Don Camillo – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Mon, 01 Dec 2025 23:04:41 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Don Camillo, Peppone e il silenzio degli innocenti https://www.carmillaonline.com/2021/11/10/don-camillo-peppone-e-il-silenzio-degli-innocenti/ Wed, 10 Nov 2021 21:00:55 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=69158 di Sandro Moiso

No, non si tratta del titolo di un inedito di Giovanni Guareschi e nemmeno di quello di un nuovo sceneggiato televisivo con Terence Hill. Entrambi non sarebbero all’altezza dell’orrore di cui si è tornato a parlare in questi giorni: quello degli abusi perpetrati da decenni, e in tutto il mondo, dai rappresentanti della Chiesa, di ogni ordine e grado, in tonaca oppure laici, nei confronti di minori di ogni sesso ed età.

I numeri parlano chiaro, anche se sono ancora, in generale, sicuramente inferiori a quelli reali. Numeri che, [...]]]> di Sandro Moiso

No, non si tratta del titolo di un inedito di Giovanni Guareschi e nemmeno di quello di un nuovo sceneggiato televisivo con Terence Hill. Entrambi non sarebbero all’altezza dell’orrore di cui si è tornato a parlare in questi giorni: quello degli abusi perpetrati da decenni, e in tutto il mondo, dai rappresentanti della Chiesa, di ogni ordine e grado, in tonaca oppure laici, nei confronti di minori di ogni sesso ed età.

I numeri parlano chiaro, anche se sono ancora, in generale, sicuramente inferiori a quelli reali. Numeri che, nonostante tutto, sono utilizzati anche per “limitare” le responsabilità specifiche di Santa Madre Chiesa. Come succede in Francia in cui si fa ben attenzione a distinguere le responsabilità tra i 330.000 casi che potrebbero dover essere risarciti, con il susseguente e gravissimo danno economico per la chiesa francese. 216.000 episodi di pedocriminalità sarebbero infatti attribuibili direttamente a rappresentanti del clero, mentre altri 114.000 a non meglio identificati “laici” (Diaconi? Semplici “fedeli”? Altri figuri? Boy Scouts?).

Ma se il caso francese scuote le casse più che le coscienze della Chiesa, è da anni ormai che si parla dei crimini perpetrati nei confronti dei minori dal Canada agli Stati Uniti, dall’Australia al Messico, dalla Germania alla Polonia e all’Irlanda. Anche se è chiaro che i numeri sono ancora circoscritti alle inchieste che hanno effettivamente rilevato le responsabilità penali di vescovi, cardinali, preti e altri chierici di ogni ordine e grado1.

Senza contare, come dimostra l’autentica strage di bambini nativi messa in opera nel corso di alcuni secoli in Canada dai rappresentanti dei gesuiti e di altri ordini della Chiesa, che sarebbe ancora più difficile contabilizzare con esattezza le vittime “sacrificali” imposte dall’azione di cristianizzazione dei “selvaggi”, che come ben si sa doveva dominare sui corpi oltre che sulle menti. Opera che la Chiesa ha saputo condurre ormai da almeno quindici secoli, prima sul territorio europeo, come si è già scritto più volte proprio qui su Carmilla, e poi nel resto del mondo.

Spesso il linguaggio ecclesiastico si è ammantato di termini come fede, appartenenza, gerarchia, comunione, spirito santo: ma quante volte queste parole saranno state usate per piegare, convincere, sedurre e costringere, per scopi che definire ignobili sarebbe ancora troppo poco ?
E quante volte l’inossidabile rete delle parrocchie, vero punto di forza del clero cattolico e dell’autorità papale fin dal Medio Evo, è stata testimone e luogo di tali violenze sugli unici e veri “agnelli di Dio”?

Soprattutto qui in Italia, dove sembrano essere assenti dati reali su un fenomeno così diffuso nel resto del mondo da essere ormai inseparabile dagli atti e dalla vita “sociale” della Chiesa cattolica, “santa”, apostolica e romana.
Eppure, eppure…

Nell’italietta sempre democristiana e sempre fascista, almeno fino a quando i rappresentanti politici, di destra o sinistra fa lo stesso, continueranno a rinnovare il Concordato, soltanto lievemente modificato rispetto a quello firmato con i Patti Lateranensi dl 1929, si fa finta di nulla, come al solito.
Le “cose brutte” accadono sempre altrove, perché, in fin dei conti, noi italiani, siamo “brava gente”. E quindi anche i nostri preti. Quindi gli oratori sono luoghi di socializzazione e il catechismo per i bimbi serve ad inserirli nella “comunità”, non importa se di uno dei più mostruosi apparati repressivi che la storia abbia mai visto in atto.

