debito – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 30 Apr 2025 21:35:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Cui prodest? https://www.carmillaonline.com/2014/01/16/cui-prodest/ Thu, 16 Jan 2014 00:00:58 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=11999 di Sandro Moiso

  cittadino1Confusion will be my epitaph” (Epitaph, King Crimson 1968)

Se i macroscopici errori contenuti nel recentissimo sceneggiato televisivo, trasmesso su Rai 1, dedicato al commissario Calabresi fossero soltanto da attribuire alla grossolanità della sceneggiatura e all’insipienza della regia non ci sarebbe di che stupirsi. Né, tanto meno, ci sarebbe argomento del contendere: da più di vent’anni ormai il cinema e gli sceneggiati televisivi italiani, a parte pochi e rarissimi casi, fanno cagare.

L’impressione che però si ha di fronte alle attuali produzioni televisive e cinematografiche (dalla serie “Gli anni spezzati”, che ruba il titolo ad un [...]]]> di Sandro Moiso

 
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Confusion will be my epitaph” (Epitaph, King Crimson 1968)

Se i macroscopici errori contenuti nel recentissimo sceneggiato televisivo, trasmesso su Rai 1, dedicato al commissario Calabresi fossero soltanto da attribuire alla grossolanità della sceneggiatura e all’insipienza della regia non ci sarebbe di che stupirsi. Né, tanto meno, ci sarebbe argomento del contendere: da più di vent’anni ormai il cinema e gli sceneggiati televisivi italiani, a parte pochi e rarissimi casi, fanno cagare.

L’impressione che però si ha di fronte alle attuali produzioni televisive e cinematografiche (dalla serie “Gli anni spezzati”, che ruba il titolo ad un bellissimo film-antimilitarista ed anti-imperialista di Peter Weir, all’ancor recente “Il romanzo di una strage”) è che tale superficialità sia voluta. Una confusione di simboli, affermazioni e ricostruzioni raffazzonate che non dipende soltanto dalla mano degli autori, in alcuni casi, anche se non sempre, di destra. Ma che dipende, invece, da una ben precisa volontà di sovvertire l’ordine e il significato storico, politico e sociale degli avvenimenti rappresentati.

Lotta di classe è brutto” potrebbe essere il titolo sotto cui raccogliere tali capolavori che, in tutte le loro varianti, tendono a rimuovere e negare la centralità della lotta di classe non solo nella storia d’Italia, ma nella storia della specie umana. Che torna ad essere determinata soltanto dai sentimenti, dalle passioni e dai drammi, tutti rigidamente ed esclusivamente “individuali”. Una sorta di neo-romanticismo che del Romanticismo originario perde ogni passione politica per meglio adeguarsi alle esigenze del potere. Anzi, scusate, del capitale.

Il politico, come frutto delle contraddizioni dei modi di produzione e dello scontro tra le classi al fine del soddisfacimento di obiettivi sociali ed economici affatto diversi, scompare. I papi sono uomini come gli altri a cui è toccato un troppo gravoso compito; i commissari di polizia sono dei poveracci incompresi dalle loro vittime; gli agenti di polizia che manganellano o uccidono i dimostranti sono figli del popolo e lo Stato è di tutti, anche se, essendo un organismo imprescindibile per la convivenza umana, talvolta può sbagliare. Evviva!
Il prossimo manuale di storia per le superiori sarà scritto da Susanna Tamaro e Federico Moccia.
cittadino2 Purtroppo, però, la storia è vecchia, anche quella di queste evidenti contraffazioni della realtà e della verità. Un tempo si chiamava teoria degli opposti estremismi. Oggi si nasconde più velatamente dietro ad un generico ed istituzionale antifascismo che definisce come reazionario e populista, quando non terroristico tout court, qualsiasi episodio, violento o meno, che tenda a sfuggire all’ordito politico programmato dalle forze di governo.

D’altra parte, per chi è convinto che la creatività e l’intelligenza non derivino dall’alto dei cieli e nemmeno da qualche particolare secrezione ghiandolare ancora sconosciuta, la scarsa capacità di intendere e rappresentare il proprio tempo non può che essere riconducibile alla scarsa conflittualità sociale messa in atto dalle classi e dagli attori che dovrebbero rappresentare il nuovo che viene. Il sol dell’avvenire si sarebbe detto un tempo. Che, oggi, tarda a sorgere dando, invece, luogo ad un lungo, trascolorante e scarsamente illuminato crepuscolo.

Si sa, anche la luce crepuscolare, delle albe e dei tramonti, fu cara ai romantici. Ma è una luce che non permette di veder bene, talvolta è accompagnata dalle brume e il paesaggio diventa confuso.
Come per un difetto di astigmatismo si intuiscono le forme, ma non si individuano chiaramente i contorni. Ma sarebbe meglio dire, in questo caso, i fatti. Gli eventi e non soltanto le trame.
Che come si sa, possono essere costantemente riscritte, come in un eterno e poco lungimirante re-make cinematografico hollywoodiano.

Se nel 1970 Elio Petri poteva dirigere uno strepitoso Gian Maria Volontè nel ruolo del commissario Calabresi, pur senza mai nominarlo esplicitamente e pur non riconducendo la trama ai fatti della Questura di Milano, nel film “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, ciò non era dovuto soltanto all’ingegno del regista, ma, anche, allo spirito dei tempi. Nessuno si indignò allora per il fatto che Petri non indicasse il personaggio con il suo effettivo nome e cognome, così come una certa sedicente sinistra ha fatto nei confronti di Daniele Vicari e del suo “Diaz”, né che il film non ricostruisse fedelmente gli avvenimenti successivi alla strage di piazza Fontana.
Chi voleva capire, capiva. E, allora, tutti capirono.

Ora, certo, non è più così. Nell’ottica controriformistica e revisionistica attuale il pubblico deve essere preso per mano ed accompagnato…il più possibile lontano dalla realtà. E, si faccia bene attenzione, questo non è da attribuire soltanto ad uno sforzo specifico degli autori, ad una loro ben precisa volontà. No, anche loro sono figli del loro, miserrimo, tempo. Marx scriveva in una lettera del luglio del 1871 all’amico Kugelmann: ”Fino ad ora si era creduto che la formazione dei miti cristiani sotto l’impero romano fosse stata possibile solo perché non era ancora stata inventata la stampa. Proprio all’inverso. La stampa quotidiana e il telegrafo, che ne dissemina le invenzioni in un attimo attraverso tutto il globo terrestre, fabbrica più miti (e il bue borghese ci crede e li diffonde) in un giorno di quanto una volta se ne potevano costruire in un secolo”. Sostituite o aggiungete cinema, televisione e rete e avrete lo stesso risultato moltiplicato per milioni di volte.

Certo la carta stampata ha ancora il suo peso e l’ultimo libro di Benedetta Tobagi1 lo dimostra fin troppo bene. Uscito in netto anticipo rispetto alle celebrazioni del quarantennale della strage di Piazza della Loggia, avvenuta il 28 maggio 1974, è diventato già un must. Almeno in quel di Brescia. E, guardate bene, nel caso specifico non vi è nulla di strano nel fatto che, in una città ferita da uno degli attentati più mirati della cosiddetta strategia della tensione, la tensione emotiva e l’attenzione siano ancora alte nei confronti di tutto ciò che riguarda quel sanguinoso episodio. Né nel fatto che la Tobagi, figlia di quel Walter che fu vittima di uno dei più odiosi e beceri attentati attribuibili ad una formazione armata di sinistra, cerchi di ricostruire le vite e il dramma di alcune delle vittime e gli affetti di coloro che sono loro sopravvissuti.

