cannabis – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 10 May 2025 20:16:57 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Cannabis, la vera storia di un agente antidroga di Alfredo Ossino https://www.carmillaonline.com/2023/06/10/cannabis-la-vera-storia-di-un-agente-antidroga-di-alfredo-ossino/ Sat, 10 Jun 2023 20:21:25 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=77438 Edizioni Effetto, Torino 2023, pagg. 120 € 15

di Mauro Baldrati

Non è un testo di narrativa, ma un memoriale tecnico, che si attiene ai fatti, che sono sempre documentati e verificabili. E’ lo stile di un ex maresciallo capo della Guardia di Finanza del Nucleo Operativo Antidroga, abituato a redigere rapporti esatti. Il capitolo iniziale, benché redatto col linguaggio essenziale del poliziotto, potrebbe essere utile allo scrittore di gialli o di serie poliziesche.

L’attività nella Guardia di Finanza è stata prevalentemente svolta presso importanti sedi operative, come ad [...]]]> Edizioni Effetto, Torino 2023, pagg. 120 € 15

di Mauro Baldrati

Non è un testo di narrativa, ma un memoriale tecnico, che si attiene ai fatti, che sono sempre documentati e verificabili. E’ lo stile di un ex maresciallo capo della Guardia di Finanza del Nucleo Operativo Antidroga, abituato a redigere rapporti esatti. Il capitolo iniziale, benché redatto col linguaggio essenziale del poliziotto, potrebbe essere utile allo scrittore di gialli o di serie poliziesche.

L’attività nella Guardia di Finanza è stata prevalentemente svolta presso importanti sedi operative, come ad esempio Roma e Napoli.

Napoli, in particolar modo, è un reparto a intensa attività operativa e controllo del territorio come perquisizioni, arresti, sequestri di ogni genere di merce, attività antidroga, appostamenti presso i luoghi di sbarco delle sigarette, inseguimenti in auto, appostamenti in luoghi di fortuna e durante le più diverse situazioni climatiche, nonché tantissime ore in macchina a pattugliare tutta la Campania.

A Roma, presso il Nucleo Centrale di Polizia Tributaria, fui assegnato al Gruppo Operativo Antidroga (G.O.A.). Una regola del servizio operativo è che si conosce
l’ora di inizio del turno, ma non si è mai certi di finire all’ora prevista, perché accade spesso di protrarre l’ora rio per imprevisti o altri improcrastinabili motivi.

Prestare servizio al G.O.A. di Roma, con autonoma competenza operativa su tutto il territorio nazionale, vuol dire che non esistono regole. Da Roma, infatti, è possibile esercitare attività operativa in qualunque altra Regione d’Italia, in ragione delle indagini in corso, senza alcuna autorizzazione.

L’attività investigativa si coordina anche con paesi esteri, ove esistono sinergici accordi di cooperazione Interpol, al contrasto del traffico di sostanze stupefacenti.

Ognuno fa parte di una precisa squadra operativa che segue le indagini con ogni mezzo: intercettazioni, pedinamenti, appostamenti e qualsiasi altra utile azione. La squadra operativa che segue l’indagine si alterna negli appostamenti, nelle intercettazioni, nei pedinamenti e deve tempestivamente essere sempre pronta a
qualsiasi evenienza, anche nell’affrontare subitanei viaggi, qualora l’attività operativa lo richiedesse.

Un esempio: pedinamenti da Roma a Milano e poi da Milano a Siracusa, poi chissà dove e, nel frattempo, se i pedinati, si avviano in percorsi con separate destinazioni,
anche la pattuglia deve essere tempestivamente pronta a garantire il continuo monitoraggio degli indagati.

Le organizzazioni criminali, per ovvi motivi, si muovono senza preavviso. Possono capitare settimane o mesi di appostamenti. Può capitare di monitorare uno o più soggetti per lunghi periodi, e intercettare in tempo reale le conversazioni, e quindi bisogna sempre essere immediatamente pronti a tutto, secondo quanto carpito dall’intercettazione o da quello che avviene.

Non esiste vita privata. Si saltano i pasti, si dorme spesso in macchina, si effettuano estenuanti turni di servizio a prescindere dal clima o dalle stagioni.

