CoDIRO – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 14 Dec 2025 09:25:41 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Guerra agli ulivi/2 https://www.carmillaonline.com/2017/09/19/guerra-agli-ulivi2/ Tue, 19 Sep 2017 06:37:52 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=40746 di Alexik

[A questo link il capitolo precedente.]

Vennero con le ruspe. Vennero con le divise ed una carta in mano: l’ingiunzione di abbattimento, in nome della Legge, dell’Europa e della Scienza. In nome di analisi condotte di nascosto e mai mostrate ai proprietari. Era il 13 aprile 2015 quando il primo ulivo secolare di Oria (BR), marchiato come infetto, cadde a pezzi sotto le motoseghe. Intorno contadini in protesta e solidali, che per qualche ora, assediando le ruspe, erano riusciti a fermarle.

Triste [...]]]> di Alexik

[A questo link il capitolo precedente.]

Vennero con le ruspe.
Vennero con le divise ed una carta in mano: l’ingiunzione di abbattimento, in nome della Legge, dell’Europa e della Scienza. In nome di analisi condotte di nascosto e mai mostrate ai proprietari.
Era il 13 aprile 2015 quando il primo ulivo secolare di Oria (BR), marchiato come infetto, cadde a pezzi sotto le motoseghe.
Intorno contadini in protesta e solidali, che per qualche ora, assediando le ruspe, erano riusciti a fermarle.

Triste epilogo della gestione Vendola del governo regionale, inaugurata con la legge a protezione degli ulivi monumentali e conclusa con i loro abbattimenti. Lo stesso Servizio Fitosanitario Regionale, che avrebbe dovuto difendere i patriarchi, contribuiva invece a condannarli.

Tre mesi prima il Consiglio dei Ministri aveva decretato lo stato di emergenza “in conseguenza della diffusione nel territorio nella Regione Puglia del batterio patogeno da quarantena Xylella Fastidiosa”1.
Non era una novità nel paese dell’emergenza permanente.
Il nemico: un microorganismo trasportato da un insetto, bandito dall’Unione Europea, ed accusato di essere l’unico responsabile del disseccamento rapido che da anni sta bruciando gli uliveti dell’agro leccese e brindisino.
Un nemico da annientare tramite irrorazione massiva di veleni contro gli insetti vettori, e tramite gli abbattimenti di massa delle piante, in un cortocircuito logico dove per ‘salvare gli ulivi’ bisogna distruggerli e distruggere gli equilibri del loro ecosistema.

Ma forse salvare gli ulivi della tradizione salentina dal disseccamento rapido non era nel novero degli obiettivi di una vasta serie di soggetti.

Il complesso del disseccamento rapido dell’ulivo (CoDiRO) è una fitopatologia che porta la complessità già scritta nel suo nome.
Di tale complessità la scienza sembrava aver preso atto nei primi anni di sviluppo della malattia, considerandola il frutto dell’attacco di una serie di patogeni in connessione fra loro, in un contesto di abbassamento delle difese immunitarie delle piante, degrado dei terreni e inquinamento da pesticidi.
Numerose analisi rilevavano sulle piante malate non solo la presenza sporadica di Xylella Fastidiosa, ma spesso l’esistenza di funghi lignicoli capaci di impedire la circolazione linfatica, oltre ai canali delle larve del rodilegno, che aprono la strada alle infezioni fungine. Questo suggeriva che il batterio da quarantena non fosse l’unico responsabile della patologia.
Una multiformità dei patogeni veniva riscontrata dell’Osservatorio Fitosanitario Regionale, dai ricercatori dell’Università di Foggia, dall’Università e dal CNR di Bari, dalla Rete di Laboratori Pubblici di Ricerca SELGE.2
Pietro Perrino, già Direttore dell’Istituto del Germoplasma del CNR di Bari, poneva in correlazione il largo uso del glifosato, utilizzato per decenni per diserbare gli uliveti, con la maggiore vulnerabilità delle piante, l’impoverimento dei suoli, la distruzione dell’equilibrio microbiologico, la virulenza delle infezione fungine.3
Cristos Xiloyannis, docente dell’Università della Basilicata, dimostrava l’importanza di rafforzare le difese immunitarie degli ulivi nutrendoli, ripristinando lo strato di sostanza organica distrutto da decenni di gestione chimica dei suoli.4

