Covid 19 – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Fri, 28 Nov 2025 22:00:30 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Virus letale https://www.carmillaonline.com/2025/11/26/virus-mortale/ Wed, 26 Nov 2025 21:00:43 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=91113 di Sandro Moiso e Jack Orlando

La parola è ora un virus. Una volta forse il virus dell’influenza era una cellula polmonare sana. Ora è un organismo parassita che invade e danneggia i polmoni. Una volta forse la parola era una cellula neurale sana. Ora è un organismo parassita che invade e danneggia il sistema nervoso centrale. L’uomo moderno ha perso la facoltà di scegliere il silenzio. (William S.Burroughs – Il biglietto che esplose, 1962)

Chissà se Ari Aster, quando ha iniziato a progettare Eddington, ha riflettuto sulle parole di William Burroughs inscritte in uno dei testi imprescindibili della [...]]]> di Sandro Moiso e Jack Orlando

La parola è ora un virus. Una volta forse il virus dell’influenza era una cellula polmonare sana. Ora è un organismo parassita che invade e danneggia i polmoni. Una volta forse la parola era una cellula neurale sana. Ora è un organismo parassita che invade e danneggia il sistema nervoso centrale. L’uomo moderno ha perso la facoltà di scegliere il silenzio. (William S.Burroughs – Il biglietto che esplose, 1962)

Chissà se Ari Aster, quando ha iniziato a progettare Eddington, ha riflettuto sulle parole di William Burroughs inscritte in uno dei testi imprescindibili della letteratura americana della seconda metà del ‘900. Il film, di cui Aster aveva scritto la sceneggiatura ancora prima di esordire nel 2018 con Hereditary – Le radici del male, amplia infatti l’intuizione di Burroughs ben oltre il linguaggio vocale per adattarla all’odierna trasformazione antropologica seguita alla diffusione dei social media e delle tecnologie digitali. Una diffusione virale di cui la pandemia da Covid 19, che fa da sfondo al film, ambientato nel 2020, non può che costituire l’ovvia metafora.

La trama, sostanzialmente, è riassumibile in poche righe. Nel maggio del 2020, nel pieno esplodere del Coronavirus, delle proteste organizzate da Black Lives Matter per la morte di George Floyd a Minneapolis e della campagna elettorale per le elezioni presidenziali del novembre dello stesso anno, la cittadina di Eddington, nel Nuovo Messico, sale agli onori della cronaca quando una disputa tra l’asmatico e conservatore sceriffo Joe Cross (interpretato da Joaquin Phoenix) e il sindaco finto-progressista Ted García (Pedro Pascal) degenera rapidamente in un tragico bagno di sangue, mettendo gli abitanti gli uni contro gli altri.

Definito come un “western contemporaneo” il film è, invece, ascrivibile a quello che sta diventando rapidamente un vero e proprio genere per il cinema statunitense: quello della “guerra civile” strisciante o che viene. A differenza però dell’altrettanto recente Una battaglia dopo l’altra di Paul Thomas Anderson, rifiuta l’ambientazione ucronica, che già aveva caratterizzato anche Civil War di Alex Garland (2024), per inserirlo in un contesto sociale, storico e politico ben definito, dove fa spesso capolino il volto di Trump. Dando così origine a qualcosa che si potrebbe definire come una sorta di neo-realismo dell’era della comunicazione digitale.

Il regista, nato nel 1986 a New York, si è sempre mosso tra atmosfere horror, dark e noir, di cui costituiscono una significativa testimonianza i precedenti Hereditary (2018), Midsommar – Il villaggio dei dannati (2019) e Beau ha paura (2023). Ma questa volta, pur non attenuando il gusto per il noir e la violenza esplicita, prova a sviluppare un discorso, così come ha spiegato in un’intervista ai «Cahiers du cinéma», su come la diffusione degli smartphone, dei social media e dell’Intelligenza Artificiale abbia finito col dare vita ad un mondo caratterizzato da una sorta di iper-individualismo di massa in cui nessuno sembra essere più d’accordo sul concetto di “reale” o, perlomeno, su quelli che sono, o dovrebbero essere, gli elementi che costituiscono concretamente la “realtà”.

Non a caso, sullo sfondo delle vicende troneggia la proposta di costruzione nelle vicinanze della cittadina posta ai margini del deserto, e già afflitta dalla siccità, di un enorme data center. Un data center vorace di acqua ma, secondo i promotori dell’iniziativa, sindaco Garcia in testa, necessario a riportare la prosperità (se non la modernità) in un contesto economico e sociale in cui la pandemia, con tutte le sue restrizioni, sembra aver dato il colpo di grazia.

Intorno a tutto questo, però, si muovono non soltanto gli appetiti economico-produttivi della ditta specializzata in gestione dati ma anche le speranze di una parte dei cittadini, le paure dei complottisti, la volontà di riscatto di uno sceriffo debole attanagliato dai suoi fallimenti, dalle sue paure e dalle preoccupazioni per una moglie mentalmente instabile (interpretata da Emma Stone), la pervasività di una farlocca moralità di origine religiosa e le denunce degli abusi sessuali su bambini e adolescenti in loco e nell’intera America dei cinquanta stati.

Si muove la politica con la campagna trumpiana per la Casa Bianca e i giovani Antifa che promuovono manifestazioni e confusi disordini in seguito alla morte di George Floyd. Con parole d’ordine e slogan che spesso appaiono grotteschi, come quelli che riguardano una “bianchezza” che, da metafora universale delle diseguaglianze di classe, genere e razza, si tramuta in discorso assoluto da realizzare individualmente.

Con tutto il seguito, ridicolmente pomposo, di autodenunce, scuse, vittimismo e rimozione della storia portate poi parzialmente a compimento dai movimenti della cancel culture1 che proprio nel 2020 esplodeva definitivamente e di cui, in qualche modo, in tempi recenti Donald Trump ha approfittato ribaltandone il significato, per proporre la rimozione dai 21 musei e dai 14 centri di ricerca dello Smithsonian Institute i riferimenti ritenuti eccessivi e fuorvianti alla schiavitù negli Stati Uniti, in occasione del 250esimo anniversario della nascita dello Smithsonian. Una revisione orientata a “ristabilire verità e sanità nella storia americana”. Un’iniziativa tesa, sempre secondo il presidente, “ad assicurare l’allineamento con la direttiva di celebrare l’eccezionalismo americano, rimuovere narrative divisive e di parte e ristabilire la fiducia nelle nostre condivise istituzioni culturali” (qui).

Un atteggiamento che, sempre secondo quanto ha dichiarato il regista ai «Cahiers», rivela le responsabilità della sinistra che a partire dagli anni Sessanta, stanno alla base delle distorsioni destinate a dare vita a molte teorie complottiste, che si ritengono oggi patrimonio della destra populista degli Stati Uniti e non soltanto. Ma che, ancor prima di costituire un discorso di propaganda, rappresentano l’esternazione di una società che ha perso i suoi punti di riferimento, materiali e simbolici, e con essi la capacità di tenere insieme le persone, che vanno ora cercando nuovi cardini nelle verità più assurde, senza alcuna capacità di confrontarsi su un terreno comune.

Una società del piagnisteo, dell’autocompatimento e dell’autocommiserazione, in cui tutti trovano sfogo e motivi di rivincita, grazie soprattutto alle tempeste che si scatenano a partire dai social media e dal loro uso ossessivo. Fornendo parole d’ordine vuote quanto roboanti e “cause” pret-a-porter a tutte le parti in causa.

Così, se le tematiche del western classico sono spesso indirizzate nella direzione della fondazione di nuova società, dell’invenzione di una legge di fronte all’anarchia sociale, con il deragliamento dei social media prima e l’avvento dell’intelligenza artificiale poi ci si trova di fronte a una specie di “nuova frontiera”. In cui le immagini generate dall’intelligenza artificiale, ormai virulente come le parole di cui sopra, sono quelle destinate a “dirigere tutto” come un tempo si pensava della classe operaia. Anche se, come afferma ancora lo stesso Aster, tutto ciò non è normale, ma semplicemente demenziale.

Esattamente come succede nel caso di Joe Cross, non un autentico villain o principe del male, ma, piuttosto, un fallito in tutti gli aspetti della vita (lavorativi, umani e affettivi) che, nelle distorsioni prodotte dai video e dalle foto pubblicate su Instagram, “trova la forza” per affrontare e risolvere le cause dei suoi mali, più che di un unico male.

Tutti elementi cui si aggiungerà, nel granguignolesco finale che altro non potrebbe essere in una società che letteralmente affoga tra le armi, l’arrivo di un presunto commando di suprematisti bianchi sotto copertura, a bordo di un jet privato che determina il definitivo abbattimento del muro tra finzione e reale, tipico della mente paranoide che sembra governare il comportamento sociale (non solo) americano. Probabilmente convocati dalla stessa agenzia risoluta a realizzare il grande data center di Eddington, nonostante l’apparente progressismo dei suoi intenti, per innaffiare l’incendio tutt’altro che latente con un’ultima tanica di benzina.

Un film dunque ad elevato grado di ottani, confusione, violenza e follia che lascia lo spettatore frastornato, stordito dal flusso degli eventi, delle immagini e delle parole trasmesse da smartphone e computer portatili. Sfondo uditivo permanente, che molesta ogni interazione e frantuma ogni silenzio in modo ossessivo. Un gioco di rinvii in cui le immagini prodotte dall’AI e i discorsi deliranti diventano normali e facilmente spendibili. Per qualsiasi causa. Un autentico virus, mortale e irrefrenabile allo stesso tempo.

Lo spettatore esce confuso anche in virtù di una colonna sonora minimale, curata da Bobby Krlić, alla sua terza collaborazione con Aster, dopo Midsommar e Beau ha paura, insieme a Daniel Pemberton. In cui oltre ai suoni si mescolano, quasi costantemente, le voci degli utenti dei servizi digitali. In una cacofonia che risulta poter essere l’unica colonna sonora possibile per una guerra civile sicuramente in arrivo, ma priva di alcuna linea di condotta. Sia politica che di classe.

Un film spiazzante e frastornante, e per questo assolutamente riuscito, che con il lungo fermo immagine che accompagna i titoli di coda rivela chi o cosa, almeno sul momento, è davvero uscito vincitore dallo scontro feroce e insensato che lo ha percorso dall’inizio alla fine.


  1. Si veda in proposito: C. Rizzacasa D’Ortogna, Scorrettissimi. La cancel culture nella cultura americana, Gius. Laterza e Figli S.p.a., Bari-Roma 2022.  

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Carcere e covid. Dalle fake news alle leggi emergenziali https://www.carmillaonline.com/2022/05/30/carcere-e-covid-dalle-fake-news-alle-leggi-emergenziali/ Mon, 30 May 2022 06:30:53 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=72155 di Alexik

Sandra Berardi, Carcere e covid. Dalle fake news alle leggi emergenziali, Stampalternativa, Collana Strade Bianche, 2021, pp. 207.

Febbraio/marzo 2020, SARS CoV 2 comincia a correre nel nord Italia. Un coro di padroni e di politici bipartisan intona “Milano non si ferma“, “Bergamo is running“, poco prima che il propagarsi esponenziale dei contagi determini un repentino cambio di direzione. Il disastro si espande agevolato da decenni di disinvestimenti e blocchi delle assunzioni nella sanità pubblica, dal caos gestionale degli ospedali trasformati in centri di contagio, dall’indisponibilità [...]]]> di Alexik

Sandra Berardi, Carcere e covid. Dalle fake news alle leggi emergenziali, Stampalternativa, Collana Strade Bianche, 2021, pp. 207.

Febbraio/marzo 2020, SARS CoV 2 comincia a correre nel nord Italia.
Un coro di padroni e di politici bipartisan intona “Milano non si ferma“, “Bergamo is running“, poco prima che il propagarsi esponenziale dei contagi determini un repentino cambio di direzione.
Il disastro si espande agevolato da decenni di disinvestimenti e blocchi delle assunzioni nella sanità pubblica, dal caos gestionale degli ospedali trasformati in centri di contagio, dall’indisponibilità a fermare da subito la produzione, dalle delibere che indirizzano pazienti covid nelle case di riposo per anziani.
Il Belpaese scopre con stupore di aver da tempo delocalizzato in Asia tutta la filiera dei dispositivi di protezione respiratoria. Apprende sbalordito che dopo otto anni di martellanti retoriche emergenziali su inesistenti epidemie di morbillo, i tre ministri della salute che si sono succeduti non sono stati in grado di far redigere un piano pandemico.
Una cacofonia mediatica di voci di esperti o presunti tali, capaci di affermare in poco tempo tutto e il contrario di tutto, genera un inevitabile e crescente impatto ansiogeno, mentre inizia una fitta decretazione d’urgenza che dispone zone rosse ma non dispone mezzi adeguati per il soccorso.
Velocemente si assiste all’estensione del coprifuoco ed alla militarizzazione progressiva di ogni angolo della società .
L’economia si ferma tentando di tutelare il grande capitale – dalle catene dei supermercati, all’industria pesante, alla costruzione di gasdotti – sacrificando preferibilmente le attività della piccola borghesia, di cui già dalla crisi del 2008 si è accelerato il processo di proletarizzazione.
I lavoratori vengono divisi fra chi – chiuso in casa – è privato del reddito e chi è costretto a rischiare la pelle nelle attività definite come essenziali.
Nel frattempo si susseguono disposizioni sanitarie tanto tassative quanto poco praticabili, dall’obbligo di mascherine che non si trovano, se non a prezzi altissimi, al divieto di assembramento che non può funzionare nelle fabbriche ancora attive, sui mezzi di trasporto per arrivarci, e soprattutto nelle galere.

Con la gestione emergenziale della pandemia, società e galera tendono ad avvicinarsi.
Dice Sandra Berardi, nel suo “Carcere e covid. Dalle fake news alle leggi emergenziali“:

“Assistiamo ad una trasposizione del linguaggio penitenziario, e delle relative modalità esecutive, alla società tutta, quella sorta di quarantena sociale che Michel Foucault individua come modalità disciplinante che il potere usa per permeare qualsiasi apparato sociale.
I dispositivi emergenziali che il Governo sta emanando preannunciano una compressione dei diritti che non è esagerato paragonare a quanto avviene con l’esecuzione della condanna penale, o con la sottoposizione a sorveglianza speciale” (p. 63).

Ma è nelle galere che la dimensione della catastrofe che attraversa la società si presenta in maniera più grave e amplificata.
Al 29 febbraio i penitenziari italiani contengono “61.230 detenuti totali a fronte di una capienza regolamentare di 50.931“. Di questi oltre un terzo sono in attesa della fine del primo grado di giudizio, mentre almeno la metà attende sentenza definitiva.
Ci sono “circa 10.000 persone in più rispetto ai posti letto disponibili “ufficiali” con un tasso di sovraffollamento medio pari al 120%”.
A quanti non sono mai entrati in un carcere tocca fare uno sforzo di immaginazione per riuscire ad avere contezza di cosa possa significare vivere forzatamente in 10-12 persone nello stesso ambiente. Li chiamano “i cameroni”, celle di pochi metri quadri pensate per 4/6 persone al massimo con le finestre bloccate dai letti a castello a 3 o 4 piani; un unico bagno da condividere per i bisogni e la cucina di tutti“. (pp. 20/22)
Impossibile, in queste condizioni, applicare il distanziamento.

Con la pandemia in corso, le misure igieniche predisposte per questi spazi angusti, ammuffiti, fatiscenti e stipati di essere umani, sono quelle descritte da una lettera dalle Vallette di Nicoletta Dosio: “un bicchierino di sapone liquido ed una mezza bottiglietta di disinfettante per ogni cella (ci sono vietati i disinfettanti quali candeggina, alcool, ammoniaca). Quanto alle cosiddette mascherine, sono obbligatorie per gli avvocati, ma ne sono totalmente sprovvisti gli agenti (che pure vanno e vengono dall’esterno)“. (p.48)

Drammatiche le condizioni della sanità penitenziaria, anche nelle carceri dotate di SAI (Servizio Assistenza Intensiva), come quelli di Parma e Bari. A Parma il reparto clinico del 41bis, sbandierato come “eccellenza della sanità penitenziaria” consiste solo nelle bocchette per l’ossigeno nelle celle. A Bari visite ed esami diagnostici hanno tempi lunghissimi, il personale è carente, le patologie degenerano con gravi conseguenze.
In generale i detenuti sanno che in caso di contagio da covid 19 non potranno essere curati, così come non vengono curati normalmente.

La situazione richiederebbe misure reali di deflazione carceraria. Le associazioni garantiste le invocano urgentemente.
Ma la risposta del ministero della giustizia, guidato al tempo da Alfonso Bonafede, va in direzione esattamente contraria, in piena coerenza col furore giustizialista sul quale i pentastellati hanno fondato gran parte delle loro fortune politiche.
Scavalcato a sinistra in tema di garantismo persino dagli ayatollah iraniani (che nel marzo 2020 sospendono la pena a 85.000 prigionieri), Bonafede decreta la sospensione dei colloqui in presenza fra i detenuti e i loro familiari, sospende tutte le attività trattamentali, impedendo l’ingresso in carcere di educatori e volontari, e introduce la possibilità di sospendere i permessi premio e la semilibertà (che significa la perdita, per il semilibero, del lavoro esterno).

La decretazione di Bonafede ha l’effetto di una miccia accesa in una polveriera.
I primi a ribellarsi (il 7 marzo) sono i detenuti del carcere di Salerno. Per un eccesso di zelo, infatti, la direzione blocca i colloqui il giorno prima dell’entrata in vigore del decreto, mentre i familiari sono in fila davanti al carcere, molti dopo lunghe e faticose trasferte.
Dal giorno dopo rivolte e proteste attraversano da nord a sud 27 carceri italiane, lasciando sul terreno 13 prigionieri morti, 9 del Sant’Anna di Modena, con le modalità che su queste pagine abbiamo già avuto modo di descrivere1.

Sandra Berardi si concentra su ciò che accade dopo, e in particolare su uno stupefacente fenomeno di metamorfosi delle emergenze.
Se nella società fuori dalle mura l’emergenza sanitaria è stata ben presto trasformata in emergenza di ordine pubblico, la mutazione che interessa lo specifico delle carceri punta alla riedizione dell’emergenza mafia.
All’indomani delle rivolte prende infatti forma sulla stampa mainstream una narrazione delirante che legge l’esplosione di rabbia dei detenuti come frutto di una regia occulta, prima scomodando gli anarchici, per poi puntare con più decisione alle organizzazioni criminali.
Scompare, a fronte di tale narrazione, la ricerca delle cause delle rivolte nell’insostenibilità della condizione carceraria, nella paura per i primi casi di contagio dietro le sbarre e nelle disposizioni ulteriomente afflittive contenute nel decreto del governo, in assenza di qualsiasi reale misura di prevenzione.

I talk show cominciano a popolarsi di “imprenditori morali”, campioni di giustizialismo, professionisti dell’antimafia addestrati alla logica del nemico.
“Esperti” che interpretano la contemporaneità delle rivolte come prova indiscutibile di una direzione mafiosa, e non come reazione spontanea al decreto Bonafede, detonatore unificante del conflitto.


