cultura digitale – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Tue, 02 Sep 2025 21:55:15 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Nemico (e) immaginario. Linee di fuga e conflitto oltre l’oscuro riflettere di Black Mirror https://www.carmillaonline.com/2020/04/28/nemico-e-immaginario-linee-di-fuga-e-conflitto-oltre-loscuro-riflettere-di-black-mirror/ Tue, 28 Apr 2020 21:00:28 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=59302 di Gioacchino Toni

«Il grande assente dalle scene di Black Mirror è il corpo vivo del quotidiano, la poesia senza scrittura di quanti rosicchiano spazi e tempi di libertà interstiziale giocando tra il lecito e l’illecito, sospesi tra la sottomissione e l’insurrezione, di chi in modo surrettizio distorce il senso delle macchine, delle merci e delle comunicazioni in nome dell’ebbrezza di essere insieme, sfiorando il piacere anche nella dissipazione estrema del soggetto moderno» (Claudia Attimonelli e Vincenzo Susca)

Anche il Web è un campo di battaglia, un ambito di conflitto, per quanto asimmetrico. [...]]]> di Gioacchino Toni

«Il grande assente dalle scene di Black Mirror è il corpo vivo del quotidiano, la poesia senza scrittura di quanti rosicchiano spazi e tempi di libertà interstiziale giocando tra il lecito e l’illecito, sospesi tra la sottomissione e l’insurrezione, di chi in modo surrettizio distorce il senso delle macchine, delle merci e delle comunicazioni in nome dell’ebbrezza di essere insieme, sfiorando il piacere anche nella dissipazione estrema del soggetto moderno» (Claudia Attimonelli e Vincenzo Susca)

Anche il Web è un campo di battaglia, un ambito di conflitto, per quanto asimmetrico. Certo la rete è territorio in cui imperversano dominio, alienazione, profitto e mercificazione, come denuncia la serie ideata da Charlie Brooker, ma non mancano, nemmeno lì, stratagemmi di sottrazione, di resistenza e sovversione.

Claudia Attimonelli e Vincenzo Susca, nel volume Un oscuro riflettere. Black Mirror e l’aurora digitale (Mimesis 2020), sottolineano come la serie, mancando di cogliere la complessità del reale, si riveli «uno spettacolo tanto fine dal punto di vista della concezione estetica, dell’architettonica e degli effetti speciali quanto superficiale sul piano sociologico, con particolare riferimento alla sociologia dell’immaginario e della vita quotidiana. Ad un’analisi puntuale, non è meramente un racconto che smaschera l’ideologia dominante nelle sue pratiche e nei suoi obiettivi, ma si pone anche come un suo specchio e strumento. L’una e l’altro appaiono disinteressati a cogliere il brulichio culturale in fermento al di là degli schermi e oltre i dispositivi di potere in campo.» (p. 69)

La rivoluzione industriale ha comportato un’estensione del dominio dell’alienazione ben oltre lo spazio lo spazio e il tempo del lavoro; se nelle pellicole che hanno messo in scena la tradizionale alienazione operaia questa si dava soprattutto nel momento del confronto lavorativo con la civiltà delle macchine durante la produzione, mantenendo momenti di libertà al di fuori di essa, in Black Mirror – es. 15 Millions Merits (15 milioni di celebrità, ep. 2, serie 1, 2011), Nosedive (Caduta libera, ep. 1, serie 3, 2016) e White Christmas (2014) – , sostengono Attimonelli e Susca, gli individui si presentano come «corpi post-umani integralmente assorbiti dalla tecnostruttura e dalle sue ramificazioni, senza più alcun margine di autonomia, salvo quello concesso da errori di sistema che, sebbene fatali, rappresentano i soli ed ultimi passi possibili per raschiare un residuo di libertà.» (pp. 88-89) Ad essere mostrata è pertanto una civiltà del tutto priva di godimento in cui l’esistenza è completamente in balia dell’alienazione.