Non esiste vita privata. Forse per questo quando arriva la mazzata si trova completamente solo, a parte la madre e la sorella che lo considerano impazzito? I dolori alla cervicale, intensi e continui, iniziano nel 2001. Le visite all’ospedale militare danno un responso preciso: artrosi, generata e complicata dal servizio. Da qui parte la spirale. I dolori aumentano progressivamente, finché nel 2007 viene messo in congedo, imbottito di farmaci oppiacei. E qui la lingua chirurgica, legalistica, scende nel privato di un malato sofferente confinato in un isolamento totale:

Impossibile dormire, percepivo sempre dolore e mi sentivo sempre più intossicato.
Mi alzavo durante la notte con crisi di tosse, senso di nausea e vertigini, erano crisi fuori controllo. Questa era diventata la mia vita: notti insonni, dolori, tosse, vertigini, depressione e solitudine. La mattina mi alzavo dal letto incordato e intorpidito non solo nei movimenti, ma anche nei pensieri. Tutto troppo faticoso da accettare e da gestire. Ogni giorno che passava, la mia salute peggiorava.

Con la mente intorpidita dai farmaci oppiacei e il fisico distrutto dal dolore, non riuscivo a svolgere la minima attività motoria, come ad esempio fare una passeggiata di poche centinaia di metri.

Intanto si sta diffondendo la notizia che la cannabis è un potente antidolorifico. E soprattutto non produce gli effetti collaterale degli oppiacei. L’autore fa capire che, col suo mestiere, la conosceva già, al di là del tremendo pregiudizio proibizionista diffuso tra la popolazione ma soprattutto tra la casta politica. Così, nel 2013, decide di sperimentarla. Ne parla con la madre e con la sorella, che è pure medico, le quali vanno fuori di testa: Ma come! Un finanziere che vuole farsi le canne?

Questa infatti è l’unica modalità a disposizione: comprare l’erba dai pusher di strada, a Catania, dove vive, e fumarla.

Nel frattempo, in rete, acquisivo straordinarie notizie sulla sua potenzialità terapeutiche e, guidato dallo spirito di sopravvivenza, a prescindere da tutto e tutti, mi convinsi a rinnovare l’esperienza. Accantonai i farmaci oppiacei e iniziai a consumare cannabis acquistata attraverso il mercato nero.

Non avevo alternative. Sei anni di oppiacei avevano solo intossicato il corpo e la mente, senza riuscire, anche minimamente, ad alienare il dolore.

Scopre che, oltre ad alleviare il dolore, è anche un ottimo antidepressivo, migliora l’umore, scaccia i pensieri neri e l’immobilismo degli oppiacei. L’operazione Black Market va avanti fino al 2021, narrata in un efficace reportage, sempre con lo stile giuridico-chirurgico, sui costi che prosciugavano la sua pensione, i disagi per trovare un pusher, il terrore di restare senza roba, lo sregolamento mentale derivante dal suo passato di persecutore passato consumatore, quando finalmente una USL siciliana, quella di Messina, tra enormi difficoltà e disinformazione diffusa (la cannabis come porta di accesso all’eroina e alla cocaina), decide di applicare la legge che risale addirittura al 2007 sull’uso della cannabis terapeutica, in seguito all’entrata in vigore della legge n. 172 del 2017, che autorizza l’Istituto Farmaceutico Militare a produrre la cannabis per uso terapeutico. Precedentemente infatti la materia prima era di difficile reperimento, comprata dall’Olanda e dispersa nello stagno della completa disinformazione dei medici e delle unità sanitarie.

Anche qui la vita è dura. E’ sempre dura quando si tratta di applicare un po’ di giustizia. Deve ottenere un piano terapeutico semestrale dal medico specializzato di un centro antidolore e portarlo al suo medico di base. Il quale rimane addirittura scioccato, non sa nulla di nulla della materia e si rifiuta indignato di rilasciare la prescrizione. Sarà la sorella medico, nel frattempo passata dalla sua parte, a intervenire e spiegare al medico di base la legislazione vigente.

Ma la vita continua a essere dura. La sua Usl di Catania non si muove, per cui è costretto a percorre 180 chilometri da Catania a Messina e ritorno per consegnare il piano terapeutico e poi una volta al mese di nuovo per ritirare la roba, che viene fornita in dosi mensili.