Si inventano che i detenuti di carceri lontane, sotto il comando dei boss, si sono certamente coordinati fra di loro grazie a telefoni cellulari clandestini, facendo finta di non sapere che le immagini delle rivolte hanno viaggiato per tutta Italia attraverso i TG, e che le carceri sono zeppe di televisori.

Il complottismo trova ampio spazio sulle pagine dell’Espresso e del Fatto Quotidiano, e nella trasmissione di La 7 “Non è l’Arena” – condotta da Massimo Giletti.
Aumenta la sua aggressività per fare da contraltare alle voci che da più parti richiedono l’attuazione di soluzioni alternative al carcere per anziani e malati, richiamando al rispetto del dettato costituzionale che afferma la preminenza del diritto alla salute sulla potestà punitiva.
Esplode letteralmente quando il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP) emana, in una nota, l’elenco delle patologie/condizioni che rappresentano un rischio elevato per i detenuti in tempo di pandemia, al fine di permettere di valutare l’eventuale sostituzione della detenzione in carcere con quella domiciliare, in ospedale o comunità.
In seguito al passaggio ai domiciliari di un detenuto gravemente malato e prossimo al fine pena, gli “imprenditori morali” scateneranno una vera e propria campagna di “moral panic”, paventando la fake della liberazione di centinaia di boss mafiosi, sulla base di un teorema che riesce a riesumare finanche la trattativa stato/mafia:

Lo Stato sembra essersi piegato al ricatto” – “Lo Stato sta dando l’impressione di essersi piegato alle logiche di ricatto che avevano ispirato le rivolte“, dice al fattoquotidiano.it il magistrato Nino Di Matteo. “E sembra aver dimenticato e archiviato per sempre la stagione delle stragi e della Trattativa stato-mafia“(p. 142).

La canea giustizialista l’avrà vinta, in spregio alla Costituzione e all’autonomia della magistratura di sorveglianza.
Sotto le pressioni della campagna mediatica Basentini, il direttore del DAP, rassegnerà le dimissioni. Bonafede ordinerà l’ispezione negli uffici dei tribunali di sorveglianza responsabili delle poche scarcerazioni effettuate ed emanerà un decreto per annullarle.
Fra queste quella di Carmelo Terranova, dipendente da 10 anni da un respiratore, che il decreto riporterà in carcere a morire.

Il libro di Sandra Berardi è liberamente scaricabile qui.


  1. Vedi: Strage di Modena: noi non archiviamo, parte prima, seconda e terza

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Le trame e l’ordito della repubblica https://www.carmillaonline.com/2021/11/17/la-trama-e-lordito-della-repubblica/ Wed, 17 Nov 2021 21:00:32 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=69084 di Sandro Moiso

Elio Catania, Confindustria nella repubblica (1946-1975). Storia politica degli industriali italiani dal dopoguerra alla strategia della tensione, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2021, pp. 360, 24,00 euro

Come afferma Aldo Giannullli nella sua prefazione al testo di Elio Catania, recentemente edito da Mimesis: «Nella storia della Prima Repubblica, c’è una lacuna piuttosto vistosa che riguarda uno dei soggetti più importanti: la storia della Confindustria». Ma se è vero che anche altre associazioni come Confcommercio, Confagricoltura, Abi o Confapi, solo per citarne alcune, non sono state oggetto di una attenta ricerca e [...]]]> di Sandro Moiso

Elio Catania, Confindustria nella repubblica (1946-1975). Storia politica degli industriali italiani dal dopoguerra alla strategia della tensione, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2021, pp. 360, 24,00 euro

Come afferma Aldo Giannullli nella sua prefazione al testo di Elio Catania, recentemente edito da Mimesis: «Nella storia della Prima Repubblica, c’è una lacuna piuttosto vistosa che riguarda uno dei soggetti più importanti: la storia della Confindustria». Ma se è vero che anche altre associazioni come Confcommercio, Confagricoltura, Abi o Confapi, solo per citarne alcune, non sono state oggetto di una attenta ricerca e ricostruzione storica, è anche vero che il ruolo politico ed economico giocato dalla prima all’interno della storia italiana del ‘900 è indiscutibilmente assai più rilevante. Soprattutto, a detta dello stesso Giannulli, per la forte influenza costantemente esercitata «sulle scelte politiche di governo e non solo in materia di politica economica e sindacale, ma anche in politica estera e più in generale sull’indirizzo politico complessivo del governo – soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta».

La ricerca di Catania, pur ripercorrendo a grandi linee la storia dell’associazione degli industriali dalle sue origini fino al Fascismo e alla Repubblica, si sofferma, in particolare, proprio sul ruolo svolto dalla stessa nella fase in cui era al massimo del suo potere. Potere di cui si servì innanzitutto per ostacolare in ogni modo l’ascesa economica, politica e sociale della grande massa dei lavoratori.
E per fare ciò, sia come singoli gruppi imprenditoriali sia come associazione, minacciò più volte, oppure rasentò, lo sbocco del colpo di Stato, finanziando o incoraggiando, indirettamente o direttamente, la destra eversiva di stampo dichiaratamente fascista.

E’ questo un tema importante, non tanto per tornare ancora una volta sulle trame mai chiarite e sulle vittime fin troppo chiare della stagione della “strategia della tensione”, ma piuttosto per far luce, sulla menzogna che sembra costituire l’unica formula identitaria su cui basare la richiesta di una collaborazione tra le classi, rivolta in particolare al coinvolgimento dei lavoratori e dei ceti sociali meno abbienti nell’interesse nazionale, nei momenti di crisi sociale, politica, economica o pandemica che sia: quella della grande unità democratica e antifascista.

Menzogna talmente evidente e di maglia ormai talmente larga che oggi, in occasione di fatti come quello dell’assalto alla sede romana della CGIL, può essere sbandierata tanto dai partiti della sinistra istituzionale e dai sindacati confederali quanto dalla destra parlamentare, anche la più estrema, cui è richiesto ipocritamente di prendere le distanze dalla sua unica fonte di ispirazione, il fascismo1.

Se è vero che, a livello ideologico oppure mitopoietico, l’antifascismo è stato uno dei maggiori collanti istituzionali della Prima Repubblica, è anche vero che mentre i discorsi istituzionali devono per forza esplicitarsi pubblicamente attraverso formule discorsive e retoriche, cariche di significati simbolici, buone per tutti gli usi, l’ordito reale del tessuto dello Stato repubblicano è più sottile e nascosto. Non per complottismo innato, ma per le intrinseche funzioni che lo Stato deve svolgere in quanto rappresentante degli interessi del capitale e dei suoi funzionari.

Non è dunque un caso che, a fronte del ruolo giocato da Confindustria nel definire gli assetti politico-economici della Repubblica succeduta al regime fascista, si abbiano solo indizi, riflessi, echi della reale attività svolta dalla maggiore associazione imprenditoriale italiana, «quasi si trattasse di un attore secondario dello scontro»2.

I documenti che riguardano questo ruolo risultano infatti rari o carenti e la stessa associazione «non è stata molto generosa nel concedere agli storici l’accesso alla propria documentazione d’archivio e, peraltro, anche i grandi gruppi industriali non hanno largheggiato in questo senso. Il mondo imprenditoriale ha preferito agire verso le istituzioni in modo assai discreto, nell’ombra di incontri riservati, di finanziamenti occulti, di diplomazie felpate e tutto questo ha prodotto una certa ritrosia ad aprire il libro dei ricordi»3.

D’altra parte, questa scarsità di documentazione sull’operato “reale” di Confindustria costituisce soltanto uno dei tanti aspetti dell’occultamento e della rimozione di gran parte della storia repubblicana, verrebbe da dire, “profonda”. Al cui centro appunto rimane il tema della continuità con il fascismo o, perlomeno, con l’autoritarismo di cui fu portatore nel segno della modernità capitalistica.

Anche se numerosi sono ormai i saggi sulla continuità di funzionari di ruolo significativo tra il regime e la repubblica4, altrettanto non si può dire a proposito della più generale continuità insita in tutte, o quasi, le istituzioni dello Stato e le sue funzioni5, nonostante lo sviluppo, nell’ambito della ricerca, della cosiddetta storiografia della continuità, cui si richiama lo stesso Catania, ispirata dalle ricerche di Claudio Pavone e S,J. Woolf6.

Il lavoro di Elio Catania, pur inserendosi in tale contesto di ricerca, è il frutto, a detta dello stesso autore: «di oltre dieci anni di ricerche e studio sul tema della strategia della tensione e di quel fenomeno particolare che abbiamo definito pacto del olvido7 nella storia dell’Italia repubblicana».

Il punto di vista intorno a cui si è articolata la ricerca segue due piani:

quello dell’azione pubblica di Confindustria, le pressioni, i legami politici, il lobbysmo e la difesa dei propri interessi, di cui molti autori hanno già ricostruito con cure le vicende particolari; quello della “guerra coperta”, non dichiarata e inconfessabile, che vide l’intero schieramento industriale impegnato per almeno il primo trentennio di vita repubblicana contro il “nemico interno” e i progetti politici che dal loro punto di vista minacciavano gli interessi della produzione […]; in secondo luogo, si è deciso di seguire come un “filo rosso” la formazione del blocco civico-militare che , dopo aver vissuto il momento embrionale negli anni Cinquanta e il preambolo nei Sessanta a cavallo tra dimensione nazionale e internazionale della Guerra fredda, manifesta appieno i suoi propositi nel “quinquennio nero” 1969-74. La strategia della tensione, assunto il suo carattere pienamente di Stato, rimane per noi uno dei principali nodi irrisolti della storia recente nazionale e Confindustria – che usufruì delle modalità della transizione senza rottura del dopoguerra – fu parte integrante di quel blocco civico-militare che, pure nelle sue diverse correnti e ramificazioni, accettò l’alleanza con l’estrema destra e legittimò tutto quanto fosse necessario fare per realizzare il principio destabilizzare per stabilizzare8.

Certo, secondo l’autore, l’azione di Confindustria non può essere considerata omogenea e uniforme, lineare e priva di contrasti al suo interno, poiché:

il punto di vista interno fu sempre diversificato e ciò comportò scontri anche aspri tra le sue correnti – che però si seppero ricompattare al momento opportuno, di fronte alla percepita “minaccia marxista” o in occasione di cicli particolarmente duri e intensi di conflitto sociale. In tal senso, Confindustria, assieme alla coalizione sociale politica di riferimento, riuscì a determinare alcuni caratteri peculiari della modernizzazione in Italia, tra cui il mantenimento per lungo tempo nella condizione di subalternità dei ceti non proprietari, lavoratori, a medio e basso reddito, esclusi dai circuiti di riproduzione sociale e nell’accesso alle risorse9.

L’ordalia capitalistica nei confronti del lavoro vivo ebbe così modo di manifestare la sua potenza non solo attraverso il normale uso degli apparati dello Stato, già preposti al mantenimento all’ordine di classe precostituito, ma anche per il tramite di strumenti eccezionali maneggiati dal terrorismo di stampo fascista e dai servizi… tutt’altro che “deviati”, come invece vorrebbe la vulgata democratica.
A dimostrazione che qualsiasi discorso sulla violenza dovrebbe sempre e immancabilmente distinguere l’uso di classe che di questa può essere fatto dai differenti contendenti. Rifiutando di accogliere in unico abbraccio “nazionalista” tutte le vittime della stessa, come se si trattasse di semplici nomi e date da porre su una linea infinita di “pietre d’inciampo”.

Tale discorso è talmente vero che l’autore apre il suo lavoro iniziando proprio dagli effetti della pandemia da Covid-19 e dalle misure di salvaguardia della produzione e dell’economia, più che della salute, prese. all’inizio del 2020, in quell’area lombarda che proprio negli anni Settanta aveva visto la strategia fascista, appoggiata dal grande capitale, effettuare i due attentati che di fatto delimitarono con chiarezza d’intenti il quinquennio 1969-74: Piazza Fontana e Piazza della Loggia.

Nel citare alcuni drammatici dati riportati da Francesca Nava nel suo bel libro sull’inizio della pandemia a partire dalla Val Seriana10, Catania sottolinea come si sia ormai diffuso a livello di discorso pubblico l’uso sulla storia dell’industria e della finanza italiana «che vuole il capitale privato al centro del progresso e dell’avanzamento storico della società». Mentre, in realtà:

Ci sembra di poter dire che il maggiore attivismo politico della Confindustria e degli operatori privati, che un costo così elevato ha causato in questi nostri tempi recenti di pandemia, non sia fenomeno del solo presente ma abbia radici profonde; soprattutto, che la valutazione positiva di cui è oggetto derivi anche da una rimozione: quella del ruolo svolto, nel determinare indirizzi e forme del modello di sviluppo nazionale, in particolare dalla Confederazione generali dell’industria italiana – CGII, dalla sua fondazione fino alla seconda metà degli anni Settanta, quando i mutati equilibri politici nazionali e internazionali conclusero con un compromesso de facto i lunghi cicli di conflitto sociale al centro dei processi di modernizzazione del Paese. Sebbene infatti il profilo dell’attuale Confederazione industriale sia profondamente diverso da quello della Confindustria storica – basti considerare la fuoriuscita della FIAT nel 2012 e la scomparsa dei principali gruppi che la costituivano -, è possibile rintracciarne la continuità grazie all’indagine storiografica11.

Perciò, nonostante la celebrazione ufficiale del 25 aprile veda sempre tra i protagonisti e i commentatori principali i rappresentanti della stessa e il suo organo di informazione più autorevole, “Il Sole 24 Ore”, i fatti storici dimostrano che il vero nerbo della reazione italiana a qualsiasi tipo di cambiamento sociale, politico ed economico si sia sempre celata proprio nell’anima “dura” dell’associazione degli imprenditori industriali.

Come dimostrano anche i tanti documenti raccolti nell’archivio digitalizzato della Procura di Brescia in occasione del processo per la strage di Piazza della Loggia, che, in particolare, include gran parte del giudice Guido Salvini su Piazza Fontana. Al cui interno sono custodite anche le perizie realizzate in oltre vent’anni di lavoro dallo storico Aldo Giannulli, di cui l’autore è stato ausiliario, nominato perito dal PM Francesco Piantoni, in occasione della prima fase dell’ultima istruttoria bresciana.

Mentre è spesso fin troppo facile sentir parlare di mandanti anonimi, servizi deviati e fascisti latitanti o morti da anni, è sempre difficile veder venire a galla le responsabilità di un’associazione che è ritenuta, a destra come a sinistra, un’istituzione intoccabile e che, al massimo, viene nominata meno positivamente soltanto in occasione del rinnovo dei contratti di categoria. Elio Catania invece, con coraggio e autorevolezza, sbatte in faccia a tutti una realtà e una storia spesso negate e rimosse, prendendo di punta la grande menzogna su cui si basa anche l’altra: quella della repubblica nata anti-fascista e democratica.

Forse, una ricerca storica come la sua andrebbe accompagnata da un’altra, ancora tutta da svolgere nell’ambito della storiografia della continuità: quella riguardante la mancata approvazione dell’articolo della Carta Costituzionale, che alcuni padri fondatori della Repubblica avrebbero voluto come 3°, destinato a giustificare la reazione del popolo al mancato rispetto del patto costituzionale e di governo. Allora impedito dalla tacita intesa tra DC degasperiana e PCI togliattiano12.

Da quella rimozione del diritto alla resistenza contro un governo autoritario derivano ancora infatti sia la rimozione storica, mediatica e politica di ogni nefandezza attribuibile al grande capitale e, dall’altra, la sin troppo facile criminalizzazione di chiunque, e in qualunque modo, si opponga all’attuale regime. Sia che si tratti dei definire “terroristi” i militanti No Tav valsusini, come ha fatto recentemente l’attuale direttore di “Repubblica” Maurizio Molinari, che di stabilire lockdown a pioggia senza mai chiudere davvero i luoghi di lavoro, come è avvenuto nella recente pandemia, oppure ancora di scaricare sui singoli individui le responsabilità del diffondersi di una sindemia che affonda le sue radici nello stesso modo di produzione che si vuole difendere ad ogni costo.

Così da dimostrare che, in un paese in cui lo stragismo di Stato ha costituito per anni la cifra politica dell’azione antiproletaria, la continuità con l’autoritarismo fascista non è mai stata spezzata, mentre è stata al contrario rafforzata da tutti i provvedimenti che continuano a negare la legittimità della lotta di classe e della difesa dal basso degli interessi collettivi.

(Il testo di Elio Catania sarà presentato a Milano, in occasione di BookCity, venerdì 19 novembre alle ore 17,30. Interverranno l’autore, Aldo Giannulli e Elia Rosati)


  1. Soltanto per fare un esempio, tra i tanti possibili, si veda qui  

  2. A. Giannulli, Prefazione a E. Catania, Confindustria nella repubblica (1946-1975). Storia politica degli industriali italiani dal dopoguerra alla strategia della tensione, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2021, p.12  

  3. Ivi 

  4. Si veda, a solo titolo d’esempio: Davide Conti, Gli uomini di Mussolini. Prefetti, questori e criminali di guerra dal fascismo alla repubblica italiana, Einaudi editore, Torino 2017 e 2018  

  5. Si consideri, ad esempio, la mai del tutto avvenuta scomparsa del codice penale Rocco (1930) che resta invece ancora una delle fonti del diritto penale vigente  

  6. C. Pavone, Alle origini della Repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Bollati Boringhieri, Torino 1995 e J. S. Woolf, Risorgimento e fascismo: il senso della continuità nella storiografia italiana, in “Belfagor”, vol. 20, n. 1 (31 gennaio 1965), pp. 71-91  

  7. Il Pacto del Olvido (patto dell’oblio in spagnolo) è la decisione politica dei partiti di sinistra e di destra della Spagna di evitare di affrontare direttamente l’eredità del franchismo dopo la morte di Francisco Franco nel 1975  

  8. E. Catania, Introduzione in E.Catania, op.cit., pp. 18-19  

  9. Ibidem, p. 20  

  10. Francesca Nava, Il focolaio. Da Bergamo al contagio nazionale, Editori Laterza, Bari – Roma 2020, recensito qui su Carmilla  

  11. E. Catania, op. cit., p.16  

  12. In particolare, fu il partigiano Giuseppe Dossetti, non ancora sacerdote, padre Costituente e componente della Commissione dei 75, a lottare perché fosse uno degli
    articoli della nostra Costituzione. Doveva essere l’art. 3 e così: La resistenza, individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri, che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino.
    Si ispirava all’articolo 21 della Costituzione francese del 19 aprile 1946: Qualora il Governo violi le libertà e i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza sotto ogni forma è il più sacro dei diritti e il più imperioso dei doveri.
    In Sottocommissione fu approvato con 10 voti a favore, 2 astenuti e 1 contrario, tuttavia non riuscì a superare l’esame dell’Assemblea Costituente  

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Autointervista sulla gestione della pandemia da covid-19 https://www.carmillaonline.com/2021/08/15/autointervista-sulla-gestione-della-pandemia-da-covid-19/ Sun, 15 Aug 2021 21:55:04 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=67673 di Nico Maccentelli

Ho ritenuto di scrivere questo articolo nella forma dell’autointervista perché per me così è stato più facile mettere insieme le riflessioni che ho fatto in questi ultimi mesi. La pandemia che ci sta sconvolgendo la vita da oltre un anno e mezzo e la gestione che ne viene fatta non può essere esente da dubbi, preoccupazioni, che riguardano la nostra vita, quella di chi ci sta vicino e di tutta la collettività. I miei ragionamenti sono quelli di un comunista, che come tale sa che nel rapporto [...]]]> di Nico Maccentelli

Ho ritenuto di scrivere questo articolo nella forma dell’autointervista perché per me così è stato più facile mettere insieme le riflessioni che ho fatto in questi ultimi mesi. La pandemia che ci sta sconvolgendo la vita da oltre un anno e mezzo e la gestione che ne viene fatta non può essere esente da dubbi, preoccupazioni, che riguardano la nostra vita, quella di chi ci sta vicino e di tutta la collettività. I miei ragionamenti sono quelli di un comunista, che come tale sa che nel rapporto tra umanità e natura non esistono zone franche, neutre: questa pandemia in particolare è nata da un salto di specie, comunque da un rapporto, una contraddizione tra l’umano da una parte ben interno sul piano ontologico e teleologico ai rapporti sociali capitalistici, e dall’altra l’ecosistema,  la natura. Un rapporto mediato dalla scienza e dalla tecnologia che sono interne a questa contraddizione, anch’esse con uno scopo di parte.