A che livello, si chiedono gli studiosi, è allora possibile «intercettare uno iato dalla condizione associata con lo scambio tra la forza-lavoro del proletario versus il salario nell’Ottocento e il dono di sé del soggetto contemporaneo sotto forma di docilità nel rendere trasparenti i dati personali, nell’essere tracciati e nell’accogliere le multiple ingiunzioni provenienti dall’esterno della sfera personale?» (p. 70) Ad un modello che si regge sulla retribuzione sembra affiancarsi, più che sostituirsi, un modello fondato su un principio emotivo, affettivo e simbolico, piuttosto che materiale. Ciò non significa, sostengono Attimonelli e Susca, che non vengano monetizzate le attuali forme di socialità digitale, ma piuttosto che «ciò ha luogo a un piano troppo distante dalla sfera del vissuto perché possa essere considerato centrale su quello sociologico, semiologico e psicologico.» (p. 71)

L’immaginario collettivo pare ancora percepire la cultura digitale «come una dimensione intimamente legata all’abitare, a ciò che è spontaneo e gratuito nel senso etimologico del termine: gratuitus da gratia, la grazia, una forma di favore e di benevolenza senza ragione, pagamento o aspettazione di compenso.» (pp. 71-72) «Per quanto ingenuo possa sembrare […] lo spirito del Web e del suo corrispettivo negli scenari urbani è animato da una logica della comunicazione che privilegia le aree semantiche della comunità, della comunione e del comune. Ne consegue un investimento personale e societale ben più sostanzioso di quello agito tramite il denaro: esso ha a che vedere con la carne e con la fantasia, con i sentimenti e con le emozioni, con qualcosa al contempo più materiale e più immateriale degli scambi commerciali o finanziari. Per questo contempla un darsi completo, indiscriminato e irreversibile. Fatale, quindi, ma non secondo la visione univoca e soverchiante evocata da Black Mirror.» (p. 72).

Da parte sua Black Mirror, secondo i due studiosi, non mostra alcun piacere che non si riveli falso, distorto o perverso. I pochi barlumi di felicità che si riscontrano nelle puntate della serie assumono le sembianze di passioni fredde presto destinate alla disillusione: reificate dallo specchio dei media, nella logica semplificata di Black Mirror esse finiscono per divenire «cose tra le cose nel sistema degli oggetti, merci attorno ad altre merci. Frantumate in schegge disorganiche, finiscono per ferire la carne e demolire la psiche degli esseri umani.» (p. 75)

Per oltrepassare la parzialità della lettura proposta dalla serie, incentrata com’è sulla denuncia della perdita della soggettività, è necessario cogliere vie e pratiche di fuga in quella che troppo frettolosamente viene letta come mera passività dei soggetti. Nonostante la cupezza del discorso portato avanti da Black Mirror, almeno in alcune sue puntate – ad esempio in Hang the Dj (ep. 4, serie 4, 2017), San Junipero (ep. 4, serie 3, 2016) e Black Museum (pe. 6, serie 4, 2017) –, Attimonelli e Susca ritengono sia possibile intravedere qualche breccia nella serie e nel nostro quotidiano.

Su quelli che possono essere considerati i limiti dell’approccio critico veicolato dalla serie, si sofferma anche Federico Tarquini in un suo scritto intitolato Illusione (in Mario Tirino e Antonio Tramontana, I riflessi di Black Mirror. Glossario su immaginari, culture e media della società digitale (Rogas Edizioni, 2018). Il regime visuale proposto da Black Mirror, sostiene lo studioso, da un lato tende a presentare il dispositivo digitale come superamento della visione biologica umana, dall’altro non manca di palesare come esso determini una particolare etica dello stare insieme in cui sono banditi i segreti. Se, come sostiene Georg Simmel, il segreto è un elemento costituente delle relazioni sociali, ne deriva che la sua esclusione imposta dalla tecnologia finisca per dare luogo ad una società in cui risulta estremamente difficile avere legami affettivi.