Basta, al solerte popolo italiano, avere un “papa buono”, come Giovanni XXIII, per dimenticare che quel Vaticano di cui fu sommo rappresentante era stato precedentemente retto da un Papa che aveva dato più di un aiutino ai gerarchi fascisti e nazisti in fuga oppure a mantenere la continuità, “senza rotture” come voleva anche Confindustria, tra regime e repubblica.

Che laica non è mai stata, se si considerano le continue interferenze della santa sede non solo in materia politica ed elettorale fin dal 1948, ma anche nelle scelte di semplice civiltà liberale (matrimonio, divorzio, diritti civili, aborto, quest’ultimo ancora definito omicidio da un altro e contemporaneo “papa buono” e “progressista”) che hanno contraddistinto altri paesi, non soltanto di segno protestante, e facendo sì che oggi, nella nazione che ha dato i natali a Mussolini e a una valanga di altri impostori di sinistra, si ritenga di sinistra ciò che appartiene semplicemente e naturalmente al liberalismo.

Un paese culturalmente arretrato, dove si urla ogni quarto d’ora al “lupo fascista”, ma che dell’autoritarismo religioso e patriarcale non sa fare a meno. In cui sia Matteo Salvini che il leader No Green Pass Stefano Puzzer possono impugnare il rosario come simbolo identitario, oppure Chiesa e Partito Comunista hanno potuto tranquillamente farsi piedino sotto il tavolo di ogni trattativa, come alcune positive valutazioni del Concordato, in occasione del Convegno “Problemi e prospettive dei Patti Lateranensi a 25 anni dalla revisione”, organizzato dalla Fondazione della Camera dei Deputati, dell’allora presidente Napolitano (sì, proprio lui, l’uomo del PCI che brindò alla repressione, ad opera dei carri armati sovietici, della rivolta operaia ungherese del 1956) sembrano ancora confermare:

“Solo pochi giorni or sono sono stati ricordati gli ottant’anni dalla firma dei Patti Lateranensi, che hanno posto fine ad un’epoca segnata da profonde lacerazioni fra lo Stato italiano e la Chiesa; oggi ricorrono i venticinque anni trascorsi dalla conclusione dell’Accordo di modificazione del Concordato, che ha consentito di consolidare le relazioni e di arricchirle di sempre nuovi contenuti anche a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione. E’ pertanto quanto mai opportuna l’occasione di riflessione offerta dall’importante convegno di studi promosso dalla Fondazione Camera dei Deputati. Dall’insieme degli accordi del 1929 e del 1984 e dei principi enunciati nella Carta Costituzionale, che all’articolo 7 sancisce il principio secondo il quale “Chiesa e Stato sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani”, si è andata sviluppando una collaborazione feconda fra lo Stato e la Santa Sede. Tale rapporto, ispirato al rispetto reciproco, si traduce in un’operosa convergenza di sforzi volti al bene comune, nel pieno riconoscimento della dimensione sociale e pubblica del fatto religioso. Sono certo che il fruttuoso dialogo esistente tra le istituzioni italiane e la Chiesa, ribadito in occasione della visita ufficiale di Sua Santità Benedetto XVI al Quirinale il 4 ottobre scorso, potrà ulteriormente intensificarsi consentendo alla comunità nazionale di affrontare le sfide del XXI secolo forte della condivisione dei principi e dei valori che sono alla base della nostra identità culturale e spirituale” (qui).

Don Camillo e Peppone, nonostante le critiche da “sinistra” all’opera di Guareschi, confermano la loro attualità rimanendo sulla breccia, in un profluvio di ignoranza e arretratezza culturale che, qui al centro dell’impero ecclesiastico delle gerarchie nere e bianche e delle “eminenze grigie”, non ha nulla da invidiare ad altre esperienze sociali e religiose che ogni giorno ci vengono indicate come nemiche e arretrate. Madrase (madāris), scuole coraniche, studenti coranici (talebani), in cui, ad esempio, viene individuato ipocritamente l’inizio e la continuazione di una condizione femminile subordinata, repressa e brutalizzata (non soltanto nel corpo).

