Derek Raymond – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 16 Aug 2025 06:03:59 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Oltre il Noir, il Black https://www.carmillaonline.com/2025/08/15/oltre-il-noir-il-black-2/ Fri, 15 Aug 2025 20:00:16 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=89515 di Valerio Evangelisti

[Pubblicato dall’autore il 10 agosto 2004 su “Carmilla online” e, precedentemente, su “L’Unità il 7 agosto 2004]

In Italia ormai il termine noir è inflazionato. In pratica, ha preso il posto del “giallo” di mondadoriana memoria, e viene usato in riferimento a qualsiasi tipo di narrativa poliziesca o che abbia al centro un crimine. Così, per dirne una, si persiste nel definire noir i romanzi di Andrea Camilleri che, se avessero bisogno di un’etichettatura, dovrebbero essere considerati polizieschi, sia pure anomali; divengono retroattivamente noir persino i mistery molto tradizionali di Renato Olivieri e i romanzi esotici o a sfondo [...]]]> di Valerio Evangelisti

[Pubblicato dall’autore il 10 agosto 2004 su “Carmilla online” e, precedentemente, su “L’Unità il 7 agosto 2004]

In Italia ormai il termine noir è inflazionato. In pratica, ha preso il posto del “giallo” di mondadoriana memoria, e viene usato in riferimento a qualsiasi tipo di narrativa poliziesca o che abbia al centro un crimine. Così, per dirne una, si persiste nel definire noir i romanzi di Andrea Camilleri che, se avessero bisogno di un’etichettatura, dovrebbero essere considerati polizieschi, sia pure anomali; divengono retroattivamente noir persino i mistery molto tradizionali di Renato Olivieri e i romanzi esotici o a sfondo storico-politico di Pino Cacucci.

Certo, la definizione di noir non è facile. La più frequente che capita di udire è questa: la soluzione di un caso criminale, che nel contesto di un giallo risolve il caso, in un romanzo nero non scioglie la problematica che aveva condotto al delitto, destinata a prolungarsi — e a inquietare — anche oltre la chiusura della specifica vicenda narrata. Ciò è grosso modo esatto, però anche un po’ vago. Potrebbe per esempio applicarsi alla serie gialla Calamity Town di Ellery Queen, o a tantissimi romanzi di Simenon.

Sta di fatto che il noir non offre soluzioni consolanti, e questo è un punto fermo. A cui va però aggiunta una caratteristica altrettanto saliente: l’assenza di gabbie narrative e la riluttanza all’etichettatura. E abbastanza eloquente che S.S. Van Dine, feroce conservatore, per non dire protofascista, fissasse alle soglie degli anni Trenta un proprio decalogo del giallo, nello stesso momento in cui il marxista Dashiell Hammett le violava quasi tutte. L’uno stabilizzava il poliziesco, l’altro fondava il noir (nella sua versione detta hard boiled); e la differenza del secondo, rispetto al primo, era che i detective hammettiani si trovavano immersi nello stesso mondo criminale che combattevano, e talora ne facevano parte (come l’indimenticabile giocatore alcolizzato Ned Beaumont, protagonista de La chiave di vetro). Inoltre, spesso nelle loro avventura entrava in gioco la società tutta intera, vista con gli occhi pessimisti di un radicale. Cosa che non è dato trovare né in Van Dine, né in Agatha Christie, né in varie migliaia di imitatori più meno abili di Conan Doyle.

Libertà narrativa che troviamo in seguaci ideali di Hammett, che però si differenziano dal modello, estendendone i confini: sia che rinuncino del tutto alla figura dell’investigatore, cedendo il ruolo di protagonista a emarginati o criminali (Jim Thompson, David Goodis, Donald E. Westlake con lo pseudonimo di Richard Stark, James Hadley Chase, Jean Patrick Manchette, ecc.), sia che si soffermino su patologie individuali o di matrice sociale (Cornell Woolrich, James Ellroy, Derek Raymond), sia che chiamino direttamente in causa il sistema politico e le molte ineguaglianze che ricopre (ancora Manchette, Didier Daeninckx e buona parte del néo-polar francese).