Interventi antitetici a quelli imposti dalla Commissione Europea, il cui obiettivo dichiarato è sempre stato esclusivamente rivolto alla ‘eradicazione’ (il virgolettato è d’obbligo, viste le scarse possibilità di eradicarlo davvero) del batterio da quarantena, anche con dosi massiccie di chimica, e non alla diagnosi delle cause complesse del CoDiRO ed alle cure, soprattutto se condotte con metodiche in conflitto col mercato dei pesticidi.

E’ tipico della mentalità tecnocratica identificare un obiettivo ristretto, avulso dal suo contesto, da perseguire senza porsi il problema se le metodologie utilizzate abbiano o meno delle conseguenze devastanti.

E’ il caso della Decisione di esecuzione UE 2015/789 che imponeva di rimuovere, nel raggio di 100 m. da ogni pianta ritenuta infetta da Xylella, tutte le piante potenzialmente ospiti del patogeno, indipendentemente dal loro stato di salute.
In pratica, ordinava di creare più di tre ettari di deserto attorno ad ogni singolo ulivo risultato positivo alle analisi.
Misura devastante e dai dubbi risultati in termini di efficacia, se l’obiettivo dichiarato era quello di eradicare il batterio.
Erano infatti noti i fallimenti a livello mondiale di tutti i tentativi di eliminare la Xylella attraverso la distruzione delle piante, così elencati dall’ European Food Safety Authority (EFSA):

I tentativi di eliminare X. fastidiosa sono stati fatti in tutto il mondo, inclusa l’eradicazione della clorosi variegata di agrumi in Brasile e della malattia di Pierce sull’uva nel centro di Taiwan. Nonostante questi tentativi, la percentuale di piante infette in Brasile è aumentata dal 15,7 % del1994 al 34% del 1996 e, secondo recenti indagini, circa il 40% delle 200 milioni di piante di arance dolci a São Paulo sono infettate da X. Fastidiosa.
A Taiwan, la malattia persiste, nonostante la rimozione tempestiva di migliaia di vitigni colpiti dalla malattia di Pierce dalla scoperta della malattia nel 2002. In California, la malattia di Pierce è endemica. Purcell osserva che “Nonostante questa eradicazione di vitigni in diverse località che hanno coinvolto piani di grandi dimensioni per più anni, non c’era alcuna prova che lo sforzo di rimozione avesse alcun vantaggio misurabile
“.

Di questi fallimenti la Commissione Europea ne era ben consapevole, dato che l’EFSA è la sua consulente scientifica sulla Xylella, ma l’inutilità delle devastazioni auspicate non è servita a farle cambiare idea, visto che l’Italia è sotto procedura d’infrazione per non aver abbattuto abbastanza.

Per dirla con Pietro Perrino : “leggendo le direttive e le decisioni della C.E. si ha la percezione che esse fissino prima l’obiettivo che vogliono raggiungere (abbattimento delle piante d’olivo) e poi costruiscano artatamente il percorso per raggiungerlo.”

Tutti i provvedimenti normativi europei, nazionali e regionali sull’emergenza Xylella nel Salento, prevedevano inoltre ulteriori misure a forte impatto ambientale, quali l’irrorazione a tappeto di insetticidi per lo sterminio del Philaenus spumarius, l’insetto vettore.
In proposito l’EFSA avvertiva:

L’uso intensivo del trattamento con insetticidi per limitare la trasmissione delle malattie e il controllo del vettore degli insetti può avere conseguenze dirette e indirette per l’ambiente modificando intere reti alimentari con conseguenze cascate e quindi interessando diversi livelli trofici. Ad esempio, l’impatto indiretto dei pesticidi sull’impollinazione è attualmente una questione di grave preoccupazione. Inoltre, i trattamenti su larga scala di insetticidi rappresentano anche rischi per la salute umana e animale.”

Eppure l’uso a tappeto di insetticidi veniva imposto agli agricoltori, con tanto di controllo delle fatture di acquisto5.