Dimenticando la “lunga” caccia alle streghe, i tribunali dell’Inquisizione che le interrogavano e torturavano e, in tempi a noi più vicini, le donne (per loro fortuna e merito, a giudizio di chi scrive) scomunicate per il giro tondo in Duomo a Milano nel 19762, oltre tutte le altre amenità costruite intorno alla figura sacrificale della donna madre, sposa e, possibilmente, “madonna” oppure colpevolizzata, torturata, repressa e uccisa, in un paese, sempre il nostro, in cui, dopo l’abrogazione del reato di adulterio nel 1968, dopo l’introduzione del divorzio nel 1970 (legge 898), dopo la riforma del diritto di famiglia nel 1975 (legge 151), dopo l’introduzione dell’aborto nel 1978 (legge 194), le disposizioni sul delitto d’onore sono state abrogate soltanto il 5 agosto 1981 (legge 442).

Un paese dove lo “scandalo” del femminicidio è sempre poco collegato alla concezione della sacralità del matrimonio e del ruolo sottomesso della donna, “sposa” o “fidanzata” che sia.
Una mentalità arcaica in cui il ruolo della Chiesa nella sua diffusione, nonostante i piagnistei papali alla finestra affacciantesi su Piazza San Pietro, non ha eguali e in cui l’istruzione impartita ai minori nei catechistici corsi, così simili all’indottrinamento mussoliniano (Chi è Dio? Chi è il Duce?), ha ancora una funzione socio-culturale importantissima e altrettanto negativa. Motivo per cui se, come affermava Marx, “la religione è l’oppio dei popoli”, lo stivale al centro del Mediterraneo è la patria dei bigotti oppiomani.

Forse proprio per tutti questi motivi, in Italia, non esiste ancora un’associazione per la denuncia dei crimini della Chiesa contro i minori che abbia la forza di quello francese, La Parole liberée, nata a Lione nel 2015 per opera delle vittime delle violenze perpetrate in ambiente ecclesiastico e neppure una commissione indipendente come quella denominata Sauvé che ha indagato per tre anni sullo stesso tema, portando, il 5 ottobre di quest’anno, alla presentazione di un rapporto che, di fatto, ha già messo in ginocchio la chiesa non solo francese, aprendo prospettive disastrose per la stessa in tutto il mondo.

La fede in unico Dio, non solo costituisce una menzogna e una violenza fatta alla Natura e alla specie umana, ma è anche la fonte di odi e violenze giustificate soltanto dall’idea del popolo eletto e della crociata per imporre un’unica verità3. Forse sarebbe ora di superare il provincialismo, i timori, il perbenismo marcio di cui è permeato questo avanzo di paese, prima che sia dato libero sfogo all’ira, come nella Barcellona del luglio 19094 o nella Spagna del guerra civile (per non parlare delle rivolte medievali e moderne contro la corruzione della Chiesa e del papato).


  1. Si veda: Domenico Agasso, Lo tsunami della vergogna sull’Europa pioggia di denunce per 60 anni di abusi, «La Stampa», 9 novembre 2021  

  2. Si veda qui un interessante articolo dell’epoca  

  3. Come ha dimostrato Jan Assmann in due splendide ricerche storico- antropologiche: Non avrai altro dio (il Mulino, Bologna 2007) e La distinzione mosaica (Adelphi, Milano 2011)  

  4. Si veda: Escuela Moderna / Ateneo Libertario (a cura di), Chiese in fiamme, Milieu edizioni 2019, recensito su Carmilla il 1° luglio 2020  

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La nuova guerra civile europea https://www.carmillaonline.com/2018/05/03/la-nuova-guerra-civile-europea/ Wed, 02 May 2018 22:01:40 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=45285 di Sandro Moiso

Oggi, 3 maggio 2018, mentre i media nazionali rispettosi soltanto dei vuoti rituali della politica guardano a ciò che avverrà nella direzione del PD, cade il venticinquesimo giorno dell’occupazione militare della ZAD di Notre Dame des Landes da parte dei mercenari in divisa da gendarmi dello Stato francese.

