci sono i malati di AIDS che scrivono a Liz Taylor per chiedere aiuto. Non vogliono morire. Darebbero qualsiasi cosa per sapere se ha letto il loro messaggio. Non cercano né autografi, né foto. Vogliono solo uno smeraldo della sua corona da Cleopatra. Pensano che una di quelle pietre potrebbe allungargli la vita a suon di AZT. E quando Liz comincerà a dimagrire penseranno che abbia contratto l’AIDS pure lei.

Un libro denso di storie curiose e struggenti che non vi lascerà indifferenti, che mi ha fatto amare Pedro Lemebel e che mi spingerà a cercare gli altri suoi libri.

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Irraccontabili di Pedro Lemebel https://www.carmillaonline.com/2020/11/15/irraccontabili-di-pedro-lemebel/ Sun, 15 Nov 2020 21:30:33 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=63417 Edicola Ediciones, Ortona 2020, pagg 112, € 15

[Per la prima volta in Italia vengono pubblicati questi racconti del cileno Pedro Lemebel (Santiago del Cile 21/11/1952 – 23/01/2015), autore, artista, militante libertario nel movimento queer internazionale. Scrive Pía Barros nella prefazione: «Scrisse poemi, racconti, un romanzo e microracconti; disegnò, costruì immagini da bruciare in piazze pubbliche, mise il suo corpo e la sua vita in strada e nelle parole […] ma soprattutto ogni secondo che respirò fu un creatore politico e impegnato come pochi». Non aspettatevi una prosa rassicurante, [...]]]> Edicola Ediciones, Ortona 2020, pagg 112, € 15

[Per la prima volta in Italia vengono pubblicati questi racconti del cileno Pedro Lemebel (Santiago del Cile 21/11/1952 – 23/01/2015), autore, artista, militante libertario nel movimento queer internazionale. Scrive Pía Barros nella prefazione: «Scrisse poemi, racconti, un romanzo e microracconti; disegnò, costruì immagini da bruciare in piazze pubbliche, mise il suo corpo e la sua vita in strada e nelle parole […] ma soprattutto ogni secondo che respirò fu un creatore politico e impegnato come pochi».
Non aspettatevi una prosa rassicurante, in linea con le moderne suggestioni social, frasi brevi coi bravi a-capo: alcuni racconti, con la loro scrittura funambolica, spericolata, sembrano poemetti in prosa, frasi lunghe, funk in apnea (e non possiamo che fare i complimenti alla traduttrice Silvia Falorni). Qua e là ricordano I sotterranei, o certi fluxus joyciani. Di seguito pubblichiamo il racconto Monsenor: l’autore, come un neurochirurgo letterario, scoperchia l’intimità di un membro della gerarchia ecclesiastica che appoggiò la dittatura di Pinochet, mettendone a nudo la morbosità, la viltà, la violenza. MB]

MONSENOR

 

Le ore si sono accumulate nella stanza del vescovo, l’ambiente è scosso dalla tensione dell’attesa. Sul muro tappezzato di immagini, la fiamma del Santissimo lo fa sperare in un epilogo cristiano, ma fuori la violenza della sovversione arde con molta più forza: lo accecano le esplosioni di fuoco che fanno tremare i vetri, le pietre preziose dei santi, le nappe e gli scapolari che adornano l’ufficio ecclesiastico. Poi, il silenzio assoluto e l’odore rancido della polvere da sparo che entra dalla finestra. Approfittando di un momento di quiete, rincalza la sottana talare per non inciampare e cammina accucciato, facendo attenzione alza la testa e riesce a vedere dal secondo piano il cielo gelatinoso dell’Apocalisse; neri obelischi di fumo si innalzano dai tetti vicini, e più lontano il bagliore di un incendio imbavagliato dall’aria pesante come il piombo. La città è una caldaia che ribolle sul punto di scoppiare.

Era stato tutto così precipitoso: il telefono che aveva suonato a quell’ora del mattino, quando lui ancora non si era liberato delle braccia femminili e delle cosce intorno al collo che corrompevano il suo celibato. Il telefono squillava lontano e lui fra le nuvole lottando con la carne rosa dei seni nella sua bocca, si era coperto, si era tappato le orecchie, i glutei lo costringevano a letto, nella sua enorme barca di seta e baldacchini. Lo inseguivano le vergini che si spogliavano delle loro tuniche, scendevano dagli altari e andavano a cercarlo nel deserto della notte; tutti quei lunghi anni di solitaria astinenza a dirigere la diocesi dal pulpito (lassù in alto l’incubo non poteva raggiungerlo), perciò Luzbel prendeva vita con le dame in verde, in rosso, in giallo, dorate al fuoco dei ceri. Quel turgore meraviglioso delle mogli dei militari, sempre sorridenti e dedicate con abnegazione al servizio sociale e all’eleganza, attente a qualsiasi richiesta del vescovo perché sanno che la sua fede nella tradizione è irremovibile. Per questo ha benedetto le armi della brigata antisovversiva, tutto vestito d’oro e rubini accanto al Capitano Generale della Repubblica che gli stringe la mano e gli chiede un Te Deum in ringraziamento per la morsa di anni, rispetto e ordine nella quale il governo ha mantenuto i cittadini; con tutti i cori di supporto eccetera, la voce del mandatario gli fa richieste, con tutti i denti in vista… quella stessa voce congestionata che ormai quando alza la cornetta non gli fa più richieste, gli esige di farsi carico della situazione:

“È anche un problema suo, signor vescovo.”
“Ma io non posso prendere un’arma e perseguitare i terroristi.”
“Proprio per questo: un messaggio come pastore può contenere questa rivolta. Non si tratta più di terroristi, monsignore.”