La Regione Puglia consigliava in particolare l’uso di:

Clorpirifos, riconosciuto anche dal nostro Ministero della Salute come interferente endocrino con gravi effetti sui feti e sui bambini.
Dimetoato, neurotossico. Nocivo per l’uomo per ingestione, inalazione e per contatto con la pelle.
Piretroidi, neurotossici. Non sono insetticidi selettivi, eliminano tutti gli insetti nell’area di irrorazione.
Etofenprox, tossico per le api e altri insetti non target.
Imidacloprid, neonicotinoide. Sospetto responsabile della moria delle api del 2008-2009, e delle morie di insettivori.
Buprofezin, irritante.

Un avvelenamento di massa, un danno ambientale con conseguenze imprevedibili. (Continua)

 


  1. Deliberazione del Consiglio dei Ministri del 10 febbraio 2015: dichiarazione dello stato di emergenza per la diffusione del batterio Xylella fastidiosa in Puglia, 10 febbraio 2015. 

  2. Nota del 15/10/2013 n. 16/2013 del CRN – Istituto di Virologia vegetale di Bari, Università degli Studi di Bari- Dipartimento di Scienze del Suolo della Pianta e degli Alimenti e Selge – Rete di Laboratori Pubblici di Ricerca.
    Antonia Carlucci, F. Lops, F. Cibelli, M. L. Raimondo (2015). Phaeoacremonium species associated with olive wilt and decline in southern Italy. Eur. J. Plant Pathol (2015)141:717–729 DOI 10.1007/s10658-014-0573-8.
    A. Guario, F. Nigro, D. Boscia, M. Saponari, Disseccamento rapido dell’olivo. Cause e misure di contenimento, in “Informatore Agrario”, n. 46, 2013, pp. 51/54.
    Nigro F., Boscia D., Antelmi I., Ipp olito A. (2013), Fungal species associated with a severe decline of olive in southern Italy. Journal of Plant Pathology, 95, 668.
    Nigro F., Antelmi I., Ippolito A. (2014),  Identification and characterization of fungal species associated with the quick decline of olive. Proceedings International Symposium of the European Outbreak of Xylella fastidiosa in Olive. Gallipoli-Locorotondo, Italy, 29. 

  3. Pietro Perrino, Xylella? Le vere cause del CoDiRO sono glifosato, veleni e criticità di sistema, ‘Il Foglietto’, 22 luglio 2015. 

  4. Cure sostenibili contro Xylella, il metodo Xiloyannis fa il giro d’Italia, Telerama news, 29 maggio 2015. 

  5. D.M. 2777/2014 – Misure fitosanitarie obbligatorie per il contenimento delle infezioni di Xylella fastidiosa da attuare nella zona infetta. Regione Puglia, Determinazione del Dirigente Ufficio Osservatorio Fitosanitario, 6 febbraio 2015, n. 10. 

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Guerra agli ulivi https://www.carmillaonline.com/2017/09/03/guerra-agli-ulivi/ Sun, 03 Sep 2017 02:17:56 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=40402 di Alexik

C’è un esercito schierato nelle campagne salentine, un esercito di guerrieri grandi e forti. Saldi sulla terra si ergono ad ostacolo contro ogni speculazione possibile. Proteggono quei suoli da chiunque abbia intenzione di trasformarli in distese infinite di centri commerciali, resorts, spianate di fotovoltaico, coltivazioni industriali intensive, corridoi per gasdotti. È un esercito di undici milioni di ulivi, eredi di una storia millenaria, incomprensibile per chi misura il tempo con i ritmi angusti dei mandati elettorali. Essi sono la cultura di quei luoghi, il sapere [...]]]> di Alexik