La vita è sempre dura, ma molto migliore. Tra indignate e condivisibili riflessioni sull’ipocrisia imperante, la mancata informazione sui benefici della cannabis terapeutica, la speculazione senza scrupoli della Destra che cavalca l’immarcescibile pregiudizio della droga, gli enormi profitti della criminalità grazie all’arcaico, barbarico proibizionismo, il nostro ex Maresciallo Capo del NOA è rinato. Ha cacciato la pinguedine e la depressione provocata dagli oppiacei, fa attività fisica ed è diventato un attivista a favore della legalizzazione della cannabis. Che, si può dire a voce alta, gli ha salvato la vita.

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La pianta proibita https://www.carmillaonline.com/2020/06/25/la-pianta-proibita/ Thu, 25 Jun 2020 21:00:25 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=60772 di Gioacchino Toni

Mario Catania, Cannabis. Il futuro è verde canapa, Diarkos edizioni, Santarcangelo di Romagna (RN) 2020, € 16,50

«L’unico vero “pericolo” che la canapa rappresenta, è quello di essere alla portata di tutti: una risorsa rinnovabile e inesauribile che non si può controllare a tavolino, che è folle proibire e impossibile sotterrare, senza vederla spuntare di nuovo per poter finalmente dire: “Sono tornata”. Il suo più grande nemico è l’ignoranza e il modo migliore per sconfiggerla è quello di raccontarne i benefici a più persone possibili.» Mario Catania

In questo libro [...]]]> di Gioacchino Toni

Mario Catania, Cannabis. Il futuro è verde canapa, Diarkos edizioni, Santarcangelo di Romagna (RN) 2020, € 16,50

«L’unico vero “pericolo” che la canapa rappresenta, è quello di essere alla portata di tutti: una risorsa rinnovabile e inesauribile che non si può controllare a tavolino, che è folle proibire e impossibile sotterrare, senza vederla spuntare di nuovo per poter finalmente dire: “Sono tornata”. Il suo più grande nemico è l’ignoranza e il modo migliore per sconfiggerla è quello di raccontarne i benefici a più persone possibili.» Mario Catania

In questo libro che si apre con una prefazione di Raphael Mechoulam, tra i padri della ricerca su cannabis e cannabinoidi, Mario Catania, oltre a passare in rassegna i principali utilizzi possibili di una pianta che è stata definita “maiale vegetale” per l’utilizzabilità di ogni sua parte, tratteggia le vicende attorno alle quali si è venuta a creare l’accantonamento della canapa e una censura ideologica nei suoi confronti.

Sull’onda dell’attuale rivalutazione di questa pianta nei più diversi settori, Catania mostra il ruolo che potrebbe avere a livello economico, ambientale e medico. Alla luce dei cambiamenti nazionali e internazionali, nel libro vengono dunque affrontate quelle che possono esser considerate le tre anime del fenomeno canapa: la legalizzazione ricreativa, il futuro come risorsa agroindustriale e il mondo medico.

Se l’ostilità statunitense nei confronti della canapa all’inizio del Novecento può essere collegata al timore dei grandi imprenditori americani che un suo uso industriale potesse minacciare gli affari delle grandi aziende della carta, del petrolio, del cotone e delle fibre sintetiche, nondimeno occorre ricordare come la marijuana sia stata utilizzata per attaccare gli immigrati messicani; d’altra parte la prima legge statunitense di messa al bando di uno stupefacente è quella contro l’oppio di fine Ottocento promulgata per colpire gli immigrati cinesi.

Le aggressive campagne di stampa, la paura per la sostanza legata all’imperante razzismo contro i messicani in quel periodo, unite alla comparsa delle prime fibre sintetiche e al proibizionismo imperante nei confronti della cannabis a livello internazionale, furono tutti elementi che hanno portato la canapa, pianta fino ad allora utilizzata largamente anche negli Stati Uniti, a essere bandita. E l’elemento che fa più riflettere è che una campagna iniziata denigrando e ingigantendo gli effetti psicotropi della sostanza, portò in molti Paesi al divieto anche per gli utilizzi industriali in cui gli effetti stupefacenti avevano davvero poco a che fare. (pp. 88-89)

Se il Marijuana Tax Act viene promulgato nel 1937, supportato a dovere da un’incredibile campagna di stampa, le fake news sulla cannabis create e fatte circolare ad arte per demonizzare questa pianta iniziano già nei primi del Novecento, dopo la rivoluzione messicana, quando i migranti, nel varcare il confine del Texas e della Louisiana, portano in dote anche l’abitudine di fumare marihuana.