Ho sempre pensato che la parola “biopolitica” fosse una definizione ridondante e che bastasse il termine “politica” per comprendere l’insieme di pratiche riguardanti la vita organizzata nella società. Ma oggi lo stravolgimento della vita individuale e sociale riguarda più profondamente i corpi (compresa la psiche), la loro esistenza biologica e relazionale, la loro estensione nello spazio. Fino a questo punto è arrivato il controllo sociale, aggiungendo al “sorvegliare e punire” di Foucault un terzo elemento: “colpevolizzare”. Un mutamento antropologico è in atto, dentro lo stesso sistema di relazioni sociali che è il modo di produzione capitalistico. Ma veniamo all’autointervista.

Alcune domande sulla gestione del covid-19, vaccinazioni e green pass

D. Come sai stiamo assistendo in questo periodo a una divisione riguardo l’opinione sui vaccini. Cosa ne pensi tu?

R. Io non sono contrario ad alcuna terapia se utile ed efficace a guarire persone e a maggior ragione durante una situazione di emergenza come una pandemia

D. Allora sei d’accordo sugli attuali vaccini…

R. Io sono d’accordo su tutti i vaccini che funzionano. Ma allora perché non essere d’accordo anche su Soberana di Cuba, sullo Sputnik russo o sul Sinovax cinese? Il problema è che ormai tra quello che si vede e si legge sui social e in tv, tutto e il contrario di tutto, la confusione è totale e capisco che molte persone non si fidino. Non è con la coercizione che si risolve questo problema, che per altro nasce da una cattiva gestione della pandemia da parte di ben due governi e in generale nei paesi del capitalismo neoliberista, dove gli interessi privati sono quelli che prevalgono.

D. Scusa, ma in che senso?

R. Nel senso che quando è iniziata la pandemia arrivavamo da decenni di tagli del sistema sanitario: 72 miliardi dicono, con un sanità frammentata regione per regione e privatizzata vedi la Lombardia, vedi l’autonomia differenziata voluta da tutta la partitocrazia, una sanità di territorio distrutta. Per non parlare di un protocollo sulle pandemie non aggiornato da parecchi anni. In questo quadro si sarebbe dovuto investire in sanità pubblica, assunzioni di personale medico e paramedico, ripristinare una presenza territoriale di presidi sanitari, strutture per la quarantena, sperimentare farmaci, adottare quelli che risultavano efficaci, espropriare i brevetti vaccinali,. Oltretutto le farmaceutiche che hanno realizzato i vaccini lo hanno fatto con i soldi pubblici di numerosi paesi. L’obiettivo doveva essere non il profitto, ma la condivisione di vaccini e terapie su scala mondiale, poiché non ha senso che un 1% sia ipervaccinato e un 99% privo di cure e vaccini. Non si affronta così una pandemia, con l’egoismo capitalista, ma con la condivisione e la solidarietà: o ne usciamo tutti o nessuno.

D. Va bene, ma governo e istituzioni sanitarie non hanno mai parlato di terapie alternative al vaccino.

R. Ovvio, sempre nella logica privatistica di favorire i profitti e gli interessi in questo caso di big pharma, se fossero venute fuori terapie alternative, i vaccini in cantiere e sperimentati in fretta e furia, non approvabili, non avrebbero neppure potuto essere autorizzati in emergenza.

L’adozione nel protocollo covid-19 di “tachipirina e vigile attesa” è stato un vero e proprio dolo di Stato, visti gli esiti, con migliaia di persone finite in terapia intensiva a intasare gli ospedali e a morire in completa solitudine o in ospedale o a casa.

In realtà terapie ce ne erano sin dall’inizio e lo dimostrano quei medici che si sono messi in rete condividendo reciproche esperienze, al di là delle istituzioni sanitarie e dei loro rigidi controlli, ottenendo risultati che nessuno al ministero della sanità ha preso minimamente in considerazione. (1)

D. Quindi il tuo è un ragionamento contrario all’utilizzo dei vaccini…

R. Assolutamente no! Io personalmente mi sono vaccinato, in quanto paziente fragile affetto da più patologie invalidanti. E lo rifarei nel calcolo rischio/benefici. Con la coscienza del fatto che questi vaccini sono stati sperimentati in pochissimo tempo. Dico semplicemente che sono favorevole a ciò che la Costituzione garantisce: la libertà di scelta terapeutica.

D. Ma quale libertà, di fronte a tantissime vittime e a una pandemia in espansione!

R. Certo, talvolta in casi straordinari occorre agire al di fuori delle normali libertà civili. Ma era questo il caso? La domanda è: qual è stato il vero scopo dei dpcm? Le misure adottate dai governanti hanno avuto più una funzione di dimostrazione del fare che il risolvere veramente.

D. Non è vero: in piena pandemia è stato giusto chiudere…

R. Parliamoci chiaro: è stato chiuso sul serio? Facevano le multe ai runner solitari nel parco e le aziende non venivano controllate, imprese che cambiavano codici ateco, gli autobus erano pieni zeppi di pendolari. E il coprifuoco? Il covid cos’è: Dracula che si leva dopo le 22 per contagiare nella notte? Sono state tutte misure inefficaci (e lo si è visto), inutili e spesso coercitive e basta.

D. Ma non si poteva bloccare tutto…

R. E qui torniamo agli investimenti nella sanità che non si sono voluti fare. E prendiamo la Cina: come ha fatto a isolare un’intera regione, il Wuhan e a individuare e tenere sotto controllo i cluster dell’infezione? Semplice con un monitoraggio capillare mediante i tamponi, con il tracciamento. Questo andava fatto anche qui: tracciabilità capillare e tamponi gratuiti, invece di farli non solo ai sanitari e per i cittadini farli a pagamento. Tamponi gratuiti e ad ogni minimo sospetto. Invece si è preferito non tracciare e adottare provvedimenti inutilmente repressivi, criminalizzando comportamenti del tutto normali, facendo aumentare altre problematiche sanitarie e sociali, come la chiusura in casa, le violenze domestiche, le patologie della psiche, la violenza sulla crescita e la socialità dei bambini. 

Con la colpevolizzazione dei comportamenti il governo si è autoassolto e ha scaricato la colpa” sui cittadini “disobbedienti”. E tutto perché? Per non spendere in sanità e per puntare tutto sulla “panacea” in arrivo dei vaccini. Si sono controllati i cittadini, non il virus: un’azione infame e mistificatrice.

D. Però, scusa, non mi pare che una certa sinistra di classe, anticapitalista ragioni come te.

R. Sì questo è un capitolo triste, ma comunque una certa sinistra di lotta sì e una certa no: c’è confusione sotto il cielo e la situazione però non è per nulla eccellente. E qui torniamo alla tua prima domanda, una querelle che nella sinistra di lotta si configura come uno scontro fratricida, fatto di intolleranza, mancanza di dibattito e assenza di confronto a monte, nelle sedi deputate a questo. In realtà le compagne e i compagni che la pensano più o meno come me sono tanti, ma c’è la paura di passare per no vax. Non si può ammazzare ogni critica che vada oltre le giuste rivendicazioni sulla sanità, il lavoro, il reddito, andando a toccare il nervo scoperto della gestione pandemica su vaccini e oggi sul green pass, su come i governanti hanno speculato, su come viene gestita questa pandemia in una sorta di demonizzazione delle opinioni e dei comportamenti. Una criminalizzazione trasversale perché si replica tristemente tra le compagne e i compagni. Quando in realtà le questioni, come dicevo, sono altre e si intrecciano a un passaggio politico, anzi biopolitico epocale, che questa pandemia ha aperto… ma è una realtà distopica anche per quello che succede all’interno dell’antagonismo di classe.

D. Ma la pandemia non è forse il convitato di pietra? Non è un terzo attore tra capitale e masse popolari, che pone problemi diversi, di emergenza…

R. (Canticchia)  Il triangolo no, non l’avevo considerato…

Ma sì, è proprio questa impostazione a essere sbagliata, perché il problema non è la pandemia in sé, ma la sua gestione, ossia, alla fine il rapporto “uomo/natura” è sempre il prodotto di rapporti sociali e di classe. E quindi il virus fa il suo triste compito, certo, ma chi ci governa non fa il suo per il bene della collettività, ma per mantenere profitti e status quo. Se l’approccio è questo, ovviamente ciò non significa criticare ciò che viene fatto aprioristicamente, ma essere critici, valutare le cose buone e le cose cattive considerando che il punto di vista avverso ahimè non è collettivistico, ma classista. Non è il virus a essere classista, ma la sua gestione. E in specifico, in Italia e in numerosi paesi sotto la cappella atlantista e neoliberista la gestione è stata disastrosa. Pertanto blaterare di vaccini come unica soluzione, sposando la logica di questa gestione è disarmare completamente la critica politica e sociale, anche se rivendichi la sanità pubblica, l’esproprio dei brevetti e l’universalità dei vaccini. Non cogli il punto fondamentale: il passaggio autoritario giustificato da un’ennesima emergenza – siamo il paese delle emergenze – imposto a tutta la popolazione, quando le cose si potevano fare molto diversamente. Accetti la loro logica. Per questo la scienza diviene la scienza con la esse maiuscola, la loro tecnologia pure, diventano zona franca e quindi neutre, quando invece scienza e tecnologia seguono sempre uno scopo: quello di chi detiene il potere. E allora dove sono i tre elementi del triangolo? È una visione interclassista. E a cosa porta? Ho letto tra i post sui social di vari compagni scempiaggini tipo: “no green pass come no sem” che sta per semaforo, come se il diritto a scegliersi una terapia o rifiutare l’obbligo di  una pratica discriminatoria fossero uguali alle normali regole della vita quotidiana. Poi ci sono quelli che banalizzano questa situazione riducendo le rivendicazioni di fatto libertarie a fisime piccolo-borghesi per il ristorantino: se ne accorgeranno quando a essere attaccati saranno – e già lo sono – i lavoratori e il diritto al lavoro. O ancora, quelli che dicono che tanto lo Stato e i padroni sono da sempre repressori, banalizzando la qualità dell’attacco, o infine quelli che dicono dov’erano i difensori delle libertà quando i diritti al lavoro venivano calpestati, le morti bianche e via dicendo, come se una cosa escludesse l’altra con la scusa che la querelle sul green pass abbia messo in ombra temi ben più importanti. Ossia: una mancanza di una visione d’insieme di cose che sono collegate tra loro. Sono tutti compagni che non hanno compreso la reale portata dell’attacco che il capitalismo neoliberista porta alla vita di tutti e in particolare della classi popolari. Non hanno capito che non siamo in presenza della solita tendenza autoritaria, ma dell’avvento di una società disciplinare, con una soglia appunto “neutrale” che tutti devono, e sottolineo devono, varcare sottomettendosi, accettare e condividere. Un attacco che fa risparmiare soldi, servizi, assunzioni, ossia l’approntamento di una società che al contrario sappia realmente contrastare la pandemia nell’interesse di tutta la collettività. Questo atteggiamento che nel nome del “terzo incomodo” accetta le misure emergenziali in modo acritico o giustificazionista è un vero atto di sottomissione politica, al di là delle critiche sacrosante di sempre e delle qualità politiche e morali di tanti ottimi compagni.

D. Belle parole, però… alla cabina di regia ci sono i potenti e questo bel parlare non risolve il problema dei contagi, il fatto che aumenteranno nei prossimi mesi.

R. Certo, non possiamo rifiutare tutto quello che il dominio capitalista ci impone, per ideologia o partito preso. Ci sono cose che vanno seguite e altre no, valutandone l’utilità individuale e collettiva. Per esempio, invitare a  vaccinarsi è una modalità per fare impegno civile. Così come battersi per l’esproprio dei brevetti vaccinali ed estendere le forniture di vaccini gratuiti a tutti i popoli nel mondo. Ma anche indicare di rivolgersi in caso di necessità a medici competenti come quelli prima citati in nota, che non ti somministrino tachipirina e ti facciano fare una vigile attesa. E mi chiedo come gran parte della sinistra critica abbia potuto prendere per buono questo protocollo quando per esempio in Cina, oltre al loro vaccino si è curato persino con la loro medicina tradizionale e altri farmaci.

In tutta franchezza però il Green pass è un’altra cosa: a cosa serve quando sappiamo già che non fermerà la circolazione del virus per tutta una serie di ragioni, come la contagiosità dei vaccinati che vengono contagiati e il fatto che i tamponi nelle 48 ore non garantiscono nulla? Non sono balle, ma le dichiarazioni di Crisanti, che ha affermato che il Green pass non ha scopi sanitari, non protegge dal virus, ma è finalizzato a indurre la gente a vaccinarsi. Per non parlare delle categorie sociali che non lo potranno avere perché non possono vaccinarsi, vedi i migranti clandestini. E il resto della popolazione mondiale priva di terapie? Il virus gira e girerà al di là delle nostre belle cittadelle del capitalismo avanzato. Il Green pass non è un dispositivo sanitario, ma di comando e discriminazione. La mia critica a certe posizioni intransigenti nell’essere allineate ai dispositivi del governo è iniziata proprio da questo ennesimo provvedimento liberticida quanto inutile ai fini sanitari.

Guarda, c’è un’analisi molto bella che rimando in nota 2), delle giovani e i giovani di Cambiare Rotta. Cito solo un passaggio:

“La necessità di imporre uno strumento come il pass sanitario non risponde alle necessità di tutelare e garantire la salute della popolazione, ma a quella di assicurarsi che non ci sia un ulteriore blocco della produzione e dei consumi. Gli interessi della borghesia italiana ed europea di far ripartire i profitti, infatti, non possono più essere messi a rischio dall’eventualità di un’altra ondata di Covid-19 e il governo Draghi lo sa bene. Per questo motivo, qualche giorno fa il Consiglio dei Ministri ha esteso il Green pass imponendolo a tutti i cittadini di età superiore ai 12 anni per poter accedere ad alcuni servizi ed attività.

Se le contestazioni contro il Green pass non possono essere condivisibili quando scadono nel complottismo o nella mancanza di buon senso, comunque non possiamo accettare questa decisione tacciando ogni pensiero critico come anti-scientifico o folle.”

D. Ma non si è discusso di questi temi?

R. Sino ad ora per nulla, o molto poco. Era subito iniziata la caccia ai “compagni no vax”, facendo di tutta un’erba… un fascio. C’è una contrapposizione micidiale che non porta da nessuna parte, soprattutto se pensi che le contraddizioni che innesca il Green pass ce le ritroveremo nei luoghi di lavoro. E tanta gente, molta della quale negazionista o no vax non è, si sta organizzando nelle piazze, ma anche nei luoghi di lavoro e molti studenti nelle università.

D. Giusto, parliamo delle piazze. Che ne pensi?

R. Inizialmente le avevo del tutto rimosse, tanti erano anche i miei pregiudizi in un clima di demonizzazione. Nonostante abbia persone a me molto vicine che ci vanno. Poi mi sono reso conto che non si può contrastare i fasci e i rossobruni da una tastiera, ma è sul campo. Di fatto questa linea politica che sta passando è attendista, codista e pressapochista nell’analizzare la gestione di regime della pandemia. Non affronta il nodo vero che è l’analisi delle contraddizioni che attraversano la società. Si guardano gli aspetti più folcloristici, ma non si comprende il cuore della questione: l’attacco micidiale che il capitale della finanza e delle multinazionali sta facendo attraverso il governo Draghi alle classi che gli sono subalterne utilizzando proprio la pandemia: una concentrazione immane del capitale attraverso una ristrutturazione che non fa prigionieri. Anche i ceti medi si devono sottomettere e accettare le modalità produttive e di circolazione del capitale nelle filiere che vengono riorganizzate, fino all’esercizio più remoto dell’economia di prossimità. Chi protesta ha tante ragioni, legate tutte alla perdita del lavoro, dell’attività, a mesi in cui si sono dovute subire misure che producono solo una vita di merda e un’emergenza permanente, che diventa o assuefazione a queste condizioni di vita, o giusto appunto ribellione. Altro che voglia di andare al ristorantino! Se non capiamo questo, stiamo consegnando una bella fetta di politica di massa partecipata dal basso, spontanea, ai nostri più mortali nemici. Le destre hanno dimostrato una capacità di intervenire che mi preoccupa e non poco.

Le migliori indicazioni sulla lotta contro il Green pass e contro l’autoritarismo dei governi capitalisti vengono proprio dal paese europeo dove più si è sviluppata la lotta di classe negli ultimi anni: la Francia 3). Là la sinistra non se la mena. Nell’epoca in cui vengono messi in discussione i diritti liberal-borghesi, solo dei miopi politicamente possono schierarsi di fatto con il regime capitalista (e direi post-borghese oltre che antiproletario) accampando argomenti collettivistici falsi, manco il governo Draghi fosse l’assemblea dei soviet. Qui torniamo all’interclassismo di cui prima. Le sinistre francesi hanno capito subito che col green pass, con la discriminazione colpevolizzante, con lo scambio ricattatorio diritti per comportamento, in ballo ci sono le conquiste della Rivoluzione Francese e delle principali rivoluzioni borghesi da 300 anni a questa parte. Spacciare e sminuire le libertà civili conquistate dai giacobini, dai sanculotti e dai rivoluzionari a livello mondiale come fisime da borghesi è un’operazione stupida e regressiva che confonde il collettivismo col paternalismo autoritario: non ho la libertà di curarmi come mi pare? Di scegliermi la cura? Mentre in Francia milioni di persone mettono in discussione dal basso le scelte liberticide di Macron, qui abbiamo una sinistra in confusione: e vedi quelli schierati dietro i vaccini occidentali, senza chiedersi perché il cubano Soberana o il cinese Sinovax o il russo Sputnik qui non hanno diritto di cittadinanza. Senza questa critica radicale a un capitalismo autoritario post-liberale e iperliberista, si è subordinati a questo sistema di potere che sta devastando masse popolari in vari modi, dal lavoro salariato ultraprecarizzato alla concentrazione di capitali e riorganizzazione delle filiere. Dietro questi dispositivi di comando ci sta la fine antropologica della democrazia borghese e l’inizio di un nuovo tipo di fascismo biopolitico e iper-tecnologico. I diritti te li devi meritare… è così chiaro!