C’è un esercito schierato nelle campagne salentine, un esercito di guerrieri grandi e forti.
Saldi sulla terra si ergono ad ostacolo contro ogni speculazione possibile.
Proteggono quei suoli da chiunque abbia intenzione di trasformarli in distese infinite di centri commerciali, resorts, spianate di fotovoltaico, coltivazioni industriali intensive, corridoi per gasdotti.
È un esercito di undici milioni di ulivi, eredi di una storia millenaria, incomprensibile per chi misura il tempo con i ritmi angusti dei mandati elettorali.
Essi sono la cultura di quei luoghi, il sapere tramandato dalle generazioni, contrapposto all’erudizione prezzolata dei tecnocrati.
Sono l’ossigeno che diluisce i veleni dei disastri chimici dell’Ilva e di Cerano, unico lascito di quel modello industrialista che un tempo promise al meridione magnifiche sorti e progressive.
Sono la bellezza delle sculture tormentate dei tronchi, l’ombra che rinfresca la terra, opposta allo squallore soffocante delle cattedrali di cemento.
Per questo vanno abbattuti.
Non sono compatibili con una prospettiva di sviluppo predatorio che necessita di un salto di qualità nella messa a profitto dei territori.
Da almeno vent’anni insigni cattedratici ne denunciano l’obsolescenza tecnologica, la scarsa produttività, l’inadeguatezza competitiva.
Da almeno vent’anni una malattia ne mette a rischio l’esistenza.
E non si tratta del CoDIRO, il ‘Complesso del disseccamento rapido’ che oggi sta bruciando le fronde degli ulivi dal Ca
po di Leuca al brindisino, ma una malattia del tutto umana.

Neoliberismo agricolo

Il contagio ebbe inizio a Barcellona nel novembre 1995, quando nella città catalana si incontrarono i rappresentanti dell’Unione Europea e di dieci Stati dell’Africa del nord e del Medio Oriente1.
La strategia dell’U.E. per la regione mediterranea puntava alla creazione di un’area di libero scambio che eliminasse gli ostacoli ai commerci e agli investimenti, quali i dazi doganali e le restrizioni all’import/export.
L’European Union-Mediterranean Free Trade Area (EMFTA) vide la luce il 1° gennaio del 2010, prevedendo, fra le altre cose, la liberalizzazione graduale delle importazione nei paesi UE di oli extravergine a basso costo provenienti dal Sud del Mediterraneo.

Fu allora che stimati professori universitari cominciarono ad accusare gli ulivi della tradizione italiana di necessitare di troppa manodopera, troppo costosa rispetto a quella dei competitor.
Proposero quindi di “
innovare l’esistente con modelli colturali alternativi a quelli tradizionali, che consentissero una reale riduzione dei costi di produzione, soprattutto attraverso l’abbattimento del fabbisogno di manodopera, che ancora oggi incide per oltre l’80% sui costi totali di produzione delle olive.”2

Oltre alla manodopera, veniva considerata rottamabile l’85% dell’olivicoltura nazionale – quella destinata alla produzione di largo consumo – ad esclusione degli uliveti dedicati all’extravergine ad altissimo controvalore, e di oasi paesaggistiche da preservare possibilmente a spese “degli imprenditori del settore agrituristico/alberghiero” che ne traggono beneficio (sic).

La ricetta degli accademici prevedeva di installare, in alternativa, degli impianti olivicoli super intensivi ad alta resa, composti da fitti filari di cespugli bassi e tristi.
Piante tutte uguali, appositamente selezionate e brevettate, senza chioma e senz’ombra, senza rami laterali per non ostacolare i mezzi di raccolta.
Piante per un’agricoltura ad alta meccanizzazione, un’agricoltura labour saving, povera di alberi e di lavoratori della terra.

Quanto alle preoccupazioni di carattere sociale, più passa il tempo, più esse perdono importanza siccome la popolazione italiana attiva dedita all’agricoltura diminuisce costantemente e tende a diventare sempre più rara e più cara. Al censimento del 1951, detta popolazione era il 41,8% (in Italia Meridionale oltre il 60%), mentre nel 2001 era scesa al 5,2% (in Italia Meridionale l’11%).
Poiché l’abbandono delle campagne è fenomeno irreversibile che ancora continua, al prossimo censimento del 2011, quelle percentuali risulteranno essersi ulteriormente abbassate, con alleggerimento degli aspetti sociali, ma con aggravamento dei problemi di reperimento e costo della manodopera.”3

Il ragionamento è di Angelo Godini, accademico dei Georgofili e direttore, fino al 2011, del Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali dell’Università di Bari.
Una riflessione che esprime l’alta sensibilità sociale dell’autore. Della serie: visto che le forze di lavoro in agricoltura si riducono, introduciamo metodi di coltivazione che le riducano ancora di più.
È bello sentirselo dire in tempi di crisi occupazionale.

