Cornac McCarthy – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 01 May 2025 23:18:21 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Un mondo ridotto all’osso https://www.carmillaonline.com/2023/08/03/un-mondo-ridotto-allosso/ Thu, 03 Aug 2023 20:00:24 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=78235 di Sandro Moiso

Peter Farris, Il diavolo in persona, Enne Enne Editore, Milano 2023, pp. 263, 19 euro

Una giovanissima prostituta che sa e ricorda troppo, un sindaco laido e corrotto, un ex-mercenario della Blackwater (qui Blackwelder) spietato ed efficiente, un commerciante di carne umana e di giovanissime ragazze, un vecchio solitario dal passato oscuro e violento e l’ombra, ormai onnipresente in ogni narrazione della società americana, dei narcos sono alla base del southern noir di Peter Farris appena dato alle stampe da NN Editore.

Gli si aggiunga una natura rigogliosa e a [...]]]> di Sandro Moiso

Peter Farris, Il diavolo in persona, Enne Enne Editore, Milano 2023, pp. 263, 19 euro

Una giovanissima prostituta che sa e ricorda troppo, un sindaco laido e corrotto, un ex-mercenario della Blackwater (qui Blackwelder) spietato ed efficiente, un commerciante di carne umana e di giovanissime ragazze, un vecchio solitario dal passato oscuro e violento e l’ombra, ormai onnipresente in ogni narrazione della società americana, dei narcos sono alla base del southern noir di Peter Farris appena dato alle stampe da NN Editore.

Gli si aggiunga una natura rigogliosa e a tratti impenetrabile, una miseria diffusa che contrasta con il potere e la ricchezza di chi sta in cima alla catena alimentare sociale, un capitalismo finanziario che, negli ultimi decenni, ha trovato nell’affare delle droghe un valido strumento per contenere e rinviare gli effetti di ciò che l’analisi economica marxiana individua come “caduta tendenziale del saggio di profitto” e si avrà, a grandi linee, la dimensione narrativa dell’ultimo romanzo di un autore che, nato nel 1979, è già stato acclamato come nuovo talento del genere noir sia in patria che all’estero. Con il romanzo presentato in Italia e pubblicato in Francia nel 2022, infatti, ha vinto il Prix 813 ed è stato finalista al Grand Prix de Litérature Policière e la Prix SNCF du Polar. Oltre a questi riconoscimenti “The Devil Himself” (titolo originale) è stato proclamato miglior romanzo straniero al Beaune International Film festival.

Anche se, talvolta, tali premi e riconoscimenti sono “spinti” dai giochi e accordi tra case editrici, c’è da dire che l’opera “al nero” di Farris non delude mai in alcun momento le aspettative del lettore, trasmettendogli l’immagine di una città del Sud di cui “Sua Eccellenza il Sindaco” sa che:

era un luogo spezzato, e i guadagni illeciti non finivano mai. Il deficit di bilancio era enorme, il sistema fognario sull’orlo del collasso. La disoccupazione era alle stelle, la rete dei trasporti in rovina, la criminalità in aumento e la contea in guerra. In più c’erano gli attriti tra l’amministrazione statale quella della città, un miliardo e più di dollari di mancati finanziamenti per i fondi pensionistici. Accuse di concussione, per cui il suo capo dell’ufficio approvvigionamento aveva appena patteggiato. La polizia locale aveva sparato ad una donna di novant’anni durante un blitz antidroga nella casa sbagliata. Perfino il tempo faceva schifo.
Ma il suo compito era trasformare il caos in speranza. Mettere una faccia contenta su quella che sapeva essere l’insidioso inizio di un collasso totale.
Sirene. Fumo. Fame. Spari. Il mondo ridotto all’osso1.