Il libro annoda, collega, ricostruisce fatti, trame e personaggi dell’allora pericolosissimo e spregevole terrorismo nero, attraverso la ricostruzione dei vari processi, in particolare dell’ultimo chiusosi nel 2010, che cercarono di individuare i colpevoli dell’attentato bresciano senza mai giungere alla condanna degli effettivi esecutori e dei mandanti dello stesso.
Non mancano i particolari, non mancano i precisi riferimenti ai responsabili dei servizi segreti e alle responsabilità della DC e dei governi di allora, non mancano la tensione e i depistaggi che da sempre hanno accompagnato la ricostruzione di quelle vicende. Ma ciò che manca è proprio ciò che di un’inchiesta o di una ricostruzione storica dovrebbe costituire la forza e il metodo: l’obiettività.

Certo, potrebbe dire l’autrice, voler ricostruire anche il punto di vista e i sentimenti delle vittime e dei loro parenti obbliga la scrittura a perdere di obiettività per provare a ricostruire ambienti e sensazioni come la nuda cronaca e la Storia non potrebbero fare. Manzoni docet, appunto.
Questo sarebbe ancora accettabile e spesso le migliori interpretazioni della storia o di eventi complessi sono venute più dalla letteratura che dagli studi istituzionali. Ma, c’è sempre un ma…. e in questo caso è grosso come una casa.

L’autrice si sforza talmente di comprendere le ragioni e i sentimenti di tutti che non può fare a meno di partecipare ad un dibattito a Casa Pound (insieme ad alcuni rappresentanti della Casa della memoria di Brescia) proprio sull’argomento e, ancor peggio, sottolineare, in più di una pagina, come molti giovani di destra si sentissero spinti verso Ordine Nuovo o le azioni armate della destra estrema a causa delle continue aggressioni a cui erano sottoposti, soprattutto a scuola o all’Università.2

Ora vorrei rimanere distante dall’antifascismo più scontato, ma vorrei ricordare alla Tobagi che una simile posizione ribalta assolutamente la realtà storica. E’ vero: i fascisti nelle grandi città, da Milano a Roma e a Torino, passando per un bel numero di città minori, ne presero tante, ma proprio tante. Ma solo dopo che, in seguito a continue e proditorie aggressioni, l’estrema sinistra iniziò ad organizzarsi per rispondere a siffatte violenze. Che, in molti casi, furono rispedite ai mittenti con un sovraccarico di interessi. Perché, dalle barricate di Parma nel ’22 fino agli anni settanta la teppa fascista e reazionaria avrebbe potuto essere facilmente sconfitta e rimossa dalla scena politica se non fosse stato per l’intervento, in sua difesa, delle forze dell’ordine e dello stato, anche all’ombra di una costituzione che ha finito col vietar solo formalmente la ricostituzione del partito fascista. Che resta, nelle sue infinite sfaccettature, un imprescindibile strumento di dominio del capitale, alla faccia delle fregnacce sulla destra sociale e no global.

L’uso delle squadracce fasciste per terrorizzare e reprimere i lavoratori e gli oppositori politici, però, dovrebbe averlo studiato anche l’autrice sui più banali testi scolastici di storia, fu una pratica costante da parte degli agrari e degli imprenditori sia negli anni venti del secolo appena trascorso, sia negli anni ’50, ’60 e ’70 per impedire la ripresa della lotta di classe. Servi erano, servi sono rimasti e servi saranno sempre. Punto e a capo, anche perché non è sul ruolo delle squadracce nere che intendo tediare il lettore.

L’uso strabordante e, per forza di cose, poco asettico dei sentimenti porta, poi, l’autrice a costellare il testo di numerosi e costanti richiami “al mio papà” che, se potevano essere giustificati nel suo primo libro3 tutto teso a ricostruire la figura paterna e le vicende che avevano portato al suo assassinio, appaiono in quest’altro contesto decisamente qui fuori luogo. Ma soltanto ad una prima e superficiale lettura.

Perché, in realtà, in questa sorta di “Va dove ti porta il cuore” della storia di una fase della strategia della tensione, l’uso del linguaggio e la formulazione delle frasi e delle affermazioni in esse contenute non è mai casuale né, tanto meno, innocente come si vorrebbe fingere che fosse. Così che ad un certo punto il lettore scopre che le Brigate Rosse non uccisero il fratello di Patrizio Peci per vendicarsi del suo pentimento e della successiva delazione, ma il suo “fratellino”. Pur non cambiando di una virgola l’inutilità e il senso di quel delitto, la parola fratellino, inserita senza alcun riferimento all’età della vittima (25 anni, mentre il fratello “pentito” ne aveva all’epoca 28), tende ad aggravare la posizione dei colpevoli suggerendo, all’ignaro lettore, che si sia trattato dell’uccisione di un bambino.
zibecchi
Così, anche quando il testo sembra più obiettivamente descrivere le lotte e le vittime di sinistra in quegli anni, la Tobagi non manca mai di incorrere in qualche clamoroso scivolone che, come minimo, dimostra la superficialità, direi a tratti la trasandatezza, con cui ha affrontato le questioni riguardanti l’ estrema sinistra. Con uno svarione degno di essere qui segnalato, Giannino Zibecchi finisce di essere ucciso da un candelotto che lo colpisce al petto (pag. 206) e non schiacciato dalle ruote di un mezzo dei carabinieri che ne fece schizzare il cervello a qualche metro di distanza.4 Ma questo, no, non andava bene dirlo perché la polizia uccide per sbaglio con qualche candelotto sparato ad altezza d’uomo, mentre gli estremisti di sinistra uccidono perfino i bambini.

E poi guardi, cara Benedetta, ad essere ucciso da un candelotto al cuore fu Saverio Saltarelli, simpatizzante del Movimento Studentesco, che morì a 23 anni durante gli scontri di piazza avvenuti a Milano il 12 dicembre 1970, ucciso da una bomba lacrimogena sparata dai carabinieri ad altezza d’uomo. All’epoca, sull’episodio, fu scritta anche una canzone. Sono dati che si trovano anche, e facilmente, su Wikipedia. Se solo avesse voluto, non sarebbe stato difficile, soprattutto per una ricercatrice attenta come Lei che non dimentica mai di sottolineare ad ogni piè sospinto come il suo interesse per la strategia della tensione le sia costato anni di lavoro, ricerche e sofferenze, rintracciare maggiori elementi di precisione ed obiettività da utilizzare nella ricostruzione del clima politico italiano prima e dopo la strage di Piazza della Loggia.

Si può far risalire una tale incuria ad una ben precisa volontà di falsificazione? Ad una mente obnubilata dal dolore per una perdita violenta di cui non è mai stato adeguatamente elaborato il lutto? No, il problema di fondo è un altro. E corrisponde, esattamente, a quello che è stato detto all’inizio. E non dipende soltanto dall’autrice. O, almeno, non del tutto. Perché quella che trionfa nel testo qui affrontato, così come in tutte le rappresentazioni attuali della storia degli anni sessanta e settanta, è la vulgata storico-politica di marca PCI – PDS – PD, quella che afferma che tutto ciò che è avvenuto in quegli anni fosse dovuto ad una superiore volontà di impedire l’affermazione democratica del Partito Comunista come partito di governo del paese. Dalle bombe di Piazza Fontana alla lotta armata dei gruppi di sinistra, passando per Piazza della Loggia, la strage del treno Italicus5 , il sequestro Moro e tutto il resto. The Great Complotto! Oh, Yeah!

Ora, che la particolare posizione geografica dell’Italia nel Mediterraneo abbia sempre fatto sì che questa fosse una sorta di “sorvegliato speciale” per la politica dei servizi segreti americani, francesi, israeliani e sovietici non vi può essere alcun dubbio. Le ricostruzioni contenute in tante inchieste e le rivelazioni, per quanto parziali e probabilmente distorte, di quelle buone anime di Cossiga e di Andreotti non lasciano molti dubbi in proposito. Ma che tutto ciò che è avvenuto in Italia sia stato, sempre e soltanto, dovuto principalmente alla volontà di impedire l’entrata al governo del PCI…beh, è davvero poco convincente e sicuramente limitante dal punto di vista della ricostruzione storica e politica.