Godini è uno dei pionieri del super intensivo, promotore dei primi campi di sperimentazione in Puglia4:

Un viaggio compiuto in Catalogna nel novembre 1999, divenne occasione per convincerci ad avviare in Puglia studi sul modello di olivicoltura superintensiva, con meccanizzazione integrale di tutte le operazioni colturali …. Chi scrive, insieme con i suoi collaboratori (S. Camposeo, G. Ferrara, A. Gallotta e M. Palasciano) e col Prof. F. Bellomo, del Dipartimento PRO.GE.SA dell’Università di Bari, si attribuisce il merito d’avere intuito per primo in Italia le potenzialità di quell’innovativo modello, cominciando a valutarle a partire dal 1999“.5

Ma cosa c’era in Catalogna di così interessante ?
Dal 1994 vi era ospitato il primo oliveto ad alta densità. Era stato ideato e sperimentato dalla società vivaistica Agromillora Catalana SA, di proprietà del Gruppo dei Sumarroca, una famiglia di imprenditori ‘pesanti’ nella regione, legati al nazionalismo catalano liberal conservatore6.
Gli oliveti di Agromillora presentavano una densità di 1600-1800 piante/ettaro e la meccanizzazione integrale delle operazioni colturali.
Non tutte le varietà di ulivi si prestavano al modello. Erano necessarie varietà a bassa vigoria, accrescimento contenuto, rapida entrata in produzione. Si adattavano meglio delle altre le spagnole Arbequina e Arbosana, e la greca Koroneiki.

Presto la ricerca avrebbe prodotto e brevettato cloni e varietà appositamente pensate per le colture super intensive, come l’Arbequina i-18® e la Koroneiki I-38®, sviluppate dall’IRTA7, o la SikititaP, prodotta nel programma di miglioramento genetico della UCO-IFAPA8, o l’Oliana®, ottenuta da Agromellora. In Italia si adattavano la FS-17®, o ‘Favolosa’, e la Don Carlo®, prodotte dal CNR di Perugia.

Si tratta in molti casi, di ricerca pubblica svolta sulla base di partnership con aziende private. Agromillora è maestra in questa senso: ha in attivo collaborazioni con numerosi atenei spagnoli e statunitensi, con l’Alma Mater bolognese, con l’EMBRAPA del Governo brasiliano, con lo U.S. Department of Agriculture, con l’italiano CRA (Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura)…

E con l’Università di Bari (Dipartimento di Scienze Agro Ambientali e Territoriali) nell’ambito di una convenzione per la ‘Valutazione, brevettazione e commercializzazione di nuove selezioni di olivo a bassa vigoria‘.
Un accordo che prevede a favore dell’Università ‘
il 70% delle royalties sul fatturato annuo derivante dallo sfruttamento del brevetti9, e nel cui ambito è stata sviluppata la ‘Lecciana’, come evoluzione super intensiva del Leccino10.

E’ interessante tanta corrispondenza di amorosi sensi fra pubblico e privato, in un connubio dove l’interesse privato trae linfa per le proprie attività dalla ricerca pubblica, e dove quest’ultima mutua dal privato la propensione al profitto.
Ma il risultato finale di cotanta evoluzione dell’umano sapere andrà a favore degli esseri viventi, umani o vegetali, esclusi dal connubio ?

Sull’altra sponda

Parlavamo di un’agricoltura senza lavoratori della terra.
E’ il modello che ci viene proposto
per affrontare i nemici dell’italico olio: quegli operai agricoli ‘maghrebini, turchi, giordani’11 che prendono 0,50-0,60 €/h.

Solo che … siamo sicuri che agli operai agricoli maghrebini qualcuno non stia facendo lo stesso discorso? E poi che la mano invisibile dei mercati non appartenga proprio a nessuno ?
Non sorge il dubbio che sia guidata da un vasto insieme di soggetti che la muovono secondo i loro interessi ?