Sta di fatto che, prendendo in mano un noir, siamo sicuri di incontrarvi delitti e attività criminali; non siamo invece certi che lo svolgimento sarà quello di un romanzo poliziesco più duro del consueto Può invece trattarsi di qualsiasi cosa: dal racconto di una rapina e di una fuga, alle conseguenze drammatiche di una vita disperata, a una storia di spionaggio fuori dei canoni. La regola è quella di non avere regole, tranne forse una: l’adozione di un linguaggio essenziale di forte intonazione realistica, tanto da sfociare talora nell’iperrealismo. Ma nemmeno questo va considerato un dogma.

In Italia, quanto detto finora non è stato ancora recepito del tutto. Il fatto è che, sebbene il romanzo nero circolasse da decenni (con le storiche collane di Mondadori, Longanesi o Garzanti, con la collezione Maschera Nera curata da Oreste Del Buono, con le storie durissime di Giorgio Scerbanenco, ecc.), si è cominciato a parlare veramente di noir quando un gruppo di nostri autori, in molti casi bravissimi, ha cominciato a definire così i propri lavori. Eppure, se la qualità dei delitti si è fatta più efferata della norma, la funzione consolatoria del racconto giallo è stata ripresa in pieno. Continua a dominare le storie la figura del poliziotto problematico sì, ma senza macchia, e certo di sapere da che parte stia la giustizia. E se la società viene chiamata alla sbarra, a essere processati non sono i suoi intimi meccanismi, bensì le sue perversioni epidermiche. Malgrado i generosi sforzi di taluni editori (Meridiano Zero con Raymond, Guanda con Hammett, Einaudi con Manchette, Fanucci con Goodis e Thompson) la nozione di noir, in Italia, è lungi dall’essersi impiantata per davvero.

Per fortuna, in tanta confusione anche editoriale, c’è chi ha le idee chiare. Si tratta di Jacopo De Michelis, creatore della collana Marsilio Black, ospitata dall’editore veneziano ma dotata di ampia autonomia. De Michelis ha fatto una scelta coraggiosa: quella di collocare la sua Black agli estremi limiti del noir, dove non esistono vie di ritorno in direzione del giallo convenzionale. A questo fine, si direbbe, ha frugato gli angoli del mondo, radunando una serie di titoli sfuggiti all’attenzione di editors meno scrupolosi.

La grande scoperta è l’australiano Andrew Masterson, personaggio singolare (ha tutta l’aria del teppista reduce da un migliaio di risse) autore di romanzi ancor più singolari. In entrambi i titoli usciti presso Marsilio Black, Gli ultimi giorni e Il secondo avvento, l’investigatore di turno si chiama Joe Panther. Solo che è anche spacciatore di droga e, come se non bastasse, crede di essere, o magari è, Gesù Cristo (figlio del legionario romano Pantera, secondo Celso e alcuni apocrifi). Un Cristo amareggiato e rabbioso, che da secoli si trascina sulla terra lamentando l’ingratitudine degli uomini e della società che hanno creato. Uno schizofrenico, si penserebbe; se non fosse che alcuni ragionamenti teologici inducono a temere che sia proprio chi dice di essere.

Altro autore quanto mai originale il francese François Muretet, autore del brillante Fermate le macchine. Qui è di scena il conflitto sociale che agita una piccola azienda automobilistica, fino a trasformarsi in guerra aperta tra una moltitudine composta da operai indisciplinati, spie padronali, avvocati corrotti, sindacalisti venduti e sindacalisti di base. Dove l’elemento “nero” risiede proprio nella vita di fabbrica, tale da porre più di un dubbio a qualsiasi fautore del neoliberismo.

Altri scrittori proposti da Marsilio Black sono la neozelandese Stella Duffy, i cui romanzi (Calendar Girl, La settima onda) eccedono dall’impianto consueto del giallo per via delle idee radicali dell’autrice, socialista e militante lesbica; l’inglese Denise Danks, autrice di un thriller ambientato nel mondo degli hackers (Phreaks) che è forse il migliore in assoluto in quel filone; e l’americano Tim McLoughlin, che con Via da Brooklyn alterna momenti noir a quadri di vita familiare di notevole intensità.