Considerato che, quel partito, dalla svolta di Salerno all’amnistia Togliatti, dal compromesso storico di Enrico Berlinguer ai viaggi negli USA di Giorgio Napolitano6 e dalle proposte di revisione pacificatrice della Resistenza da parte di Luciano Violante fino agli inciuci di D’Alema e Renzi con Berlusconi, ha fatto di tutto per tranquillizzare gli alleati Nato, i democristiani e anche la destra. Tutto ciò per meritare il peso che ha rivestito nella gestione della politica e dell’economia italiana degli ultimi trentacinque anni. Mentre, allo stesso tempo, tale vulgata ha contribuito a rimuovere quasi del tutto le contraddizioni di classe e le loro manifestazioni politiche non solo dalle politiche del PCI, ma anche dalla storia e, soprattutto, dalla mente di coloro che di tali contraddizioni e lotte dovrebbero essere i maggiori protagonisti: i lavoratori e i giovani. Sempre invocati e sempre gabbati. Fino a spingere frange di essi a simpatizzare per le espressioni della destra più oltranzista che si possono rilevare nell’attuale movimento dei forconi.

Sì, perché quegli attentati di destra e quella strategia della tensione erano ben diversi nelle finalità da ciò che fu confuso da alcuni, a sinistra, come preparazione dello scontro rivoluzionario decisivo e cioè la lotta armata portata avanti dalle organizzazioni guerrigliere. Entrambe le esperienze furono certamente infiltrate dalle forze del dis/ordine statale, ma la prima fu diretta a creare un fronte comune della borghesia nazionale e d internazionale contro l’ondata di lotte che percorreva l’Italia dalle scuole alle fabbriche, dalle regioni arretrate a quelle più sviluppate, ed ogni aspetto della società. Contro il cambiamento era diretta la strategia della tensione che fu, effettivamente controrivoluzionaria. E che non ha mai cessato di essere messa in atto, come dimostrano bene l’attentato messo in atto alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980 o quelli che accompagnarono il periodo della cosiddetta trattativa Stato-Mafia o, ancora, l’attentato in diretta televisiva che ha accompagnato l’insediamento del Governo Letta il 28 aprile 2013. Oppure, ancora, fatti strani come le presunte recentissime minacce al senatore Sì TAV Esposito del PD, evidentemente destinate a criminalizzare ulteriormente il movimento No TAV.

Nella sparatoria davanti a Palazzo Chigi realtà e fiction televisiva sembrano addirittura essere giunte ad una insuperata sintesi, anticipando, con qualche colpo di pistola e due carabinieri feriti, il refrain che poi sarebbe diventato comune da quel giorno in poi: il pericolo dell’instabilità di governo e i rischi presenti in tutte le manifestazioni (definite come terroristiche se di classe e populistiche se espressione della destra) contrarie al suo agire e a quello della BCE. Altro che Sorrentino, ancora una volta il Golden Globe se lo sarebbe meritato il regista di quella vicenda. Prodotta sicuramente con una joint-venture tra diversi e contrastanti interessi e lo Stato come supremo mediatore.

In molti hanno, nel tempo, giocato allo stesso tavolo: servizi segreti nel pieno delle loro capacità (altro che deviati!), Democrazia Cristiana, Stati Uniti, destra estrema e moderata e, naturalmente, anche il PCI-PDS-PD. Ognuno cercò di tirare acqua al proprio mulino, ma, soprattutto, tutti concordarono sul fatto che quella stagione di lotta dovesse finire prima di diventare troppo pericolosa. Insomma, per quanto riguardava i proletari insorgenti di quegli anni, parafrasando Dante Alighieri, non li voleva l’Inferno capitalista che cercavano di rovesciare e non erano certo amati dal PCI che al di là del voto da loro non voleva altro, per non essere meno bello agli occhi della borghesia “illuminata” ( Ma chi? Gli Agnelli forse? O la sinistra DC?).

Certo la Destra minacciava, attentava e ammazzava ed anch’essa aveva un suo ben preciso piano per risolvere il problema…e un prezzo sarebbe stato pagato anche dal PCI. E allora perché non cogliere due piccioni con una fava e indirizzare una parte dell’organizzazione politica autonoma che cresceva nelle fabbriche e nelle scuole, anti-autoritaria e anti-capitalista, contro il pericolo di un colpo di stato e contro il fascismo? Inteso, quest’ultimo, solo come deviazione dal quadro democratico che il PCI e il capitalismo illuminato intendevano garantire per i secoli a venire? Far fuori gli avversari più agguerriti, sviando la furia di massa dalla lotta contro il capitale verso la difesa della legalità e dello Stato.

In fin dei conti, dalla guerra civile spagnola in poi, l’alleanza tra forze rivoluzionarie e Stato in chiave anti-fascista si è sempre trasformata in un bagno di sangue per i giovani e i proletari. La sussunzione dell’autonomia di classe all’interno delle strategie borghesi ha sempre portato ad una disfatta politica e militare di coloro che aspiravano ad un superamento radicale della società divisa in classi. In maniera drammatica nel 1939 con la cessazione degli aiuti internazionali e il patto Ribbentrop- Molotov, che portò alla fine di qualsiasi assistenza alla Repubblica spagnola, ma anche nella Resistenza con la sottomissione dell’antifascismo di classe ai compromessi con l’inossidabile classe dirigente italiana. Alla fine, le forze politiche che rappresentano variamente gli interessi del Capitale hanno sempre trovato e troveranno sempre un accordo a discapito dei lavoratori dopo aver contribuito a dissanguarne le forze.

La Tobagi cita nella bibliografia il testo di Guido Panvini “Ordine nero, guerriglia rossa. La violenza politica nell’Italia degli anni sessanta e settanta (1966 – 1975)”, pubblicato da Einaudi nel 2009. Ma ancora una volta si lascia sfuggire qualcosa che avrebbe potuto minare la sua fiducia nella bontà della narrazione pidista. Infatti nel testo di Panvini, a pagina 128, troviamo un interessante estratto dai Verbali della direzione del Partito Comunista del 27 gennaio 1971, in cui a parlare è proprio quell’Umberto Terracini da lei, indirettamente, tanto stimato:”[…] nella tattica di rispondere all’indomani di ogni azione squadrista con una manifestazione […] Se non si arriva a una giornata di battaglia dando l’indicazione di mettere a posto, luogo per luogo, i fascisti e le loro sedi […] non si conclude nulla. Questo tipo di reazione […] non possiamo farlo noi come PCI. Ma deve essere una proposta che formuliamo, alla quale altri aderiscano, per poi passare all’azione”.

Chiaro era il riferimento al coinvolgimento della sinistra extraparlamentare, anche se Luigi Longo e Enrico Berlinguer si opposero. Per riprenderla poi più tardi quando, a seguito di altri attentati alle sedi e ai militanti dei partiti della sinistra istituzionale da parte dei fascisti, Longo propose addirittura la costituzione di una struttura scientifico-militare, organizzata in piccole unità che potessero rapidamente muoversi ed agire.7 Ma chi ebbe l’occasione di partecipare alle ronde all’alba, organizzate dai servizi d’ordine dei movimenti extraparlamentari di sinistra insieme ai militanti del PCI, in previsione di un possibile golpe, sa bene come tale proposta fosse ancora una volta più di facciata che di sostanza. Perfettamente compatibile con la strategia del doppio binario ideata da Togliatti come supremo specchietto, più per gli allocchi che per le allodole.

Poi, però, quando il golpe di Junio Valerio Borghese fu scoperto davvero, il PCI cambiò ancora una volta strategia: premere sulle istituzioni democraticamente e lasciare agli ultra-sinistri il compito di contenere i fascisti. Fino alle elezioni amministrative del 1975. Dopo la vittoria del PCI in quell’occasione, l’estremismo fu abbandonato e i membri dei servizi d’ordine, divenuti ormai troppo ingombranti per l’immagine che il PCI voleva dare di sé, furono criminalizzati. Di nome (fascisti rossi) e di fatto. Gli opposti estremismi costituirono così non più solo il cavallo di battaglia delle montanelliane maggioranze silenziose, ma anche della sinistra parlamentare. Finalmente e definitivamente libera di danzare sulla tomba della lotta di classe. Fino ad oggi.