Serviva una scusa per criminalizzarli, e quella scusa fu la cannabis. Il primo passaggio fu quello di cambiare il nome a una sostanza che gli americani conoscevano bene, perché la utilizzavano per i propri vestiti, per il cordame, per le navi, per gli equipaggiamenti militari, e la custodivano comunemente nell’armadietto dei medicinali. Però la chiamavano cannabis, o hemp. Così quando iniziò l’ossessiva campagna mediatica che parlava in modo assillante dell’erba assassina che fumavano i messicani, ritenuti inferiori e selvaggi e dipinti come criminali, il termine marijuana, dal messicano marihuana, appunto, suona cupo e sinistro, ma soprattutto è completamente nuovo alle orecchie degli americani. La guerra contro la canapa per come la conosciamo oggi inizia da qui: la demonizzazione della cannabis fu un mezzo per demonizzare i messicani stessi. (pp. 89-90)

Nei primissimi anni Trenta la marijuana viene messa fuori legge da una trentina di stati americani e viene fondato il Federal Bureau of Narcotics, sotto il controllo del dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. La campagna proibizionista può contare sulla grancassa, tra gli altri, del colosso editoriale del magnate William Randolph Hearst, considerato tra i padri del giornalismo scandalistico, a cui si è ispirato Orson Welles per il suo film Quarto potere (1941). La campagna scatenata contro la cannabis tende ad associarla alla violenza, agli omicidi e agli stupri da parte dei migranti messicani nei confronti delle donne bianche. Nel corso delgi anni Trenta anche Hollywood si mobilita con documentari proiettati nelle sale come Refeer madness (1936) e Marijuana, assassin of youth (1937). È in questo clima che si arriva all’approvazione da parte del Congresso del Marijuana Tax Act nel 1937 che, pur senza vietare il possesso o il consumo della pianta, ne rende impossibile l’utilizzo attraverso una forte tassazione.

Venendo all’Italia, se a cavallo tra Otto e Novecento la canapa viene studiata per le sue proprietà mediche, con il fascismo – che indica nell’hashish un “nemico della razza” e una “droga da negri” – prende ufficialmente il via il proibizionismo in questo paese. Nel 1934 la legislazione sugli stupefacenti introduce il “ricovero coatto” dei “tossicomani” in “case di salute”. Nonostante gli interventi legislativi volti a reprimere la diffusione di “sostanze velenose aventi azione stupefacente”, non mancano pubblicazioni di regime che, attorno alla metà degli anni Venti, celebrano la canapa sia in quanto eccellenza autarchica utile all’emancipazione del paese dalle fibre tessili straniere, che per il suo dare lavoro a oltre 30 mila persone nell’industria canapiera nazionale.

Se negli anni Dieci l’Italia figura tra i maggiori produttori di canapa, a partire dalla crisi del 1929 iniziano i problemi per le fibre tessili naturali e per la canapicoltura in particolare, tanto che nel 1933 si decide di intervenire a livello statale a sostegno della produzione canapicola dando vita ai consorzi provinciali per la difesa della canapicoltura. Alla fine del conflitto mondiale questo tipo di produzione nazionale risente della crisi mondiale che riveste le principali fibre naturali soppiantate da quelle artificiali nella fabbricazione di manufatti a uso industriale. Dopo gli anni Sessanta le superfici coltivata a canapa sul territorio nazionale quasi scompaiono ed a ciò si aggiungono le leggi antidroga.