Gli faceva male la testa quando aveva riattaccato il telefono. Il retrogusto di carne dolce di donna lo aveva fatto sputare varie volte nel lavandino. Aveva inforcato gli occhiali sul suo naso di marmo ed era ritornato in camera senza pensare a niente; semplicemente non era d’accordo, ormai era tanto che succedevano queste cose. Ma guarda un po’, svegliarlo a quell’ora del mattino per una cosa così ordinaria come un discorso. Masticando le parole e facendo smorfie di fastidio, si era seduto alla scrivania e aveva preso in mano la penna d’oca.

Tutto ciò era successo quel giorno, qualche ora prima; la sua voce via radio aveva letto il messaggio di calma e pazienza a tutto il paese, il popolo che era uscito in strada e marciava in silenzio verso il centro. Da ogni parte arrivavano uomini, come serpenti che traboccavano nelle strade. Le parole concilianti causarono un momento di esitazione nella folla, che molto presto riconobbe l’accento clericale e lo associò a quella sottana viola accanto al dittatore. L’odio traboccò in un rumore cieco di tormenta, si alzarono i pugni colpendo l’aria e le bandiere della rivoluzione sfilarono fino al palazzo di governo. Una pattuglia lo lasciò in salvo a casa sua, dove per lungo tempo rimase steso sul velluto di un divano.

È lì adesso, affacciato sulla strada senza ancora riuscire a credere a ciò che vedono i suoi occhi, quando l’esplosione lo solleva dal pavimento, gli cadono accanto le statuine di gesso e rotolano per terra gli occhi di vetro, le croci e i quadri: lo scontro a fuoco è ricominciato. Un urlo di donna lo fa affacciare millimetrico al davanzale e lì la vede, sola in mezzo alla confusione, che osserva disperata; allora il suo vecchio cuore si stringe dal dispiacere, la vede così giovane, morta di paura in mezzo al disastro, la deve proteggere, coprirla con il suo mantello porpora; deve scendere tremante le scale e darle fiducia. “Vieni qui, figliuola”, le dice “entra, veloce, in questa casa i proiettili non potranno toccarti, non c’è più nessuno, sono andati via tutti i segretari, ma non importa, non ti preoccupare: l’esercito risolverà questo problema.” E così, mentre lui le parla con quel tono paterno e affettuoso, la giovane riesce a controllare la respirazione e sale le scale dietro di lui, appoggiandosi al muro quando le cariche della ribellione scuotono la casa, quando qualunque preghiera sembra inutile, “perché Dio è ordine”, le dice il prete, mentre lei attaccata al pavimento della stanza, riceve in ventre i colpi delle esplosioni. “Dio è un mare calmo”, le ripete, e trascinandosi accanto a lei le prende le mani; galleggiano insieme nella marea della corte celestiale fatta a pezzi, così orizzontalmente aderente alla paura, la carne sembra più tenera, palpita in quella vergine di carne e ossa salvata dal disastro. “Dio è un oceano senza limiti, figlia mia”, le mormora tremante mentre lei non riesce a sentirlo per il rumore, e lo vede muovere la bocca piegata dalle rughe a solo pochi centimetri. “È amore”, le sussurra avvicinando a lei il suo autunno concupiscente. “Amore”, dice bavoso l’anziano, mentre fuori la sparatoria si accende ancora di più e lui paraplegico le fruga i vestiti, palpa le cosce e chiude gli occhi per non pentirsi, perché ormai il fuoco si arrampica sulle scale e tutto potrebbe finire da un momento all’altro, con un campanello, un proiettile o una telefonata, a letto, stringendo la pelle rosa che si farà spuma tra le sue mani come tante altre volte, e lui per nessun motivo al mondo vuole svegliarsi solo, sulla sua nave senile che minaccia di naufragare in questa tormenta, perché la barca brucia sui quattro lati e tutto finirà molto presto, quando la casa si disintegrerà, perciò strizza gli occhi per non piangere, per sigillare il bacio beatificante e dimenticarsi del tatto gelido, del sapore di gesso bruciato di fronte a quegli occhi di vetro che lo guardano inteneriti dal fumo. “Dio è un oceano di latte, figlia mia”, dice alla statua, mentre un altro Dio avanza per le strade, si innalza a ondate di fronte alla casa e scoppia in fiamme, gettando le alghe celestiali in una lingua di sabbia e cenere.

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