Così che quando, ancora oggi, ci troviamo di fronte alle sviste della Tobagi o agli attacchi, immotivati e condotti al di fuori di ogni giustificato contesto, di Marco Travaglio contro quello che fu il servizio d’ordine di Lotta Continua non si sa davvero se ridere o piangere. Possibile che siate ancora così tanto ignoranti della storia recente? Certo le reticenze di quelli che furono i leader delle maggiori formazioni extraparlamentari, spesso più impegnati a rifarsi una verginità politica e culturale che a contribuire alla fedele ricostruzione degli eventi e delle scelte di quegli anni, non hanno aiutato a fare chiarezza né, tanto meno, scaricando ogni volta ogni responsabilità sugli irresponsabili dei servizi d’ordine (Sì, ma loro dove erano? Chi li avrebbe creati di nascosto all’interno delle organizzazioni?), ad inquadrare obiettivamente i fatti, ma chi ancora oggi osa fingere di scoprire “un sistema che chiamare corruzione è un pietoso eufemismo. Questi non sono corrotti. Questi sono subumani, vampiri, organismi geneticamente modificati che mutano continuamente natura verso la più bruta bestialità grazie all’omertà e all’inerzia di chi dovrebbe controllarli, fermarli, cacciarli”,8 per poi continuare a condannare qualsiasi forma manifesta di lotta di classe, qualche problema ce lo pone.
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La confusione di ruoli, di promesse, di interpretazioni e affermazioni e dei dati (economici, sociali, politici e storici) sembra costituire ormai l’unico stile di governo attualmente possibile e sembra costituire l’unico collante per i rappresentanti di una cultura ormai moribonda. Esattamente come per la Tobagi e per gli autori dei film e sceneggiati citati all’inizio. Finendo proprio col tradire il senso, vero, di quel Io so di Pier Paolo Pasolini9 ripetuto oggi ad libitum e, troppo spesso, a sproposito. Ma, scusate, vien da chiedere: “Ci fate o ci siete?!

Divertente sì, se non fosse che ancora oggi gli opposti estremismi servono, in Italia e in Europa. Dove ogni manifestazione contro le decisioni assassine della Banca centrale e dei banchieri al governo deve essere demonizzata e, possibilmente, criminalizzata. A meno che non sia manifestamente contraria a qualsiasi forma di lotta di classe. Così, mentre in Italia tutti i partiti istituzionali mugugnano contro l’Europa, senza mai proporre di rispedire il debito al mittente senza per forza uscire dall’Europa e dall’euro, in Grecia, con la scusa degli opposti estremismi si usa Alba Dorata per proporre anche la messa al bando di Syriza, e del suo leader Alexis Tsipras, unico partito di opposizione a non cadere nel populismo della destra di stampo fascista, leghista o grillina che sia10 .

Così mentre ad ogni svolta processuale o politica istituzionale i benpensanti di sinistra possono piangere sul fatto che ancora una volta non sono stati individuati e condannati i colpevoli e i mandanti delle stragi, ci si dimentica (anche se ad onor del vero la Tobagi sfiora questo argomento nel suo testo) che, al contrario di quelli di estrema destra o dei servizi, tutti i responsabili degli attentati compiuti dalle formazioni armate di sinistra sono stati condannati a centinaia di anni di carcere. Il depistaggio continua, mentre la teoria degli opposti estremismi rivela qual è la sua reale funzione: quella di liquidare ogni espressione compiuta della lotta di classe.

E allora, signori e signore, la domanda vera cui si deve dare risposta è, ancora una volta: “Cui prodest?A chi giova?

– A cosa doveva servire quella messinscena da buffoni, Dagenham?
– Turba la tua mente legale, eh? Facevano tutti parte del cast della nostra operazione DFCC. Divertimento, Fantasia, Confusione e Catastrofe

(Alfred Bester, Tiger! Tiger!, 1956)


  1. Benedetta Tobagi, Una stella incoronata di buio, Storia di una strage impunita, Einaudi 2013  

  2. Quando il ribellismo di sinistra diventa il nuovo conformismo nelle scuole e nelle università, alcuni vedononel passare dall’altra parte della barricata l’unico modo di essere davvero «contro». «Molti di questi giovani diventano fascisti solo perché, non essendo comunisti, vengono ritenuti tali e trovano ostilità –dice Carlo Fumagalli, l’ex partigiano fondatore del M.A.R. (Movimento di azione rivoluzionaria), dei ragazzi che aveva arruolato – Molti studenti che ho conosciuto sono diventati fascisti soltanto perché, non avendo voluto aderire al Movimento studentesco, furono non soltanto osteggiati, ma anche pestati». In moltissime storie di vita di terroristi neri, ma anche semplici militanti, la scintilla che porta a schierarsi a destra è l’aver subito la violenza dei ragazzi di sinistra, o, essendo stati testimoni, il sentimento cavalleresco di stare dalla parte dei pochi, degli untorelli, degli emarginati” B.Tobagi, op.cit., pag. 236  

  3. Benedetta Tobagi, Come mi batte forte il tuo cuore. Storia di mio padre, Einaudi 2009  

  4. Giannino Zibecchi (28 anni), militante del Coordinamento dei comitati antifascisti, morì investito da un camion dei carabinieri, guidato dal milite Sergio Chiairieri, in Corso XXII marzo a Milano il 17 aprile 1975, durante una manifestazione di protesta seguita alla morte di Claudio Varalli (18 anni), studente presso un Istituto tecnico milanese e aderente al Movimento Lavoratori per il Socialismo, che fu ucciso da un militante di Avanguardia Nazionale il 16 aprile 1975  

  5. La strage dell’Italicus fu un attentato, riconducibile al terrorismo nero, compiuto nella notte del 4 agosto1974 a San benedetto di Sambro, in provincia di Bologna. Nell’attentato morirono 12 persone e altre 48 rimasero ferite.  

  6. Su quest’ultimo argomento si veda il recentissimo testo di Ferruccio Pinotti e Stefano Santachiara, I panni sporchi della sinistra. I segreti di Napolitano e gli affari del PD, Chiarelettere, Milano 2013  

  7. si veda ancora G. Panvini , op. cit, pag. 129  

  8. Marco Travaglio, Il capitale subumano Il Fatto Quotidiano, Domenica 12 gennaio 2014  

  9. Pier Paolo Pasolini, Cos’è questo golpe? Io so, Corriere della Sera del 14 novembre 1974  

  10. Si vedano: Beda Romano, Grecia, emergenza per l’ordine pubblico, Il Sole 24ore, Sabato 11 gennaio 2014 e Antonio Ferrari, L’abbraccio di Toni Negri a Tsipras che imbarazza la sinistra greca, Il Corriere della Sera, Sabato 11 gennaio 2014  

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Expopolis 2015 https://www.carmillaonline.com/2014/01/07/expopolis-2015/ Mon, 06 Jan 2014 23:02:01 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=11845 di Roberto Maggioni

expopolis4

[ExpoPolis è il libro collettivo di Off Topic e Roberto Maggioni (Agenzia X, 2013, pp. 176, € 11,10). Uscito in libreria lo scorso giugno (cerca qui la prossima presentazione), è l’unica pubblicazione non convenzionale sulla Milano che cambia con Expo 2015. Il testo che riportiamo di seguito è stato letto il 14 dicembre scorso da Roberto Maggioni allo Slam X @ Csoa Cox18 Milano].

Ok, allora, partiamo dall’inizio: Expo 2015 è un evento privato.