Venendo agli anni più recenti, è da segnalare come nel 2013, primo paese al mondo, l’Uruguay abbia varato una legge per la legalizzazione della cannabis per contrastare i narcotrafficanti. Nel 2017 in Italia è la stessa Direzione Nazionale Antimafia a invitare il mondo politico a superare la logica della semplice proibizione. Negli Stati Uniti la cannabis legale è attualmente, considerato anche l’indotto, tra i settori che stanno creando più posti di lavoro. Stando ad alcune ricerche pubblicate sul JAMA Internal Medicine del 2014, negli stati nordamericani in cui è stato autorizzato l’uso di cannabis terapeutica si è avuto un decremento del tasso di mortalità annuale per overdose da analgesici oppiacei pari al 24,8% rispetto agli stati in cui è stato mantenuto il divieto. Più in generale, in ambito medico la cannabis si presta al trattamento di varie patologie, mostrandosi efficace nei casi di dolore cronico sia di origine neuropatica che infiammatoria, come dimostrano diverse testimonianze riportate dal libro, tanto che alcune grandi aziende farmaceutiche hanno iniziato ad entrare direttamente nel settore.

I nemici della cannabis legale sono tanti. Le grandi multinazionali di alcolici e farmaci vedono in essa un temibile concorrente in quanto la sua legalizzazione farebbe calare i consumi alcol e quelli di farmaci come gli antidolorifici e gli antipsicotici. Due importanti studi canadesi, realizzati dai ricercatori dell’Università di Victoria e della facoltà universitaria di medicina di Dalhousie, hanno recentemente documentato come la cannabis a uso medico contribuisca in maniera significativa a far diminuire i consumi di farmaci come oppioidi, antidepressivi e benzodiazepine, oltre che di alcol. Secondo una ricerca condotta dagli analisti di New Frontier Data, la legalizzazione della cannabis potrebbe sostituire il 10% dei farmaci da prescrizione negli Stati Uniti. Alcune grandi multinazionali dell’alcol e del tabacco hanno fiutato l’affare e se da una parte finanziano le campagne proibizioniste, dall’altra iniziano a investire nel settore della cannabis legale.

Secondo l’autore del libro il vero cambiamento epocale nelle politiche sulla cannabis è giunto all’inizio del 2019, quando l’OMS ha proposto una sua riclassificazione riconoscendone le proprietà mediche e identificando alcune preparazioni farmaceutiche a base di cannabis come “sostanze con valore terapeutico a basso rischio di abuso”.

Dalla canapa possono essere derivati prodotti nutraceutici o cosmetici; si può ottenere carta di ottima qualità da piante annuali; può essere ricavato materiale per la bioedilizia o bioplastica biodegradabile; può essere trasformata in combustibile green ed essere utilizzata per la scocca delle automobili (come aveva dimostrato sin dal lontano 1941 Henry Ford con la sua Hemp Body car, costituita all’80% da fibra di canapa e alimentata da etanolo ottenuto dalla stessa pianta); da essa si può ricavare tessuto con una coltivazione meno inquinante del cotone, più resistente e con proprietà antibatteriche e antifungine e dagli scarti si possono ricavare materiali per la costruzione di supercondensatori per lo stoccaggio di energia. Dal punto di vista ambientale, inoltre, la canapa “sequestra” dall’atmosfera un quantitativo di CO2 quattro volte quello degli alberi comuni, migliora i terreni in cui viene coltivata arieggiandoli e assorbendo materiali inquinanti.

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Emergenza climatica https://www.carmillaonline.com/2020/01/16/woodstock-di-romagna/ Thu, 16 Jan 2020 22:03:35 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=57436 Piccolo racconto freak anni ’70

di Mauro Baldrati

Quel giorno di primavera del 1976 Jimi Hendrix di Romagna (ex Jimi a dire il vero, ma il suo personaggio, per quanto abbattuto dal servizio militare, ancora resisteva), era nella vecchia casa di Mezzaluna con l’amico Pino, detto Gomez. Stavano ragionando sulla difficoltà di trovare l’erba buona. Era sempre più rara.

“Dobbiamo coltivarcela da noi” disse Gomez. Jimi era d’accordo, lo era sempre stato, ma il problema era: dove, in una terra di pianura, senza boschi né nascondigli, affollata di contadini, cacciatori [...]]]> Piccolo racconto freak anni ’70

di Mauro Baldrati

Quel giorno di primavera del 1976 Jimi Hendrix di Romagna (ex Jimi a dire il vero, ma il suo personaggio, per quanto abbattuto dal servizio militare, ancora resisteva), era nella vecchia casa di Mezzaluna con l’amico Pino, detto Gomez. Stavano ragionando sulla difficoltà di trovare l’erba buona. Era sempre più rara.