2500 agenti che da venticinque giorni, con ogni mezzo non necessario se non a ferire gravemente i corpi o a violentare i territori percorsi da autoblindo, ruspe e gru e a distruggere campi coltivati, boschi e abitazioni, cercano di cancellare dalla [...]]]> di Sandro Moiso

Oggi, 3 maggio 2018, mentre i media nazionali rispettosi soltanto dei vuoti rituali della politica guardano a ciò che avverrà nella direzione del PD, cade il venticinquesimo giorno dell’occupazione militare della ZAD di Notre Dame des Landes da parte dei mercenari in divisa da gendarmi dello Stato francese.

2500 agenti che da venticinque giorni, con ogni mezzo non necessario se non a ferire gravemente i corpi o a violentare i territori percorsi da autoblindo, ruspe e gru e a distruggere campi coltivati, boschi e abitazioni, cercano di cancellare dalla faccia della Francia, dell’Europa e della Terra ogni traccia di una delle nuove forme di civiltà e comunità umana che si è andata delineando negli ultimi decenni sui territori che la società Da Vinci e gli interessi del capitale avrebbero voluto trasformare in un secondo ed inutile aeroporto della città di Nantes.

Un’azione fino ad ora respinta valorosamente dagli occupanti e dalle migliaia di uomini e donne di ogni età e provenienza sociale che si sono recati là al solo fine di manifestare la loro solidarietà con quell’esperimento comunitario e di respingere ancora una volta, come nel 2012 con l’operazione César voluta all’epoca da Hollande allora fallita, le mire del capitale finanziario sul bocage e della repressione poliziesca nei confronti di un esperimento di società senza Stato, senza denaro, senza polizia, senza rappresentanza politica se non diretta dei suoi abitanti.

Mentre qui da noi i “nuovi” nani della politica inscenano il solito e nauseante teatrino, dimostrando di non essere altro che novelli e miseri gattopardi (specialisti nel cambiare tutto affinché nulla cambi) decisi a tutto pur di salvaguardare in qualche modo proprio ciò che gli elettori italiani, con il voto maggioritario ai 5 Stelle e alla Lega, si erano illusi di scacciare definitivamente dai loro incubi (PD, Renzi, Forza Italia e Berlusconi), là il cambiamento si gioca direttamente, faccia a faccia, tra chi questo osceno modo di produzione vuole continuare a salvaguardare e chi vorrebbe invece affossarlo per sempre.

Non a caso la ZAD è stata da tempo definita come zona di “non Stato” dalle stesse autorità francesi e non a caso proprio il non marché, l’area in cui era possibile prelevare o scambiare i prodotti dell’agricoltura locale senza ricorrere al denaro, è stata la prima area ad essere distrutta, ricostruita in pochi giorni e nuovamente rasa al suolo dalle ruspe delle forze del dis/ordine. Rendendo così evidente che non si tratta di riportare l’ordine repubblicano in un territorio di quasi 1700 ettari sfuggito al suo controllo, ma di ristabilire le norme della civile società del mercato, del profitto e dello sfruttamento capitalistico dell’uomo sull’uomo e dell’ambiente.

Ma qui, nell’Italietta sempiterna fascista e democratico-parlamentare allo stesso tempo, in questa grande unica Brescello di Don Camillo e Peppone, anche le forze che si vorrebbero “altre” sembrano preoccuparsi più della raccolta firme per le prossime elezioni amministrative oppure delle fratture interne legate ai vari mal di pancia individuali e di gruppuscolo oppure, ancora e semplicemente, di ricondurre il gregge degli scontenti all’interno dell’alveo parlamentare, più che di elaborare strategie ed iniziative adeguate ai mutamenti in atto nella società odierna. Dimostrando così, ancora una volta e semmai ce ne fosse ancora bisogno, che l’elettoralismo è sinonimo soltanto di negazione delle lotte e della reale liberazione da un esistente morto da tempo e di cui, per ora, soltanto i riti voodoo parlamentari riescono ancora a tenere nascosta la constatazione del decesso.