Ma come un evento privato? Expo 2015 [...]]]> di Roberto Maggioni

expopolis4

[ExpoPolis è il libro collettivo di Off Topic e Roberto Maggioni (Agenzia X, 2013, pp. 176, € 11,10). Uscito in libreria lo scorso giugno (cerca qui la prossima presentazione), è l’unica pubblicazione non convenzionale sulla Milano che cambia con Expo 2015. Il testo che riportiamo di seguito è stato letto il 14 dicembre scorso da Roberto Maggioni allo Slam X @ Csoa Cox18 Milano].

Ok, allora, partiamo dall’inizio: Expo 2015 è un evento privato.

Ma come un evento privato? Expo 2015 è un evento privato.

E Comune, Regione, Governo? Pagano ed eseguono.

Expo nasce dal BIE, il comitato internazionale per le esposizioni, un ente privato non governativo. Il contesto dentro cui si muove Expo è di interessi privati, il BIE a questi risponde.

Interessi privati, investimenti pubblici, guadagni privati.

Paghi tu, voi, noi: 10 miliardi almeno. Destinati a salire nei prossimi due anni, perchè grandi-opere e mega-eventi funzionano così: ti chiedono 5 e si prendono 10.

Il BIE è nato nel 1928, l’anno di nascita di Topolino. Ha sede a Parigi e ogni 5 anni decide dove spostare il carrozzone di Expo, come e perchè.

Le Esposizione Universali sono operazioni di marketing. A livello internazionale si giustificano con la faccia presentabile dei temi nobili: nutrire il pianeta nel caso di Milano 2015. A livello nazionale e territoriale servono a muovere capitali e sperimentare forme di governo dei territori altrimenti difficili da far passare nell’ordinarietà della prassi cosiddetta democratica.

L’eccezione, come l’emergenza, giustifica l’ingiustificabile.

Dicono: “Expo è un evento eccezionale che capita, se capita, una volta ogni cento anni. Guai farsi sfuggire l’occasione”.

Per fare cosa?

Tra poco ci arriviamo.

Per capire Expo facciamo un passo indietro: Londra 1851, Parigi 1855.

Gli anni delle grandi invenzioni industriali, l’età dell’agricoltura meccanizzata e dell’industrializzazione, quando il capitale per raccontare e raccontarsi aveva bisogno di portare il suo sviluppo in giro per il mondo sotto forma di invenzioni, macchine, opere nuove.

Il lascito era diffuso e spalmato su città ancora da costruire, dove esserci significa esserci: essere lì, essere parte del cambiamento e vederlo con i propri occhi. Toccarlo.

Oggi, evidentemente, non è più così.

Per vedere, provare, acquistare, un nuovo modello di iPhone non ho bisogno di andare a Cupertino o a New York.

Expo è un evento anacronistico e come tale serve a giustificare altro.

Ci dice che vorrebbe migliorare il mondo in cui viviamo o quantomeno correggere le storture del capitalismo, loro, i capitalisti.

A Lisbona nel 1998 si parla di Oceani, una eredità per il futuro.

2005, Giappone, la saggezza della natura.

E via così. Fino ai nostri giorni.

Su Expo 2015 le intese sono larghissime.

Milano vince Expo nel 2008 con il centro sinistra di Prodi al Governo, la destra di Formigoni in Lombardia e quella della Moratti a Milano.

Expo 2015 accoglie tutti e c’è posto per tutti: per un appalto, per una poltrona, per uno scambio di favori, o anche solo per un pizzico di visibilità (come quei poveretti di Slow Food che dopo aver detto peste e corna di Expo tre settimane fa hanno deciso di rientrare nella partita perché “porteremo il tema della biodiversità”. Si certo, al festival della smart city che servirà a riportare gli OGM in Europa, perché questo è uno degli obiettivi non dichiarati di Expo: riportare l’agricoltura geneticamente modificata in Europa).

Per noi di Expopolis, Expo 2015 si riassume in sette parole chiave: debito, cemento, precarietà, poteri speciali, nemico pubblico, spartizione, mafie.

Debito, cemento, precarietà, poteri speciali, nemico pubblico, spartizione, mafie.

Dividiamo la faccenda in due tempi: il primo gli anni della Moratti, il secondo quelli di Pisapia.

Primo tempo. La scelta su “dove costruire Expo”.

Buona prassi vuole che le Esposizioni siano costruite su terreni di proprietà pubblica, e si capisce bene perché: sono già di proprietà del pubblico, non bisogna acquistarle da alcun privato e dopo l’esposizione l’area infrastrutturata è già di proprietà pubblica e non bisogna venderla a nessuno per rientrare dell’investimento. E’ tutto in house, tutto gestito dal pubblico.

No, a Milano si sceglie di fare diversamente.

expoSiamo tra il 2006 e il 2007, del comitato per Expo 2015 a Milano fanno parte: Regione, Comune, Provincia, Camera di Commercio, Fondazione Fiera.
Scelgono un area ex agricola di 1 milioni di metri quadri a nord-ovest di Milano, al confine con Rho e Pero. Aree quasi totalmente di proprietà di  Fondazione Fiera e del Gruppo Cabassi.
Sono gli anni in cui Fondazione Fiera, completamente in mano alla destra ciellina, è alle prese con un importante buco di bilancio. La costruzione della nuova Fiera a Rho è stata un mezzo fallimento: sempre vuota tranne che per due/tre fiere l’anno. Chi si sposta più per andare a vedere una fiera?

E per Expo allora? Eh, appunto.

Dicevamo, Fondazione Fiera è in rosso, così decidono che Expo si farà sui suoi terreni.

Il primo conflitto d’interessi è qui: fra chi sceglie dove fare l’esposizione c’è anche Fondazione Fiera, proprietaria di metà dei terreni su cui si costruirà con soldi pubblici. E così terreni agricoli che valevano 10-15 euro al metro quadro oggi ne valgono 164 di euro al metro quadro. A fine Expo varranno almeno tre volte tanto. Ulteriore magia è che Fondazione Fiera fa parte anche della società nata appositamente per comprare quei terreni, Arexpo: il proprietario che vende a se stesso per poi rivendere e incassare a Expo finita.

Il 31 marzo 2008 il BIE assegna l’Expo a Milano. Cominciano mesi di litigi tutti interni alla destra: spartizione delle poltrone, degli incarichi, della governance dell’evento. Stipendi, doppi stipendi, consulenze: quattro anni di soldi buttati e poteri rimescolati.

Il progetto dell’orto globale tanto caro all’archistar della Moratti e assessore di Pisapia, Stefano Boeri, viene cestinato nel 2011: spazio alla smart city, alle nuove tecnologie, al turismo.

Verranno 30 milioni di visitatori.

No 27.

Più realistico 24.

Oggi parlano di 20 milioni di visitatori: 160 mila persone al giorno di media.

Non ci crede nessuno, Milano collasserebbe.

160 mila persone. Facciamo finta che 40 mila di queste vogliano spostarsi coi mezzi pubblici.

Expo sarà raggiungibile con la vecchia linea rossa e con il vecchio passante ferroviario. La nuova linea 6 viene cancellata il giorno dopo dell’assegnazione di Expo a Milano. La 5 per il 2015 collegherà il nord di Milano al nuovo quartiere per ricchi City Life, ma con un sovra costo di 79 milioni di euro a carico del Comune. La linea 4 forse vedrà pronte le prime due fermate Linate-Forlanini (una cosa senza senso per chi conosce Milano) e poi se ne riparlerà dal 2018. Nessuna nuova metropolitana arriverà al sito di Expo, alla faccia dell’eredità green dell’evento.

E pensatele quelle 40 mila persone in più sulla linea rossa ogni giorno.

La maggioranza arancio di Pisapia appena eletta, a luglio 2011 vota l’accordo di programma sulle aree Expo che ricalca l’impostazione della Moratti.