Come sempre accade, però, in questi casi il lettore si rende rapidamente conto che tale condizione raffigura non soltanto l’immaginaria contea di Trickum in Georgia ma, come quella altrettanto immaginaria di Yoknapatawpha in cui William Faulkner ambientò la maggior parte dei suoi romanzi e racconti, un po’ tutta quell’America povera, bianca, corrotta fino in fondo all’anima nella quale è difficile salvarsi. Se non attraverso autentici bagni di sangue e in cui, alla fine, nessuno è veramente buono, a meno che non si accontenti di recitare soltanto la parte della vittima sacrificale.

La citazione biblica serve a giustificare la vendetta o la semplice furia; la legge copre il marciume e se ne fa complice; i contadini sono orgogliosi delle loro misere proprietà e di un lavoro che richiede investimenti maggiori dei rendimenti che se ne potranno trarre ma, allo stesso tempo, non vedono l’ora di liberarsene per un po’ di quattrini, mentre il progresso si rivela non essere altro che la marcia verso la catastrofe sociale, economica e morale.

Oltre all’ombra di un Faulkner in chiave minore, aleggiano sulle vicende narrate anche quelle del cinema di Clint Eastwood e Don Siegel, della scrittura di Daniel Woodrell e Cormac Mc Carthy e dell’etica di John Dutton, il protagonista della serie televisiva Yellowstone, interpretato da Kevin Costner: Se volete il progresso non votate per me (Stagione 4). Tutte rappresentate e riassunte nella figura di Leonard Moye, il vecchio, spietato e solitario “diavolo” che, solo, può contrapporsi al Male, al Vizio e all’Ingiustizia. Dopo aver sfatto la propria vita e quelle di coloro che gli stavano più vicini.

Ma, come sottolinea la traduttrice del romanzo, nel noir di Peter Farris sono il paesaggio e/o la natura a costituire «la figura più dettagliata, quella dalla personalità più forte e invadente. Nulla, in questo romanzo è determinante quanto la terra, che non solo è oggetto delle mire criminali dei villain ma è complice dei protagonisti in molti modi: nasconde, inghiotte, divora, magari sotto forma di un alligatore che arriva a far giustizia»2.

Un paesaggio crudele e assurdo in cui anche la tecnologia sembra avere poca cittadinanza poiché, come afferma ancora Valentina Daniele, «la modernità non svolge alcun ruolo in questa storia». Se non forse, e indirettamente, mettendo a confronto il vecchio modo di produzione artigianale e illegale di alcolici e whiskey delle distillerie clandestine nelle grotte naturali della regione del Piedmont con quello più moderno, ma comunque altrettanto sotterraneo e illegale, delle raffinerie di cocaina messe in piedi dall’industria delle droghe.


  1. P. Farris, Il diavolo in persona, Enne Enne Editore, Milano 2023, pp. 52-53  

  2. V. Daniele, Nota della traduttrice in P. Farris, op.cit., p. 261  

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Genealogia dell’eternità https://www.carmillaonline.com/2020/04/22/genealogia-delleternita/ Wed, 22 Apr 2020 21:01:12 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=59298 di Sandro Moiso

Eugenio Turri, Diario di un geografo, CIERRE Edizioni, Verona 2015, pp. 370, 20 euro

In questi tempi oscuri ci aggiriamo come cavalieri usciti dalle pagine di un romanzo di Cormac McCarthy, interrogandoci sul senso di una vita senza scopo apparente e di una morte che sembra costituire l’unico orizzonte possibile. Per i giusti e per i colpevoli, per i ricchi e per i poveri, per chi sta in alto e per chi sta in basso, per i rabboniti e per i ribelli.

E’ in momenti come questo che occorre [...]]]> di Sandro Moiso

Eugenio Turri, Diario di un geografo, CIERRE Edizioni, Verona 2015, pp. 370, 20 euro

In questi tempi oscuri ci aggiriamo come cavalieri usciti dalle pagine di un romanzo di Cormac McCarthy, interrogandoci sul senso di una vita senza scopo apparente e di una morte che sembra costituire l’unico orizzonte possibile. Per i giusti e per i colpevoli, per i ricchi e per i poveri, per chi sta in alto e per chi sta in basso, per i rabboniti e per i ribelli.