L’ultima scoperta di Marsilio Black, paragonabile per impatto a quella di Masterson, è però il tedesco Georg Klein, autore di Libidissi: immaginaria città mediorientale in cui, come nella Tangeri dei film di un tempo, prolifera ogni corruzione, non ultima quella delle spie che la hanno eletta a loro nido. Testimone di un allarmante cambiamento di regime che sta per investire la metropoli è per l’appunto una spia: un agente segreto col corpo devastato da intrugli inebrianti e dai medicinali di cui si imbottisce; senza però che possa sottrarre il proscenio a Libidissi stessa e al liquame morale e umano che la inonda.

Fin qui i titoli proposti da Marsilio Black. La caratteristica comune, lo si sarà intuito, è che una volta preso il libro in mano, non si sa in quale girone infernale ci si dovrà aggirare. Un connotato fondamentale del noir correttamente inteso; ma anche un connotato del genere tragedia, di cui il noir, quando è padrone dei suoi mezzi, non è che la variante contemporanea.

Scheda – Il genere noir in otto titoli fondamentali

  • Dashiell Hammett, Piombo e sangue, Guanda 2002 – Un romanzo divenuto un archetipo, ispiratore di Kurosawa e Leone.
  • Jim Thompson, L’assassino che è in me, Fanucci 2003 – La trama è disegnata dal destino e dalla sua crudeltà.
  • David Goodis, Sparate sul pianista, Fanucci 2003 – La parola passa agli sconfitti dalla vita.
  • Jean-Patrick Manchette, Posizione di tiro, Einaudi 2004 – Il noir raggiunge la perfezione stilistica quasi assoluta.
  • James Ellroy, Dalia Nera, Mondadori 2004 – Protagonista è la metropoli con la sua corruzione.
  • Derek Raymond, Il mio nome era Dora Suarez, Meridiano Zero 2000 – L’angoscia spinta ai limiti del tollerabile.
  • Jean-Claude Izzo, Vivere stanca, E/O 2001 – Incrociarsi di vite in una Marsiglia meticcia, riassunto del mondo.

Infine un classico non ristampato da decenni:

  • James Hadley Chase, Niente orchidee per Miss Blandish – Una riscrittura nerissima di “Santuario” di Faulkner. A suo tempo fece scuola.
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Il mio nome era Dora Suarez, di Derek Raymond https://www.carmillaonline.com/2018/12/11/il-mio-nome-era-dora-suarez-di-derek-raymond/ Mon, 10 Dec 2018 23:01:45 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=50013 Fanucci Time Crime, Roma 2016, pag. 199 € 14,90

di Mauro Baldrati

Nella quarta di copertina di questa edizione troviamo uno strillo dal sito Contorni di noir: “Derek Raymond è la quintessenza del noir”. La definizione è quanto mai centrata. Questo non è solo un romanzo noir. E Derek Raimond, un maestro dimenticato del noir inglese, non è solo un autore di genere. E il suo eroe, il sergente senza nome della sez. “Casi irrisolti” della stazione di polizia di Poland Street, non è solo il narratore della storia. E’ tutto fuso, tutto [...]]]> Fanucci Time Crime, Roma 2016, pag. 199 € 14,90

di Mauro Baldrati

Nella quarta di copertina di questa edizione troviamo uno strillo dal sito Contorni di noir: “Derek Raymond è la quintessenza del noir”. La definizione è quanto mai centrata. Questo non è solo un romanzo noir. E Derek Raimond, un maestro dimenticato del noir inglese, non è solo un autore di genere. E il suo eroe, il sergente senza nome della sez. “Casi irrisolti” della stazione di polizia di Poland Street, non è solo il narratore della storia. E’ tutto fuso, tutto contaminato e collegato. A pag. 132 il sergente dice: “Per me il fronte è la strada, e sono costretto a vederla tutti i giorni. La vedo, la mangio, ci dormo e la sogno. Io sono la strada”. Basterebbe sostituire la parola “strada” con “noir” per avere la mitopoiesi di Raymond.