“Dobbiamo coltivarcela da noi” disse Gomez. Jimi era d’accordo, lo era sempre stato, ma il problema era: dove, in una terra di pianura, senza boschi né nascondigli, affollata di contadini, cacciatori e pescatori? “Lungo l’argine del fiume” disse Gomez. Verso Fusignano di sono dei canneti, potremmo piantare lì cinque o sei piante.”

“Mmm” mugugnò Jimi. “Ce la rubano di sicuro. Molti ragazzi cercano posti dove piantare l’erba.”

“Allora giù alla foce, sul Reno” disse Gomez, dopo una riflessione. “La vegetazione è più fitta, troviamo un posto.”

Ma Jimi non era convinto. Si trattava di luoghi allo scoperto, che non sarebbero sfuggiti ai ragazzi che esploravano di continuo i dintorni dei paesi. Sarebbe stata una beffa, coltivare con amore una decine di piante e poi, al momento del raccolto, non trovarle più.

“Io un posto lo conosco” disse allora Jimi. Gomez si illuminò. “Davvero?” esclamò. “Sì. E’ giù per le Borse, verso Voltana. Si chiama Woodstock.”

Woodstoock era una piccola isola che si trovava tra due canali di irrigazione, in un luogo raggiungibile solo da un sentiero alquanto sconnesso sull’argine di uno dei canali. Era distante circa mezzo chilometro dalla strada Bentivoglio, che a quei tempi non era ancora asfaltata. L’avevano chiamata come il luogo del famoso festival Jimi e l’amico Dennis, più o meno cinque anni prima. Era un triangolo rettangolo di vegetazione selvaggia, uno dei pochi territori non coltivati a grano o barbabietole.

Subito Jimi e Gomez salirono sulla Dyane 6 e si diressero verso la Bentivoglio, dove la piccola auto supermolleggiata imboccò il sentiero, incurante delle buche e degli avallamenti.

A Woodstock si accedeva da un piccolo passaggio che attraversava il canale. Dentro, il terreno era poroso, grasso, fertile. La vegetazione era folta, ma con piccole radure che lasciavano passare la luce del sole. Ne scelsero una radente il canale, non visibile dall’argine. Una posizione perfetta. L’erba voleva il sole.

“Bellissima” commentò Gomez. “Verranno delle piante magnifiche.”

Tornarono nella vecchia casa di Jimi dove piantumarono i semi. Arrivavano dall’India, dalla regione del Kerala, portati da un amico fricchettone di Lugo. Jimi aveva un libro, “Come coltivare la cannabis”, con tutte le istruzioni. I semi andavano avvolti nel cotone idrofilo finché spuntava il minuscolo germoglio, poi seppelliti sotto alcuni centimetri di terra, in una cassetta. Dopo un paio di settimane erano spuntate le piantine. A quel punto si prendeva la cassetta e si andava nel luogo del trapianto. A Woodstock.

Le piante venivano su gagliarde e bellissime. Dopo avere rimosso i maschi, che avrebbero impollinato le femmine, abbassando la qualità delle cime, quasi ogni giorno i due amici andavano sul posto, a piedi sull’argine per non dare nell’occhio con la macchina, per innaffiarle e curarle. Non solo il terreno era grasso e nutriente, ma l’acqua dei canali era ricca di materia organica, c’erano le raganelle, i tritoni e i pesci gatto. Le piante crescevano robuste, vigorose. Promettevano una grande quantità di erba di ottima qualità. Una quantità enorme, perché in giugno erano già alte un paio di metri. Venti piante. Che sarebbero cresciute fino a tre o addirittura quattro metri. Almeno dieci chili di erba.

Jimi e Gomez le osservavano incantati, in adorazione. Che meravigliose cime verdi, sane, e generose.

Ma Jimi non riusciva a liberarsi dal pensiero del furto. Le piante erano preziose. Irresistibile la tentazione. Si riproposero di intensificare la vigilanza. Qualche giorno prima del raccolto avrebbero dormito sul posto, in una tenda.