E’ in momenti come questo che occorre tenere alto lo sguardo, ritta la schiena e lucida la mente per poter intravedere lontano quel barbaglio di luce che può ancora indicarci il cammino.
Occorre avere una buona bussola, poiché la fede, qualsiasi fede, serve a poco e spesso confonde.
Il venir meno della fede può convincerci dell’impossibilità di trovare la giusta direzione, mentre al contrario la sua passiva esaltazione può confonderci sui passi da seguire.

Fede e superficiale ottimismo rifiutano il pessimismo della ragione, ma quest’ultimo potrebbe essere l’unico strumento in grado di aiutarci per guadare il fiume turbolento e insidioso della vita e della Storia, mentre la fragile canoa costituita dagli altri due può facilmente rovesciarsi e trascinare a fondo con sé coloro che gli si sono affidati con troppa fiducia.

Tra i grandi italiani ce lo ha insegnato Giacomo Leopardi, grande materialista troppo spesso rifiutato nella sua essenza da professori che hanno saputo soltanto promettere ai loro allievi un mondo che non è mai esistito. Disarmandoli completamente. Nei confronti dell’ordine niente affatto naturale della società, di una cultura soporifera e addomesticata e di una vita che ha in serbo, per chi sa coglierlo, ben altro che la promessa di un radioso e sempre lontano, se non ultraterreno, premio alla fedeltà.

Eugenio Turri (1927-2005), esploratore e geografo, reporter di viaggio e direttore di significative iniziative editoriali, docente del Politecnico e geologo, ha avuto invece la capacità di guardare al mondo in profondità. Con uno sguardo poetico e scientifico allo stesso tempo che in qualche modo, e più di quanto si possa immaginare, lo avvicina al solitario di Recanati.

Ha saputo distillare l’essenza della vita e della conoscenza dalle rocce, dai deserti che ha attraversato, dai reperti fossili che testimoniano di altre ere e di altre specie, che la nostra non ha avuto modo di conoscere direttamente. Soprattutto ha saputo cogliere nel paesaggio, di cui è stato attento osservatore e studioso, il fluire antico e lento, a tratti rovinoso, di una Storia che spesso si confonde con la Natura e di una vita che è tale anche perché si accompagna alla morte.

Il suo Diario, accompagnato da una introduzione di Andrea Zanzotto, raccoglie tre suoi testi, editi precedentemente nel 1967 (Il diario del geologo), nel 1992 (Weekend nel Mesozoico) e nel 2005 (Taklimakan. Il deserto da cui non si torna indietro); tutti intessuti, come affermano i curatori del volume: «nell’identica struttura formale di pensieri sparsi e rivelano quanto lo svolgersi della sua esplorazione del mondo fisico si sia accompagnato lungo gli anni, all’incirca tra il 1955 e le soglie del duemila, a una profonda riflessione intima.»1

Struttura e scrittura che, senza mai rinunciare alla precisione dell’enunciato scientifico, avvicinano le sue prose a una dimensione poetica che è ben difficile rintracciare nelle opere di altri geografi o scrittori di viaggio.
Scrittura e riflessioni che richiamano più l’Infinito leopardiano, in cui l’Io si perde per ritrovarsi nella materialità dell’Universo come sua componente, che l’ambigua domanda Che ci faccio io qui? Tipica di un autore come Bruce Chatwin e dei viaggiatori-esploratori anglo-sassoni sempre alla ricerca del sé e di un Io ben distinto dalla Natura circostante. Affascinante, imponente, ma sempre irrimediabilmente altra rispetto all’osservatore.