L’indice di edificabilità scende dallo 0.60 allo 0.52%. Poca cosa perchè sigifica che si potrà costruire su metà dell’area una volta finita l’esposizione. Nella maggioranza votano contro solo Basilio Rizzo e Anita Sonego.
Quel voto è il vincolo al cemento e alla speculazione edilizia che sarà fatta su quell’area. Certo, con del verde tra un palazzo e l’altro, tra il parcheggio da 2.000 posti auto e il centro commerciale gestito dalla Coop e da Eataly, due tra i partner di sinistra di Expo 2015. Insieme a Banca Intesa.

Ma c’è di più, le sette parole magiche dell’Esposizione più sgangherata della storia.

Numero uno: debito.

Expo 2015 è un evento che nasce in debito e genera debito. Lo sono tutti i grandi eventi. A Torino le Olimpiadi hanno lasciato 4 miliardi di debiti. Oggi Torino è una delle città più impoverite del nord Italia.

Non vogliamo portar sfiga, ci mancherebbe, se la portano bene da soli. Ma le Esposizioni degli ultimi vent’anni sono state, nella buona sostanza, un fallimento e hanno generato debito nelle casse pubbliche.

Perchè è il pubblico che offre: 10 miliardi di cui solo 1.5 per il sito di Expo. Gli altri sono per nuove autostrade, comunicazione, consulenze, immagine. Lo abbiam visto, pochissimo per le nuove fermate delle metropolitane, ancora meno in eredità alla città pubblica.

Debito, perchè guardando solo al comune di Milano nel 2013 con un buco di bilancio di 420 milioni di euro ha speso 370 milioni per Expo.

420 di buco, 370 spesi in Expo. Quando pagate l’aumento del biglietto Atm, l’aumento dell’Irpef o della tassa sui rifiuti, i tagli dei servizi…..state pagando Expo. Sapevatelo.

Numero due: cemento.

Nulla inizia e finisce con Expo. Ma con Expo anche autostrade progettate negli anni 70, come la Pedemontana, hanno ritrovato un nuovo motivo di esistere.

8 miliardi pubblici spesi per nuovo cemento su cui far viaggiare automobili.

Gli acronimi:

-Tem, tangenziale est esterna Milano. Devasterà le ultime aree agricole tra Melegnano e Agrate Brianza, non sarà pronta per Expo 2015, favorirà la nascita di un nuovo polo della logistica e del movimento merci. Doveva essere pagata dai privati col project financing, la finanza di progetto. Sarà invece pagata (quasi) interamente dal pubblico, perchè i privati non sembrano avere soldi e le banche non credono si possa rientrare dell’investimento in tempi brevi. E dagli di pedaggio.

-Pedemontana, vecchia di cinquant’anni, non sarà pronta per Expo 2015.

-Brebemi, Brescia-Bergamo- Mlano, sarà pronta per Expo 2015 solo in alcuni tratti, quelli dove governa la Lega, per capirci.

E poi la nuova autostrada Rho-Monza: 14 corsie, neanche fossimo negli Stati Uniti degli anni ’50.

E tutta una serie di strade minori ma altrettanto nocive. Come la Zara-Rho, la vecchia gronda nord milanese, per cui il governo ha appena staccato un biglietto da 50 milioni di euro. Vecchie carte comunali dicono passerrà su terreni inquinati. Della bonifica al momento non c’è traccia.

E poi lei, quell’inutile, costoso e nocivo canale idraulico chiamato “Via d’Acqua”. Nel sogno iniziale di Expo c’era “Milano come Venezia”, tutta navigabile fino a Rho. Una grande cazzata.

E così le Vie d’Acqua sono diventate una: la Via d’Acqua. Un canale quasi tutto in cemento di 20 km che collegherà la Darsena di Milano con il canale Villoresi passando per il sito di Expo. Servirà a far uscire l’acqua dal laghetto che sarà costruito tra i padiglioni del sito e porterà 2 metri cubi al secondo, neanche 40 cm di acqua, ad alcuni terreni agricoli nel sud di Milano. Nulla se pensiamo che il Naviglio può portare fino a 40 di metri cubi al secondo.

Però questo canale in cemento spaccherà quattro parchi milanesi: parco delle Cave, Bosco in città, parco Pertini, parco di Trenno. E passerà su terreni inquinati da bonificare. Ma il commissario unico, Giuseppe Sala, che è anche amministratore delegato di Expo spa, ha usato i suoi poteri speciali per declassare gli inquinanti e, forse, evitare la bonifica. Che sappiamo essere lunga e costosa, e l’inaugurazione di Expo non è come le altre opere, non può essere rinviata: il primo maggio si deve aprire. Fare, fare, fare, costi quel che costi. Poteri speciali del commissario, tra poco ci arriviamo.

Numero tre: precarietà.

La bufala del lavoro. Hanno detto che Expo porterà 30mila nuovi contratti di lavoro. Per ora abbiamo un accordo firmato ad luglio 2013 che prevede 18 mila volontari. Per 700 persone ci sarà un contratto a tempo determinato a 560 euro al mese.

E se Expo capita una volta ogni cento ed è un evento nazionale, la nuova precarietà per Expo va estesa a tutta la nazione. Così la pensano a Roma e stanno cercando il modo di far passare nuova flessibilità in nome di Expo per due anni e mezzo. Expo dura sei mesi ma la precarietà due anni e mezzo.

Grandi eventi, piccoli diritti. Altro che reddito minimo per chi non lavora: lavorare senza reddito.

Numero quattro: poteri speciali.

Decide tutto il Commissario Unico della società per azioni Expo spa. Decide per conto di altri, chiaro, ma il governo Letta gli ha dato poteri di deroga: i cosiddetti super poteri. Come si fa nelle grandi emergenze. Come quelli di Bertolaso dopo il terremoto a L’Aquila. E abbiam visto come è andata a finire.

Prima i commissari erano il sindaco di Milano e il presidente della Regione, che quantomeno dovevano rendere conto ai propri consigli comunale e regionale. Un minimo di prassi istituzionale.

Oggi no. E così il commissario può decidere di prolungare l’orario di lavoro nei cantieri, sveltire assegnazione degli appalti, o nel caso della Via d’Acqua declassare il livello degli inquinanti cui fare riferimento per i 20 km di canale.

Decidere sulla salute dei cittadini.

Nel caso della Via d’Acqua il Comune di Milano ha accettato di perdere potere e competenza e ora non conta (quasi) più nulla. L’opera si farà come ha deciso la spa.

Ma al parco di Trenno i cittadini si stanno ribellando allo scempio del parco e insieme alla rete No Expo da quattro giorni bloccano i lavori. La ruspa a un certo punto si è suicidata e così venerdì hanno dovuta portare via. Succede. Brutto periodo questo per le ruspe.

Pare che lunedì 16 dicembre tornerà accompagnata dai genitori. Se siete solidali l’appuntamento è alle 7 di mattina in via cascina Bellaria, di fronte al cimitero inglese nel parco di Trenno.

Numero cinque: nemico pubblico.

Come in Val Susa, come ovunque ci siano lotte reali. Chi lotta è un nemico, la repressione al volto dei tribunali, il nemico pubblico quello della narrazione tossica dei media.

“Chi si arrende si ammala” dice Erri de Luca a proposito della Val Susa “e invece la valle sprizza di salute pubblica, di fraternità, di voglia di battersi”.

E allora per farlo ammalare, il paziente sano va intossicato.

Va costruita l’epica del nemico pubblico da mettere su cui costruire consenso politico e isolare i ribelli. Ma il paziente sano ormai si è fatto gli anticorpi.

E qui a Milano il Corriere della Sera arriva a scrivere che secondo la Digos “la contro informazione No Expo è un problema di ordine pubblico”.

Un problema di ordine pubblico.

Numero sei: spartizione.

Davanti al cantiere di Expo c’è un grosso cartello d’inizio e fine lavori.

Sul quel cartello c’è tutta la geografia della spartizione italiana: da nord a sud, da destra a sinistra.