Parlando a Strasburgo davanti al parlamento europeo, il 17 aprile di quest’anno, Emmanuel Macron ha sottolineato il rischio che in Europa possa esplodere una guerra civile. Per una volta il giovane e rampante rappresentante della grandeur francese non ha mentito. Non ha mentito sapendo benissimo di che cosa stava parlando, essendo lui stesso uno dei promotori della stessa. Una guerra che, ormai da anni, il capitale finanziario sta conducendo contro i cittadini d’Europa, soprattutto là dove quegli stessi cittadini non si lasciano ingabbiare dalle logiche nazionaliste, populiste e razziste (che lo stesso capitale finanziario promuove facendo allo stesso tempo finta di combatterle).

Così mentre viene invocato ed applicato l’uso della forza aerea e militare contro la Siria di Assad per l’uso dei gas e delle armi chimiche che questi avrebbe fatto nei confronti della popolazione civile, allo stesso tempo si usano su tutto il territorio europeo i gas CS, proibiti dalla convenzione di Parigi (qui), per gasare i manifestanti dalla Val di Susa a tutta l’Europa. Oppure i gas paralizzanti e inabilitanti, insieme a flashball e proiettili di gomma, contro i difensori della ZAD di Notre Dame des Landes o in altre parti della Francia.

La guerra preventiva è diventata forma di controllo planetaria, e anche se in Europa non abbiamo ancora assistito agli orrori di Gaza, investita dalla vendetta del fascista Netanyahu, o del Rojava, investito dalla furia del sultano Erdogan, è certo che la logica della violenza aperta e dichiarata è diventata la formula corrente per il governo delle contraddizioni politiche e sociali.

In ogni angolo del continente europeo e del mondo i margini della trattativa si sono ridotti ad una mera logica di scontro e di rapporti di forza, anche e forse soprattutto militari. Vale per la concorrenza tra potenze tardo-imperialiste e neo-imperialiste, ma vale soprattutto per il conflitto di classe all’interno degli Stati. E non vi è più parlamento nazionale che possa effettivamente risolvere le contraddizioni interne, siano esse economiche o sociali, senza far ricorso all’uso dell’intimidazione e della violenza.

Proprio per questi motivi la solidarietà tra gli oppressi non può più misurarsi soltanto sulla base delle generiche petizioni di principio che hanno costituito il paravento dietro al quale sinistre ormai decrepite, nostalgiche e asfittiche, istituzionali e non, si sono riparate per decenni. Non bastano più e non ci sono proprio più, come la scarsa informazione su Gaza o su quello che succede alla ZAD ben dimostra.

Come negli anni della guerra civile spagnola oppure, ancor prima, delle guerre di indipendenza europee dell’Ottocento, la solidarietà si manifesta attraverso la partecipazione o il sostegno diretto alle lotte, dal Rojava alla Val di Susa, dalla Zad alla Palestina.
Una nuova generazione e un nuovo paradigma politico di lotta e resistenza si stanno imponendo, proprio a causa di quell’imposizione violenta dell’ordine e della volontà di dominio che il capitalismo internazionale sembra intendere come unica forma di governo sovranzionale.

Lo Stato così come è stato concepito dalle borghesie liberali è morto. E’ morto fin dai primi del ‘900, quando la grande paura delle insurrezioni e delle rivoluzioni “rosse” portò alla costituzione di nuovi organismi statali e partitici che coincisero con il fascismo, il nazismo e lo stalinismo.

Anime belle e pie affermarono allora che occorreva lottare contro quei mostri per tornare ai rapporti democratico-parlamentari precedenti. Ma se è vero che non vi è direzione teleologica della Storia, ovvero che la Storia non ha di per se stessa un fine, è anche vero che difficilmente lo sviluppo sociale e politico potrà tornare sui suoi passi. Con buona pace delle teorie sull’eterno ritorno e sulla circolarità della Storia stessa.

Fascismo e nazismo soprattutto non furono sconfitti nella riorganizzazione della forma Stato, che in effetti non ci fu affatto. A parte il farsesco processo di Norimberga in cui i vincitori, dopo aver messo in salvo gli avversari più prestigiosi e più utili, finsero di eliminare l’idra dalle molte teste, quasi ovunque, e soprattutto in Italia dopo la spettacolare eliminazione del Duce con una fine teatrale che servì al contempo a farlo tacere per sempre sui suoi rapporti con le forze politiche ed economiche che avrebbero preso in mano le redini della Repubblica, gli apparati dello Stato, le strutture economiche e sindacali (la concertazione, emanazione diretta di quella Carta del Lavoro voluta dal regime per dirimere senza conflitto i rapporti tra imprese e lavoratori), le strutture dedite alla repressione di classe e le forze armate rimasero sostanzialmente ancorate e fondate sulle pratiche e sulle idee del ventennio.