Una letteratura, quest’ultima, sempre e comunque alla ricerca dell’istante che dia senso e traiettoria alla Storia e alla vita, sempre intese in modo estremamente personale. E quindi limitate.
In Turri, invece, il lettore si trova davanti ad una sorta di genealogia dell’eternità.
Di quell’eternità, di cui in fin dei conti non conosciamo la reale durata, che ci accomuna agli pterodattili e alle rocce su cui camminiamo anche durante una solitaria gita in collina.
Eternità che, ancora, ci accomuna, noi popoli urbanizzati, ai nomadi delle steppe e dei deserti, agli animali scomparsi, ai ghiacciai, alle cime montane e ai grandi corsi d’acqua. Paradossalmente infiniti poiché finiti, come tutto, nella loro e nostra più intima essenza.

“Un dinosauro è morto l’altra mattina nello stagno. E’ morto di fame e di sfinimento dopo stagioni e stagioni trascorse a cercare le verdi boscaglie in cui era nato. Le boscaglie si sono disseccate, ingiallite, e nuvole di polvere sollevate dal vento hanno invaso la pianura, coprendo gli stagni, togliendo spazio all’ultimo mastodonte rimasto sulla Terra. L’evento è accaduto con l’inflessibilità dei grandi mutamenti naturali, l’inaridirsi delle pianure dopo millenni di umide e crasse stagioni che facevano la gioia dei bestioni. Ora tutto è finito […] La vicenda fu presto assorbita nel silenzio della pianura, sotto il sole infuocato dei meriggi mesozoici.
Così viviamo l’Africa, come fosse la Terra del Mesozoico: nelle sue savane selvagge e spopolate l’apparizione di una giraffa è come l’apparizione di un diplodoco e nei suoi stagni inariditi cogliamo il senso di drammi geologici ignorati. Il cosiddetto mal d’Africa è il nostro male oscuro, profondo.”2

“Seguito da una scia di polvere un drappello di giraffe correva nella pianura […] Quelle giraffe in corsa evocavano giovanili fantasie preistoriche (eccitando oscure memorie della specie), con i dinosauri emergenti dai paesaggi vegetali, in una Terra priva di uomini […] Le cadenze eguali degli animali in libera corsa ritmavano il battito vitale delle epoche geologiche ignorate: placido e calmo al confronto di quello aritmico, nevrotico, di noi abitatori delle foreste metropolitane.”3

“Il nostro panorama interiore è come il calco esatto del panorama che abbiamo davanti ora, sulla cima della montagna, in una giornata di silenzi e di luci autunnali, con la pianura lontana, colma di città, di stabilimenti, di case, di traffici, ma tesa nelle alluvioni pleistoceniche, con i monti che la sovrastano, anch’essi colmi di segni umani, di case, ritagli boschivi, e tuttavia giacenti in una loro indifferente fissità geologica.
Tutto ciò che nel mondo fa rumore è attutito dalla distanza e dalla immensità di un panorama che pure vive il respiro della natura e degli uomini. La sublime e silenziosa visione del mondo non lascia spazio agli uomini e alle loro storie particolari, così come non la lascia dentro di noi l’animata vicenda quotidiana”4

Tutto scorre… sembrano suggerire le pagine di Turri.
Tutto è in movimento: intorno a noi, prima di noi, dopo di noi e sopra e sotto di noi.
Ogni rimpianto si perde nel tempo e non possiamo far altro che avanzare verso quel riflesso di luce che ci è sembrato di cogliere nell’oscurità. Che non segnerà la fine del tunnel o il nuovo giorno, ma forse soltanto un fuoco amico. Intorno a cui raccoglierci con altri cavalieri che vagano nella notte come noi. Sarebbe già tanto e, chissà, Eugenio Turri potrebbe essere lì per guidarci.


  1. E. Turri, Diario di un geografo, Nota dei curatori p.365  

  2. E. Turri, op. cit. Weekend nel Mesozoico, Il grido del dinosauro p.146  

  3. Ibidem, La corsa delle giraffe p. 235  

  4. Ivi, Il silenzio del mondo pp. 154-155  

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