Nel regime visuale di Black Mirror, sostiene Tarquini, muta anche il rapporto tra visione e memoria. «Nell’era della rappresentazione questo legame si è espresso contemplando sia ciò che i propri occhi han visto, sia ciò che si presume di avere visto e che magari non si ricorda proprio per l’eccessivo tempo trascorso. Vista, visione, racconto, spazio e tempo si sommano in questo rapporto rendendo sofisticatissima l’azione della memoria nella cultura occidentale» (pp. 130-131). Il regime visuale della serie pare presupporre che a causa del dispositivo tecnologico, comportante l’espulsione dalla dimensione della memoria di tutto ciò che non appare certo e verificabile, si attui il superamento di tale complesso procedimento e tutto ciò viene presentato come un’amara illusione di progresso.

In The Entire History of You (Ricordi pericolosi, ep. 3, serie 1, 2011) ciò che sembra garantire un potenziamento della memoria e dell’esperienza quotidiana dell’individuo si rivela un dispositivo che lo condanna all’impossibilità di godere di relazioni affettive, dunque alla solitudine. «Insistendo così vigorosamente sul convincimento che le tecnologie infliggano un generale processo di falsificazione al piano del reale, Black Mirror sembra voler affermare l’illusione come ciò che caratterizza l’esperienza collettiva e personale dei media e delle tecnologie.» (p. 131). Nella serie l’illusione viene presenta come l’effetto principale del regime visuale imposto dalla tecnologia. Tale alterazione del rapporto tra percezione e conoscenza, suggerisce Black Mirror, conduce alla falsificazione del reale in ossequio alla volontà di un potere distopico talmente sofisticato da ottenere, attraverso la falsificazione, appunto, l’assoggettamento volontario degli individui ad una condizione alienata.

«La raffinata e coinvolgente linea narrativa che lega tutti gli episodi della serie sembra […] patire un limite teorico tipico del pensiero critico, ovvero sottostimare l’azione del soggetto quando entra in contatto con un qualsiasi medium» (p. 133). Da questo punto di vista la serie diverge da quelle letture critiche che vedono nel rapporto tra individuo e media un livello di complessità molto maggiore rispetto a quella proposto dalla serie di Charlie Brooker, una complessità colta, ad esempio, già da Walter Benjamin e dallo stesso Herbert Marshall McLuhan. Se il compito di Black Mirror è quello di metterci di fronte all’imbarbarimento in cui siamo precipitati, questo compito è svolto egregiamente. Prendere atto di ciò è certo indispensabile ma è giunto il momento di smettere di piangersi addosso volgendo mestamente lo sguardo al passato e imparare a leggere le linee di fuga e il conflitto nelle forme in cui si dispiegano qua e ora e, soprattutto, che possono darsi, più fragorosamente, in futuro.


Nemico (e) immaginario – serie completa

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Nemico (e) immaginario. La morte, l’oblio e lo spettro digitale https://www.carmillaonline.com/2019/06/18/nemico-e-immaginario-la-morte-loblio-e-lo-spettro-digitale/ Tue, 18 Jun 2019 21:00:37 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=53162 di Gioacchino Toni

Il sopraggiungere della morte comporta per ogni essere umano un, più o meno lento, scivolamento nell’oblio. Per certi versi ciò che sembra spaventare maggiormente gli esseri umani, per dirla con Antonio Cavicchia Scalamonti, è «la morte in quanto oblio»1 e, proprio per differire l’oblio, nel corso del tempo l’umanità ha tentato in ogni modo di costruire una memoria duratura.

Anche a causa dell’entrata in crisi delle promesse religiose, almeno in Occidente, il rischio di scivolare [...]]]> di Gioacchino Toni

Il sopraggiungere della morte comporta per ogni essere umano un, più o meno lento, scivolamento nell’oblio. Per certi versi ciò che sembra spaventare maggiormente gli esseri umani, per dirla con Antonio Cavicchia Scalamonti, è «la morte in quanto oblio»1 e, proprio per differire l’oblio, nel corso del tempo l’umanità ha tentato in ogni modo di costruire una memoria duratura.