Basti rinviare ancora una volta alla mancata epurazione e all’amnistia concessa dal guardasigilli Togliatti, più attento a reprimere i sovversivi alla sua sinistra che a punire i rappresentanti degli apparati e del regime e che permise a un numero non piccolo di fascisti di reintegrarsi non solo nella DC, ma anche nel PCI, di cui in alcuni casi sarebbero diventati esponenti importanti.

Ma oggi quell’organizzazione statale nuova e democratica che, dietro ad un gran polverone di principi, formule e parole, aveva continuato, con l’antifascismo formale, la tradizione fascista del coinvolgimento del cittadino nelle strutture dello Stato, più ancora che attraverso la partecipazione alla vita politica per il tramite del parlamentarismo “democratico”, attraverso la sua completa sussunzione nello stesso tramite l’ideologia nazionalista, l’assistenzialismo diffuso e il rimbecillimento mediatico e associativo, non basta più. Semplicemente costa troppo. Anche per il “ricco” Occidente. Da qui i “populismi” e il loro feroce, volgare e superficiale attacco alle prebende parlamentari, alle spese inutili o l’uso di slogan che sembrano voler far riecheggiare l’antico chi non lavora non mangia, oggi diretto soprattutto ai migranti e giovani disoccupati non intenzionati a farsi sfruttare come bestie.

Da qui le fittizie contese sul lavoro e sulle pensioni, utili solo a raccattare voti tra ciò che resta della classe operaia e della classe media impoverita. Da qui un terzomondismo povero di idee, oggi ancor più di quello di ieri, che invece di guardare avanti, verso una società senza stato, sfruttamento, proprietà privata dei mezzi di produzione, salari e consumo di merci, guarda indietro, a rapporti più “equi” nello sfruttamento capitalistico e nell’appropriazione, nazionale o privata non importa, delle risorse e del loro prodotto.

Volutamente sono stati qui messi insieme slogan e atteggiamenti che appartengono a forze politiche apparentemente diverse tra loro, che però ubbidiscono ancora tutte ad una logica e a un immaginario che, se non fosse proprio per il teatrino mediatico e politico che contribuiscono tutte ad alimentare, avrebbero già potuto essere seppelliti da tempo. Come la crisi istituzionale che andrà in scena nei giorni a venire non farà altro che confermare definitivamente.

Chi oggi vuole cambiare l’esistente lotta sulle barricate della ZAD, in Val di Susa, nelle strade di Parigi del primo maggio o nel Rojava. Luoghi, insieme a molti altri, che sanno accogliere chi lotta, chi fugge e chi migra. Luoghi pericolosi perché non rappresentano il locale e l’immediato, ma il mondo di domani.

Come, tutto sommato, ha capito Macron che, dopo aver dichiarato il 17 gennaio di quest’anno definitivamente chiusa la possibilità di realizzare il secondo aeroporto di Nantes, ha scatenato i suoi cani da guardia contro coloro che, su quei territori, hanno già sconfitto il passato e lo Stato, in tutti i sensi e senza bisogno di partiti.

Fornendo un magnifico esempio al nuovo maggio di lotte che, a cinquant’anni di distanza dal 1968, sta tornando a divampare in Francia tra i lavoratori dei trasporti, gli studenti, i giovani senza lavoro e che ha già visto un sempre giovane Karl Marx tornare a prendere il posto che gli spetta nei cortei di testa.

Avvertenza
Con il presente articolo si inaugura una nuova rubrica di Carmilla, che i lettori troveranno in basso nella colonna di sinistra, dichiaratamente ispirata alla definizione di comunismo data dal giovane Marx: Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente.
Al suo interno troveranno spazio tutti quegli interventi, redazionali e non, che vorranno occuparsi dello sviluppo dei movimenti di lotta contro i differenti aspetti della società che ci circonda e indirizzati ad un suo sostanziale cambiamento.
Resta naturalmente evidente che la responsabilità per il contenuto degli stessi rimane esclusivamente a carico degli autori e non della Redazione di Carmilla nel suo insieme.

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