D. Sì ma le piazze…

R. Le piazze sono quelle che sono: o vogliamo delle masse già coscientizzate, su misura per i comunisti, che solo un rivoluzionario da tavolino può pretendere in modo metafisico e surreale? Nelle piazze in Francia le sinistre ci stanno. Qui la questione è un po’ più complessa, ma non si può scartarla a priori, non foss’altro che l’umanità varia che riempie le piazze italiane te la ritrovi poi nei luoghi di lavoro, nei quartieri. Faremo gli indifferenti? Avremo un approccio meramente ideologico? Li escluderemo? Questo è un treno che perderemo. A meno che non capiamo come intervenire separando “il grano dal loglio”: è un percorso collettivo che nasce da un dibattito collettivo e scelte collettive.

D. In definitiva però me l’hai buttata sui massimi sistemi. Mentre io pensavo che l’intervista riguardasse quale opinione sulla pandemia.

R. Come ti ho detto prima nel criticare la stravagante teoria del triangolo, non esiste la pandemia in quanto tale: per come si manifesta c’è sempre la sua gestione, fatta di scelte sanitarie, ma anche politiche ed economiche. Se non si capisce questo si entra in un territorio franco fittizio, in realtà inesistente. I massimi sistemi dici? Certo, perché alla fine in ballo c’è il tipo di società che si vuole. È una posizione di fondo comune a tutte le compagni e i compagni che ancora si battono per il superamento del capitalismo. È ciò che ci affraterna.

Se prendiamo paesi come Cuba, il Vietnam e la stessa Cina, senza entrare nel merito se in quest’ultima vi sia il socialismo e quanto di esso, non possiamo non vedere la radicale diversità nell’affrontare e nel gestire la pandemia.

D. Certo, sono paesi totalitari e impongono le loro politiche sanitarie alla popolazione.

R.  È proprio qui che ti sbagli. Totalitarismo è quando imponi le politiche sanitarie ed economiche nell’interesse di un ristretto gruppo oligarchico di finanzieri e multinazionali sul resto della popolazione, come accade qua. Socialismo o no, ci sono due aspetti che caratterizzano paesi come Cina e Cuba e che fanno una grande differenza: la pianificazione e la centralizzazione dell’economia e delle politiche sociali, la capacità di dare una direzione a un intero paese per i prossimi 50 anni e nel contempo nel rispondere rapidamente senza lasciarsi tirare per la giacchetta da chicchessia nei casi di catastrofi o emergenze. È qui poi la differenza tra una popolazione amorfa, che fino a ieri si è bevuta di tutto e come là invece, un popolo che partecipa, condivide coeso, si assume direttamente le responsabilità delle scelte fondamentali, è solidale al di là delle belle bandierine sui balconi. Chiamiamoli elementi di socialismo? Sì diciamolo pure. 

E quando qua la popolazione finalmente in buona parte risponde a queso scempio e si ribella, la stigmatizziamo perché, a nostro dire, lo farebbe per andare al ristorante? Quale miopia abbiamo davanti a un risveglio popolare, contraddittorio finché si vuole, ma pur sempre di una massa che non ci sta a fare tutto quello che il regime le impone? Da quanti anni i comunisti si sono anchilosati nella loro capacità di analisi e di vedere le situazioni?

In ogni caso l’oggetto del contendere è proprio questo: uno Stato popolare, nel senso che funge da camera di compensazione tra i diversi settori e interessi, ne è espressione, ma nel quale prevale l’interesse generale di fronte alle questioni fondamentali e alle criticità collettive. Anche nei paesi che si richiamano al socialismo e ne adottano alcuni criteri, non sparisce la lotta di classe e non siamo neppure a quella che una volta si chiamava dittatura del proletariato, ma è certamente una modalità di governance democratica che si caratterizza come opzione emergente in un mondo ormai multipolare, dove il capitalismo atlantista, l’imperialismo ha dimostrato la sua incapacità di reggere le sorti del mondo nella sua crisi di egemonia.

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Note:

1) È il caso di Cure domiciliari Covid-19, una rete di medici che cura a casa questa malattia: https://www.terapiadomiciliarecovid19.org/comitato/

2) Il documento di Cambiare Rotta lo trovi qui

3) qui alcuni link per comprendere le posizioni politiche della sinistra antagonista francese e del sindacalismo d’oltralpe:

https://lafranceinsoumise.fr/2021/07/19/pass-sanitaire-saisir-conseil-constitutionnel/

https://www.wumingfoundation.com/giap/2021/07/come-rapportarsi-alle-grandi-mobilitazioni-contro-green-pass-et-similia-alcune-indicazioni-dalla-francia/

https://www.confederationpaysanne.fr/actu.php?id=11639&PHPSESSID=4061mfg8lofc8nkhil0kc3ltr0

https://nouveaupartianticapitaliste.org/actualite/sante/contre-lautoritarisme-pour-une-vraie-politique-sanitaire-pas-de-treve-estivale

https://www.cgtservicespublics.fr/les-luttes/actualites-des-luttes-2021/par-thematiques/pandemie-coronavirus/article/45-le-pass-sanitaire-nuit-gravement-a-la-sante-sociale-morale-et-culturelle

https://mars-infos.org/pass-sanitaire-l-extreme-droite-n-5860

Persino quei parrucconi del PCF

INOLTRE: segnalo il mio intervento su Contropiano: Perché sono contrario al greenpass e alla gestione inefficace e criminale della pandemia

Bibliografia utile: Epidemie e controllo sociale, di Andrea Micomi, Manifestolibri, presentato di recente a Villa Paradiso, Bologna

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Vax Show https://www.carmillaonline.com/2021/04/04/vax-show/ Sun, 04 Apr 2021 21:00:25 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=65627 di Alessandra Daniele

Benvenuti a Moriremo Tutti, il nuovo talk de La7 dedicato alla pandemia, perché Omnibus, Coffee Break, L’Aria che Tira, Tagadà, Otto e Mezzo, Non è l’Arena, Di Martedì e Piazzapulita non bastavano ancora. Stasera parleremo di vaccini coi nostri esperti virologi, infettivologi ed epidemiologi, dei veri sommelier di sieri, ma ne parleremo anche con chi non ne capisce un cazzo, ma fa comunque numero in tutte le nostre trasmissioni, sottosegretari, opinionisti, editorialisti e tuttologi. E direttori di giornali. Giornali che nessuno legge più. Giornali che nessuno ha mai letto. Che esistono solo per la rassegna stampa dei Tg. [...]]]> di Alessandra Daniele

Benvenuti a Moriremo Tutti, il nuovo talk de La7 dedicato alla pandemia, perché Omnibus, Coffee Break, L’Aria che Tira, Tagadà, Otto e Mezzo, Non è l’Arena, Di Martedì e Piazzapulita non bastavano ancora.
Stasera parleremo di vaccini coi nostri esperti virologi, infettivologi ed epidemiologi, dei veri sommelier di sieri, ma ne parleremo anche con chi non ne capisce un cazzo, ma fa comunque numero in tutte le nostre trasmissioni, sottosegretari, opinionisti, editorialisti e tuttologi.
E direttori di giornali.
Giornali che nessuno legge più.
Giornali che nessuno ha mai letto.
Che esistono solo per la rassegna stampa dei Tg.
Che sono come i libri finti delle scenografie: scatole vuote.
Parleremo di contagi. Parleremo di movida. Non parleremo di fabbriche.
Discuteremo di vaccini per ore ed ore fino a notte, ripetendo cose che sono già state dette un milione di volte, e lo faremo nel modo più ansiogeno possibile.
Vi metteremo paura di vaccinarvi.
Vi metteremo paura di non vaccinarvi.
E se il Covid non vi spaventa abbastanza, approfittando dell’argomento vaccini parleremo anche di tetano, ebola, peste e vaiolo.
Perché per noi la paura è l’anima del commercio.
E adesso, pubblicità.

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Il colpo di Stato che non fu tale https://www.carmillaonline.com/2021/03/29/il-colpo-di-stato-che-non-fu/ Mon, 29 Mar 2021 21:00:04 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=65420 di Paul Mattick

[Traduciamo e pubblichiamo, con il permesso dell’autore, alcune considerazioni sulle cause e possibili letture dell'”assalto” a Capitol Hill, del 6 gennaio di quest’anno, da parte dei sostenitori di Donald Trump. L’articolo è stato precedentemente pubblicato sul numero di febbraio del magazine statunitense The Brooklyn Trail, dedito alla critica politica, artistica e culturale.]

Si sarebbe potuto pensare che l’uscita di Trump dalla Casa Bianca avrebbe posto fine alla costante preoccupazione – e non solo da parte degli esponenti di sinistra – per la minaccia di una rinascita del fascismo da [...]]]> di Paul Mattick

[Traduciamo e pubblichiamo, con il permesso dell’autore, alcune considerazioni sulle cause e possibili letture dell'”assalto” a Capitol Hill, del 6 gennaio di quest’anno, da parte dei sostenitori di Donald Trump. L’articolo è stato precedentemente pubblicato sul numero di febbraio del magazine statunitense The Brooklyn Trail, dedito alla critica politica, artistica e culturale.]

Si sarebbe potuto pensare che l’uscita di Trump dalla Casa Bianca avrebbe posto fine alla costante preoccupazione – e non solo da parte degli esponenti di sinistra – per la minaccia di una rinascita del fascismo da lui rappresentata1. Però, il modo tipicamente bizzarro in cui ha affrontato la sua sconfitta elettorale ha portato ancora una volta un’ondata di preoccupazione per il ritorno dello spettro con la camicia nera o brune del passato.

Lo storico Timothy Snyder, scrivendo per il «New York Times Magazine», è inorridito davanti all’ Abisso Americano che si sarebbe aperto a causa del disprezzo di Trump per la democrazia elettorale: «Mi è stato chiaro a ottobre», ha scritto Snyder, «che il comportamento di Trump preannunciava un colpo di stato …»2. Il comportamento che aveva in mente era soprattutto la propensione di Trump a mentire, e la sua conseguente descrizione come “falso” da parte di fonti di informazione che intendono contraddirlo. Nel suo racconto, il cuore del fascismo è la “Grande Bugia” (Big Lie): «Finché [Trump] non è stato in grado di imporre qualche bugia veramente grande, qualche fantasia che ha creato una realtà alternativa in cui le persone potevano vivere o morire, il suo prefascismo non è stato all’altezza della cosa stessa». Per Snyder, quel ponte è stato attraversato con l’insistenza del presidente sul fatto di aver stravinto le elezioni e la sua richiesta ai sostenitori di marciare sul Campidoglio per impedire la certificazione della falsa vittoria del suo avversario.

È difficile affrontare l’insulsaggine di queste idee. Il fascismo, una politica volta a sfruttare le energie nazionali nella lotta per il potere politico-economico, si riduce a una propensione a raccontare enormi fandonie; l’idea che «quando ci arrediamo alla verità, concediamo il potere a coloro che hanno la ricchezza e il carisma di creare spettacolo al suo posto»3, finge che il potere della classe dirigente si basi effettivamente sul consenso dei governati. Alla fine, però, persino Snyder deve accettare il fatto che non c’è stato un colpo di Stato e rinviarne dunque il pericolo reale alle prossime elezioni. Tuttavia, è facile capire perché coloro che gestiscono davvero le cose – gli amministratori delegati aziendali che per il momento stanno tagliando i loro contributi ai PAC repubblicani, i “due miliardari della California” che «hanno fatto ciò in cui legioni di politici, pubblici ministeri e mediatori di potere, che avevano provato a farlo per anni, avevano sempre fallito», zittendo Trump bloccando i suoi account Facebook e Twitter4 – sono inorriditi davanti alla manifestazione in Campidoglio. La disaffezione dalla stabilità sociale definita dalle norme della democrazia elettorale americana è altrettanto inquietante per i manipolatori ufficiali dell’ideologia, della stampa e dell’accademia, che stanno scoprendo fino a che punto è arrivato il disprezzo per la loro autorità concettuale.

Circa 70 milioni di persone hanno votato per Donald Trump, dopo averlo visto in azione per quattro anni (e inazione, riguardo alla crisi covid-19, così come per tante altre promesse non mantenute). Dal momento che, in realtà, non ha raggiunto nessuno degli obbiettivi per cui la maggior parte di loro presumibilmente lo ha votato – dal finanziamento di posti di lavoro infrastrutturali al rilancio dell’industria del carbone, porre fine alla corruzione politica o persino costruire un grande, “bellissimo” muro per tenere fuori gli immigrati – chiaramente questo livello di sostegno politico è una risposta a qualcosa che è fortemente rifiutato a livello simbolico. Le piccole squadre di suprematisti bianchi e la presenza della bandiera da battaglia confederata, insieme al colore generale e alla distribuzione di genere della folla che ha invaso il Campidoglio, suggeriscono l’importanza tra i trumpisti del sentimento ben consumato che il gruppo più vittimizzato in America sia costituito dai maschi bianchi. E questi sono certamente i termini in cui Trump si è sempre rappresentato.

Certamente, a differenza di Trump, i suoi seguaci sono in realtà trattati piuttosto male: i piccoli imprenditori così preminenti nelle file degli elettori di Trump e i manifestanti di “Stop the Steal (fermare il furto)” vengono cacciati dal business a causa della stagnazione economica, ora accelerata dalla pandemia, che trasferisce inesorabilmente sempre più ricchezza a meno persone e a imprese più grandi; la “classe operaia bianca” sta vivendo un declino salariale da almeno una generazione, insieme ad una sempre maggiore precarizzazione dei posti di lavoro, quando ancora riesce a conservarli. Joe Biden, vecchio alleato di Dixiecrat (democratici del Sud degli Stati Uniti) e tutt’altro che ben disposto, invece, nei confronti di chi svolge i lavori più umili, l’uomo che disse ad Anita Hill5 che “era dispiaciuto per lei”, ha ritenuto necessario scegliere una donna di colore come sua compagna di corsa – come se un presidente nero non fosse già stato un orrore sufficiente da infliggere al maschio bianco – mentre è difficile trovare una pubblicità oggi, da quella per i cereali per la colazione alla gestione patrimoniale, i cui protagonisti non siano modelle o modelli neri. La verità è che, anche se la ricchezza e il potere di ogni tipo rimangono saldamente in (poche) mani bianche, l’Età dell’Uomo Bianco è finita. Non solo gli europei-americani saranno presto una minoranza demografica negli Stati Uniti, ma l’America — anche se rimane la prima potenza — è entrata economicamente e militarmente in declino sulla scena mondiale. L’economia nazionale, con le sue società zombie senza profitto, la bolla delle azioni tecnologiche e l’aumento del debito, personale, aziendale e governativo, richiede l’immiserimento generale degli ordini inferiori.

L’America è stata costruita sul razzismo: sulla schiavitù e sul genocidio. La sua espansione attraverso il continente e poi nel mondo era giustificata dall’idea che gli “anglosassoni”, come rappresentanti del progresso e della civiltà, avessero il diritto di sterminare popoli scomodi e costringere coloro che rendevano schiavi a lavorare per loro. Il trionfo del capitalismo industriale sulla schiavitù delle piantagioni nel 1865 fu suggellato da un accordo tra le élite del Nord e del Sud che imponeva la dominazione bianca nonostante l’abolizione della schiavitù. Ma durante il XX secolo, mentre gli Stati Uniti superavano la Gran Bretagna per importanza economica, militare e politica, lo sviluppo e la globalizzazione dell’economia – spingendo i lavoratori afroamericani dal sud all’industria settentrionale e i dirigenti, politici e generali americani in Medio Oriente, Africa e Asia, nonché in Europa, non come conquistatori ma come partner dominanti anche con colpi di stato localizzati – hanno finito col rendere le basi ideologiche della supremazia bianca sempre più insostenibili. Se la strategia di Nixon rivolta alla “mentalità sudista” segnò l’adozione del razzismo da parte del Partito Repubblicano come base per una coalizione elettorale al servizio della preoccupazione del mondo degli affari per annullare le magre riforme del New Deal, la finta devozione nei confronti della “diversità” è diventata il segno distintivo delle forze neoliberiste che cercavano di trasportare il capitalismo americano nell’economia globalizzata del 21 ° secolo. L’attuale disordine nel Partito Repubblicano è il risultato del conflitto tra i due principi, della supremazia bianca per le classi inferiori e degli affari transnazionali per i pochi della classe superiore. Ciò che li ha tenuti insieme finora è il bianco dominante della parte superiore e l’accettazione obbediente dello status quo da parte di coloro che si trovavano in fondo alla sua gerarchia socio-politica.

È scoraggiante constatare quanto le persone possano essere lontane dalla comprensione di ciò che sta realmente accadendo loro e da cosa possano fare al riguardo. D’altra parte, nonostante i numeri che aderiscono idealmente alla sua bandiera di battaglia, le folle che si sono schierate per Trump a Washington (per non parlare della Florida, dove soltanto poche persone lo hanno accolto) sono state piuttosto scarse rispetto alle masse che hanno dimostrato per mesi e mesi per il principio che le vite nere contano (Black Lives Matter); la vandalizzazione del Campidoglio è stata meno significativa rispetto al rogo di stazioni di polizia e veicoli delle forze dell’ordine durante le manifestazioni avutesi in tutto il paese nel corso dell’anno precedente. Un piccolo numero di manifestanti pro-Trump potrebbe aver usato armi automatiche, ma in realtà non le ha utilizzate. Mentre ci si può aspettare che un pazzo armato qui o là uccida delle persone o faccia saltare in aria qualcosa – sparatorie di massa e attentati non sono certo un fenomeno nuovo, dipendente da Trump – questi non sono squadristi paramilitari ben organizzati e non c’è una seria forza politica in vista che voglia formarli in tale senso. I dimostranti pro-Trump hanno insozzato i bagni democratici del Campidoglio: non prendevano il controllo delle stazioni televisive e delle armerie. Realizzato da una banda di militanti anti-mascherine, questo è stato più un evento da selfie e da super-diffusore di immagini che una significativa opzione sul potere. L’antisemitismo, si diceva, è il socialismo degli sciocchi e il trumpismo è, al massimo, il protofascismo degli sciocchi: l’America, semplicemente, non può essere di nuovo grande.

Gli appassionati di cospirazione, le mini-milizie, i militanti per il diritto di riaprire le piccole imprese e dimostrare la propria libertà individuale corteggiando la malattia, rappresentano reazioni al più importante abisso che si è aperto davanti all’America e al mondo: l’abisso di una stagnazione economica di tal profondità e durata da suggerire un’accelerazione del declino capitalista. Poiché i governi devono attingere le loro risorse dall’economia, questo declino stesso ostacola la capacità degli Stati di gestirlo, di contenere i danni e stabilizzare la società. Più trilioni immaginari possono essere pompati nel sistema finanziario, ma ciò non ripristinerà la redditività delle imprese private; gli sfratti possono essere rinviati, ma il problema degli affitti e dei mutui non pagati, sia per gli inquilini che per i proprietari, non scomparirà. Le istituzioni caratteristiche della società attuale, come la democrazia elettorale, stanno crollando insieme alle fondamenta di tale società. Né la celebrazione retroattiva dell’iniziativa individuale, sventolando la bandiera di Gadsden del 17756, né l’altrettanto arretrata rinascita dell’antifascismo, che chiede una rinascita del New Deal, porteranno a una via d’uscita da questo abisso.