Anche a causa dell’entrata in crisi delle promesse religiose, almeno in Occidente, il rischio di scivolare nell’oblio velocemente pare essere percepito dall’essere umano con crescente inquietudine. Risulta pertanto particolarmente interessante, in una società iperconnessa come l’attuale, interrogarsi circa il significato che assume il concetto di “immortalità” sul web.

Spunti di riflessione su tali questioni, ed in particolare sulla Digital Death, sono offerti da alcuni episodi di Black Mirror (dal 2011), produzione audiovisiva seriale ideata da Charlie Brooker che, scrive Alessandra Santoro nel libro collettivo dedicato alla serie curato da Mario Tirino e Antonio Tramontana,2 con acume e lucidità disarmante sembra «portare iperbolicamente all’esterno le paure, le dissonanze, le ferite aperte e le crepe di un mondo dominato da una crescente deriva tecnologica. Deriva che riflette non tanto una società governata dai media, quanto un futuro distopico e pessimista dominato dagli uomini attraverso i media» (p. 157).

Affrontando nel volume il lemma “Morte”, scrive Santoro: «la cultura digitale, oggi, sembra […] impegnata nel tentativo di mettere in discussione la stasi che deriva dall’interruzione che la morte porta nello scorrere del tempo, e lo fa offrendo la possibilità concreta di accumulare tracce con l’intento di conservare una memoria digitale (o eredità digitale) di quello che siamo stati e, in alcuni casi, si propone di rielaborare l’insieme dei tratti accumulati nel corso dell’esistenza nel tentativo di realizzare una sorta di immortalità digitale: far sopravvivere i defunti sotto forma di “spettro digitale”, fornendo tecnologicamente un’autonomia vivente ai nostri dati, i quali, sottratti dalla sostanza corporea che li animava e incarnando la nostra identità personale, proseguirebbero la vita, in versione digitale, che la morte ha spezzato» (pp. 159-160).

La difficoltà di accettare la morte è al centro, ad esempio, di Be Right Back (Torna da me, Episodio 1, Seconda stagione). Viene qua mostrata la possibilità per chi resta di mantenrsi in contatto con il defunto attraverso un software in grado di rielaborare il materiale condiviso online durante la vita dallo scomparso. Si viene a creare così un “simulacro” dell’individuo vissuto in grado di comunicare con i vivi.

Facendo riferimento alla realtà extra-schermo, Santoro racconta dell’esistenza di servizi web che si occupano di garantire l’immortalità digitale. È prevista un’iscrizione “preventiva” finalizzata alla memorizzazione continuativa di dati dei principali social media al fine di creare un individuo artificiale potenzialmente eterno. Dopo la morte dell’iscritto, costui viene “tenuto in vita” virtualmente attraverso la rielaborazione dei dati da lui stesso registrati per poi essere collegato con tutte le persone precedentemente indicate. È previsto persino una avatar 3D affinché tale entità appaia ed interagisca con gli altri utenti; una sorta di “spettro digitale”.

Scrive Santoro che «tali sistemi sottovalutano però l’importanza simbolica dell’interruzione del divenire temporale: la sopravvivenza dei nostri avatar virtuali non coincide con le regole evolutive della crescita e dell’invecchiamento, ma si limita alla ripetizione meccanica di ciò che ha fatto parte di una storia vissuta ne passato di chi non c’è più e che è impossibilitata a determinarsi in modo innovativo nel futuro. Un’identità che allo stesso modo di quella “reale” rimane incompiuta, statica, ferma all’istante in cui la morte ha interrotto il corso della sua possibile evoluzione» (p. 163).