I due appalti più importanti sono stati vinti dalla CMC, la potente cooperativa di costruttori vicina al PD che lavora in Val Susa, al Dal Molin, e dove c’è da devastare territori, e dalla Mantovani, un raggruppamento di imprese venete vicine al PDL. Su entrambi gli appalti c’è un inchiesta aperta per turbativa d’asta.

Più a sud lavora Infrastrutture Lombarde, una società della Regione controllata da Pdl-Lega-Cl. E poi Compagnia delle Opere e Lega delle Cooperative a Cascina Merlata.

C’è spazio ovviamente anche per i subappalti. E quindi le mafie.

E’ la settima parola chiave: mafie.

Non è questo l’argomento per opporsi a un’opera o un evento: la bontà la si giudica dall’opera in se, non dal rischio infiltrazioni criminali. Che se c’è va combattuto a prescindere. In Italia il potere criminale è potere politico, rompere questo legame è atto quasi rivoluzionario.

Nel cantiere di Expo hanno messo piede aziende indagate per reati mafiosi o tipicamente mafiosi, come il traffico di rifiuti. Le White List per un expo mafia free non sono mai entrato in funzione davvero, i protocolli di legalità sembrano inadeguati: Ventura, Fondazioni Speciali, Pegaso, Elios, alcune delle aziende allontanate dal cantiere, e poi Fratelli Testa sotto inchiesta per tangenti al Pdl lombardo, e il responsabile cantiere di CMC anche lui indagato, e anche quello di Metropolitane Milanese. E poi, poi il movimento terra che, dice l’antimafia milanese, è monopolio dalla ndrangheta. Il mega-evento è anche questo.

A lotte comuni un vocabolario comune: debito, cemento, precarietà, poteri speciali, mafie, spartizione, nemico pubblico. Quello che sta succedendo a Milano con Expo è simile a quello che succede in Val Susa, a Niscemi, nella Roma degli dei festival o nella Bologna di F.I.CO.

A quale prezzo?

Se Expo 2015 indebiterà le casse pubbliche, se costruirà nuove autostrade, se permetterà a costruttori di destra e sinistra di far colare nuovo cemento e spartirsi gli appalti, se le mafie avranno la loro parte, se i contratti di lavoro saranno ancora più precari rispetto ad oggi, se si sperimenteranno forme di governo dell’eccezione con commissari unici a decidere per tutti, se il racconto dei media sarà sempre più e solo propaganda e verso la costruzione del nemico pubblico, beh, se tutto questo sarà, Expo 2015 si confermerà in quello che in altro modo non avrebbe potuto essere.

E allora se questo modello di sviluppo ha nel mega-evento e nella grande-opera l’unico orizzonte cui guardare, be’, che Expo 2015 e le sue contraddizioni siano la bara di questo modello di sviluppo iniquo.

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Nel baratro https://www.carmillaonline.com/2013/12/28/nel-baratro/ Sat, 28 Dec 2013 00:00:22 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=11633 di Sandro Moiso padroni1

Luca Ciarrocca, I padroni del mondo. Come la cupola della finanza mondiale decide il destino dei governi e delle popolazioni, Chiarelettere, Milano 2013, pp. 242, euro 13,90

Il libro di Ciarrocca, giornalista che ha vissuto per molti anni a New York, dove ha fondato il sito indipendente di economia, finanza e politica Wall Street Italia, è interessante per almeno due motivi. Il primo è sicuramente costituito dalla mole di dati riguardanti l’attuale crisi economica, esposti con chiarezza e semplicità (doti di cui quasi tutti gli analisti economico/finanziari sono generalmente sprovvisti). Il secondo dal fatto di essere un [...]]]> di Sandro Moiso
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Luca Ciarrocca, I padroni del mondo. Come la cupola della finanza mondiale decide il destino dei governi e delle popolazioni, Chiarelettere, Milano 2013, pp. 242, euro 13,90

Il libro di Ciarrocca, giornalista che ha vissuto per molti anni a New York, dove ha fondato il sito indipendente di economia, finanza e politica Wall Street Italia, è interessante per almeno due motivi. Il primo è sicuramente costituito dalla mole di dati riguardanti l’attuale crisi economica, esposti con chiarezza e semplicità (doti di cui quasi tutti gli analisti economico/finanziari sono generalmente sprovvisti). Il secondo dal fatto di essere un testo (inconsapevolmente?) contraddittorio. Molto.
Ma procediamo con ordine.

Il testo, pur inserendosi nell’attuale dibattito sull’utilità o meno dell’euro e delle scelte governative ad esso collegate, evita i toni della campagna anti-europeista ed anti-euro che rappresenta, nella confusione generale odierna, la panacea universale per molte, troppe forze politiche.
Inoltre, nonostante il titolo e i riferimenti ad una “cupola” finanziaria, l’opera non si occupa di ipotesi complottistiche né, tanto meno, del solito, strombazzatissimo dai poveri di spirito, Club Bilderberg.

Parla invece, e molto, di concentrazione finanziaria ed economica. . “La cupola non è il risultato di una colossale cospirazione di illuminati attuata con diabolica strategia, quanto un corollario oggettivo di decisioni che si producono per via di un’interazione parcellizzata di migliaia di interessi utilitaristici” (pag. 126).
Accumulando dati su dati e seguendo, anche se forse l’autore non vorrebbe sentirselo dire, quel lavoro iniziato nel 1916 da Lenin con “L’imperialismo, fase suprema del capitalismo”. Tanto che, per fare un esempio, Deutsche Bank costituisce un elemento di continuità tra i due libri così distanti nel tempo e dal punto di vista ideologico, mentre i processi di concentrazione finanziaria e bancaria degli ultimi decenni fanno impallidire i già significativi dati riportati all’epoca dal rivoluzionario russo.

Protagonisti indiscussi dell’opera sono i cosiddetti banksters (banchieri gangster) che si muovono a capo degli organismi finanziari più potenti e più ricchi, almeno sulla carta, della maggioranza delle nazioni del globo. Quegli organismi che oggi sono definiti come Too Big To Fail (troppo grandi per poter fallire), in gergo Tbtf. E che per questo motivo non si accaparrano soltanto i profitti prodotti dal sudore e dal lavoro di decine di milioni di lavoratori, ma anche gli aiuti degli stati, di cui, naturalmente, finiscono col dettare la politica.

Sarebbero in tutto una cinquantina, le mega aziende internazionali (in maggioranza istituti finanziari e banche Tbtf) che, attraverso un complicato incrocio proprietario, controllano il 40 per cento del valore economico e finanziario di 43.060 multinazionali globali. E’ qui il vero cuore dell’economia occidentale […] Tra le prime venti ci sono tutte le più nore Tbtf, tra cui, ai primi posti, Barclays Bank, JPMorgan Chase, Goldman Sachs. L’unica italiana è UniCredit, in 43esima posizione” (pp. 121 – 123) Mentre, si può aggiungere, sulla base dei dati forniti, Deutsche Bank Ag si trova al dodicesimo.