Al contrario, le dimostrazioni della scorsa primavera, che chiedevano qualcosa di nuovo – la fine dell’oppressione sistematica di alcune persone da parte di altre persone e la fine della difesa poliziesca dello status quo da parte dello stato – hanno mostrato la possibilità di una via da seguire, così come i tentativi delle persone di tutto il mondo, con i loro sforzi, di affrontare la sfida del COVID-19, di fronte alle incompetenza dei governi. Ora apparentemente provato non solo dalla malattia e dalla morte, ma anche dall’incapacità di Black Lives Matter di compiere ulteriori progressi nei confronti delle forze dell’ordine, quel movimento dovrà rivivere e riconfigurarsi come una lotta per la sopravvivenza di massa se si vuole attraversare l’abisso. Nell’attuale caos dell’informazione, della disinformazione, della paura del disastro e del desiderio di vita, dobbiamo concentrarci sui tentativi di creare un nuovo modello di vita, non di preservarne o ravvivarne uno vecchio. Non si può tornare indietro, ma solo andare avanti, nell’abisso o attraverso di esso.

lunedì 20 gennaio 2021


  1. Per discutere di questa domanda su “The Brooklyn Trail”, si veda Michael Mann, Is Donald Trump a Fascist? Field Notes, maggio 2017, e Editor’s Note: End Times Politics, Field Notes, aprile 2020  

  2. T. Snyder, The American Abyss, «New York Times Magazine», 17 gennaio 2021, p. 33  

  3. Ibid., p. 32.  

  4. Kevin Roose, Nel sottrarre il megafono a Trump, Twitter mostra dove si trovi ora il potere , «New York Times», 9 gennaio 2021.  

  5. Anita Faye Hill, è un’avvocata e docente statunitense. Divenne nota a livello nazionale nel 1991, quando accusò il candidato della Corte suprema degli Stati Uniti d’America Clarence Thomas, il suo supervisore al Dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti e alla Commissione per le pari opportunità di lavoro, di molestie sessuali – N.d.T.  

  6. Christopher Gadsden fu un generale americano che durante la guerra d’indipendenza utilizzò per primo la bandiera con il serpente a sonagli su sfondo giallo con la scritta “Don’t tread on me”, ovvero “Non calpestarmi”. La bandiera di Gadsden di fatto costituì una delle prime bandiere dei neonati Stati Uniti d’America. Oggi è spesso utilizzata da chi rivendica il libero possesso delle armi – N.d.T.  

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Pandemia, economia e crimini della guerra sociale. Stagione 2, episodio 3: disciplinamento dell’immaginario e del lavoro. https://www.carmillaonline.com/2021/03/16/pandemia-economia-e-crimini-della-guerra-sociale-stagione-2-episodio-3-disciplinamento-dellimmaginario-e-del-lavoro/ Tue, 16 Mar 2021 22:00:07 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=65336 di Sandro Moiso

Ho scritto recentemente, a proposito del pensiero di Carl Schmitt, che il concetto di “eccezione” è fondativo della sovranità ovvero del potere dello Stato, qualsiasi sia la forma politico-istituzionale che questo assume: «Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione»1.

Da questa affermazione è possibile far derivare che l’eccezionalità, o stato di eccezione, e la facoltà/forza di deciderne gli aspetti formali e strutturali costituiscono le condizioni [...]]]> di Sandro Moiso

Ho scritto recentemente, a proposito del pensiero di Carl Schmitt, che il concetto di “eccezione” è fondativo della sovranità ovvero del potere dello Stato, qualsiasi sia la forma politico-istituzionale che questo assume: «Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione»1.

Da questa affermazione è possibile far derivare che l’eccezionalità, o stato di eccezione, e la facoltà/forza di deciderne gli aspetti formali e strutturali costituiscono le condizioni che devono sostanziare ogni governo poiché, se nelle fasi “normali” la normativa vigente è sufficiente a governare l’esistente e a dirimerne le contraddizioni, è proprio nella gestione di una fase inaspettata, e dunque potenzialmente pericolosa, che si esprime la vera autorità, riconosciuta come tale.

Se questo risulta essere piuttosto significativo dal punto di vista meramente politico, soprattutto in una fase come quella che stiamo attraversando e che abbiamo precedentemente definito come “epidemia delle emergenze”2, assume un’ulteriore importanza una volta che lo si associ alle riflessioni di Michel Foucault sul “potere di disciplina”.

In che consiste un simile potere? L’ipotesi che vorrei avanzare è che esiste, nella nostra società, qualcosa che potremmo definire un potere disciplinare. Con tale espressione mi riferisco, semplicemente, a una certa forma, in qualche modo terminale, capillare, del potere, un ultimo snodo, una determinata modalità attraverso la quale il potere politico – i poteri in generale – arrivano, come ultima soglia della loro azione, a toccare i corpi, a far presa su di essi, a registrare i gesti, i comportamenti, le abitudini, le parole; mi riferisco al modo in cui tutti questi poteri, concentrandosi verso il basso fino ad investire gli stessi corpi individuali, lavorano, plasmano, modificano, dirigono, quel che Servan chiamava “le fibre molli del cervello”3. Detto in altri termini, credo che il potere disciplinare sia una modalità, del tutto specifica della nostra società, di quel che si potrebbe chiamare il contatto sinaptico corpi-potere.
La seconda ipotesi che vi sottopongo è che tale potere disciplinare, in ciò che presenta di specifico, abbia una storia, e dunque non sia sorto all’improvviso, ma neppure sia esistito da sempre. Esso si è piuttosto formato a un certo punto e a seguito una traiettoria, in un certo senso trasversale, lungo le vicende della società occidentale4.

Se la sovranità si fonda sull’eccezione, la sua dichiarazione e direzione, e il potere disciplinare sulla permeazione dei corpi e delle menti da parte del potere “sovrano”, sembra piuttosto evidente che la situazione attuale, determinata dalla pandemia e dalla sua gestione politica, sanitaria ed economica, porti a compimento, in maniera impensabile anche nei regimi totalitari del ‘900, una forma “totale” e generalizzata in quasi tutto l’Occidente (ma non solo) di controllo sociale e dirigismo economico-sanitario.

Una forma di totalitarismo emergenziale che della “sicurezza” ha fatto il centro del suo discorso, facendo addirittura impallidire i precedenti discorsi in tal senso fatti a proposito del terrorismo o dei fenomeni migratori, che, a questo punto, sembrano soltanto aver costituito i presupposti discorsivi della nozione attuale di “sicurezza” e “controllo” (sociale)5.
Lo stesso Foucault, a proposito di un potere che neppure cercava più di salvare le apparenze, aveva affermato in una conversazione del novembre del 1977:

[Il potere] Ha ritenuto che l’opinione pubblica non fosse temibile, o che potesse essere condizionata dai media. Questa volontà di esasperare le cose fa parte d’altro canto del gioco della paura che il potere ha messo in atto ormai da anni. Tutta la campagna sulla sicurezza pubblica deve essere corroborata – perché sia credibile e politicamente redditizia – da misure spettacolari che provino la capacità del governo di agire velocemente e ben al di sopra della legalità. Ormai la sicurezza è al di sopra delle leggi. Il potere ha voluto mostrare che l’arsenale giuridico è incapace di proteggere i cittadini6.

Non si stupisca il lettore per il riferimento ad un testo che in realtà si ricollegava all’estradizione dalla Francia dell’avvocato Klaus Croissant, difensore della Frazione Armata Rossa (RAF) e accusato di complicità con i suoi clienti, verso la Repubblica Federale Tedesca dopo che i membri del gruppo Baader erano stati “ritrovati” morti nelle celle del carcere di Stammhein. La “sproporzione” sta soltanto nell’occhio disattento, una volta considerato come la strategia di demonizzazione dell’avversario politico e sociale e dell’istituzione di un “diritto penale del nemico” sia stata traslata, neppure in tempi troppo lunghi, dall’applicazione ai processi per terrorismo e banda armata a quelli destinati a reprimere e criminalizzare movimenti quali quelli No Tav e No Tap 7 fino ai Dpcm, autoritari e, come vedremo tra poco, incostituzionali, destinati a regolare, ancor più che la salute (intesa dal punto di vista sanitario) pubblica, i comportamenti sociali e individuali.

Intanto è di pochi giorni or sono la notizia che un magistrato di Reggio Emilia ha annullato le multe inflitte, dai carabinieri di Correggio, ad una coppia per un’autocertificazione falsa, in violazione delle norme di divieto di circolazione imposte dal primo dpcm emesso dall’ex-premier Giuseppe Conte l’8 marzo 20208. La decisione del magistrato, Dario De Luca, sottolinea come un dpcm non possa limitare la libertà personale perché è un atto amministrativo, motivo per cui un decreto del premier è illegittimo se viola i diritti costituzionali.

Il giudice emiliano ha infatti assolto gli imputati «perché il fatto non costituisce reato» visto che il falso è un «falso inutile, configurabile quando la falsità incide su un documento irrilevante o non influente», aggiungendo inoltre che la norma che impone l’obbligo dell’autocertificazione sia da ritenersi costituzionalmente illegittima e quindi da disapplicare. Poiché, spiega ancora, la limitazione della libertà personale può avvenire solo a seguito di un atto dell’autorità giudiziaria e non di un atto amministrativo qual era il decreto in questione di cui si rileva «l’indiscutibile illegittimità come pure di tutti quelli successivamente emanati dal capo del governo».

Ciò che importa, di tale sentenza, è il fatto che questa riveli come ormai i governi, approfittando dello stato di emergenza o di eccezione, possano operare in totale antitesi alle costituzioni così spesso presentate come “carte dei diritti”, ci sarebbe da aggiungere quasi mai applicati e quasi sempre ignorati. Ma la stessa può anche costituire un precedente giuridico importante per tutte quelle situazioni, come quella dei No Tav valsusini che stanno ricevendo multe individuali di centinaia di euro per essersi allontanati senza valide ragioni dal proprio domicilio, in cui la limitazione della libertà di movimento possa coincidere con la limitazione della libertà di espressione e di manifestazione.

Il caso è circoscritto, ma ciò non vuol dire che sia insignificante dal punto di vista giuridico nel rilevare come i governi si stiano muovendo nella totale illegalità, approfittando dell’occasione fornita loro dall’epidemia da Covid-19. Sulla quale ultima non è certo il caso di fare del complottismo o di adulterarne la gravità, dal punto di vista della salute e dell’economia, sminuendola. Piuttosto si rende necessario smontarne, pezzo dopo pezzo, tutta la narrazione che ne viene fatta a livello politico e mediatico.

Tornando a Foucault, val forse la pena di ricordare che il filosofo francese definì l’immaginario «segno di trascendenza» e il sogno «esperienza di questa trascendenza sotto il segno dell’immaginario»9. Poiché, come riassume Alessandro Fontana: «L’immaginario è dunque non tanto il ridotto della ragione, né il deposito dei suoi archetipi, quanto lo spazio delle direttrici costitutive e primarie dell’esistenza, delle sue virtualità trascendentali, prima del suo oggettivo esplicarsi nelle forme della storicità»10.

L’immaginario pubblico o collettivo, soprattutto a partire dalla fondazione dello Stato moderno tra XVI e XVII secolo, deve essere corretto e contenuto per il tramite di norme che siano corroborate da “verità evidenti” e da saperi che, a partire dalla fine del XVIII secolo:

avranno soprattutto il compito di stabilire ed enunciare come verità di natura la regolarità delle condotte prescritte dal potere disciplinare. Nasce così, sostiene Foucault, un nuovo regime di verità, quello di una verità normalizzatrice, la cui forma è fondamentalmente definita dal modo di funzionamento dell’esame, vero e proprio «rituale di verità della disciplina», grazie al quale potrà venir effettuato l’investimento pubblico dell’individualità normalizzata, e nelle cui tecniche le nascenti scienza umane e le stesse «scienze “cliniche”» cercheranno, secondo lui, l’essenziale dei propri metodi e delle proprie procedure […] la nuova economia del potere disciplinare, con il suo controllo permanente dei corpi, la normalizzazione delle condotte, le tecniche infime e minuziose di estrazione e di costituzione dei saperi (e di «saperi veri», precisa Foucault), rappresenta un tentativo di potenziamento degli effetti di potere in estensione, intensità e continuità. Si tratta, insomma, di una meccanica di potere che mira a penetrare la totalità del «corpo sociale» (che ha cessato di essere una semplice metafora per il pensiero politico, dirà nel 1976 al Collège de France) per produrre quei «corpi utili» funzionali ai nuovi meccanismi di produzione sviluppati dal capitalismo11.

Si torna qui, dunque, alla necessità per il potere di plasmare, a sua immagine e somiglianza, la società e i corpi, normalizzando il prodotto di quelle fibre molli del cervello di cui parlava Servan proprio alla fine del ‘700. E si torna anche alla necessità, per le forze che si vogliono antagoniste, di controbattere colpo su colpo alle vertiginose, o abissali, costruzioni dell’immaginario capitalistico con cui sempre più occorre fare i conti. Non lasciandosi abbindolare né dalla “razionalità” delle scelte dei governi, delle imprese e delle loro scienze, né, tanto meno, dalle disordinate e confuse, ma soprattutto fuorvianti, ricostruzioni dei complottisti di ogni ordine e grado.

La realtà è lì, pronta a dischiudersi davanti ai nostri occhi, in ogni momento.
Basti pensare alla campagna di vaccinazione, trionfalisticamente annunciata e descritta in ogni dove eppur così misera e tardiva. Mentre gli Stati Uniti annunciano che l’Alaska sarà il primo stato ad essere completamente vaccinato, i media si dimenticano di aggiungere che la stessa ha poco più di 700.000 abitanti e una densità di popolazione pari a 0,4 abitanti per chilometro quadrato12, in Italia e in Europa ai guai legati a piattaforme mal funzionanti per le prenotazioni e ai numeri delle fiale di vaccino assolutamente non sufficienti si è aggiunto anche il “grosso guaio” causato, in diversi paesi europei, compresa l’Italia, dai casi di trombosi verificatisi dopo la somministrazione del vaccino Astra-Zeneca13.

Vaccino che fin dall’inizio aveva suscitato dubbi sulla sua effettiva funzionalità e che solo per l’emergenza vaccinale, legata alla scarsità di dosi disponibili come si è già detto poc’anzi, è stato approvato dall’EMA, prima solo per gli under 65 e successivamente anche per gli over. Confermando così come la vera sperimentazione di vaccini (sviluppati forse troppo in fretta per motivi di mercato) si stia svolgendo sui corpi dei vaccinati. Motivo per cui oggi, dopo diverse morti sospette, siamo costretti ad ascoltare ministri e generali, rappresentati dei governi e della “scienza” (oltre che di Big Pharma, dell’OMS e dell’AIFA) che affermarno che quel vaccino è sicuro ed efficace come tutti gli altri, nonostante la sospensione “in via precauzionale” della sua somministrazione sia stata resa operativa in quasi tutti i paesi europei (buona ultima l’Italia, lasciata sola anche da Germania e Francia) fino a giovedì 18 marzo.

Ora, al di là della facile ironia che si potrebbe fare su quell’”essere sicuro ed efficace come gli altri”, che non si sa se sia una constatazione dell’effettiva efficacia di Astra-Zeneca oppure una svalutazione di fatto dell’efficacia degli altri vaccini, ciò che c’è, molto semplicemente, da rilevare non è il solito big complotto, ma piuttosto il fatto che, come il “nostro” Marx aveva già rivelato, non è la domanda a creare l’offerta ma, piuttosto, il contrario. Ovvero questo c’è, 400 milioni di dosi di Astra Zeneca già acquistate dall’Unione Europea (che sicuramente, nei prossimi giorni, contribuiranno a spingere l’EMA nella direzione di una ripresa delle vaccinazioni con lo stesso siero)14, questo vi beccate e questo deve pure piacervi (anima santa di ogni pubblicità, dal detersivo per i piatti ai segretari del PD fino a ciò che dovrebbe difenderci dalla morte e dal Male), altrimenti niente “miracolo”.

Se è però evidente l’uso politico del discorso medico (e scientifico) che oggi viene fatto, è proprio Foucault a spiegarci che:

Se c’è stato effettivamente un legame tra la pratica politica e il discorso medico, non è, mi pare, perché questa pratica abbia mutato prima di tutto la coscienza degli uomini, il loro modo di percepire le cose o di concepire il mondo, poi in fin dei conti la forma della loro conoscenza e il contenuto del loro sapere; non è neppure perché questa pratica si sia riflettuta prima, in modo più o meno chiaro e sistematico, in concetti, nozioni o temi che sono stati, in seguito, importati nella medicina; è perché, più direttamente, la pratica politica ha trasformato non il senso, né la forma del discorso, ma le sue condizioni di emersione, d’inserzione e di funzionamento; essa ha trasformato il modo di esistenza del discorso medico15.

Il filosofo francese situava a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo l’affermazione di una scienza medica di origine positivistica, basata sull’affidamento incondizionato e totale al metodo sperimentale16. Una medicina scientifica e razionale che, però, non si sarebbe mai allontanata del tutto dalla promozione di una fiducia o fede nella Scienza di stampo religioso, assumendo vieppiù le sembianze di un culto destinato a cancellare qualsiasi possibile “altra” eresia, grazie anche al panico oggi esasperato dai media.

Nel tentativo di spazzare via qualsiasi tipo di immaginario che veda nell’attuale modo di produzione la causa e non la salvezza per le attuali pandemie, destinate soltanto a moltiplicarsi in futuro (qui), l’immaginario medico-politico istituzionale trasforma i vaccini in una sorta di panacea universale (sanitaria, economica e sociale) e conferma le ipotesi formulate da Foucault sull’«improvvisa importanza assunta dalla medicina nel corso del XVIII secolo», a partire dagli studi di Baldinger che, nel 1782, aveva definito la medicina “scienza dello Stato”, iscrivendola così nel campo definito vent’anni prima da T. Rau come “polizia sanitaria”, articolazione della più generale “scienza della polizia” o “scienza dell’amministrazione”»17.

La funzione di quella che era stata chiamata la «polizia universale della società» non è più, insomma, di preservare «l’ordine universale dello Stato e il bene pubblico» […] ma, come mostra Foucault rileggendo il Traité de police di Nicolas de La mare e l’«immensa letteratura» sulla Polizeiwissenschaft tedesca, è diventata quella di una tecnica che investe direttamente la vita degli uomini. essa si occuperà progressivamente di tutto ciò che deve assicurare la felicità degli uomini, di tutto ciò che deve ordinare ed organizzare i rapporti sociali. Vigila, infine, su tutto ciò che è vivente […] E’ l’atto di nascita di una politica che è «necessariamente una biopolitica». Ma, aggiunge, poiché «la popolazione non è nient’altro se non ciò di cui lo Stato si fa carico, naturalmente a proprio vantaggio, lo stesso Stato potrà, se necessario, condurla al massacro. La thanatopolitica è così il rovescio della biopolitica»18.