In San Junipero (Episodio 4, Terza stagione), «il carattere distopico e l’ineludibilità della morte apparentemente sembrano perdersi con la costruzione di un upload in grado di racchiudere la coscienza delle persone in un corpo metallico da proiettare in una paradisiaca eternità virtuale che sembra vincere la morte e la malattia. Una sorta di cookie (estratti delle persone che riproducono, impressi in una memoria artificiale, ricordi, gusti e abitudini del possessore), come lo rappresenta Brooker in White Christmas (Bianco Natale, speciale 2014), o più comunemente inteso come un mind uploading, ossia un procedimento che consente di creare una copia perfetta del cervello [dell’essere umano] per poi trasferirla su un supporto non biologico di modo che, da un lato, esso possa sfuggire al deperimento naturale e, dall’altro, possa crescere, alimentarsi di nuova coscienza e interagire con il mondo reale» (pp. 163-164).

Santoro si sofferma sul finale di San Junipero, quando le immagini mostrano un braccio meccanico che, nella sede della TCKR System, impianta un chip in una distesa di capsule rimandante ad una sorta di cimitero riproducente il mondo virtuale di San Junipero. Il messaggio lanciato, sostiene la studiosa, diretto e inquietante, sembra chiedere se «è realmente la coscienza delle persone a essere racchiusa in quel corpo metallico» o se non sia piuttosto «un riflesso computerizzato di quella coscienza, una sua copia sbiadita» (p. 165).

Il cervello, però, non può che essere pensato come “esteso”, “incarnato”; ogni attività neurobiologica del cervello umano dipende dai segnali provenienti dal corpo e dall’ambiente. «Il corpo, inoltre, è sempre «immerso e situato in un ambiente che lo influenza e da ca cui è influenzato» (p. 166). Il cervello ha una storia sia biologica che sociale; pertanto non è possibile pensare di poter prolungare la sopravvivenza attraverso il suo isolamento dal resto del corpo trapiantandolo in un supporto vitale artificiale.

Sulle medesime questioni che la serie audiovisiva ha il merito di trattare, ragionano anche Fausto Lammoglia e Selena Pastorino3 a partire da due concetti chiave: “post-umano” e “transumanesimo”.

Con il primo termine, sostengono i due studiosi, «si intende una visione dell’essere umano come una macchina di carne che può essere integrata, riparata e finanche migliorata con parti meccaniche o digitali, che caratterizzerebbe la nostra epoca contemporanea». (p. 29). Con post-umano ci si riferisce non solo le protesi di miglioramento/potenziamento sensoriale o psicomotorio, ma anche alla relazione di dipendenza degli esseri umani con la tecnologia.

Con termine transumanesimo, invece, sempre secondo Lammoglia e Pastorino, si fa riferimento ad «un movimento filosofico, sociale ed economico, figlio del tecnocapitalismo, che ha un unico obiettivo: superare il limite fisico della morte (in particolare della vecchiaia)» (p. 30). Che si tratti di sospensione crionica, di upload delle coscienze o di integrazione cibernetica del corpo umano, il transumanesimo pare ossessionato dal superamento dei limiti della mortalità umana, e tale possibilità, sostengono i due autori, «è, prima di tutto, ricerca religiosa di un senso che possa superare i limiti della nostra mortalità che, per i transumanisti, sono fisici e strettamente dipendenti dalla struttura corporale dell’essere umano. In quanto tale essa ha bisogno di profeti, i ricercatori della Silicon Valley, strenui difensori di tale possibilità che, però, è quasi completamente infondata poiché, ad oggi, non si ha ancora nemmeno una briciola di indizio su come funzioni la nostra mente (sappiamo qualcosa in più dell’hardware cervello, ma pochissimo del software mente)» (p. 48).

Il confronto con il fine vita e la speranza di procrastinare il sopraggiungere della morte, compare anche in alcuni episodi di Black Mirror ma, a differenza dei transumanisti, la serie invita a riflettere circa la disponibilità ad affrontare i “costi” che le “soluzioni tecnologiche” pongono all’individuo ed alla società.

Partendo da presupposti che vogliono per certe tanto l’esistenza della coscienza, quanto la possibilità che questa possa essere “caricata” su un supporto diverso da quello del corpo dell’individuo, Black Mirror si preoccupa di contraddire l’entusiasmo dei ricercatori ponendo questioni inerenti il campo delle relazioni, della psicologia e dell’identità che toccano problemi esistenziali, etici e legislativi.