Ma la concentrazione finanziaria, tipica della progressione imperialistica, non si ferma lì. “Lo ha spiegato bene James Petras, professore di sociologia all’Università di Binghamton (New York), in un articolo dal titolo eloquente Who Rules America?, pubblicato nel novembre del 2007 sul suo sito web: « Oggi, secondo alcuni calcoli, il 2 per cento delle famiglie controlla l’80 per cento dell’intero patrimonio mondiale» […] Questi gruppi, secondo Petras, premono sui governi per salvare banche e aziende in bancarotta o fallite, spingono perché si arrivi al pareggio di bilancio tagliando la spesa sociale e il welfare” (pag. 121)

Naturalmente, oltre che determinare i governi e le loro scelte, i Tbtf sono anche coinvolti in vere proprie truffe finanziarie e in operazioni di riciclaggio oltre che protagonisti dei più clamorosi casi di evasione fiscale, ma gli istituti Too big to fail sono anche Too big to jail (troppo grandi per essere condannati ed andare in prigione).
Il 6 marzo 2013, nel corso di una testimonianza in un’audizione alla Commissione Giustizia del Senato al Congresso di Washington, Eric Holder (procuratore generale degli Stati Uniti) ha dichiarato: «Le dimensioni delle più grandi istituzioni finanziarie hanno fatto sì che per il dipartimento di Giustizia fosse difficile proporre l’azione penale e un processo per reati criminali. L’accusa – che potrebbe minacciare l’esistenza della banca stessa – nel caso degli istituti più grandi può anche mettere a repentaglio l’economia nazionale e quella globale, per via delle dimensioni e delle interconnessioni» Le grandi banche costituiscono dunque il vero «nocciolo duro» del potere politico ed economico su cui poggia il moderno capitalismo” (pag. 42)

I megaistituti di credito del mondo hanno asset1 complessivi per un totale di 47 trilioni di dollari2 “ (pag. 24). Mentre “James Henry, ex-capo economista della società di consulenza aziendale McKinsey, nel suo studio condotto nel 2012 The Price of Offshore revisited, sostiene che i patrimoni dei super ricchi di tutto il mondo occultati in circa ottanta paradisi fiscali ammontano a 21.000 miliardi di dollari. Anzi, in realtà la cifra potrebbe addiritura salire a 32.000 miliardi, dal momento che l’esperto nella sua analisi ha monitorato e preso in considerazione solo i depositi bancari e gli investimenti finanziari, tralasciando beni e proprietà come case, appartamenti, ville, yacht e collezioni d’arte. Una cifra spropositata, che in termini nominali è superiore al Pil di Stati Uniti, Giappone e Germania messi insieme […] Scrive Henry: «Le mancate entrate fiscali che risultano dalle nostre stime sono enormi. Abbastanza da cambiare le finanze di molti paesi. Il tutto costituisce un enorme buco nero nell’economia mondiale»” (pp. 58 – 59)

Non occorre qui dilungarsi oltre sulla mole enorme di dati che l’autore porta ancora sui fenomeni di riciclaggio di denaro sporco, sull’autentico gioco d’azzardo costituito dagli investimenti e dalle speculazioni sui diversi tipi di autentica spazzatura finanziaria (derivati e altro) che “animano” bolle speculative e mercati azionari. Anche per non togliere il “piacere della scoperta” ai futuri lettori del libro. Ma una cosa è certa: “la speculazione ha nomi e volti. Sono i grandi player della finanza che si indebitano per moltiplicare le loro scommesse sui mercati, affiancati dagli hedge fund, che dipendono direttamente dalle banche per linee di credito e operatività, e infine dalle grandi multinazionali, la cui attività sui mercati è spesso più redditizia e importante di quella produttiva” (pag. 97)

Alla fine della lettura del testo risulta dunque che la rovina di un sistema economico e finanziario sempre più vicino alle regole del gioco d’azzardo e dei casinò è stata soltanto procrastinata dal 2008 in poi. L’azzardo sui derivati ha gonfiato a dismisura il valore nominale del capitale circolante. “I numeri parlano chiaro, lo squilibrio è stupefacente anche per i non addetti ai lavori: questi prodotti nel mondo valgono in totale 637 trilioni di dollari, cioè circa dieci volte il Pil mondiale […] Non abbiamo mai assistito a nulla di simile nella storia del mondo. Soprattutto se pensiamo che il Pil globale si attesta a 71,6 trilioni di dollari (dati del 2012), mentre è intorno ai 190 trilioni la dimensione approssimativa del valore totale del debito pubblico e privato in tutto il mondo” (pp.102-103)

E’ un tavolo del casinò truccato, dove il banco vince sempre. La vera corruzione risiede nel fatto che, se la scommessa funziona, l’istituto di credito guadagna, in caso contrario, le perdite vengono socializzate. Un espediente diabolico in cui tutti noi ormai siamo vittime in prima persona, in quanto il nostro tenore di vita, di singoli e di paese, continua a calare” (pag. 113)

“Il meccanismo è perverso e totalmente fuori controllo. Un intreccio malsano tra debiti governativi e passivo del bilancio delle banche che continuerà a pesare per decenni sulle spalle dei cittadini inermi, vessati da classi politiche miopi se non corrotte. E’ scandaloso che per il solo saldo di interessi su debiti che crescono a dismisura, e non saranno mai estinti, le economie nazionali come quella greca o italiana siano ingabbiate nella non crescita e le popolazioni debbano sopportare una micidiale doppietta di tasse alte e di tagli dei servizi essenziali” ( pag. 109)

Un debito che non potrà mai essere pagato, basti pensare alla situazione italiana in cui la crescita esponenziale del debito pubblico è dovuta principalmente alla crescita dei titoli emessi per ripagare annualmente gli interessi su quelli emessi precedentemente richiederebbe manovre dell’ordine degli 80 – 90 miliardi di euro all’anno, porterà inevitabilmente ad un’ulteriore catastrofe economico finanziaria. Che l’autore, insieme a numerosi altri esperti interpellati o intervistati, situa, al più tardi, intorno al 2018. A meno che non siano prese drastiche, rigorose ed autoritarie misure tese a limitare decisamente lo strapotere dei banksters e dei loro istituti.banksters1

Ma qui si apre anche l’altra parte del libro, quella più contraddittoria, in cui Ciarrocca tenta di delineare un progetto di uscita dal disastro senza dover per forza modificare le regole del modo di produzione capitalistico e della società mercantile basata sulla circolazione delle merci e del denaro. Una proposta comunque di difficile attuazione poiché, come dice ancora lo stesso autore: “se avessimo a che fare con uomini intelligenti e lungimiranti e non con personaggi dominati dall’avidità, forgiati dalla cultura del profitto avvallata da imponenti studi legali, governi e banche dovrebbero puntare a una graduale riduzione della leva (leverage), la perpetuazione di rischi fondata sull’indebitamento, sull’uso dei derivati e sul sistema bancario ombra. Invece i banksters non accetteranno nulla che ridimensioni il loro potere, a meno che non venga imposto loro con la forza. Perché non è nel loro interesse” (pag. 107)

Nella proposta di cambiamento, basata su una diversa offerta di denaro, non più soggiogata e determinata dai colossi del credito, e su una svalutazione dell’euro, Marx non viene mai preso in considerazione, così come non lo è, sicuramente, la lotta di classe e il suo diverso punto di vista prospettico sull’antagonismo sostanziale e irriducibile tra lavoro e capitale mentre l’attenzione è ancora rivolta alle difficoltà, anzi all’autentica scomparsa, della classe media.

La politica ha continuato a fare il suo gioco, truccato, succhiando dall’economia reale le poche risorse ancora disponibili. Risultato: la classe media, acquirente e consumatrice dei beni prodotti e immessi sul mercato dalle quarantamila multinazionali della «cupola», annaspa, alla ricerca di un benessere perduto che non troverà mai più. Con diverse declinazioni: l’Asia cresce (anche se a ritmi rallentati); gli Stati Uniti riemergono, ma con rischi sistemici latenti e irrisolti. L’Europa arretra e si impoverisce” (pag. 128)

Ma questa sembra essere la condanna di questa nuova età di mezzo in cui ci troviamo a vivere: la certezza del disastro accompagnata dall’insicurezza e dalla debolezza delle proposte di coloro che ancora rifiutano l’ipotesi, classista e rivoluzionaria, dell’esproprio e della ridistribuzione della ricchezza socialmente prodotta in nome di valori identitari che sono già storicamente e definitivamente morti (nazione, patria e patrimonio famigliare).


  1. Asset (in italiano cespite), è un termine usato per indicare i valori materiali e immateriali a utilità pluriennale facenti capo ad una proprietà. Nello stato patrimoniale sono parte delle attività  

  2. Un trilione equivale a mille miliardi  

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