Su questa traccia Foucault arriverà alla selezione razziale operata dagli stati in nome della razionalità scientifica e alle leggi di Norimberga, ma questo esula da questo scritto. Mentre lo stesso tema della thanatopolitica, come rovesciamento della biopolitica, lo possiamo riscontrare, pur rimanendo nell’ambito delle risposte alla pandemia, nel fatto che intorno ai vaccini si sia accesa una vera e propria guerra imperialistica per il controllo del mercato mondiale delle cure per il Covid-19. Guerra autentica che da un lato vede il ricco bottino rappresentato dal raddoppio dei profitti realizzati in un anno dalle grandi case farmaceutiche in gara per la distribuzione del siero19, da un altro lo scontro tra Occidente, Russia e Cina per il controllo geo-strategico dello stesso mercato e da un altro ancora, last but not least, quello che vede i media e i politici fingere sdegno e versare lacrime di coccodrillo su coloro che non possono usufruire di cure mediche adeguate in vaste aree del globo.

Constatare che più di sei miliardi di persone molto probabilmente non potranno usufruire dei vaccini anti-Covid e, allo stesso tempo, strombazzare l’efficacia delle campagne di vaccinazione condotte tra gli anziani dell’Occidente oppure lamentare il taglio delle forniture dei vaccini per i paesi europei, dimenticando i milioni di bambini che, semplicemente, muoiono di fame o per non poter usufruire dei medicinali più comuni, fa parte di questo indegno spettacolo20, che rende evidente come, per l’immaginario occidentale, continuino ad esistere morti dal peso diverso e non comparabile. Una forma ultima e spietata di guerra per mantenere inalterata la “povertà” degli altri e che nella difesa ad oltranza della proprietà dei brevetti vede una delle sue autentiche armi di distruzione di massa.

Oggi, in tempi di pandemia e di democrazie blindate, il ruolo del discorso medico e scientifico sembra aver rafforzato anche un’altra funzione, “interna” agli stessi paesi dell’Occidente: quella regolamentatrice del lavoro. Intendiamoci bene, non quella sempre utile della medicina del lavoro e degli organismi addetti al controllo (sempre meno numerosi e sempre meno ascoltati) degli ambienti in cui questo si svolge. No, qui si tratta delle migliori modalità per poter condurre il lavoro, senza interromperlo, anche durante un’epidemia la cui gravità dichiarata ha costretto la popolazione a rinchiudersi in casa e i giovani e i bambini a rinunciare alla scuola in presenza.

Già in articoli comparsi su «Carmilla» nella primavera scorsa21 si era parlato della radicale trasformazione del lavoro che sarebbe avvenuta a partire dall’emergenza pandemica. In particolare si parlava dello smart working che, oggi, non a caso, è diventato l’elemento centrale del nuovo contratto degli statali e della riforma della pubblica amministrazione.

Sebbene una delle motivazioni che sarà addotta, tra le altre, sarà sicuramente quella di venire incontro alle necessità femminili (famiglia, gestione dei figli e di quella che una volta si sarebbe detta “economia domestica”), che sembrano essere sempre le stesse individuabili nell’immaginario maschile e patriarcale della “famiglia felice”, certamente tale forma di atomizzazione del lavoro, sempre più collegata al raggiungimento degli obiettivi e dei risultati, andrà sicuramente a fracassare il rapporto tra contratto, orario e salario che da molto tempo costituiva una conquista per tutte le categorie di lavoratori dipendenti formalmente “garantiti” da un contratto collettivo.

Se è facile immaginare ciò che tale nuovo tipo di contrattazione, già benedetta dai rappresentanti della triplice sindacale tricolore, comporterà per i lavoratori dello Stato (mentre, nel frattempo, iniziano ad essere messe in discussione anche le ferie degli insegnanti), altrettanto facile è comprendere come essa già porti in seno quella trasformazione dei rapporti di lavoro in fabbrica che, da diversi anni a questa parte, costituisce il vero cuore o core business di ogni richiesta avanzata da Confindustria e dagli imprenditori nei confronti dei lavoratori e delle loro organizzazioni: legare il salario (e magari anche l’orario) alla produttività e al raggiungimento degli obbiettivi.

Il prossimo accordo sindacale dei metalmeccanici e di tutte le altre categorie produttive, una volta scardinata la difesa dei “privilegi” dei lavoratori dello Stato, non potrà vertere che su questo punto. Approfittando, come nel dopoguerra cui si fa così tanto riferimento citando ad ogni piè sospinto la Ricostruzione, dello sfinimento delle categorie sociali meno abbienti, della loro delusione e del loro completo disarmo politico e sindacale. E soltanto allora, dopo la fine del blocco dei licenziamenti, si comprenderanno appieno i sinistri riferimenti a Winston Churchill e alla sua promessa di “sangue, sudore e lacrime”.

Ecco allora che ciò che si diceva all’inizio sul disciplinamento dei corpi e delle menti, passato nella storia dell’Occidente prima attraverso l’istituzione dei conventi e, successivamente, degli eserciti di leva e ferma prolungata (dopo la guerra dei trent’anni, forse l’ultima guerra ad essere combattuta da eserciti quasi esclusivamente formati da mercenari), le caserme, le prigioni, i manicomi, le scuole e le fabbriche, potrebbe giungere una volta per tutte al suo coronamento: il corpo umano sfruttato come produttore/consumatore e la mente ridotta a software funzionale a tale sistema e alla sua “rete”.

Ha scritto un giorno Foucault che la sofferenza e la sventura degli uomini fondano «un diritto assoluto a sollevarsi». Viviamo oggi in un mondo in cui «tutto è pericoloso», come ripeteva spesso. Lo stesso sapere è diventato pericoloso, «e non soltanto per le sue conseguenze immediate a livello dell’individuo o dei gruppi di individui, ma addirittura al livello della stessa storia». In un mondo siffatto quel che ci resta (quel che si impone) è «una scelta etico-politica» sempre rinnovata per «determinare quale sia il pericolo principale»22.

(per Carlo, Arafat, i lavoratori di Piacenza e quelli di Prato in lotta, per Dana e la Valle che resiste, ma anche in memoria di Michel Foucault)


  1. Carl Schmitt, Teologia politica (1934) ora in C. Schmitt, Le categorie del politico, (a cura di Gianfranco Miglio e Pierangelo Schiera), il Mulino, Bologna 1972, p.33  

  2. Jack Orlando, Sandro Moiso (a cura di), L’epidemia delle emergenze. Contagio, immaginario, conflitto, Il Galeone editore, Roma 2020  

  3. “Sulle fibre molli del cervello è fondata la base incrollabile dei più saldi imperi” in Joseph Michel Antoine Servan (1737-1807), Discours sur l’administration de la justice criminelle, Genève 1786, p.35 (n.d.A.)  

  4. Michel Foucault, Lezione del 21 novembre 1973 in Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-1974), Feltrinelli editore, Milano 2010, pp. 48-49  

  5. Solo per fare un esempio: è di questi giorni la notizia che nel corso di un anno di “misure eccezionali” le forze dell’ordine hanno effettuato 47 milioni di controlli, per un totale di 37 milioni di persone…un bel database, non c’è che dire, sulle abitudini e gli spostamenti degli italiani  

  6. Michel Foucault, Ormai la sicurezza è al di sopra delle leggi, Conversazione con J.-P. Kauffmann, «Le Matin», 225, 18 novembre 1977, p.15 ora in Michel Foucault, La strategia dell’accerchiamento. Conversazioni e interventi 1975-1984, duepunti edizioni, Palermo 2009, p. 63  

  7. Si veda, ad esempio, Dario Fiorentino, Xenia Chiaramonte, Il caso 7 aprile. Il processo politico dall’Autonomia Operaia ai No Tav, Mimesis, Milano-Udine 2019  

  8. Patrizia Floder Reitter, «Dire il falso per uscire non è reato» Giudice fa a pezzi i dpcm di Giuseppi, «La Verità», 12 marzo 2021, p. 6  

  9. cit. in Alessandro Fontana, Introduzione a Michel Foucault, Nascita della clinica. Una archeologia dello sguardo medico, Giulio Einaudi editore, Torino 1998, p.XVIII  

  10. A. Fontana, op. cit., p. XVIII  

  11. Mauro Bertani, Postfazione a Michel Foucault, Nascita della clinica, op.cit., pp. 234-235  

  12. Si pensi che la sola Manhattan, una delle cinque divisioni amministrative della città di New York e la più densamente popolata, conta da solo 1.630.000 abitanti  

  13. Astra Zenechaos come ha titolato, martedì 16 marzo, il quotidiano francese «Le Soir»  

  14. Di queste dosi il 10%, 40 milioni, sono state opzionate dal governo italiano, che proprio su Astra Zeneca ha puntato per la vaccinazione di massa entro settembre.  

  15. Michel Foucault, Réponse à une question, «Esprit», 5, 1968 tradotto in A. Fontana op. cit., p. XXIV  

  16. Si veda ancora in proposito: Michel Foucault, Il potere psichiatrico, op. cit.  

  17. Si veda, ancora, Mauro Bertani, op.cit., p. 237  

  18. ibid, pp. 238-239  

  19. Andrea Franceschi, Marigia Mangano, Per colossi e start up dei vaccini 35 miliardi di utili extra nel 2021, «Il Sole 24 Ore», 14 marzo 2021, p. 3  

  20. Raphael Zanotti, Quante persone vivono nei paesi senza vaccini. Sono 6.170.120.899 le persone nel mondo che non hanno a disposizione i vaccini, «Specchio», inserto di «La Stampa», 7 febbraio 2021  

  21. Oggi raccolti in Jack Orlando, Sandro Moiso, op.cit.  

  22. M. Bertani, op.cit., p. 253  

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La crisi di governo come spettacolo https://www.carmillaonline.com/2021/02/24/la-crisi-di-governo-come-spettacolo/ Tue, 23 Feb 2021 23:01:33 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=64999 di Fabio Ciabatti

La triste commedia messa in scena dalla classe politica durante l’ultima crisi di governo è stata unanimemente e fortemente condannata dai media main stream. Siamo di fronte a una crisi sanitaria, economica e sociale senza precedenti, si lamentano commentatori di ogni risma, e i partiti sono capaci soltanto di fare giochi di palazzo dimenticandosi dell’interesse generale. Vergogna! Alla gogna! Eppure la maniacalità con cui viene seguito ogni sussurro proveniente dalle stanze e dai corridoi del “palazzo” suscita molti dubbi sul significato reale dell’indignazione sbandierata da giornalisti e opinionisti. Se del [...]]]> di Fabio Ciabatti

La triste commedia messa in scena dalla classe politica durante l’ultima crisi di governo è stata unanimemente e fortemente condannata dai media main stream. Siamo di fronte a una crisi sanitaria, economica e sociale senza precedenti, si lamentano commentatori di ogni risma, e i partiti sono capaci soltanto di fare giochi di palazzo dimenticandosi dell’interesse generale. Vergogna! Alla gogna! Eppure la maniacalità con cui viene seguito ogni sussurro proveniente dalle stanze e dai corridoi del “palazzo” suscita molti dubbi sul significato reale dell’indignazione sbandierata da giornalisti e opinionisti. Se del solito teatrino della politica si tratta, perché puntare ossessivamente i riflettori su questi attori di serie B? In realtà quello che è andato in scena con la complicità di giornali, televisioni e media digitali non è tanto una rappresentazione teatrale di pessima fattura quanto un vero e proprio spettacolo, nel senso che a questo termine attribuiva Debord.
“Lo spettacolo – sostiene il padre del situazionismo – riunisce il separato, ma lo riunisce in quanto separato”.1 Per quel che qui ci interessa possiamo sostenere che lo spettacolo della crisi di governo ha riunificato, a suo modo, la sfera politica e quella economica; la prima intesa come l’istanza che si presume possa garantire l’interesse generale e la coesione complessiva di una società,  la seconda come l’ambito in cui i singoli capitali organizzano la produzione finalizzata al perseguimento del profitto. 

A questo proposito chiediamo un po’ di pazienza perché vorremmo ribadire, come si sarebbe detto un tempo, alcune banalità di base.  E ci piace farlo, a mo’ di omaggio, attraverso un testo di qualche anno fa di Ellen Meiksins Wood, importante esponente del marxismo politico, scomparsa nel gennaio di cinque anni fa.2 Ebbene, secondo l’autrice il sistema capitalistico è caratterizzato da una separazione senza precedenti della sfera economica da quella politica. Lo stato rimane essenzialmente separato dall’economia anche quando interviene in essa. In altri termini il capitalismo è caratterizzato da una divisione del lavoro in cui i due momenti dello sfruttamento capitalistico – l’appropriazione e la coercizione – sono separati: il primo viene assegnato a una classe privata appropriatrice, i capitalisti,  il secondo a una istituzione pubblica specializzata nella coercizione, lo stato.  Quest’ultimo, da una parte, ha il monopolio della forza coercitiva; dall’altra, attraverso questa forza, sostiene un potere economico “privato”, la proprietà capitalistica che è investita dell’autorità di organizzare la produzione. Un’autorità probabilmente senza precedenti storici nel suo grado di controllo sull’attività produttiva e sugli esseri umani impegnati in essa.
Ciò significa che l’appropriazione del surplus avviene nella sfera economica con mezzi economici. Data la separazione dei produttori diretti dalle condizioni di lavoro, la pressione diretta extraeconomica, l’aperta coercizione, per principio, non sono necessarie per costringere i lavoratori a cedere al capitale il loro pluslavoro, cioè il tempo di lavoro eccedente rispetto alla produzione dei beni necessari alla loro riproduzione. A tal fine è sufficiente il bisogno economico che si esplica nell’ambito dello scambio di merci, basato sulla relazione contrattuale tra “liberi” produttori. Le società precapitalistiche, invece, sono caratterizzate da mezzi extra-economici di estrazione del surplus: coercizione politica, legale, militare, vincoli e doveri consuetudinari, obbligazioni religiose, deliberazioni comunitarie regolano il trasferimento del pluslavoro ai signori privati o allo stato attraverso corvée, rendita, tasse ecc.
Il processo attraverso cui si afferma l’autorità della proprietà privata, unendo il potere dell’appropriazione con l’autorità di organizzare la produzione nella mani di un proprietario privato per il suo beneficio, può essere visto come la privatizzazione del potere politico, cioè l’assunzione da parte di un proprietario privato di funzioni che erano originariamente appannaggio di un’autorità pubblica o comunitaria. Allo stesso tempo, questo potere non porta più con sé l’obbligo di adempiere a funzioni pubbliche, sociali. In ogni caso la separazione tra economia e politica svaluta la sfera politica e di conseguenza il significato della cittadinanza che perciò può essere estesa, tendenzialmente, senza limitazioni. La cittadinanza si fa formale non potendo investire una vasta area delle nostre vite quotidiane: i luoghi di lavoro, la distribuzione del lavoro e delle risorse ecc.
Non vorremmo essere fraintesi. Meiksins Wood non vuole affermare una rigida separazione concettuale tra economico e politico, cosa che avrebbe la conseguenza di svuotare il capitalismo del suo contenuto sociale e politico. Sostiene invece che i rapporti di produzione devono essere presentati nel loro aspetto politico, come rapporti di dominazione, diritti di proprietà, potere di governare e organizzare la produzione e l’appropriazione e perciò come terreno di lotta. In questo senso le relazioni politiche e giuridiche non sono riflessi secondari o meri supporti esterni, ma  parti costituenti dei rapporti di produzione. Economico e politico vanno dunque intesi come momenti la cui unità interna si muove attraverso opposizioni esterne. Da ciò deriva una conseguenza: come sostiene Marx, “Se il farsi esteriormente indipendenti dei due momenti, che internamente non sono indipendenti perché si integrano reciprocamente, prosegue fino ad un certo punto, l’unità si fa valere con la violenza, attraverso una crisi”.3 E con ciò torniamo all’attualità. 

Quella cui stiamo assistendo in Italia, e non solo, è una crisi di sistema, già da tempo in incubazione ma accelerata dalle conseguenze della pandemia, mascherata da crisi politica. L’ossessiva attenzione nei confronti dei rumor di palazzo sono funzionali a un processo di villanizzazione della classe politica, cioè alla creazione del villain della storia, del cattivo colpevole di tutti i mali sofferti da una nazione che altrimenti sarebbe in grado di reagire all’attacco del virus e, come la Roma di Nerone/Petrolini, rinascere “più bella e più superba che pria”. Risulta allora chiaro che la separazione tra sfera economica e sfera politica, per quanto possa sembrare a prima vista una debolezza del sistema perché limita la concentrazione del potere, risulta in realtà un suo punto di forza in quanto consente di affrontare le sue crisi senza investire direttamente i suoi fondamenti, i rapporti sociali di produzione capitalistici. La politica diviene il perfetto capro espiatorio. A essa, infatti, viene attribuito il compito di risolvere i problemi socio-economici, ma al contempo ha limitate capacità di intervento in questi campi, fermi restando il potere di appropriazione del surplus e l’autorità di organizzazione della produzione nella mani dei singoli capitali.
Non è un caso, sostiene ancora  Meiksins Wood, che le moderne rivoluzioni si siano verificate laddove il modo di produzione capitalistico era meno sviluppato e coesisteva con più antiche forme di produzione, in particolare la produzione contadina. In questi casi, infatti, la coercizione extraeconomica esercitava un ruolo maggiore nell’organizzazione della produzione e nell’estrazione di pluslavoro e lo stato agiva non soltanto in appoggio alle classi proprietarie ma, similmente allo stato precapitalistico, anche come diretto appropriatore. In breve dove il conflitto economico e quello politico apparivano immediatamente come inseparabili e lo stato rappresentava un nemico di classe più visibile e centralizzato. Di contro, nei paesi a capitalismo sviluppato la lotta di classe, che nella storia ha sempre riguardato il potere sul pluslavoro, tende a convogliarsi nel luogo della produzione perché è lì che si concentra e si esercita questo potere. In altri termini la lotta di classe da politica diventa economica, trasformandosi tendenzialmente in qualcosa di locale e particolaristico. Una lotta che riguarda i termini e le condizioni di lavoro che, per quanto feroce possa essere, non mette direttamente in questione il rapporto tra capitale e lavoro, almeno finché non esce dalle mura dei luoghi di lavoro. 

A maggior ragione, come già accennato, il conflitto tra i diversi attori nella sfera politica, non potendo oltrepassare il suo limitato ambito di competenza, non è in grado di prendere di petto il tema del rapporto tra capitale e lavoro. Ma, a differenza del conflitto che si dà sul luogo della produzione, è in grado, per così dire, di sublimarlo. Proprio per questo nella sfera politica si può dare una ricomposizione spettacolare tra economico e politico. Una ricomposizione di cui abbiamo un esempio nell’esito dell’ultima crisi di governo. Non c’è nulla di più spettacolare, infatti, di un salvatore della patria cui vengono attribuiti connotati spudoratamente eroici: “Super Mario” Draghi, appunto. Un individuo straordinario che ha già mostrato le sue eccezionali capacità decisionali quando, come ci viene ripetutamente ricordato, affermò in pubblico che per salvare l’euro avrebbe fatto  “whatever it takes”. Frase che si concludeva così: “And believe me, it will be enough”. Una dichiarazione che starebbe bene in bocca anche al più coatto dei cowboy hollywoodiani.
Draghi è con ogni evidenza un esponente di spicco dell’élite economico-finanziario europea chiamato a rimediare al fallimento della politica nazionale. Non è perciò esagerato parlare di un commissariamento dell’Italia da parte del capitale finanziario continentale sotto lo sguardo attento dei poteri atlantici. Però, a ben vedere, c’è qualcosa di più da dire. La questione ripetutamente sollevata sulla natura tecnica o politica del suo governo, per quanto stucchevole, indica in modo confuso una difficoltà reale che affiora dalla profondità della crisi socio-economica in corso: è proprio l’andamento dell’economia, così come governato dal capitale, a costituire un problema. In altri termini, sebbene in modo tutt’altro che trasparente, affiora la necessità di scelte, propriamente politiche, che modifichino questo andamento interferendo con il governo capitalistico della produzione. Questo, per meglio dire, è il fantasma che va esorcizzato.