Prendiamone uno a caso (ma proprio a caso): Agromillora.
Oggi è una multinazionale leader dell’agricoltural
technology, specializzata nella produzione e commercializzazione di specie legnose ad alta resa (non solo olivi, ma anche agrumi, viti e alberi da frutto). E’ presente con vivai e laboratori di ricerca in 9 paesi e 5 continenti, e nel 2016 ha venduto nel mondo 65 milioni di piante.

Poco prima dell’inaugurazione dell’ European Union-Mediterranean Free Trade Area,  Agromillora ha cominciato a dislocare vivai e laboratori di ricerca in Marocco, Tunisia e Turchia, per promuovere anche sull’altra sponda del Mediterraneo l’espansione di colture super intensive (olivicole e non) destinate all’esportazione verso l’Europa, in vista della liberalizzazione da quote e dazi. Nel 2015 ha aperto un nuovo vivaio anche in Giordania.
L’agricoltura labour saving dunque si è espansa anche al di là del mare, e lo ha fatto inizialmente con capitali europei, gli stessi che applicando le stesse tecnologie bruciano lavoro in madre patria.

Certo potrebbe sembrare un paradosso il fatto che l’impresa dei nazionalisti catalani Sumarroca, che tanto ha contribuito a fare della Catalogna la patria del super intensivo, ora lavori per annullarne il vantaggio competitivo promuovendo le colture ad alta resa dei competitor.
Se non fosse che oggi
Agromillora non è più dei Sumarroca: è stata acquisita prima al 49% dal fondo speculativo spagnolo NAZCA, che nel 2016 ne ha ceduto le quote ad Investcorp, un altro fondo speculativo del Bahrain. Quest’ultimo detiene attualmente la maggioranza della società e della Catalogna se ne frega.

Se i profitti volano in Bahrain, in Spagna in compenso arrivano le royalties per le vendite delle piante brevettate.
Agromillora infatti, in Nord Africa e Asia Minore, continua a diffondere le coltivazioni di Arbequina, Arbosana, Koroneiki, Sikitita, cioè le poche varietà che si adattano al superintensivo. Scarse sono le varietà locali adattabili, come la Chemlali e la Chetoui tunisine.

In generale, ovunque si estenda questo sistema, le varietà brevettate tenderanno a soppiantare le autoctone, con una perdita netta di biodiversità e una standardizzazione delle produzioni destinate al consumo di massa.
L’intero Mediterraneo potrebbe ritrovarsi a produrre olio di oliva uniforme in termini di qualità (non eccelsa) e sapori, la cui sola differenziazione sarà data dal prezzo, con un’ulteriore accellerazione della corsa al ribasso. E in questi casi, il primo a farne le spese è sempre il lavoro.
Non solo quello dei braccianti.
Tendenzialmente l’agricoltura ad alta densità fa volentieri a meno anche dei contadini.
E’ un’agricoltura per imprenditori e investitori, che necessita di capitali iniziali e di vaste quantità di terra dove installare le piantagioni. Va di pari passo con i processi di concentrazione della proprietà terriera, come in Marocco, dove l’Olea Capital, un fondo di investimento creato dal Crédit Agricole du Maroc e dalla Société Générale, ha sviluppato piantagioni di olivi ad alta densità per migliaia di ettari.
Gli appezzamenti piccoli e medi dei contadini tradizionali, la loro scarsa possibilità di spesa, sono un ostacolo.

Olivicoltura super intensiva. Piantagione finanziata da Olea Capital in Marocco.

Su questa sponda

Su questa sponda il bilancio morale non è molto positivo.
Autorità accademiche e della ricerca pubblica del vecchio continente (finanziate da noi) partecipano a partnerships fra pubblico e privato che hanno come esito finale la distruzione di lavoro e di biodiversità, oltre alla crescita dei profitti per le imprese dell’agricoltural technology e per i fondi di investimento speculativi.
Ma il capitalismo morale non ne ha.

Intanto, nel bel paese, nonostante tutti gli sforzi di accademici e scienziati, l’olivicoltura super intensiva ha avuto fino ad ora poca fortuna, con 1.200 ettari dedicati su 1.185.000 coltivati ad olivo a livello nazionale12.