«Ammesso che sia possibile caricare le coscienze su un cloud, esse hanno sempre bisogno di un supporto fisico (sia questo un pc, un robot, un altro essere umano o un peluche). […] Se accettiamo una definizione che indichi l’essere come tutto ciò che possa agire o subire un’azione, comprendiamo immediatamente come una coscienza senza supporto non possa effettivamente “essere”. È necessario che sia in qualche modo incarnata, che abbia delle propaggini che le permettano di relazionarsi con il reale. […] Possiamo dunque sintetizzare che, a livello pratico, serve un corpo che possa rendere le coscienze esistenti (capaci di interagire con il mondo); che tale corpo dovrebbe essere il più possibile autonomo (non dipendente da altri individui, pena il rischio di perdere la propria esistenza […]); e che, cognitivamente, potremmo avere difficoltà ad accettare l’esistenza di un altro Io virtuale se prima non abbiamo fatto esperienza della sua realtà corporale. La nostalgia, però, sembra un problema identitario ancor più radicale, scalfito in parte dal problema cognitivo appena accennato. Tutti, ma proprio tutti i casi citati negli episodi di Black Mirror, hanno bisogno di vedersi come corpi, poiché il corpo è legato alla concezione di esistenza […] Il corpo non è solo il mezzo per agire, ma è componente essenziale (alla nostra mente) per pensarsi esistenti. Risulta difficile, se non impossibile, ad ognuno provare ad immaginarsi senza corpo. Non riusciamo in alcun modo a pensarci come semplici voci nel nulla. Sembra impossibile quindi giungere alla completa trascendenza dal corpo senza perdere con essa l’identità (se non anche l’esistenza): non c’è una liberazione dal corpo prigione (come sosteneva Platone) che possa configurarsi come esistenza migliore. Non per ciò che abbiamo esperito. Esiste però una differenza tra il bisogno di un corpo e la dinamica identitaria ad esso connessa» (pp. 49-52) .

Continuare a parlare di mente e corpo, come di due entità separate, è quantomeno fuorviante, se non scorretto, sostengono Lammoglia e Pastorino, «meglio sarebbe parlare di persona, la cui identità, radicata nella sua essenza, è costruita (e dipendente) sia dall’aspetto razionale che da quello fisico e materiale. Mente e corpo non sono quindi due parti scisse ma due dimensioni correlate, assolutamente reciproche, e continuamente influenzate l’una dall’altra di ogni persona. Sembra che Black Mirror voglia essere sì profeta, ma di tipo apocalittico, del transumanesimo. Nella notte di questa fede cieca del terzo millennio, la profezia mette le macchine davanti allo specchio chiedendo che si riconoscano, mette i progettisti a sedere chiedendo loro quale bioetica per il futuro e, non ottenendo risposta, prova a mostrare conseguenze non preventivate» (p. 53).

Insomma, a questa partita che l’essere umano si ostina a giocare, la morte vince sempre. Forget about it!


Fausto Lammoglia – Selena Pastorino, Black Mirror. Narrazioni filosofiche, Mimesis, Milano-Udine, 2019, € pp. 170, € 18,00

Mario Tirino – Antonio Tramontana (a cura di), I riflessi di Black Mirror. Glossario su immaginari, culture e media della società digitale, Rogas Edizioni, Roma, 2018, pp. 280, € 19,70

Serie completa di “Nemico (e) immaginario


  1. A. C. Scalamonti, La camera verde. Il cinema e la morte, Ipermedium 2003 

  2. M. Tirino – A. Tramontana (a cura di), I riflessi di Black Mirror. Glossario su immaginari, culture e media della società digitale, Rogas Edizioni, 2018 

  3. F. Lammoglia – S. Pastorino, Black Mirror. Narrazioni filosofiche, Mimesis, 2019, p. 29 

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