Prendiamo il caso della campagna vaccinale, uno dei compiti prioritari cui si dovrebbe dedicare il nuovo governo. E’ chiaro che le decisioni sovrane delle case farmaceutiche, basate ovviamente sulla ricerca del massimo profitto, sono un ostacolo fondamentale per una efficiente programmazione della campagna di immunizzazione di massa. Il potere e gli enormi profitti delle grandi imprese farmaceutiche sono normalmente giustificati dal loro ingente investimento nella creazione di nuovi farmaci. Ma le cose non stanno così. Con riferimento agli Stati Uniti, Marianna Mazzuccato rilevava qualche anno fa come tra il 1994 e il 2003 siano stati gli Istituti Nazionali di Sanità finanziati dal governo americano a condurre le ricerche che hanno portato a tre quarti dei nuovi farmaci (le cosiddette nuove entità molecolari), mentre le case farmaceutiche si limitavano ad investire prevalentemente sulle varianti meno rischiose (in termini di profitti attesi) dei farmaci già esistenti.4 Con la crisi pandemica l’impegno pubblico sarà con ogni probabilità ancora più significativo. Soltanto il governo statunitense, nell’ambito dell’Operazione Warp Speed, avrebbe inizialmente stanziato 9 miliardi di dollari per finanziare lo sviluppo e la produzione dei vaccini. Ma non è tutto. La scelta dei vaccini come arma principale, se non unica, per sconfiggere la pandemia non è un’opzione obbligata come dimostrano le efficienti strategie di contenimento messe in atto principalmente dai paesi asiatici (per non parlare di Cuba). Si tratta in realtà di una scelta dettata dagli interessi di Big Pharma che in tutto l’Occidente ha trasformato la medicina in senso ospedale-centrico e farmaco-centrico, trascurando prevenzione e medicina territoriale.5
E si tratta anche di una scelta che consente di alimentare una perniciosa illusione a beneficio del potere capitalistico complessivamente inteso: si può contrastare l’epidemia proseguendo nel nostro stile di vita quasi come se nulla fosse.
Business as usual. Avremmo a che fare, in altri termini, con un’opzione che, per sconfiggere la pandemia, non necessiterebbe, nel breve periodo, di adottare provvedimenti coercitivi sul governo capitalistico dell’economia evitando la limitazione del movimento di merci e persone (leggi lockdown) e, nel medio-lungo periodo, di ripensare un modello di sviluppo che stravolgendo gli ecosistemi planetari favorisce la possibilità del salto di specie dei virus.
Insomma proprio quando appare che alla politica venga richiesto uno sforzo straordinario per modificare il corso degli eventi nella realtà accade che le vengono negati gli strumenti per agire. Solo lo spettacolare intervento di un eroe ci può aiutare in un compito così disperato e al tempo stesso così importante. Vediamo dunque che tutto si raddoppia e si capovolge. La sfera economica invade quella politica, ma è la politica che deve apparire in grado come non mai di governare l’economia: la prassi sociale, direbbe Debord, si è scissa in realtà e immagine. In altri termini la politica può riprendere il comando solo negando se stessa. L’appoggio praticamente unanime al governo Draghi nega infatti uno degli elementi essenziali che si suppone debba caratterizzare la sfera politica moderna: quel politeismo dei valori che implica la possibilità di effettuare scelte diverse, o anche divergenti, nel governare il bene comune. 

E allora di fronte al fantastico mondo di Super Mario chiudiamo ribadendo di nuovo alcune banalità di base, utilizzando le parole di Meiksins Wood: “le battaglie puramente ‘politiche’ sul potere di governare e dirigere, rimangono incompiute finché non  coinvolgono oltre alle istituzioni dello stato anche il potere politico che è stato privatizzato e trasferito nella sfera economica. In questo senso, è proprio la differenziazione dell’economico e del politico nel capitalismo – la simbiotica divisione del lavoro tra stato e classe – ciò che rende propriamente essenziale l’unità delle lotte politiche ed economiche e che deve rendere sinonimi socialismo e democrazia”.6


  1. Guy Debord, La società dello spettacolo, Baldini Castoldi Dalai, 2004, p. 62. 

  2. Cfr. Ellen Meiksins Wood, Democracy against capitalism, Cambridge Universiy Press 1995. 

  3. Karl Marx,  Il capitale I, Editori Riuniti, Roma, 1980, p. 146.  

  4. Cfr. Marianna Mazzuccato, Lo stato innovatore, Laterza 2014. 

  5. Cfr. Alberto Burgio, “Dopo un anno di pandemia: ostaggi di Big Pharma?” in Oltre il capitale, anno III n. 5, gennaio 2015. 

  6. Ellen Meiksins Wood, Democracy against capitalism, cit. p. 48, traduzione mia. 

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Pandemia, economia e crimini della guerra sociale. Stagione 2, episodio 2: il falò delle vanità https://www.carmillaonline.com/2021/01/31/pandemia-economia-e-crimini-della-guerra-sociale-stagione-2-episodio-2-il-falo-delle-vanita/ Sun, 31 Jan 2021 22:00:28 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=64697 di Sandro Moiso

“Possiamo essere pessimisti, darci per vinti e quindi lasciare che accada il peggio. Oppure possiamo essere ottimisti, cogliere le opportunità che certamente esistono e in questo modo cercare di fare del mondo un posto migliore. Non c’è altra scelta.” [Ottimismo (malgrado tutto) – Noam Chomsky]

Il falò della vanità della scienza medica (al servizio del capitale)

Ormai più di un mese fa, domenica 27 dicembre, avrebbe dovuto avere inizio la terapia miracolosa, sospesa tra interessi economici, miracoli degni del cinema di Vittorio De Sica, creduloneria mediatica e (pseudo) [...]]]> di Sandro Moiso

“Possiamo essere pessimisti, darci per vinti e quindi lasciare che accada il peggio. Oppure possiamo essere ottimisti, cogliere le opportunità che certamente esistono e in questo modo cercare di fare del mondo un posto migliore. Non c’è altra scelta.” [Ottimismo (malgrado tutto) – Noam Chomsky]

Il falò della vanità della scienza medica (al servizio del capitale)

Ormai più di un mese fa, domenica 27 dicembre, avrebbe dovuto avere inizio la terapia miracolosa, sospesa tra interessi economici, miracoli degni del cinema di Vittorio De Sica, creduloneria mediatica e (pseudo) scienza. Successivamente i ritardi nelle consegne, gli ingarbugliati (a dir poco) contratti firmati dall’Unione Europea con le ditte produttrici, il malfunzionamento degli apparati sanitari preposti e l’incompetenza delle amministrazioni locali, basata su anni di tagli della spesa per la salute dei cittadini e di prevaricazioni politiche in nome dell’interesse privato sbandierati come “eccellenza sanitaria”, hanno finito col fare più danni di qualsiasi protesta No Vax1.

Come se ciò non bastasse anche il nazionalismo economico si è ritagliato il suo spazio vitale nella corsa ai vaccini così che, nonostante la contrarietà manifestata da numerosi virologi ed esperti (o almeno presunti tali)2, anche il governo italiano, insieme al suo commissario straordinario Arcuri, ha deciso di investire in patria per sostenere quello della Reithera, di cui non si conosce assolutamente il grado di efficacia e la cui prima consegna è stimata per l’autunno di quest’anno. Ma si sa…piatto ricco mi ci ficco!

Forse può essere sufficiente un titolo, pubblicato su Repubblica il 23 dicembre 2020, per svelare il tentativo di confondere le idee del pubblico sulle questioni legate alla pandemia, alla salute pubblica e al vaccino: Peste, colera e vaiolo. Tutte le volte che i vaccini hanno cambiato la storia. L’articolo, a firma di Corrado Augias, riportava correttamente che quello per il vaiolo, scoperto nella seconda metà del XVIII secolo ad opera del medico inglese Edward Jenner, fu il primo vaccino utilizzato per sconfiggere una malattia che a lungo ha afflitto l’umanità e che soltanto all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso è stata dichiarata sconfitta. Ma il titolo sembra suggerire che anche altre gravi malattie epidemiche, come la peste e il colera, siano state sconfitte dall’invenzione di vaccini ad hoc.

In realtà, come già si è riportato in una precedente recensione pubblicata qui su Carmilla, per fare i conti con le grandi epidemie manifestatesi nella storia della nostra specie occorre ricordare che

Comprese in un arco cronologico esteso dall’antichità greca e romana ai primi decenni del XVIII secolo, le epidemie di peste coinvolsero in ogni epoca tutti i possibili aspetti della vita economica, politica, sociale, pubblica e privata, dando ampia materia di discussione a svariate discipline. La storia della medicina e quella sanitaria, la psicologia, la letteratura, la demografia, la storia economica e quella politica, hanno affrontato nel corso dei secoli questo tema affascinante e terribile, mettendo in evidenza impressionanti analogie.
E’ incredibile soprattutto constatare come, nonostante i progressi straordinari delle discipline mediche, gli strumenti a disposizione ai nostri giorni per la prevenzione delle epidemie siano ancora quelli elaborati nel ‘300 a partire dal Nord della Penisola (Milano, Firenze, Venezia, Genova, Lucca), recepiti tardi dal resto dell’Europa (tardissimo dall’Inghilterra), e adottai con successo fino al 17203.

Due scienziate e ricercatrici del King’s College di Londra e dell’università di Bristol, Caitjan Gainty ed Agnes Arnold-Forster, raccontano, poi, ancora un’altra storia. Ad esempio, anche sull’eradicazione del vaiolo – una spietata malattia virale provocata da due varianti del virus Variola, Variola maior e Variola minor, con un tasso di letalità del 30-35% – per la quale non è corretto affermare che solo i vaccini contro il vaiolo abbiano condotto alla sconfitta del patogeno, di cui l’ultimo caso venne diagnosticato nel 1977 in Somalia.
La malattia del vaiolo ha ucciso 300 milioni di persone solo nel corso del Novecento, prima di essere ufficialmente dichiarata eradicata l’8 maggio 1980, ma non ci si è arrivati da un giorno all’altro e non solamente attraverso la vaccinazione. Che è condizione necessaria ma non sufficiente di fronte a certe pandemie.
In un certo senso, dicono le due esperte, per quanto l’eradicazione della malattia sia appunto ricordata come la prova del definitivo successo dei vaccini, “non dovremmo dimenticare che il vaiolo ha imperversato per secoli prima di essere sconfitto”. I 150 anni seguenti alla prima inoculazione del vaccino da parte di Edward Jenner sono stati contraddistinti dalle preoccupazioni sull’efficacia del vaccino, dalla sicurezza e dagli effetti collaterali e ancora nel 1963 i medici britannici erano allarmati dalla scarsa adesione alla vaccinazione rutinaria contro il vaiolo, avvertendo che questa indifferenza avrebbe richiesto un vasto programma rieducativo4.

Basterebbe poi scorrere le pagine di un qualsiasi manuale di Storia delle scuole superiori per venire a sapere che, ad esempio, la peste è stata sconfitta soltanto da un miglioramento delle condizioni di vita (igieniche ed alimentari) anche se oggi non è stata debellata del tutto. Mentre il colera si annida proprio laddove ancora regnano miseria, scarsa igiene e cattiva alimentazione. Tutti e tre elementi più legati alla povertà che a fattori “naturali”.

A ricordacelo, per esempio, è stato anche Richard Horton, direttore della celebre rivista scientifica “The Lancet”, tra le cinque più autorevoli al mondo, secondo il quale:

Abbiamo ridotto questa crisi a una mera malattia infettiva. Tutti i nostri interventi si sono concentrati sul taglio delle linee di trasmissione virale. La “scienza” che ha guidato i governi è composta soprattutto da epidemiologi e specialisti di malattie infettive, che comprensibilmente inquadrano l’attuale emergenza sanitaria in termini di peste secolare. Ma ciò che abbiamo imparato finora ci dice che la storia non è così semplice. Covid-19 non è una pandemia. È una sindemia.

Aggiungendo poi ancora:

Il particolare svantaggio dei ceti meno abbienti e istruiti è stato certificato dalle analisi sui morti condotte negli Stati Uniti e in America Latina, dove decessi e contagi risultano prevalenti tra comunità afroamericane e minoranze. E anche dai dati dell’Istituto nazionale di statistica italiano: a partire dai mesi primaverili del 2020 è stato registrato un aumento dell’incidenza della mortalità tra le persone meno istruite rispetto a quelle più istruite. Nelle donne, il divario porta alla situazione per cui ogni 4 decedute meno istruite ne muoiono 3 con un grado di istruzione superiore, riporta l’Istat.
Le misure restrittive decise dai governi inoltre possono creare un vero e proprio circolo vizioso che riduce i redditi già bassi, diminuendo contemporaneamente condizioni di lavoro e aspettative di vita dei più deboli5.

«Parlare solo di comorbilità è superficiale», ammonisce lo scienziato.
Soprattutto, se i programmi per contrastare l’attuale epidemia, o quelle successive, non terranno conto di fenomeni come la crescita dell’inquinamento, degli effetti della povertà sulla salute psico-fisica e della mancanza di investimenti in sanità pubblica e della diffusione di malattie come obesità, diabete, malattie cardio-vascolari, respiratorie e cancro, questi programmi saranno destinati al fallimento, perché non potranno mai garantire la salute di tutti..

Certamente, il direttore di una delle più autorevoli riviste scientifiche, che al problema sindemia, ovvero quella sovrapposizione di elementi patogeni, degrado ambientale e socio-economico in grado di scatenare nuovi eventi epidemici a partire dal rafforzamento e dall’aggravamento di ognuno dei tre fattori, dedica da diverso tempo una notevole attenzione (qui), non potrà essere accusato di essere un No Vax, termine che sembra oggi definire il campo del “nemico” ogni qualvolta una voce si levi per collegare l’attuale pandemia e i suoi rimedi miracolosi, sia in campo economico (Recovery Fund, Mes, bonus, etc.) oppure scientifico (gli infiniti vaccini promessi e promossi dai governi, dall’industria farmaceutica e dai cittadini di “buona volontà” di ogni colore e risma), alle strutture sociali e ai risvolti climatici, ambientali e medici che queste portano con sé, ma occorre anche dire che non abbiamo mai sentito, in questi lunghi mesi, a livello politico e mediatico ufficiale qualcuno che affrontasse la questione in tali termini.

Anzi, sia il Cnr che l’Arpa Lombardia si sono sforzati di dimostrare, ancora nei primi giorni di gennaio che l’inquinamento non avrebbe nulla a che fare con la diffusione del/dei virus6. Si parla qui di virus al plurale poiché l’esplosione delle varianti scoperte dalla Gran Bretagna al bresciano passando per il Sud Africa e il Brasile, pur ammessa la profonda similitudine all’interno delle stesse, permette ragionevolmente di credere che l’evoluzione del virus sia piuttosto rapida e, nonostante tutte le rassicurazioni, destinata a sviluppare, come già sta accadendo, forme, forse meno letali, ma più aggressive in termini di infettività e in grado di limitare l’efficacia dei vaccini così rapidamente proposti dall’offerta commerciale delle grandi industrie farmaceutiche.

I “fattori naturali” entrano in gioco principalmente là dove la natura e l’ambiente sono stati stravolti e intossicati dall’incontrollabile sviluppo di quelle che un tempo anche la Sinistra chiamava “forze produttive”. Forze produttive il cui sviluppo ha sempre più rivelato l’autentico volto, fatto non soltanto di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ma anche di devastazione, sfruttamento e distruzione di quell’ambiente e di quelle risorse di cui la specie ha un estremo bisogno per sopravvivere.

Come ha affermato David Quammen, autore del noto ed inizialmente citatissimo Spillover (Adelphi, Milano 2012), ma oggi (chissà perché) sempre meno citato:

Certi gruppi di virus si adattano e cambiano molto più velocemente degli altri. I più rapidi fanno parte di un gruppo di famiglie di virus noto come virus Rna a singolo filamento. Significa che i loro genomi sono composti di un singolo filamento della molecola Rna, invece che il Dna, che è a doppio filamento. Un genoma Rna a singolo filamento commette molti più errori quando si copia mentre i virus si stanno replicando: e quegli errori, che si chiamano mutazioni, sono le materie prime dell’evoluzione per selezione naturale. Il vecchio meccanismo di Darwin. Quindi questi virus Ss-Rna, in costante mutamento e adattamento, sono più capaci di trasferirsi a nuovi ospiti, come gli esseri umani, e proliferare. E tra i più noti virus Rna a filamento singolo ci sono i coronavirus […] siamo parte della natura, di una natura che esiste su questo pianeta e solo su questo. Più distruggiamo gli ecosistemi, più smuoviamo i virus dai loro ospiti naturali e ci offriamo come un ospite alternativo […] consumiamo risorse in modo troppo affamato, a volte troppo avido, il che ci rende una specie di buco nero al centro della galassia: tutto è attirato verso di noi. Compresi i virus.
Una soluzione? Dobbiamo ridurre velocemente il grado delle nostre alterazioni dell’ambiente, e ridimensionare gradualmente la dimensione della nostra popolazione e la nostra domanda di risorse”7.

Gli esperti dell’Intergovernmental Science Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (Ipbes – organismo itituito dalle Nazioni Unite per monitorare la biodiversità) ipotizzano che esistano attualmente da ottocentomila a un milione e settecentomila virus sconosciuti pronti a fare il salto di specie (zoonosi)8 con conseguenze sanitarie sempre più allarmanti, se la nostra società non deciderà di fermare la deforestazione, la cementificazione e l’urbanizzazione sempre più devastanti dei territori in ogni angolo del mondo cui si ricollegano sia il cambiamento climatico in atto che lo sviluppo di un’agricoltura sempre più intensiva.

Se la Scienza “ufficializzata” non vorrà farsi carico di tutto ciò, con un indirizzo chiaro, per continuare invece a servire la ricerca disperata di profitti ed investimenti del capitale in ogni campo, e non solo nel settore farmaceutico, è chiaro che qualsiasi serio discorso sulla diffusione del Covid-19 o di qualsiasi altro virus, sui suoi possibili rimedi e la difesa della salute pubblica rischia di essere castrato e ridotto, fin dalla partenza, ad una spettacolarizzazione di opinioni asservite e inutili, se non dannatamente pericolose per l’intera specie.

Quanto scritto fin qui va letto come ipotesi provocatoria poiché è chiaro a tutti, o quasi, che la struttura classista di una società fondata sull’appropriazione privata della ricchezza socialmente prodotta, delle risorse naturali e della conoscenza in nome dell’accumulazione di profitti e capitali non è certo favorevole ad un salto epocale come quello che sarebbe attualmente necessario.
Ma poiché chi scrive è ben lontano dalle posizioni No Vax e ancor meno è complottista, si rende necessario soffermarsi per un attimo su alcuni concetti.