“Io sono il noir”.
Proprio come Kafka scrisse: “Io sono letteratura”.

Infatti il noir, in questo romanzo che forse è il più sperimentale, il più duro, e per alcuni il più insostenibile della serie Factory, il nero – il male – permea ogni pagina, ogni voce, ogni luogo. E’ nelle cellule dell’assassino, Tony Spavento, che incontriamo subito, fin dalla prima pagina. Raramente uno scrittore è riuscito a calarsi con una simile chiaroveggenza nell’anima scalena di un pazzo criminale. E’ sgradevole, per certi aspetti insopportabile una tale simbiosi alla quale l’autore ci obbliga. Sorge il sospetto che una simile perfezione dei dettagli e dei pensieri di un essere “non civilizzato” sia possibile solo se l’autore utilizza le proprie emozioni, lavorandole fino a farne una bomba a frammentazione della follia. Insomma, il nero che è in lui – il mostro che è in lui? Forse un precedente può essere Raskol’nikov, o il Thomas Bishop del capolavoro di Shane Stevens Io ti troverò. E poco altro. Ma Raymond va oltre, con la sua scrittura scavata, chirurgica. Ci fa sentire che Tony Spavento non solo è realistico, ma possibile. Può esistere, forse esiste davvero. E per questo è particolarmente inquietante.

Il nero è anche nell’ambiente, e nei personaggi. E’ nei superiori del sergente, che lui umilia continuamente, sbeffeggiandoli e insultandoli con parole taglienti come rasoi. E loro incassano, perché hanno bisogno di lui, l’unico che può risolvere i casi disperati, i casi degli ultimi, quelli di cui i media non parlano: quel dannato, insopportabile sergente che non ha rispetto per le regole, che se ne frega della carriera.

Il romanzo si apre con l’assassino che massacra due donne, Dora Suarez e una vecchia che si trova nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Arriva a bere il loro sangue, a masticarne le carni, si masturba sui cadaveri.

Così i capi della polizia decidono di richiamare in servizio il famigerato sergente, dopo che era stato buttato fuori dalla Factory (il nome in gergo della sezione di polizia, che dà il titolo alla serie). Lui torna, e come non potrebbe? Non sa fare altro. Torna ma non ringrazia, anzi, gliela fa pagare: “Toglietevi dalle palle maledetti bastardi, alzate quel culo scaldasedie, non statemi tra i piedi con quel cervello da topo e il vostro carrierismo”. Non è una citazione ma lo stile e la lingua sono questi.

Il sergente si mette alla ricerca dell’assassino, come spinto da una missione, o un’ossessione. Non dorme, mangia quando capita. Vuole vendicare Dora Suarez, vuole ridarle dignità. E vuole togliere dalla circolazione quel demone. Percorre una Londra oscura, dannata, fino a un orripilante bordello dove ogni umanità è morta e dove sgorga la fonte del male. Il male lo perseguito, lo schiaccia: “A volte mi sento così oppresso dal male che potrei impazzire come mia moglie Edie” (pag. 171). Lo combatte con l’ostinazione di un cavaliere senza macchia, un Parsifal metropolitano. Prova una pietà immane per Dora, legge i suoi diari, le parla, arriva a dichiararsene innamorato. Si innamora di una ragazza fatta a pezzi, con un passato disumano. Diventa un poeta nero, dove la vita e la morte si dibattono nel loro mistero: “Esaminando la vita e le morti altrui mi sto preparando, più o meno consapevolmente, ad avvicinarmi alla mia” (pag. 169). Il sergente è davvero un eroe, implacabile coi nemici, i corrotti, gli sfruttatori, tenero e compassionevole coi deboli. Dentro resta puro, e va avanti come un lanciere in un torneo medievale.

E non è vero che non abbiamo bisogno di eroi. Quando tutto va in disfacimento, e il pianeta stesso si trova in pericolo, e dilagano l’apatia, la rassegnazione e i sentimenti bassi, restano loro a tenere le “casematte”. A combattere.
Anche per noi.

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