Nella zona che frequento io, nel basso Salento, la maggior parte dei contadini non ha i capitali necessari all’allestimento degli impianti, né estensioni di terra tali da renderli convenienti.
Ma anche le aziende agricole più strutturate, attente al rapporto costi benefici, si chiedono perché mai dovrebbero piantare migliaia di arbustelli, aspettando tre anni prima che entrino in produzione ed estirpandoli al 15° (perché tale è la durata della loro produttività), quando hanno a disposizione degli ulivi che campano da secoli o decenni, e fruttificano ad ogni autunno senza tante interruzioni.
Perchè mai dovrebbero piantare cespugli che necessitano assolutamente di irrigazione, in una terra scarsa di pioggia e priva di fiumi, quando gli ulivi tradizionali se la cavano benissimo senza aggiunta di acqua ?
Perché mai dovrebbero spendere di più in erbicidi e fitofarmaci che l’olivicoltura intensiva richiede in maggior quantità ? O pagare i vivai e le royalties per ricomprare le piante ogni 15 anni ?
E per poi produrre un olio di qualità decisamente inferiore. Per fare un esempio: l’olio della tradizionale Cellina di Nardò contiene in media 350 mg/kg di polifenoli, a confronto dell’olio di Arbequina, Arbosana, Koroneiki che varia dai 123 ai 187 mg/kg. Una differenza tale da suggerire anche ai supporters del super intensivo la possibilità di ‘correggere’ l’olio così ottenuto con l’aggiunta di oli tradizionali, “qualora dovesse risultare carente in qualche componente essenziale.”13
Anche alcune analisi sulle riviste specializzate dicono che l’alta densità, per costi e risultati, non ha tutta questa meravigliosa convenienza (qui e qui).

A meno che ….

A meno che un’epidemia non inizi a disseccare gli uliveti.
A meno che l’Unione Europea, su consiglio di illustri cattedratici, non ne imponga la distruzione (e non la cura).
A meno che non si permetta di reimpiantare nelle zone infette solo quelle cultivar che, casualmente, meglio si adattano al modello superintensivo.
Ma sarebbe fantascienza.
O forse la storia di oggi. (Continua)


  1. Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Palestina, Siria, Tunisia, Turchia, a cui successivamente si aggiunse la Libia. 

  2. Angelo Godini, L’olivicoltura italiana tra valorizzazione e innovazione, Relazione presentata alla Giornata di Studio ‘Problemi e Prospettive della Olivicoltura’, Academia del Georgofili, Firenze, 11 Febbraio 2010. 

  3. Ibidem 

  4. Il primo campo sperimentale per l’olivicoltura super intensiva dell’Università di Bari fu allestito nel 2001 a Cerignola, il secondo nel 2002 a Cassano Murge, e il terzo nel 2006 in agro di Valenzano. 

  5. A. Godini, Op. cit. 

  6. Il Gruppo Sumarroca è attivo in vari comparti, dall’edilizia, agli appalti pubblici, alla produzione vinicola. Il patriarca, Carles Sumarroca Coixet, ebbe incarichi nella confindustria catalana e nella banca catalana, e fu uno dei fondatori del CDC – il partito nazionalista catalano liberal conservatore che ha governato la regione fino al 2015. 

  7. Institut d’investigació agroalimentària de la Generalitat de Catalunya 

  8. Universidad de Cordoba e Instituto de Investigación y Formación Agraria y Pesquera de Andalucía 

  9. Procura della Repubblica di Lecce, Decreto di sequestro preventivo d’urgenza, 18 dicembre 2015, p. 18. 

  10. Olint, n. 27, giugno 2015, p. 10. 

  11. A. Godini, op. cit. 

  12. Olint, n. 27, giugno 2015, p.8. Confagricoltura Puglia, L’olivicoltura pugliese. Criticità e sviluppo, p. 3. 

  13. Camposeo S., Vivaldi G.A., Gallotta A., Barbieri N. e Godini A., Valutazione chimica e sensoriale degli oli di alcune varietà di olivo allevate in Puglia con il modello superintensivo, in “Atti del I Convegno Nazionale dell’Olivo e dell’Olio”, Portici (NA), 1-2 ottobre 2009, pp. 295-298. 

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