Il capitale approfitta di qualsiasi occasione, ma non per istinto malevolo, piuttosto per sua intrinseca natura. Questo non vuol dire che il capitale e i suoi funzionari, governanti o imprenditori non importa in che ordine di importanza, siano in grado di affrontare o risolvere sempre qualsiasi situazione a proprio vantaggio, né che i suoi piani strategici siano di così lunga durata. Anzi occorre dire che la “continuità strategica” di certe azioni del medesimo, ad esempio le guerre imperialiste o di controllo dei mercati e delle materie prime, è dovuta più ad una errata percezione di azioni molto più vicine nel tempo di quanto si pensi, più che a reali strategie di lungo periodo. E di questo si deve rendere conto chi lo vuole osteggiare e inviare all’Inferno. Modificando una percezione del tempo che si presenta sempre più velocizzata e che nell’immaginario condiviso globalmente allontana gli avvenimenti grandi e piccoli come fossero sempre enormemente distanti, anche quando non lo sono. Un tempo percepito sulla base del qui, dell’adesso, dell’istante e del momento che impedisce di cogliere come siano i secoli e i millenni a scandire il tempo reale della storia della specie e del pianeta che abita. Che non corrisponde affatto a quello scandito dai media, dai social e dall’alta velocità come fine ultimo del cammino umano.

Le ipotesi espresse poco sopra sono poi confermate anche dagli ultimi dati forniti dall’Oxfam (Oxford Committee for Famine Relief il nome esteso in inglese).

L’ultimo rapporto, intitolato non a caso “The inequality virus”, rivela con abbondanza di dati come la pandemia abbia “portato alla luce, nutrito e aumentato le disuguaglianze esistenti dal punto di vista della ricchezza, del genere e della razza”. Sono oltre due milioni le persone che nel mondo sono morte finora a causa del virus, e “in centinaia di milioni sono precipitati in povertà, mentre dall’altra parte della barricata i più ricchi del mondo – individui e società – stanno prosperando”, si legge nel report.
A partire dalla militarizzazione dei territori, delle decisioni politico-sanitarie e delle imposizioni cui i cittadini dovrebbero sottostare in tutti gli stati coinvolti. Accettarne compostamente e in silenzio le conseguenze, anche lavorative segnerebbe sicuramente un bel punto per il controllo capitalistico della specie e dell’ambiente negli anni a venire.
[…]L’87% degli economisti interpellati da Oxfam ritiene che il coronavirus porterà a un aumento delle disuguaglianze nel loro Paese, il 56% pensa che la pandemia peggiorerà le disparità di genere e oltre due terzi che porterà a maggiori disparità razziali. “Come una radiografia, il covid-19 ha rivelato le fratture nel fragile scheletro delle società che abbiamo costruito”, ha commentato il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. “La pandemia sta portando alla luce ovunque errori e false convinzioni: come l’idea sbagliata che il mercato libero possa garantire a tutti le cure sanitarie, o ancora l’illusione di vivere in un mondo post-razzista o il mito in base al quale siamo tutti sulla stessa barca. In realtà stiamo navigando tutti nello stesso mare, ma è chiaro che qualcuno si trova su un super yacht, mentre molti altri non possono far altro che aggrapparsi ai relitti galleggianti”9.

Un altro esempio? Eccolo: mentre il rigoroso controllo degli spostamenti individuali prosegue, accompagnato da tutta una serie di limitazioni destinate ad impedire non l’affollamento nelle vie dei centri urbani o nei grandi centri commerciali per la celebrazione dei riti del consumo, ma l’eventuale adunata “sediziosa” di coloro che volessero organizzare resistenze e proteste, il governo ha tirato fuori dal cappello magico i 67 siti individuati per lo stoccaggio del materiale radioattivo formato dalle scorie nucleari provenienti dalle centrali di quel genere, forse non solo italiane (qui).

Si son levate le voci di sindaci e governatori regionali, preoccupati forse più per la salvaguardia del proprio serbatoio elettorale che per la salute dei cittadini e dell’ambiente, ma sembra difficile che chi abita quei territori possa nel giro di poco tempo mobilitarsi significativamente per opporsi alla proposta. Eppure, eppure…

Più che farsi sorprendere da ogni singola iniziativa gestionale o politico-economica del capitale e dei suoi servitori, come se queste costituissero costantemente una novità o un’emergenza assoluta (travisamento prospettico che regala al nostro avversario proprio il vantaggio su cui da sempre conta), si rende sempre più necessario anticiparne e prefigurarne le mosse e il destino, individuandone per tempo i punti deboli e le linee di frattura in cui poter inserire la leva adatta ad ampliarne le contraddizioni. Prima che questo riesca recuperare il tempo o il vantaggio, sempre e solo, momentaneamente perduto.

(2continua)


  1. Secondo i dati “reali” forniti dall’Iss e Istat, la campagna vaccinale in Italia, continuando di questo passo e anche senza tener conto del blocco del vaccino di AstraZeneca per gli over 65, potrebbe aver termine nel novembre 2025: Giampiero Maggio, Vaccini anti Covid, altro che marzo 2021: la campagna in Italia finirà a novembre 2025, “La Stampa”, 28 gennaio 2021  

  2. Gli scettici del vaccino italiano. “Due che funzionano già ci sono, che senso ha?”, “Huffpost”, 30 gennaio 2021  

  3. Maria Paola Zanoboni, La vita al tempo della peste, Editoriale Jouvence, Milano 2020, p. 13  

  4. Si veda: Simone Cosimi, Perché non bastano i vaccini per sconfiggere un virus, e varrà anche per il Covid-19, “Esquire”, gennaio 2021  

  5. Si veda ancora: Edmondo Peralta, “Covid-19 is not a pandemic”: non una pandemia, ma una “sindemia” (qui e qui)  

  6. Si veda, ancora: L’inquinamento non favorisce la diffusione del Covid: lo studio di Cnr e Arpa Lombardia (msn.com)  

  7. Si veda https://www.wired.it/play/cultura/2020/03/09/coronavirus-david-quammen-spillover-intervista/?refresh_ce  

  8. Si veda: Davide Michielin, Le nuove epidemie: dopo Covid quali sono i rischi per l’umanità, la Repubblica, 20/11/2020  

  9. Chiara Merico, Covid e disuguaglianze: i Paperoni hanno recuperato in 9 mesi, i poveri ci metteranno 10 anni. Italia, 10 milioni “senza rete”, “Business Insider Italia, 25 gennaio 2021  

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La vita al tempo della peste https://www.carmillaonline.com/2021/01/27/la-vita-al-tempo-della-peste/ Wed, 27 Jan 2021 22:00:13 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=64673 di Sandro Moiso

Maria Paola Zanoboni, La vita al tempo della peste. Misure restrittive, quarantena, crisi economica, Editoriale Jouvence, Milano 2020, pp. 218, 18,00 euro

«Dico adunque che già erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia città di Fiorenza, oltre a ogn’altra italica bellissima, pervenne la mortifera pestilenza». La prima testimonianza scritta dell’incontro tra le prime forme di società capitalistica ed epidemie gravi ha una data compresa tra il 1349, anno in cui Giovanni Boccaccio diede piglio alla penna per ambientare all’interno [...]]]> di Sandro Moiso

Maria Paola Zanoboni, La vita al tempo della peste. Misure restrittive, quarantena, crisi economica, Editoriale Jouvence, Milano 2020, pp. 218, 18,00 euro

«Dico adunque che già erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia città di Fiorenza, oltre a ogn’altra italica bellissima, pervenne la mortifera pestilenza». La prima testimonianza scritta dell’incontro tra le prime forme di società capitalistica ed epidemie gravi ha una data compresa tra il 1349, anno in cui Giovanni Boccaccio diede piglio alla penna per ambientare all’interno del panorama delineato dalla diffusione della peste della metà del XIV secolo il Decameron, e il 1351, anno in cui ne terminò la stesura.

E’ necessario cogliere questo collegamento tra albori del capitalismo bancario e mercantile ed epidemie poiché è proprio da quel momento che prende le mosse il testo di Maria Paola Zanoboni pubblicato da Jouvence. Infatti, anche se il capitalismo ha progressivamente spostato le sue radici e le sue origini, e la sua forza politica ed economica, sempre più a Nord e verso Occidente, in realtà le sue forme primitive si manifestarono proprio nei territori delle repubbliche marinare, per i commerci e la cantieristica navale, e di Firenze e di alcune altre città toscane in cui si svilupparono, invece, le prime attività legate al credito e alla manifattura tessile su una scala più ampia rispetto a quella dell’epoca precedente.

Sono infatti poche le pagine iniziali dedicate alle epidemie di peste nell’Antichità, tutte riferite alle testimonianze di Tucidide e Lucrezio, mentre il corpo principale della ricerca si occupa del periodo compreso tra il XIV e il XVII secolo, con una breve puntata nel XVIII per parlare dell’ultima epidemia di peste avutasi in Europa: quella del 1720 a Marsiglia, rapidamente debellata.
In questo periodo di tempo si situa quello che per molti studiosi è considerato come il vero inizio dell’Antropocene1 o, ancor meglio, Capitalocene ovvero quella trasformazione del rapporto uomo-ambiente basato su una progressiva devastazione degli equilibri ambientali e climatici causata dall’estrattivismo, dallo sfruttamento accelerato del suolo e delle risorse naturali oltre che dall’occupazione di una percentuale sempre maggiore di suoli precedentemente “liberi” dalla presenza dell’uomo e delle sue opere. Processo determinato da una ricerca di profitti e accumulo di ricchezze destinate al reinvestimento sempre più esosa, rapida e diffusa.

«Nelle parti orientali incominciata, quelle d’inumerabile quantità de’ viventi avendo private, senza ristare d’un luogo in uno altro continuandosi, verso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata»2. Non a caso la peste medievale di cui fu testimone il Boccaccio e intorno a cui si articola buona parte della ricerca, iniziò a diffondersi in Europa seguendo le rotte commerciali tra Oriente e Occidente. In particolare sulle rotte seguite dai genovesi tra i loro magazzini sul Mar Nero e il Mediterraneo.

Mentre sussistevano dubbi sulla contagiosità degli esseri umani, vivi o morti, e degli animali (tra i quali erano però ritenuti pericolosi quelli dotati di pelo o piume), già dal’400 furono infatti individuati nelle merci i veicoli principali dell’infezione:

A Ragusa alla fine del ‘500 le autorità sanitarie consideravano altamente pericolosi la lana e i tessuti di lana, per cui le imbarcazioni cariche di questi articoli e materie prime provenienti da luoghi sospetti non venivano accolte […] verso la metà del ‘600,in ogni caso, sussisteva la perfetta consapevolezza della trasmissione del contagio anche attraverso le merci infette, e di quali oggetti o materiali lo propagassero più di altri. Un documento emanato dalle autorità sanitarie genovesi all’epoca della grande epidemia del 1656/57 elenca minuziosamente i prodotti in cui non si annidava il morbo, quelli in cui si annidava e quelli su cui si era incerti […] la maggior parte del legno, se ruvido e pieno di crepe era tra i principali veicoli di contagio, tanto che fin dal ‘400, nella costruzione dei lazzaretti, erano banditi i soffitti in legno e utilizzato esclusivamente il laterizio3.

«Dico che di tanta efficacia fu la qualità della pestilenzia narrata nello appiccarsi da uno a altro, che non solamente l’uomo all’uomo, ma questo, che è molto più, assai volte visibilmente fece, cioè che la cosa dell’uomo infermo stato, o morto di tale infermità, tocca da un altro animale fuori della spezie dell’uomo, non solamente della infermità il contaminasse ma quello infra brevissimo spazio uccidesse»4. Il ripresentarsi nel XIV secolo della peste, assente fin dall’VIII secolo sul territorio europeo, da un lato colse la società impreparata ad affrontarla e successivamente spinse le autorità a prendere provvedimenti di quarantena e divieto di spostamento non troppo dissimili da quelli attuali. L’autrice ne fa un lungo elenco, pur ricordando che nonostante questo la peste rimase a lungo endemica nel Vecchio Continente: «ripresentandosi ovunque con cadenza decennale, e divenendo parte integrante del normale ritmo di vita, per cui, soprattutto nei centri urbani, la popolazione fu costretta suo malgrado ad adeguarvisi»5. Tutto ciò fa svolgere alla Zanoboni, alcune ulteriori riflessioni:

Comprese in un arco cronologico esteso dall’antichità greca e romana ai primi decenni del XVIII secolo, le epidemie di peste coinvolsero in ogni epoca tutti i possibili aspetti della vita economica, politica, sociale, pubblica e privata, dando ampia materia di discussione a svariate discipline. La storia della medicina e quella sanitaria, la psicologia, la letteratura, la demografia, la storia economica e quella politica, hanno affrontato nel corso dei secoli questo tema affascinante e terribile, mettendo in evidenza impressionanti analogie.
E’ incredibile soprattutto constatare come, nonostante i progressi straordinari delle discipline mediche, gli strumenti a disposizione ai nostri giorni per la prevenzione delle epidemie siano ancora quelli elaborati nel ‘300 a partire dal Nord della Penisola (Milano, Firenze, Venezia, Genova, Lucca), recepiti tardi dal resto dell’Europa (tardissimo dall’Inghilterra), e adottai con successo fino al 17206.

Anche se oggi, infatti, si pone perentoriamente l’accento sui vaccini, occorre qui sottolineare che due scienziate e ricercatrici del King’s College di Londra e dell’università di Bristol, in Gran Bretagna, specializzate in storia della medicina e della scienza, Caitjan Gainty ed Agnes Arnold Forster, spiegano che la speranza che vi stiamo riponendo, almeno sotto l’aspetto di sanità pubblica su scala globale, è esagerata7.
Inoltre, anche Richard Horton, direttore della celebre rivista scientifica “The Lancet”, tra le cinque più autorevoli al mondo, ha voluto sottolineare come

la gestione dell’emergenza, basata solo su sicurezza ed epidemiologia, non raggiunge l’obbiettivo di tutelare la salute e prevenire i morti. Covid-19 non è la peste nera né una livella: è una malattia che uccide quasi sempre persone svantaggiate, perché con redditi bassi e socialmente escluse oppure perché affette da malattie croniche, dovute a fenomeni eliminabili se si rinnovassero le politiche pubbliche su ambiente, salute e istruzione. Senza riconoscere le cause e senza intervenire sulle condizioni in cui il virus diventa letale, nessuna misura sarà efficace. Nemmeno un vaccino.
[…] la sindemia implica una relazione tra più malattie e condizioni ambientali o socio-economiche. L’interagire tra queste patologie e situazioni rafforza e aggrava ciascuna di esse. Questo nuovo approccio alla salute pubblica è stato elaborato da Merril Singer nel 1990 e fatto proprio da molti scienziati negli ultimi anni. Consente di studiare al meglio l’evoluzione e il diffondersi di malattie lungo un contesto sociale, politico e storico, in modo di evitare l’analisi di una malattia senza considerare il contesto in cui si diffonde. Per intenderci, chi vive in una zona a basso reddito o altamente inquinata, corre un maggior rischio di contrarre tumori, diabete, obesità o un’altra malattia cronica. Allo stesso tempo, la maggiore probabilità di contrarre infermità fa salire anche le possibilità di non raggiungere redditi o condizioni di lavoro che garantiscano uno stile di vita adeguato, e così via, in un circolo vizioso.
La sindemia è quel fenomeno, osservato a livello globale, per cui le fasce svantaggiate della popolazione risultano sempre più esposte alle malattie croniche e allo stesso tempo sempre più povere8.

Infine può rivelarsi utile ricordare come già David Quammen, autore del fondamentale Spillover (Adelphi, Milano 2012), abbia suggerito, in largo anticipo, che:

Le ragioni per cui assisteremo ad altre crisi come questa nel futuro sono che 1) i nostri diversi ecosistemi naturali sono pieni di molte specie di animali, piante e altre creature, ognuna delle quali contiene in sé virus unici; 2) molti di questi virus, specialmente quelli presenti nei mammiferi selvatici, possono contagiare gli esseri umani; 3) stiamo invadendo e alterando questi ecosistemi con più decisione che mai, esponendoci dunque ai nuovi virus e 4) quando un virus effettua uno “spillover”, un salto di specie da un portatore animale non-umano agli esseri umani, e si adatta alla trasmissione uomo-uomo, beh, quel virus ha vinto la lotteria: ora ha una popolazione di 7.7 miliardi di individui che vivono in alte densità demografiche, viaggiando in lungo e in largo, attraverso cui può diffondersi […] Più distruggiamo gli ecosistemi, più smuoviamo i virus dai loro ospiti naturali e ci offriamo come un ospite alternativo […] consumiamo risorse in modo troppo affamato, a volte troppo avido, il che ci rende una specie di buco nero al centro della galassia: tutto è attirato verso di noi. Compresi i virus.
Una soluzione? Dobbiamo ridurre velocemente il grado delle nostre alterazioni dell’ambiente, e ridimensionare gradualmente la dimensione della nostra popolazione e la nostra domanda di risorse.
Siamo davvero una specie animale, legata in modo indissolubile alle altre, nelle nostre origini, nella nostra evoluzione, in salute e in malattia9.

Quindi, potenzialmente, la scienza attuale parrebbe aver fatto degli importanti passi in una direzione impensabile nei secoli analizzati dal libro della Zanoboni, mentre al contempo la società umana non è ancora uscita dal modo di produzione che proprio in quel periodo si sviluppava e rafforzava, fino a diventare dominante. Per questo, in attesa di abolirlo insieme a tutte le sue nefaste conseguenze, la lettura e lo studio del testo edito da Jouvence può rivelarsi davvero utile. Tenendo conto del fatto che l’attenzione dell’autrice per le contraddizioni sociale ed economiche e le caratteristiche politiche di una società capitalistica ai suoi albori non è affatto casuale ed è particolarmente presente anche in un altro suo bel libro, edito sempre da Jouvence: Scioperi e rivolte nel Medioevo. Le città italiane ed europee nei secoli XIII -XV (Milano 2015).


  1. E’ grosso modo in questo periodo, intorno alla fine del XVI secolo, che gli storici inglesi Simon Lewis e Mark Maslino situano quell’accelerazione delle trasformazioni destinate a modificare la posizione dell’Uomo sul pianeta e l’affermazione dell’idea di poter dominare la Natura a proprio vantaggio. Simon L. Lewis – MarkA. Maslin, Il pianeta umano. Come abbiamo creato l’Antropocene, Giulio Einaudi editore, Torino 2019  

  2. Giovanni Boccaccio, Decameron, Prima giornata  

  3. Maria Paola Zanoboni, La vita al tempo della peste, Editoriale Jouvence, Milano 2020, p. 41  

  4. G. Boccaccio, op. cit.  

  5. M. P. Zanoboni, op. cit. p. 47  

  6. Ibidem, p. 13  

  7. Simone Cosimi, Perché non bastano i vaccini per sconfiggere un virus, e varrà anche per il Covid-19, “Esquire”, gennaio 2021  

  8. Si veda Edmondo Peralta, “Covid-19 is not a pandemic”: non una pandemia, ma una “sindemia” (qui mentre qui è reperibile l’originale )  

  9. Si veda qui  

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