Avevano programmato tutto: il raccolto sarebbe avvenuto di notte, un paio d’ore prima dell’alba, quando in giro non c’era nessuno. O quasi. Gente stramba ce n’era sempre in giro. Ma non da quelle parti. Le avrebbero caricate sulla Dyane, che avrebbe viaggiato sull’argine a fari spenti. Poi, a casa di Jimi, le avrebbero appese a testa in giù in una stanza al piano terra per fare seccare le foglie e le cime. Non vedevano l’ora.

Ai primi di luglio, circa quattro settimane prima del raccolto, Jimi aveva in programma un breve viaggio ad Amsterdam, dove andava abbastanza spesso, perché aveva un amico che l’ospitava. Voleva comprare dei nuovi semi tailandesi, di cui si narravano storie meravigliose, e almeno un etto di nero afgano. Erano infatti tempi in cui si fumava moltissimo, forse per difendersi dall’invasione dell’eroina, che era già iniziata, e la ricerca di roba buona e genuina, non tagliata, era incessante.

“Starò via massimo dieci giorni” disse. “Le puoi innaffiare tu?”. Gomez rispose che non c’erano problemi. Se ne sarebbe occupato volentieri.

Così Jimi partì, in auto con un tipo di Mezzano e la sua fidanzata. Restarono una settimana in città, andarono nei luoghi giusti e tornarono con una buona dotazione di semi, di nero e anche di marocchino sputnik fresco e profumato.

Appena arrivato nella vecchia casa Jimi scaricò la roba e, benché molto stanco, si precipitò a casa di Gomez, che abitava in una casetta popolare “di là dal fiume”, cioè nel paese vecchio.

Lo trovò stranamente cupo, taciturno e depresso. Orribilmente depresso. “Ma cos’è successo?” chiese, con ansia.

“Non ci crederai” rispose Gomez, con voce cavernosa. “A cosa? A cosa non crederò?” incalzò Jimi. “Ecco…” iniziò Gomez, guardando a terra. “E’ venuto un temporale mostruoso. Giorni e giorni di pioggia. Beh, i canali sono straripati e hanno sommerso Woodstock.” Jimi lo guardò con occhi stralunati. “Che? Straripati? Sommerso? E… le piante?” Gomez non sollevò lo sguardo. “Secche. Tutte secche.” Jimi ebbe un colpo al cuore. “Secche?” ripeté. “Vuoi dire… secche?” Gomez annuì. “Tutte. Non se ne è salvata neanche una.”

Jimi cadde a sedere sul piccolo divano di plastica. Secche. Venti piante magnifiche. Una dotazione di erba per anni. “Ma proprio neanche una?” gemette. Gomez scosse la testa. Non poteva crederci. Gomez aveva una faccia come se stesse per scoppiare in lacrime.

Nonostante la stanchezza per il lungo viaggio di ritorno saltarono sulla Dyane e andarono sul posto. Doveva vedere coi suoi occhi, per crederci.

Le venti piante erano venti pali. Dritti, senza una foglia. Venti pali secchi. Restarono in contemplazione di quello spettacolo orribile, increduli. “L’acqua arrivava qui” disse Gomez, toccando la base di un palo. “Le radici erano sommerse.”

Jimi avrebbe voluto trovare qualcosa da dire, tipo: perché non ne hai raccolte alcune, anche se non erano del tutto mature? Qualcosa si sarebbe salvato. Ma Gomez non aveva la macchina, né la patente, come le avrebbe trasportate? E dove? Per portarle nella sua casetta avrebbe dovuto attraversare il paese con le piante sulle spalle. Impossibile. Non restava che rassegnarsi.

Tristi, taciturni, raccolsero le due pale che avevano portato quasi tre mesi prima per dissodare il terreno e si avviarono verso la macchina, che si trovava all’inizio del sentiero, sulla Bentivoglio.

Camminavano in silenzio, con le spalle curve, quando dal nulla spuntò un omaccio. Aveva una vecchia bicicletta che spingeva a mano, poiché il sentiero sconnesso non permetteva di pedalare.

“Dove andate con quei paletti, eh?” esclamò, guardando le pale. Aveva una faccia aggressiva, lucida di sudore, con una barba non rasata. I due amici lo fissarono stupiti, senza rispondere. Jimi pensò che li avesse sgamati. Li aveva visti curare le piante. Bah, poco male. Ormai non erano più piante, ma solo dei pali. “Allora, cosa dovete fare con quei paletti?” incalzò l’omaccio. Sembrava stravolto dalla rabbia, sul punto di saltare loro alla gola. “Ma niente” buttò là Gomez. Una risposta senza senso. Era meglio tacere. “Ah, niente eh? Cosa credete, di prendermi sui ruzzoli a me? Credete che non sappia che andate a madavescoli? Ma io vi faccio la posta! Sono un guardiapesca io, vi tengo d’occhio!”

Madavescoli. Li aveva scambiati per cercatori di lombrichi, e quindi pescatori di frodo. Era così assurdo, come se avessero oltrepassato una porta per entrare in un mondo parallelo. La tragedia delle piante morte si era di colpo trasformata in una scena grottesca. Cercatori di lombrichi. A Jimi veniva da ridere, ma si trattenne. L’omaccio avrebbe potuto arrabbiarsi di brutto e chiamare i carabinieri, se si fosse sentito preso sui ruzzoli. Quindi tacque, e restò serio.

L’omaccio sbraitò e minacciò ancora un paio di volte, poi se ne andò imprecando, mentre Jimi e Gomez restarono fermi, fissandolo, in attesa che scomparisse dalla vista.

“Ti sembra che non ci sia qualche spaccamaroni in giro?” disse Gomez, camminando a testa bassa. Già. Erano dappertutto. Come le cavallette. Però a Jimi veniva da ridere. Era come avesse visto due leopardi e li avesse scambiati per due cammelli. Chissà cosa frullava nella sua testa di rapa. Vedeva pescatori di frodo dappertutto.

Jimi scoppiò a ridere. Gomez lo guardò, ci pensò su, poi scoppiò a ridere a sua volta. Avanzarono sul sentiero, con le pale che usavano come bastoni da passeggio, poi si fermavano e ridevano. Gomez dovette addirittura sedersi, per non cadere.

Si sedettero entrambi, sul bordo del sentiero. Davanti a loro si stendevano gli sterminati campi di stoppie. “Madavescoli!” esclamò Jimi. “Fatta roba!” E giù a ridere, mentre il sole tramontava e tingeva di rosso l’orizzonte.

(Questa è un’opera di fantasia, ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale. A parte Woodstock – nella foto satellitare – che oggi è un’oasi naturale protetta del WWF.
Le foto sono state scattate dall’autore negli anni ’70 per una mostra sulle aggregazioni giovanili – a quei tempi chiamate bande)

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Un sedicenne di Lavagna https://www.carmillaonline.com/2017/02/18/un-sedicenne-lavagna/ Fri, 17 Feb 2017 23:01:36 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=36569 di Simone Scaffidi

lunar1_MGZOOMUn sedicenne di Lavagna, fugge dalla finestra. Schiere di maggiorenni, fuggono il problema.

Il dito puntato contro di lui, lo guardano, lo tollerano, lo esigono.

Il dito punta i piedi, saggia lo slancio, lascia il balcone.

È pieno giorno, eppure la luna, eppure la luna.

Dietro il dito i maggiorenni si nascondono, lo guardano, lo tollerano, lo esigono.

La luna punta i piedi, saggia lo slancio, lascia il balcone.

È notte fonda, eppure la luna, eppure la luna.

 

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di Simone Scaffidi

lunar1_MGZOOMUn sedicenne di Lavagna,
fugge dalla finestra.
Schiere di maggiorenni,
fuggono il problema.

Il dito puntato contro di lui,
lo guardano,
lo tollerano,
lo esigono.

Il dito punta i piedi,
saggia lo slancio,
lascia il balcone.

È pieno giorno,
eppure la luna,
eppure la luna.

Dietro il dito i maggiorenni si nascondono,
lo guardano,
lo tollerano,
lo esigono.

La luna punta i piedi,
saggia lo slancio,
lascia il balcone.

È notte fonda,
eppure la luna,
eppure la luna.

 

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